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Tutta l’economia circolare che c’è nel Piano per la transizione ecologica

Rispetto al Pnrr, in cui si parla solo di rifiuti, nella proposta di Piano di transizione ecologica redatta dal MiTe fanno la loro comparsa concetti – familiari ai lettori di Economiacircolare.com – come l’ecodesign, l’allungamento della vita dei prodotti, il prodotto come servizio, la condivisione. Grande assente il riuso (se non si tratta di imballaggi). E manca l’indicazione di obiettivi specifici (a parte l’uso circolare dei materiali: dal 19% attuale al 30% entro il 2030).

















Diciamolo subito: a confronto col Pnrr, che si è limitato alla gestione dei rifiuti e relativi impianti, la Proposta per il Piano di transizione ecologica approvata dal Cite (Comitato interministeriale per la Transizione ecologica) lo scorso 28 luglio alza lo sguardo dai cassonetti per guardate anche a tutto quello che viene prima. Trovano infatti spazio temi chiave dell’economia circolare come la riduzione dei rifiuti, l’ecodesign, l’allungamento della vita dei prodotti, il product as a service (o servitizzazione, con un brutto calco dall’inglese), la condivisione. Grande assente il riuso, immaginato per gli imballaggi ma non incentivato anche per altri beni.

Probabilmente ha pesato il fatto che il Pnnr guarda al breve temine e a quelle che il governo ha ritenuto emergenze da affrontare. Forse ha pesato il diverso vincolo connesso al Pnrr (un vincolo finanziario che coinvolge l’Europa) e alla Proposta di Piano (un accordo tra ministri). Redatta dal Mite “ma frutto approccio collegiale tra i vari dicasteri”, la proposta passa ora al vaglio della Conferenza unificata e delle commissioni parlamentari competenti, che dovranno esprimere (entro 20 giorni la prima, entro 30 le seconde) il loro parere. Dopo di che la Proposta sarà aggiornata in base a queste indicazioni e approvata dallo stesso Cite entro 30 giorni dal ricevimento dei pareri.

La proposta di Piano, leggiamo in un documento preparatorio della riunione, “rappresenta un testo chiave per la condivisione a livello politico degli obiettivi di ammodernamento del Paese”. Obiettivi che vanno dalla neutralità climatica alla messa in sicurezza del territorio, dal ripristino della biodiversità alla tutela del mare, fino – e questo interessa in particolare EconomiaCircolare.com – alla transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia e al rispetto delle direttive europee sui rifiuti.

Economia circolare uguale (finalmente) ecoprogettazione e prevenzione dei rifiuti

Facendo la dovuta premessa che i documenti, anche quando approvati da ministri, sono cosa ben diversa dai fatti, la sezione della proposta di Piano relativa all’economia circolare si apre con un’affermazione che, per quanto banale per gli addetti ai lavori e gli appassionati, suona quasi inattesa se viene da chi ha approvato il Pnrr: “L’economia circolare è una sfida epocale che punta all’ecoprogettazione di prodotti durevoli e riparabili per prevenire i rifiuti”.

Ecoprogettazione e riparabilità insomma entrano tra gli obiettivi del governo, anche se, come vedremo, nel documento manca quasi del tutto l’indicazione di target specifici da raggiungere al 2030, che è l’ambito temporale per la messa a terra del Piano. Entro il 2022 – leggiamo ancora, in linea con quando affermato nel Pnrr – verrà pubblicata la “nuova Strategia nazionale per l’economia circolare, incentrata su ecoprogettazione ed ecoefficienza”. Giova infatti ricordare che una vera Strategia nazionale finora è stata annunciata ma mai approvata: abbiamo solo il documento di inquadramento e posizionamento strategico “Verso un modello di economia circolare per l’Italia”. Dopo una rapida descrizione delle politiche europee in questo campo, la Proposta fornisce qualche dettaglio sulla futura strategia.

Le misure: dal fisco all’end of waste all’ecodesign alla formazione

Leggiamo nel documento approvato dai ministri: “L’Italia parte da una posizione di relativo vantaggio in termini di circolarità delle risorse […]. Molto, tuttavia, resta da fare per compiere una vera e propria transizione alla circolarità lungo la strada indicata dall’Unione europea, sia in termini di eco-progettazione, durabilità, riparabilità e condivisione dei prodotti, sia per quanto riguarda la riduzione dei rifiuti”.

