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Tutta l’economia circolare che c’è nel Piano per la transizione ecologica

Rispetto al Pnrr, in cui si parla solo di rifiuti, nella proposta di Piano di transizione ecologica redatta dal MiTe fanno la loro comparsa concetti – familiari ai lettori di Economiacircolare.com – come l’ecodesign, l’allungamento della vita dei prodotti, il prodotto come servizio, la condivisione. Grande assente il riuso (se non si tratta di imballaggi). E manca l’indicazione di obiettivi specifici (a parte l’uso circolare dei materiali: dal 19% attuale al 30% entro il 2030).

















Diciamolo subito: a confronto col Pnrr, che si è limitato alla gestione dei rifiuti e relativi impianti, la Proposta per il Piano di transizione ecologica approvata dal Cite (Comitato interministeriale per la Transizione ecologica) lo scorso 28 luglio alza lo sguardo dai cassonetti per guardate anche a tutto quello che viene prima. Trovano infatti spazio temi chiave dell’economia circolare come la riduzione dei rifiuti, l’ecodesign, l’allungamento della vita dei prodotti, il product as a service (o servitizzazione, con un brutto calco dall’inglese), la condivisione. Grande assente il riuso, immaginato per gli imballaggi ma non incentivato anche per altri beni.

Probabilmente ha pesato il fatto che il Pnnr guarda al breve temine e a quelle che il governo ha ritenuto emergenze da affrontare. Forse ha pesato il diverso vincolo connesso al Pnrr (un vincolo finanziario che coinvolge l’Europa) e alla Proposta di Piano (un accordo tra ministri). Redatta dal Mite “ma frutto approccio collegiale tra i vari dicasteri”, la proposta passa ora al vaglio della Conferenza unificata e delle commissioni parlamentari competenti, che dovranno esprimere (entro 20 giorni la prima, entro 30 le seconde) il loro parere. Dopo di che la Proposta sarà aggiornata in base a queste indicazioni e approvata dallo stesso Cite entro 30 giorni dal ricevimento dei pareri.

La proposta di Piano, leggiamo in un documento preparatorio della riunione, “rappresenta un testo chiave per la condivisione a livello politico degli obiettivi di ammodernamento del Paese”. Obiettivi che vanno dalla neutralità climatica alla messa in sicurezza del territorio, dal ripristino della biodiversità alla tutela del mare, fino – e questo interessa in particolare EconomiaCircolare.com – alla transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia e al rispetto delle direttive europee sui rifiuti.

Economia circolare uguale (finalmente) ecoprogettazione e prevenzione dei rifiuti

Facendo la dovuta premessa che i documenti, anche quando approvati da ministri, sono cosa ben diversa dai fatti, la sezione della proposta di Piano relativa all’economia circolare si apre con un’affermazione che, per quanto banale per gli addetti ai lavori e gli appassionati, suona quasi inattesa se viene da chi ha approvato il Pnrr: “L’economia circolare è una sfida epocale che punta all’ecoprogettazione di prodotti durevoli e riparabili per prevenire i rifiuti”.

Ecoprogettazione e riparabilità insomma entrano tra gli obiettivi del governo, anche se, come vedremo, nel documento manca quasi del tutto l’indicazione di target specifici da raggiungere al 2030, che è l’ambito temporale per la messa a terra del Piano. Entro il 2022 – leggiamo ancora, in linea con quando affermato nel Pnrr – verrà pubblicata la “nuova Strategia nazionale per l’economia circolare, incentrata su ecoprogettazione ed ecoefficienza”. Giova infatti ricordare che una vera Strategia nazionale finora è stata annunciata ma mai approvata: abbiamo solo il documento di inquadramento e posizionamento strategico “Verso un modello di economia circolare per l’Italia”. Dopo una rapida descrizione delle politiche europee in questo campo, la Proposta fornisce qualche dettaglio sulla futura strategia.

Le misure: dal fisco all’end of waste all’ecodesign alla formazione

Leggiamo nel documento approvato dai ministri: “L’Italia parte da una posizione di relativo vantaggio in termini di circolarità delle risorse […]. Molto, tuttavia, resta da fare per compiere una vera e propria transizione alla circolarità lungo la strada indicata dall’Unione europea, sia in termini di eco-progettazione, durabilità, riparabilità e condivisione dei prodotti, sia per quanto riguarda la riduzione dei rifiuti”.

Questi gli obiettivi della Strategia nazionale per l’economia circolare, da raggiungere entro il 2030, con alcune indicazioni su come raggiungerli:
Rendere competitive le materie prime seconde. La Strategia intende rafforzare il mercato delle materie prime seconde affinché siano “competitive in termini di disponibilità, prestazioni e costi”. In che mondo? Agendo “sulla normazione dei materiali” (immaginiamo si tratti delle caratteristiche e delle prestazioni) e sulle norme “End of waste”;
Più Epr. Estendere il principio della Responsabilità estesa del produttore (Epr) e quello del “Chi inquina paga”. Tra le soluzioni cui il documento fa riferimento, il vuoto a rendere (per “favorire il mercato del riuso e la restituzione dei prodotti ai gestori privati in cambio di un contributo economico), pay per use, pay as you throw;
Fiscalità. Sviluppare una fiscalità favorevole alla transizione verso l’economia circolare: come la “graduale eliminazione dei Sussidi dannosi all’ambiente”, e poi “forme positive di incentivazione delle attività di riparazione dei beni, sia per una loro progettazione più sostenibile”;
Ecodesign. Porre le condizioni per “l’estensione della durata del prodotto attraverso una sua progettazione ispirata ai principi di modularità e riparabilità”. Anche grazie all’offerta di servizi “come la manutenzione/aggiornamento e la sostituzione del prodotto danneggiato”.
Condivisione e product as a service. L’utilizzo più efficiente dei prodotti passa anche per “proposte commerciali di condivisione (sharing) e di noleggio (pay per use) che indicano lo spostamento dalla proprietà individuale del bene alla sua fruizione come servizio”;
R&S. “Potenziare ricerca e sviluppo nel settore dell’eco-efficienza, migliorare la tracciabilità dei beni e risorse nel loro ciclo di vita”. Tra le iniziative indicate nella Proposta, quella di ”definire un set attendibile di indicatori per misurare il grado di circolarità dell’economia secondo le metodologie del Life cycle assessment, il Carbon Footprint e, in una logica di valutazione dell’economicità di processo, attraverso i Key performance indicators (Kpi) che permettono di considerare in modo unitario le fasi chiave dell’economia circolare: acquisto, produzione, logistica, vendita, uso e fine vita”;
Educazione e formazione. Progettare nuovi programmi di educazione al consumo e di formazione interdisciplinare alla figura di esperto di economia circolare.