Questi gli obiettivi della Strategia nazionale per l’economia circolare, da raggiungere entro il 2030, con alcune indicazioni su come raggiungerli:
Rendere competitive le materie prime seconde. La Strategia intende rafforzare il mercato delle materie prime seconde affinché siano “competitive in termini di disponibilità, prestazioni e costi”. In che mondo? Agendo “sulla normazione dei materiali” (immaginiamo si tratti delle caratteristiche e delle prestazioni) e sulle norme “End of waste”;
Più Epr. Estendere il principio della Responsabilità estesa del produttore (Epr) e quello del “Chi inquina paga”. Tra le soluzioni cui il documento fa riferimento, il vuoto a rendere (per “favorire il mercato del riuso e la restituzione dei prodotti ai gestori privati in cambio di un contributo economico), pay per use, pay as you throw;
Fiscalità. Sviluppare una fiscalità favorevole alla transizione verso l’economia circolare: come la “graduale eliminazione dei Sussidi dannosi all’ambiente”, e poi “forme positive di incentivazione delle attività di riparazione dei beni, sia per una loro progettazione più sostenibile”;
Ecodesign. Porre le condizioni per “l’estensione della durata del prodotto attraverso una sua progettazione ispirata ai principi di modularità e riparabilità”. Anche grazie all’offerta di servizi “come la manutenzione/aggiornamento e la sostituzione del prodotto danneggiato”.
Condivisione e product as a service. L’utilizzo più efficiente dei prodotti passa anche per “proposte commerciali di condivisione (sharing) e di noleggio (pay per use) che indicano lo spostamento dalla proprietà individuale del bene alla sua fruizione come servizio”;
R&S. “Potenziare ricerca e sviluppo nel settore dell’eco-efficienza, migliorare la tracciabilità dei beni e risorse nel loro ciclo di vita”. Tra le iniziative indicate nella Proposta, quella di ”definire un set attendibile di indicatori per misurare il grado di circolarità dell’economia secondo le metodologie del Life cycle assessment, il Carbon Footprint e, in una logica di valutazione dell’economicità di processo, attraverso i Key performance indicators (Kpi) che permettono di considerare in modo unitario le fasi chiave dell’economia circolare: acquisto, produzione, logistica, vendita, uso e fine vita”;
Educazione e formazione. Progettare nuovi programmi di educazione al consumo e di formazione interdisciplinare alla figura di esperto di economia circolare.

Macro-obiettivo della Proposta è “promuovere una economia circolare avanzata e di conseguenza a una prevenzione spinta di scarti e rifiuti (-50%) entro il 2040”. Nel documento non ci sono però chiarimenti su come verrà misurato questo 50%.

Come cambierà l’edilizia

Il Piano per la transizione ecologica proposto dal Mite dedica un focus particolare all’edilizia, che, come sappiamo, è la prima fonte di rifiuti speciali. Economia circolare ed efficientamento energetico degli edifici, sottolinea il documento, “vanno di pari passo nel settore delle costruzioni, dove una corretta scelta dei materiali e una valutazione applicata al ciclo di vita dell’edificio consentono di ridurre il consumo di risorse e le emissioni di gas climalteranti in fase di costruzione e utilizzo”. Per questo, accanto alle misure di risparmio energetico, saranno messe in campo “riforme per favorire l’economia circolare e dunque valorizzare all’interno del settore, componenti e materiali di origine secondaria”. Occhi puntati sull’ecodesign: “Scegliere materiali leggeri e durevoli, che siano riciclabili o realizzati con materia recuperata e riciclata, concepire prodotti che possano essere riparati, riutilizzati e disassemblati a fine vita così da favorire il recupero e non lo smaltimento in discarica”.

Per spingere questa rivoluzione in edilizia, il documento immagina riforme in ambito “sia pubblico che privato”. Tra cui “l’applicazione di criteri ambientali minimi sia in bandi di gara pubblici (ma applicati in parte anche nel privato nel caso dei Superbonus), dedicati alla ristrutturazione o costruzione di nuovi edifici, inseriscono per esempio alcune limitazioni per selezionare componenti edilizi con contenuto di materiale riciclato specifici”.

Tra le note di dettaglio, la volontà di “incentivare l’utilizzo del legname nazionale, finora poco sfruttato, anche per applicazioni in bioedilizia, considerate le sue insuperabili proprietà di sink di carbonio, e antisismiche”.

La bioeconomia circolare

La Proposta dei Cite punta anche al potenziamento della bioeconomia circolare, in particolare “la valorizzazione delle biomasse di scarto, dei rifiuti organici urbani, delle colture non alimentari e delle colture in secondo raccolto per la produzione di energia, di bioprodotti e di biocarburanti”. Accento particolare viene posto sulla produzione di energia e di biocarburanti.

Tra i focus del Piano c’è anche l’acqua: “Strategico è anche lo sviluppo di un’economia circolare dell’acqua, in attuazione del nuovo regolamento europeo 2020/741 che dà prescrizioni minime per il riuso delle acque reflue a scopo irriguo, visti i vantaggi che ne possono derivare per la collettività”.
Indicatori

Scorrendo la proposta di Piano di transizione ecologica, nelle ultime pagine troviamo una lista di indicatori suggeriti per monitorare i cambiamenti attesi. L’unico per l’economia circolare è il “Tasso di uso circolare dei materiali”. Un indicatore sintetico legato al riciclo e alle materie prime seconde: niente durabilità, niente riparazione, niente riuso, niente preparazione. Comunque sia, se oggi il tasso di uso circolare dei materiali è al 19%, la proposta fissa l’obiettivo di arrivare al 30% entro il 2030.

fonte: economiacircolare.com



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Ci vuole un piano nazionale per salvare la natura

Per il nostro Paese è indispensabile pensare ad un grande piano per riqualificare la natura



Tra le sfide che dovremo affrontare nel prossimo futuro, oltre al cambiamento climatico, c'è la perdita di biodiversità, tanto che anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si fa riferimento al nostro "ecosistema naturale e culturale di valore inestimabile", definendolo un elemento distintivo dello sviluppo economico presente e futuro, da proteggere come patrimonio unico dell'Italia.

Nella sezione del PNRR dedicata alla transizione ecologica, uno dei pilastri, in particolare la Componente 4, si incardina sulla messa in sicurezza il territorio, intesa come:
mitigazione dei rischi idrogeologici (con interventi di prevenzione e di ripristino),
salvaguardia delle aree verde e della biodiversità (es. con interventi di forestazione urbana, digitalizzazione dei parchi, ri-naturificazione del Po),
eliminazione dell’inquinamento delle acque e del terreno (es. con bonifica siti orfani) ,
disponibilità di risorse idriche (es. infrastrutture idriche primarie, agrosistema irriguo, fognature e depurazione.

Il WWF, partendo proprio dal riferimento alla salvagardia della biodiversità, contenuto nel PNRR, ricorda che "il nostro Paese ha una delle biodiversità più ricche d’Europa" e nel documento, "Riqualificare l'Italia", chiede al Governo di redarre un Piano nazionale di ripristino ambientale che definisca le priorità d’azione, in modo da dare vita ad un’azione “straordinaria”. Il piano del WWF si concentra su:
6 aree vaste prioritarie per la connettività ecologica, ovvero le Alpi, il Corridoio Alpi Appennino, la valle del Po, l’Appennino umbro-marchigiano, l’Appennino campano centrale, la Valle del Crati - Presila Cosentina
un’azione “diffusa” sul resto del territorio.

Nel definire un piano per la conservazione e rigenerazione della biodiversità, le singole Agenzie ambientali possono dare il loro contributo, in quanto svolgono un'importante attività di monitoraggio dell'ambiente e mettono a disposizioni informazioni ambientali, attraverso dati, mappe e pubblicazioni e notizie. Questo quadro informativo si arrichicchisce, a livello nazionale, attraverso tutte le pubblicazioni realizzate dal Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (SNPA), che racchiude ISPRA e tutte le Agenzie presenti sul territorio nazionale.