Macro-obiettivo della Proposta è “promuovere una economia circolare avanzata e di conseguenza a una prevenzione spinta di scarti e rifiuti (-50%) entro il 2040”. Nel documento non ci sono però chiarimenti su come verrà misurato questo 50%.

Come cambierà l’edilizia

Il Piano per la transizione ecologica proposto dal Mite dedica un focus particolare all’edilizia, che, come sappiamo, è la prima fonte di rifiuti speciali. Economia circolare ed efficientamento energetico degli edifici, sottolinea il documento, “vanno di pari passo nel settore delle costruzioni, dove una corretta scelta dei materiali e una valutazione applicata al ciclo di vita dell’edificio consentono di ridurre il consumo di risorse e le emissioni di gas climalteranti in fase di costruzione e utilizzo”. Per questo, accanto alle misure di risparmio energetico, saranno messe in campo “riforme per favorire l’economia circolare e dunque valorizzare all’interno del settore, componenti e materiali di origine secondaria”. Occhi puntati sull’ecodesign: “Scegliere materiali leggeri e durevoli, che siano riciclabili o realizzati con materia recuperata e riciclata, concepire prodotti che possano essere riparati, riutilizzati e disassemblati a fine vita così da favorire il recupero e non lo smaltimento in discarica”.

Per spingere questa rivoluzione in edilizia, il documento immagina riforme in ambito “sia pubblico che privato”. Tra cui “l’applicazione di criteri ambientali minimi sia in bandi di gara pubblici (ma applicati in parte anche nel privato nel caso dei Superbonus), dedicati alla ristrutturazione o costruzione di nuovi edifici, inseriscono per esempio alcune limitazioni per selezionare componenti edilizi con contenuto di materiale riciclato specifici”.

Tra le note di dettaglio, la volontà di “incentivare l’utilizzo del legname nazionale, finora poco sfruttato, anche per applicazioni in bioedilizia, considerate le sue insuperabili proprietà di sink di carbonio, e antisismiche”.

La bioeconomia circolare

La Proposta dei Cite punta anche al potenziamento della bioeconomia circolare, in particolare “la valorizzazione delle biomasse di scarto, dei rifiuti organici urbani, delle colture non alimentari e delle colture in secondo raccolto per la produzione di energia, di bioprodotti e di biocarburanti”. Accento particolare viene posto sulla produzione di energia e di biocarburanti.

Tra i focus del Piano c’è anche l’acqua: “Strategico è anche lo sviluppo di un’economia circolare dell’acqua, in attuazione del nuovo regolamento europeo 2020/741 che dà prescrizioni minime per il riuso delle acque reflue a scopo irriguo, visti i vantaggi che ne possono derivare per la collettività”.
Indicatori

Scorrendo la proposta di Piano di transizione ecologica, nelle ultime pagine troviamo una lista di indicatori suggeriti per monitorare i cambiamenti attesi. L’unico per l’economia circolare è il “Tasso di uso circolare dei materiali”. Un indicatore sintetico legato al riciclo e alle materie prime seconde: niente durabilità, niente riparazione, niente riuso, niente preparazione. Comunque sia, se oggi il tasso di uso circolare dei materiali è al 19%, la proposta fissa l’obiettivo di arrivare al 30% entro il 2030.

fonte: economiacircolare.com



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Bioeconomia circolare, la chiave per raggiungere gli obiettivi del Green Deal Ue

“L’economia circolare non è completa senza la bioeconomia e viceversa”. Un uso circolare dei materiali a base biologica e un'adesione al modello della bioeconomia circolare può dare un contributo importante alla sostenibilità europea















Il piano d’azione per l’economia circolare 2020 è uno dei principali segmenti del Green Deal, che include iniziative lungo l’intero ciclo vita dei prodotti e mira a rendere norma i prodotti sostenibili UE. Il piano si concentra sul potenziamento dei processi di economia circolare, sulla promozione del consumo sostenibile e sull’accertarsi che le risorse utilizzate siano rigenerabili e presenti nel ciclo produttivo il più a lungo possibile.

Tutti questi buoni propositi, però, non possono che essere strettamente connessi ad un cambiamento economico sistemico che affronti temi economici, sociali e ambientali e che garantisca una competitività economica europea attraverso la creazione di posti di lavoro. Un cambiamento che porta il nome di bioeconomia: un un’economia più innovativa e a basse emissioni, che concilia le richieste di agricoltura e pesca sostenibili, sicurezza alimentare e uso sostenibile delle risorse biologiche rinnovabili per scopi industriali, garantendo la biodiversità e la tutela dell’ambiente.

Rimane la sfida di creare una sinergia tra bioeconomia e l’economia circolare che in breve dovrebbe integrare il modello circolare con l’utilizzo di prodotti bio-based (base biologica) grazie alle biotecnologie. Una bioeconomia circolare può servirsi dei principi della circolarità e, allo stesso tempo, di tecniche e processi promossi dalla bioeconomia.

Perché è importante la bioeconomia circolare

Il nova-Institut ha presentato una simbiosi tra bioeconomia ed economia circolare in un documento pubblicato nel 2018 intitolato The “Circular Bioeconomy” – Concepts, Opportunities and Limitations: “L’economia circolare non è completa senza la bioeconomia e viceversa. Gli enormi volumi di rifiuto organico e di flussi di scarti provenienti da agricoltura, silvicoltura, pesca, scarti organici di produzione di cibo e mangimi possono essere integrati solo nell’economia circolare attraverso processi di bioeconomia. Allo stesso tempo la bioeconomia trarrà enormi vantaggi da una maggiore circolarità”.

Secondo una pubblicazione della Commissione Europea su come “la bioeconomia può contribuire al Green Deal”, si stima che la bioeconomia contribuisca a quasi il 9% della forza lavoro e al 4,7% del Pil dei 27 Paesi membri. Cifre ancora decisamente poco significative. Ecco perché attraverso il progetto Horizon 2020, la Commissione Europea ha già dedicato alla bioeconomia circolare 3,85 miliardi di euro di fondi pubblici e diverse iniziative negli ultimi sette anni. Nel 2018 l’ European Bioeconomy Strategy ha rappresentato un passo in avanti importante che può impattare positivamente su diversi settori produttivi in cui innovazione e tecnologia giocano sempre un ruolo fondamentale.

La pace tra biosfera ed economia

“Per implementare la transizione che il Green Deal si prefigge – dice John Bell , direttore Healthy Planet del dipartimento ‘Ricerca e innovazione presso la Commissione europea’ all’evento Empowering the circular bioeconomy through the EU Green Deal – dobbiamo porre le basi di un’economia giusta e inclusiva. La bioeconomia è centrale in questo processo e grazie alle tecnologie e le giuste policy possiamo accelerare la transizione”.

Biosfera ed economia devono finalmente fare pace e la bioeconomia sembra l’intermediario perfetto per far sì che ciò avvenga. “Vivremo in un mondo in cui le risorse e le materie prime saranno sempre più limitate – continua Bell – la Bioeconomy si occupa di risorse viventi (living resources) che rinnovano se stesse e l’ecosistema circostante. Il cibo sarà la prima cosa”. Nell’UE, si stima che il 20% del cibo totale prodotto venga perso o sprecato (FUSIONS, 2016), quando 33 milioni di persone non possono permettersi un pasto di qualità .

Materiali a base biologica

“L’innovazione è fondamentale per la trasformazione bio-based – sostiene Claire Skentelbery Direttrice generale di EuropaBio (uno dei gruppi industriali di biotecnologica più grande d’Europa) – è una parte molto promettente che ci dà grandi opportunità. Le politiche aiutano a far sì che le tecnologie abbiano un impatto significativo nel sistema produttivo. Materiali come la plastica biodegradabile e compostabile o i materiali da costruzioni rinnovabili dovrebbero essere visti come investimento a lungo termine”.

La proposto di una Taxonomy regulations (un sistema di classificazione UE che stabilisce un elenco di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale) fa sorgere preoccupazioni sulla sostenibilità finanziaria immediata, ma “sviluppare politiche sostenibili attraverso un’efficace comunicazione che responsabilizzi il consumatore – continua Skentelbery – stimolerà la domanda di mercato. Alcuni technical screening criteria, strumenti di valutazione dei prodotti bio-based, contengono troppe semplificazioni. Per i prodotti alimentari non sono abbastanza precisi, dovrebbero essere allineati ad altri criteri come quelli usati per le materie prime che in Europa esiste da tempo”.

L’importanza delle foreste nella bioeconomia circolare

Una dimensione a cui il Bioeconomy Strategy Action Plan del 2018 non ha dedicato molto spazio è quella delle foreste. “Nel documento – fa notare Lauri Hatemaki vice direttore dell’European Forest Institute e professore all’università di Helsinki – si cita poco l’importanza delle foreste e i molteplici benefici che forniscono alla società e all’ecosistema. Per raggiungere la neutralità climatica si devono considerare tutte le categorie che svolgono un ruolo importante nel processo di stoccaggio del carbonio. Il Green Deal da questo punto di vista deve avere un approccio più olistico”, conclude Lauri Hatemaki.

16 marzo la Commissione Europa, tramite le parole del Commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevičius, ha confermato l’importanza del ruolo delle industrie a base forestale che portano benefici economici e sociali. Ha ricordato inoltre che il Protocollo di Kyoto impegna la maggior parte dei Paesi industrializzati a limitare le emissioni di gas serra attraverso il computo delle quote d’emissione consentite. I bilanci nazionali quindi devono considerare anche i serbatoi di carbonio agro-forestali e le fonti di emissione connesse ai cambiamenti di uso del suolo (afforestazione e deforestazione).