Per quanto riguarda ARPAT, pensiamo, in particolare, alla mole di informazioni presenti:
nelle sezioni del sito Web di ARPAT

nelle pubblicazioni realizzate da ARPAT, sia annualmente, come nell'Annuario dei dati ambientali, dove vengono messi a disposizione di tutti i cittadini, attraverso sei aree tematiche, aria, acqua, mare, suolo, agenti fisici e sistemi produttivi, più di 90 indicatori ambientali, con i quali si definisce la situazione ambientale in Toscana, che periodicamente, attraverso le pubblicazioni su temi ambientali e, su questo argomento nello specifico, quella dedicata alle piante aliene. La stessa Regione Toscana, basandosi sulle informazioni ambientali messe a disposizione da ARPAT, elabora la sua Relazione sullo Stato dell'ambiente.

La quantità di informazioni ambientali, frutto dell'attività svolta dalla nostra Agenzia, può aiutare a definire alcuni importanti tasselli del quadro dell'ecosistema nella nostra regione, una sorta di fotografia dello "stato di salute" del nostro habitat, grazie al quale siamo informati, ad esempio, su quale sia la qualità delle acque sia interne (superficiali, sotterranee, destinate alla potabilità) che marino-costiere oppure su PFAS e fitofarmaci nelle acque, su quanta parte di territorio sia soggetta ad un procedimento di bonifica oppure sulla biodiversità marina.

Tutti temi particolarmente interessanti per delineare una strategia per la conservazione e rigenerazione della natura, sia a livello locale che nazionale, e tutti richiamati dalla Componente 4 della strategia per la transizione ecologica contenuta nel PNRR.

Al momento non è obbligatorio definire, a livello nazionale, un piano per la biodiversità ma questo renderebbe più concreto quanto contenuto nella strategia UE per la biodiversità, il cui titolo è alquanto esemplificativo: "Riportare la natura nella nostra vita".

Con questo documento la Commissione evidenzia i forti legami tra la nostra salute e quella degli ecosistemi e sottolinea come la difesa della biodiversità abbia anche un valore economico, in quanto oltre la metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai servizi che ci offre, soprattutto nei settori dell'edilizia, dell'agricoltura e degli alimenti e bevande.

La Commissione europea afferma che in Europa "la natura versa in uno stato critico" e 5 risultano essere le cause principali della perdita di biodiversità:
cambiamenti dell'uso del suolo e del mare
sfruttamento eccessivo delle risorse
cambiamenti climatici
inquinamento
presenza di specie esotiche invasive.

L'obiettivo della strategia europea per la biodiversità è proprio quella di "riportare la biodiversità in Europa sulla via della ripresa entro il 2030 a beneficio delle persone, del pianeta, del clima, dell'economia". Gli ecosistemi giocano, infatti, un ruolo cruciale nel fornire cibo, acqua, energia, materiali, medicinali e risorse genetiche, regolano il nostro clima, garantiscono la qualità dell’acqua e riducono l’inquinamento.

Le azioni principali individuate a livello europeo sono:
ripristinare vaste superfici di ecosistemi degradati e ricchi di carbonio
invertire la tendenza alla diminuizione degli impollinatori
ridurre del 50% i rischi e l'uso dei pesticidi chimici
destinare almeno il 10% delle superfici agricole ad elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità
destinare almeno il 25% dei terreni agricoli all'agricoltura biologica ed aumentare le pratiche agroecologiche
piantare tre miliardi di nuovi alberi nell'Unione Europea
aumentare la bonifica dei terreni contaminati
riportare almeno 25 000 km di fiumi a scorrimento libero
ridurre del 50% il numero di specie della lista rossa minacciate dalle specie esotiche invasive
limitare le perdite dei nutrienti contenuti nei fertilizzanti di almeno il 50% ottenendo una riduzione di alemno il 20% nell'uso dei fertilizzanti
dotare le città con almeno 20 000 abitanti di un piano ambizioso di inverdimento urbano
eliminare l'uso dei pesticidi chimici nelle zone sensibili, come le aree verdi urbane dell'UE
mitigare gli effetti negativi della pesca e delle attività estrattive sulle specie e sugli habitat sensibii, compresi i fondali marini al fine di riportarli ad un buono stato ecologico
eliminare le catture accessorie o ridurle a un livello che consenta il ripristino e la conservazione della specie.

fonte: www.arpat.toscana.it


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