I dubbi sul legno vergine usato per produrre energia

Tra i possibili utilizzi delle foreste, però, c’è anche la produzione di energia tramite la combustione di biomasse come il legno. “Nonostante abbia un importante ruolo nella transazione, la bioeconomy ha dei limiti”, fa notare Luc Bas, direttore per l’Europa di IUCN (International Union for Conservation of Nature) e Climate and Nature Ambassador. “L’uso del legno per produrre energia è una soluzione interessante, ma non è naturale. Secondo un report la maggior parte di biomasse che bruciamo per produrre energia emettono più gas ad effetto serra che carbone e gas”. Il rialzo dei prezzi e la scarsità della materia hanno fatto accendere le polemiche sull’uso del legno pregiato per la produzione di energia attraverso le centrali a biomassa che ricevono, in Italia, ingenti sussidi pubblici. 500 scienziati ed economisti di tutto il mondo hanno scritto una lettera alla presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen e al presidente degli Stati Uniti Joe Biden in cui chiedono alle autorità, che si sono impegnate a raggiungere l’obbiettivo emissione-zero entro il 2050, di eliminare gli incentivi a favore delle centrali a biomassa che utilizzano legno vergine.

fonte: economiacircolare.com


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Economia circolare del cibo a Milano: fare rete è il modello vincente

 


Il Comune di Milano ha sviluppato un modello di riciclo degli scarti che permette di differenziare fino a quasi il 60% dei rifiuti.

Un approccio all’economia circolare del cibo significa ridurre il nostro impatto sull’ambiente e contribuire al tempo stesso alla lotta contro la malnutrizione. Si tratta del Goal 2 dei SDGs che intende porre fine alla fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un'agricoltura sostenibile.

Diventa necessario ridurre lo spreco, recuperare gli scarti e minimizzare l’impatto ambientale dell’intera industria. Il momento particolare che stiamo attraversando a causa della pandemia è un’occasione per ripensare l’intero ecosistema produttivo, rivalutando l’economia circolare e la bioeconomia in armonia con i fondamenti del Green New Deal, il programma lanciato dall’Unione Europea per raggiungere la neutralità delle emissioni inquinanti entro il 2050.

Parlando in numeri, secondo Ispra nel 2018 abbiamo prodotto 14,5 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari o derivanti dal packaging, cifre che si ripercuotono inevitabilmente sullo smaltimento dei rifiuti. Sebbene nelle piccole città la gestione dei rifiuti e della raccolta differenziata si è rivelata un modello ben riuscito, è anche vero che Milano si colloca al primo posto delle città al di sopra del milione di abitanti con il 58,8% di raccolta differenziata porta a porta e al secondo posto tra le città sopra ai 200 mila abitanti, dietro Venezia con 59,5%. In termini di produzione di rifiuti urbani pro capite con 502,1 kg/ab/anno il Comune di Milano è al di sotto della media del Nord Italia al di sotto dei valori delle altre grandi città. Un modello cittadino di economia circolare possibile, dunque.

Come si legge nel report del Comune di Milano con la Fondazione Cariplo e Novamont dal titolo “Economia circolare del cibo a Milano”, è stato realizzato un sistema industriale le cui dimensioni economiche sono cresciute negli anni grazie ad una rete di consorzi dedicati al miglioramento della raccolta, selezione e riciclo dei flussi di rifiuti differenziati. Fondazione Cariplo ha infatti sottoscritto il Protocollo lombardo per lo sviluppo sostenibile e ha firmato un Accordo Quadro specificatamente dedicato all’ambiente.

Dal 2014 Milano e Fondazione Cariplo hanno avviato un’agenda sul tema del cibo coinvolgendo tutti gli attori interessati, dai cittadini, agli Enti pubblici, associazioni, imprese e Università. Un progetto a cui ha preso parte la stessa Cariplo Factory, con l’iniziativa Food Policy Hot Pot, volta a sviluppare l’innovazione all’interno del sistema alimentare della città e alimentare il virtuosismo di Milano, prima città italiana a dotarsi di una policy legata al cibo.

Non è l’unica iniziativa: Cariplo Factory partecipa anche al progetto Food Trails. Ben undici città oltre Milano come Copenaghen, Varsavia, Birmingham, Bordeaux, Bergamo, Funchal, Groningen, Grenoble, Salonicco e Tirana, le Università di Cardiff, Wageningen e Roskilde e cinque player del sistema alimentare e di innovazione scendono in campo per evidenziare azioni concrete per supportare lo sviluppo e il consolidamento di politiche alimentari utili e praticabili. Il progetto europeo approvato nell’ambito del programma Horizon 2020 intende individuare eventuali ostacoli amministrativi alla replicabilità e trasferibilità delle politiche, permettendo successivamente di estendere queste conoscenze ad una rete più ampia di città. In ogni città vengono istituiti dei Living Labs per coordinare l’attuazione delle iniziative di innovazione del sistema alimentare, favorire la condivisione di idee tra istituzioni e l’ecosistema di attori della città e attrarre opportunità finanziarie che contribuiscano alla sostenibilità di tali sistemi a lungo termine.

Perché il riciclo sia un modello vincente è fondamentale che gli scarti possano essere riutilizzati anche da realtà che oggi non solo non se ne occupano ma neanche immaginano di poter diventare attori del processo. È qui che entra in gioco Open Innovation, uno spazio per le startup che intendono dare un contributo importante per migliorare la filiera del cibo in Italia ad esempio attraverso soluzioni e idee innovative che abilitino il controllo della qualità del cibo, o che ne migliorino la tracciabilità lungo l’intera catena del valore, o ancora che aiutino o migliorano il recupero delle eccedenze alimentari. Già nel 2018 Cariplo Factory ha attivato, insieme a Intesa Sanpaolo Innovation Center, il Circular Economy Lab (CE Lab), primo laboratorio per la circular economy in Italia che collega le imprese con le startup innovative.

fonte: www.nonsoloambiente.it/


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Fanghi di depurazione, una spallata all’emergenza grazie al Recovery fund?

Utilitalia: "Le nostre associate hanno proposto progetti dal valore complessivo di quasi 2 miliardi di euro, 700 milioni dei quali incentrati sullo sviluppo della bioeconomia"




Recovery fund ed economia circolare possono andare d’accordo. La dimostrazione è quanto emerso all’assemblea annuale del Cluster SPRING dove Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) ha spiegato il significativo valore degli investimenti in programma – si parla di due miliardi di euro – in particolare per la gestione dei rifiuti organici urbani (che in Italia ammontano a 7,1 milioni le tonnellate tra umido, verde e altre matrici organiche provenienti dalla raccolta differenziata) – e i fanghi di depurazione.

“Già oggi il mondo delle utilities è uno dei protagonisti della bioeconomia urbana – ha spiegato Colarullo – ora la sfida è quella di replicare in tutto il Paese le esperienze virtuose e di inquadrare gli investimenti necessari al suo sviluppo nel solco del Recovery fund”. Per Colarullo “l’utilizzo del Recovery fund contribuirà ad accelerare la transizione verso l’economia circolare e, in questo contesto, le nostre associate hanno proposto progetti dal valore complessivo di quasi 2 miliardi di euro, 700 milioni dei quali incentrati sullo sviluppo della bioeconomia”.

E il settore preponderante, come detto, è quello della gestione dei rifiuti organici urbani e i fanghi di depurazione, alla luce del forte impatto che possono avere sull’ambiente e sulla salute. Ricordiamo che nel 2018 in Italia la produzione annua di fanghi da depurazione si è avvicinata a 3 milioni di tonnellate, un numero destinato a crescere se saranno realizzati e messi in esercizio i depuratori nelle zone che ne sono carenti, per ottemperare agli obblighi derivanti dalla direttiva 91/271/CE in materia di trattamento delle acque reflue. Nello stesso anno i fanghi smaltiti sono stati il 56,3% e solo il 43,7% sono stati recuperati.

“Il nuovo pacchetto di direttive economia circolare – ha spiegato Colarullo – porterà ad un aumento della quantità di rifiuti organici da trattare, e al contempo a un incremento della produzione dei fanghi di depurazione, rispetto ai quali l’approccio attuale alla loro gestione non è in grado di sfruttare il loro potenziale per estrarre materiali come il fosforo e il potassio”.

Al contempo “il biometano prodotto dai rifiuti organici e dai fanghi di depurazione rappresenta una fonte energetica rinnovabile, nazionale, sostenibile, la cui valorizzazione consente di promuovere un’economia circolare su scala locale, ecosostenibile e a basse emissioni: la produzione di biometano ha prospettive molto interessanti per il nostro Paese, che dispone di un sistema infrastrutturale capillarmente diffuso sul territorio e del più grande mercato europeo di veicoli a metano”.

In questo quadro, “Utilitalia intende essere un motore di spinta per lo sviluppo di una bioeconomia circolare nel settore dei servizi pubblici, lavorando sul fronte del ciclo idrico al potenziamento degli impianti di depurazione, a una gestione integrata dei fanghi e alla definizione di una strategia nazionale per la loro gestione; sul fronte della gestione dei rifiuti, l’obiettivo sarà quello di stimolare e consolidare lo sviluppo delle infrastrutture per il trattamento della frazione organica, incentivandone la valorizzazione di materia e la produzione di biometano, anche semplificando e riducendo i tempi delle procedure autorizzative”.

fonte: www.greenreport.it


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Un vero e radicale Green New Deal può innescare un percorso di Decrescita Felice





Nonostante la tempesta del coronavirus, quello dei Green (New?) Deal italiani ed europei sarà (o dovrebbe essere) uno dei temi più importanti del nostro dibattito politico dei prossimi anni. L’inconsistenza e l’insufficienza dei piani attuali, sia italiano che europeo, sono sempre più evidenti ed hanno già incassato severe critiche, tra cui quella di Greta Thunberg all’ Europarlamento: “Ue a zero emissioni nel 2050? Non è obiettivo ma resa

In questo contesto, segnaliamo l’ultimo saggio di Riccardo Mastini, che descrive alcune idee per un Green New Deal davvero all’altezza della crisi ecologica, prendendo spunto dal libro “A Planet To Win” scritto da un gruppo di intellettuali statunitensi che hanno anche contribuito alla formulazione del programma elettorale di Bernie Sanders.





Nel libro (e nell’articolo) si sostiene che un vero Green New Deal deve andare oltre le semplici proposte di impiegare il potere dirigista dello Stato per coordinare e finanziare la trasformazione infrastrutturale e produttiva di un paese, ma deve anche ridurre le diseguaglianze, democratizzare l’economia, ampliare la sfera dei diritti, demercificare i servizi di base ed abbandonare la chimera della crescita verde.

Non è un libro sulla decrescita, ma lo sembra: “.. la vera sfida è quella della riduzione dei consumi aggregati accompagnata da una ridistribuzione dei consumi fra classi sociali. La lotta alla povertà deve quindi passare per una riduzione delle diseguaglianze e non per un’ulteriore crescita del PIL. Dobbiamo riorganizzare il modo in cui produciamo e consumiamo così da permettere a tutti di vivere dignitosamente utilizzando poche risorse, producendo pochi rifiuti, e garantendo l’inclusione lavorativa.”

Molto interessante anche il riferimento alla questione lavorativa che, come ben sappiamo anche in Italia, è sempre più utilizzata per mettere in scacco le proposte di conversione ecologica.

Terremo conto di questa e di altre idee (come il “reddito di cura” di cui scrive Stefania Barca) anche per le future revisioni della nostra “Visione su Occupazione e Lavoro”, su cui aspettiamo il contributo dello stesso Riccardo.

fonte: http://www.decrescitafelice.it

Il Circular Economy Network presenta in diretta streaming il “Rapporto sull’economia circolare in Italia 2020”

Il Rapporto 2020, elaborato in collaborazione con Enea, farà il punto sull’economia circolare in Italia.

Alla vigilia del recepimento di un pacchetto di nuove direttive europee e del lancio di un vasto programma europeo di Green deal, è, infatti, più che mai evidente che l’’economia circolare ha un ruolo decisivo proprio nel Green deal: riduce gli impatti ambientali e climatici e genera vantaggi economici e occupazionali, promuovendo un risparmio ed un uso più efficiente e rinnovabile dei materiali e dell’energia.
Focus di questa’anno sarà l’approfondimento sulla bioeconomia rigenerativa, settore quantitativamente e qualitativamente importante dell’economia circolare che può contribuire sia a consolidare il futuro di settori, come l’agroalimentare, già di successo, sia ad aprire nuovi sviluppi, in particolare col rilancio di siti e di attività industriali dismesse, sia di territori considerati marginali.
Potete seguire la diretta streaming della presentazione del rapporto su questa pagina e sul profilo Facebook del Circular economy network.

LA DIRETTA



fonte: https://circulareconomynetwork.it

Da scarti di lavorazione a prodotti a elevato valore aggiunto: conglomerati di marmo per la bioedilizia














Nei giorni scorsi si è tenuto nel comune di Orosei (SS) un incontro con finalità divulgative e operative nell’ambito del progetto BIOMARMO “Da scarti di lavorazione a prodotti a elevato valore aggiunto: conglomerati di marmo per la bioedilizia”.

Il progetto, promosso e finanziato da Sardegna Ricerche e condotto dall’Università di Sassari (Dipartimento di Chimica e Farmacia) nell’ambito del POR FESR Sardegna Ricerche 2014-2020, affronta tematiche inerenti alla bioeconomia, la bioedilizia e la chimica verde. Più in particolare si propone di analizzare l’utilizzo degli scarti di lavorazione industriale (del marmo, delle materie plastiche, dell’industria del riso, delle centrali a carbone) donando loro valore aggiunto e al contempo risolvendo i problemi di impatto ambientale associati al loro smaltimento.
 
I nuovi materiali ottenuti possono trovare applicazione in vari settori: dalla bioedilizia al design, ai materiali avanzati. Grazie a BIOMARMO i rifiuti industriali potranno essere trasformati in pavimentazioni, sia stradali che da interni, materiali per l’arredo di bagni e cucine, oggettistica ornamentale, pannelli per l’isolamento termico e acustico e così via. 
 
BIOMARMO è uno dei 35 progetti cluster promossi da Sardegna Ricerche attraverso il programma “Azioni cluster top-down” e finanziati grazie al POR FESR Sardegna 2014-2020. I progetti cluster sono attività di trasferimento tecnologico condotte da organismi di ricerca pubblici con l’attiva collaborazione di gruppi di piccole e medie imprese del settore o di settori affini, per risolvere problemi condivisi e portare sul mercato le innovazioni sviluppate nei laboratori. Come per tutti i progetti cluster, anche per Biomarmo vale il principio della “porta aperta”: tutte le imprese interessate a partecipare possono chiedere di entrare a far parte del progetto in qualsiasi momento.
 
I coordinatori del progetto sono il professor Alberto Mariani dell’Università di Sassari, responsabile scientifico, e Graziana Frogheri di Sardegna Ricerche.


fonte: https://www.snpambiente.it

Integrare l’economia circolare e la bioeconomia per migliorare la sostenibilità in Europa



















L’Europa usa le risorse naturali in modo insostenibile e l’Unione europea ha messo in atto politiche di economia circolare e bioeconomia in risposta. Una nuova relazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) sostiene che l’implementazione di questi due concetti in tandem, applicando specifici principi di progettazione all’interno di un approccio sistemico, migliorerebbe l’efficienza delle risorse e ridurrebbe le pressioni ambientali.
Il recente rapporto dell’EEA L’economia circolare e la bioeconomia – Partner nella sostenibilità mostra che i due Programmi (economia circolare e bioeconomia) hanno obiettivi e aree di intervento simili, comprendenti rifiuti alimentari, biomasse e prodotti biologici, e che trarrebbero vantaggio da legami più forti, in particolare nella progettazione di prodotti e infrastrutture e nella collaborazione lungo tutta la catena del valore.
La bioeconomia comprende la produzione di risorse biologiche rinnovabili e la loro conversione in alimenti, mangimi, prodotti a base biologica e bioenergia. Comprende l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca, l’alimentazione e la produzione di pasta e carta, nonché parti dell’industria chimica, biotecnologica ed energetica.
Secondo il rapporto, la crescente domanda di cibo, mangimi, biomateriali e risorse bioenergetiche potrebbe peggiorare lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Estendere la durata di vita dei prodotti e dei materiali di riciclo, con un approccio circolare, basato sulla bioeconomia può aiutare a mantenere il valore del materiale e la funzionalità per un tempo più lungo, oltre a evitare sprechi di biodiesel non riciclati.
Le innovazioni e le strategie promettenti per l’uso circolare delle biomasse includono la bioraffinazione, la stampa 3D con bioplastiche, colture polivalenti, un uso migliore dei residui e dei rifiuti alimentari e il trattamento dei rifiuti biodegradabili. Secondo il rapporto, anche i consumatori possono contribuire alla sostenibilità della bioeconomia, ad esempio mangiando meno proteine ​​di origine animale, prevenendo gli sprechi alimentari e separando i rifiuti organici da altri flussi di rifiuti.
L’economia circolare e la bioeconomia – Partner nella sostenibilità è la terza relazione dell’Eea sull’economia circolare che mira a sostenere la definizione, l’attuazione e la valutazione della politica europea di economia circolare da una prospettiva ambientale. Le due relazioni precedenti erano:
fonte: https://ambienteinforma-snpa.it 

Premio Start up 2018 Rinnovabili.it, un premio per il volto green di Maker Faire Rome

Nell’ambito del più grande evento europeo sull’innovazione, la testata Rinnovabili.it premierà la realtà più creativa nell’ambito della sostenibilità ambientale, economica e sociale





L’innovazione sostenibile? Va sempre premiata. Per questo la testata giornalistica Rinnovabili.it ha indetto il premio START UP 2018 Rinnovabili.it, riconoscimento dedicato alle realtà più “green” che prenderanno parte alla Maker Faire Rome 2018. L’evento, che terrà la sua sesta edizione dal 12 al 14 ottobre presso Fiera di Roma, riunisce sotto un unico tetto l’avanguardia dell’innovazione tecnologica in tutte le sue sfumature. Un innovazione fatta, anno dopo anno, da una componente sostenibile sempre più integrata. Non a caso fra i molteplici temi a cui l’edizione 2018 ha aperto le porte compaiono anche settori dalla chiara vocazione ecologica, come il greenbuilding, l’Economia circolare e la bioeconomia.

Negli oltre 50.000 mq a disposizione centinaia di innovazioni e innovatori daranno vita alla più grande festa europea della creatività, facendo convivere design, elettronica, artigianato digitale, salute e qualità della vita, arte, robotica ed energia. Fra di loro Start up 2018 Rinnovabili.it selezionerà la realtà che avrà incentrato la propria invenzione nell’ambito della sostenibilità ambientale, economica o sociale.

Il Premio START UP 2018 Rinnovabili.it – Al responsabile della start up vincitrice sarà riservata un’intervista esclusiva che sarà pubblicata sul quotidiano Rinnovabili.it e sul mensile Obiettivo 4.0 – il periodico di informazione ambientale editato per il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ed inviato a tutti gli ingegneri iscritti agli Ordini professionali – uno spazio interattivo che rimarrà online per un anno su Rinnovabili.it e una copertura nel network del giornale e sui social. Lo scopo è quello di diffondere il brand ed il potenziale innovativo del vincitore sia tra l’opinione pubblica che tra gli stakeholder già presenti nel mercato. Il Comitato scientifico di Rinnovabili.it comunicherà per iscritto al vincitore e all’organizzazione di Maker Faire Rome 2018 entro le ore 12 del 5 ottobre 2018 il risultato della selezione. Il premio sarà assegnato dal direttore di Rinnovabili.it, Mauro Spagnolo, il 12 ottobre nell’ambito dell’evento di apertura.

Per informazioni sulla sesta edizione di Maker Faire Rome visitare il sito https://2018.makerfairerome.eu/


fonte: www.rinnovabili.it

In Ghana i sacchetti di plastica si riciclano in un nuovo tipo di asfalto

A farlo è un’impresa locale, Nelplast Ghana Limited, specializzata nel riciclo di qualsiasi tipologia di scarto della plastica e nella sua trasformazione in vari prodotti



















Trasformare i sacchetti di plastica in asfalto: a renderlo possibile è una società del Ghana, la Nelplast Ghana Limited, che si occupa della trasformazione industriale e nel riciclo di diversi rifiuti di plastica e che in questo caso sta cercando di recuperare uno scarto fino ad oggi davvero poco valorizzato. Infatti il Ghana produce 22.000 tonnellate di rifiuti di plastica ogni anno ma solo il 2% dei rifiuti di plastica nel Paese viene riciclato. Il restante 98% viene gettato nei campi. Nelplast Ghana Limited trasforma i sacchetti di plastica  – ma in realtà qualsiasi tipologia di plastica – in lastre che possono essere usate per la pavimentazione.

Un lavoro che anche il World Economic Forum ha elogiato: Nelplast recupera i brandelli dei sacchetti e li mescola con la sabbia per creare “una nuova forma di asfalto” che dura a lungo, ed è resiliente. Nelson Boateng è l’ingegnere che ha sviluppato questa nuova tipologia di asfalto composta per il 60% da plastica e il 40 per cento di sabbia, creando nel 2017 una macchina per il riciclo di rottami di metallo, cavi elettrici e motori. Dopo otto mesi l’ingegnere ha iniziato la sua attività di raccolta e riciclo di quasi 2000 kg di rifiuti di plastica nelle aree dell’Ashaiman, stendendo gratuitamente alcuni blocchi di pavimentazione derivati dalla plastica una volta tornato nella sua comunità.







Il Ministero dell’Ambiente in Ghana sta già utilizzando la pavimentazione per coprire alcune aree di territorio, con l’obiettivo di supportare maggiormente Nelplast in questo business efficace non solo dal punto di vista ambientale ma anche produttivo. La società ha infatti creato numerosi posti di lavoro per questo progetto che attualmente vede impiegate oltre 230 persone, in quello che è un esempio di economia circolare. Nelplast mira a “cercare l’interesse dell’ambiente in tutti i processi”. Per fare ciò l’azienda non solo vende altri prodotti derivati dal riutilizzo della plastica come tegole per tetti, ma offre anche consulenza per aziende che vogliono avviare la propria attività nell’ambito del riciclo. Obiettivo, riciclare “circa il 70 per cento dei rifiuti in plastica generati in Ghana, trasformandoli in prodotti utili che possono essere utilizzati per tutta la vita”.

fonte: www.rinnovabili.it

L’Europa e il cibo di domani: meno carne e sprechi, più bioeconomia e innovazione. Tutte le raccomandazioni per un futuro più sostenibile


















Non si può più aspettare: è il momento di intraprendere tutte le azioni necessarie a garantire l’accesso al cibo al maggior numero possibile di persone, visto che il pianeta è sempre più esausto, e la popolazione mondiale cresce. E per essere realmente incisivi è indispensabile che nel prendere provvedimenti si risponda a una visione globale: quella fornita dal rapporto appena pubblicato dallo European Academies Science Advisory Council (EASAC), un’organizzazione che mette insieme 130 enti accademici europei, compresi alcuni centri svizzeri e norvegesi, e parte di un progetto che vedrà, nella prima metà del 2018, la pubblicazione di rapporti analoghi ma focalizzati sulle Americhe, sull’Africa e sull’Asia.
Il documento, complesso e articolato (un’ottantina le pagine in totale), affronta tutti gli aspetti del ciclo alimentare: dalla produzione alla sicurezza in termini di contaminazioni e contraffazioni, dal ruolo dei nuovi alimenti (a cominciare da quelli presentati in Expo a Milano nel 2015, per arrivare agli insetti e alla carne artificiale), dall’agricoltura e all’allevamento sostenibile alle pubblicità, dalle campagne educazionali alla malnutrizione e over-nutrizione fino allo spreco, e altro ancora. Per riassumere, si possono schematizzare i consigli in tre argomenti principali.

















Secondo il rapporto è necessario prendere misure atte a ridurre il consumo di cibo spazzatura e carne
1. Consumo di cibo e cambiamenti necessari per migliorare la salute:
  • Per il bene della salute umana e dell’ambiente, l’alimentazione deve cambiare. È necessario conoscere la risposta delle persone al cibo e individuare gli specifici bisogni, soprattutto per i gruppi più vulnerabili.
  • È indispensabile diminuire il consumo di proteine animali.
  • È fondamentale vietare tutte le pratiche che incentivano, con prezzi bassissimi, il consumo di junk food e di alimenti pessimi dal punto di vista nutrizionale e dannosi per l’ambiente come la carne a prezzi stracciati.
  • È urgente verificare la sostenibilità ambientale anche delle diete buone dal punto di vista nutrizionale.
  • Bisogna migliorare con urgenza i controlli al fine di individuare le fonti di contaminazioni e rendere il cibo più sicuro.
  • Gli stati europei devono creare una rete di dati che fornisca una visione chiara sullo spreco di cibo e valuti la resa delle iniziative tese a contenerlo. Parallelamente, bisogna promuovere la ricerca nel campo, valutando tanto il contenimento a valle quanto quello all’origine, secondo i criteri della bioeconomia e dell’economia circolare.
insetti piatto
















L’Europa deve incentivare il consumo di proteine da fonti alternative, come la carne artificiale e gli insetti
2. Allevamento e agricoltura:
  • Gli stati europei devono sostenere anche le politiche innovative e non solo i contadini. In Europa, un’agricoltura innovativa è fondamentale per lo sviluppo economico e per questo le autorità devono puntare molto di più sulla bioeconomia sostenibile.
  • L’Europa dipende dalle importazioni tanto per il cibo quanto per il nutrimento degli animali, e questo la rende vulnerabile di fronte ai mercati e alle sue oscillazioni. Al tempo stesso fa aumentare la sua impronta ambientale soprattutto rispetto ai paesi più poveri, dove spesso vengono coltivati o allevati i prodotti che essa importa. Tutto ciò deve cambiare, sia nella direzione di una maggiore autonomia sia in quella di scambi equi con i paesi più fragili.
  • Il continente deve ridurre le emissioni di metano e gas serra derivanti dagli allevamenti, soprattutto modificando le condizioni dei grandi agglomerati di animali attraverso innovazioni tecnologiche e scoraggiando la richiesta di carne.
  • L’Europa deve al tempo stesso incentivare il consumo di alimenti derivanti dai mari (ottenuti con pratiche sostenibili), di carni artificiali e di insetti, con adeguate campagne di informazione che aiutino i consumatori ad accettare prodotti innovativi nelle loro diete.
  • È necessario incentivare le ricerche sulla carne in vitro, che ha un impatto ambientale nettamente più basso rispetto a quello della carne da allevamento;
  • L’Europa deve promuovere studi focalizzati sulla biodiversità, sul ruolo del suolo e dei diversi ambienti nella cattura della CO2 e sui conti della bioeconomia.
















I paesi europei devono sostenere l’innovazione e l’agricoltura di precisione
3. L’editing genomico e l’agricoltura di precisione:
  • I paesi europei devono sostenere le ricerche sull’editing genetico, e fare tesoro dei risultati raggiunti tanto in agricoltura quanto nell’allevamento e per la salute degli animali.
  • Dal punto di vista di piante e animali, è importante preservare le specie originarie, studiarne il genoma in ogni particolare, al fine di poter sfruttare al meglio quanto la tecnologia e gli studi prospettano.
  • L’agricoltura di precisione può garantire uno sfruttamento delle risorse molto più razionale, con miglioramenti della produttività e dell’impatto ambientale. È importante però che i dati siano condivisi e che le ricerche riguardino anche i rischi e i possibili imprevisti per la salute e per l’ambiente.
Questi gli aspetti fondamentali evidenziati nel rapporto, che insiste sulla necessità di disporre di dati basati sulle prove scientifiche come base per qualunque politica innovativa. Ciò che emerge è la visione globale di tutto il sistema, e la necessità di allargare la cooperazione scientifica e decisionale per affrontare le sfide del futuro prossimo con provvedimenti, approcci e soluzioni efficaci e durevoli.

fonte: www.ilfattoalimentare.it