Troppi i comuni che gestiscono il servizio rifiuti urbani in forma autonoma, mentre solo il 2,4% delle gestioni risulta integrato su tutte le attività del ciclo. I ritardi del sistema italiano sottolineati da Arera nella relazione annuale sull’attività di regolazione
Come ogni anno arriva puntuale la relazione sulla gestione 2020 di Corepla (il consorzio che presiede al riciclo degli imballaggi in plastica) che ci mostra a che punto siamo sulla gestione degli imballaggi nel nostro Paese. Sebbene i risultati della gestione siano presentati dal consorzio come estremamente positivi, il monito della Corte dei Conti europea dello scorso ottobre, secondo cui l’UE non raggiungerà i valori-obiettivo che si è posta per il riciclaggio degli imballaggi di plastica per il 2025 (50%) e il 2030 (55%), risuona ancora e desta preoccupazione.
Secondo la Corte dei conti europea, per raggiungere questi valori è assolutamente necessario che si inverta l’attuale situazione, che vede le quantità incenerite maggiori di quelle riciclate. Una sfida difficilissima come dimostrano anche i dati italiani. Corepla comunica che, rispetto al 2019, la crisi del coronavirus ha ridotto del 5% gli imballaggi in plastica impiegati in Italia: “una riduzione nel complesso relativamente contenuta, grazie alla consistente crescita del settore medicale e di quello della disinfezione / detergenza e al deciso rilancio dell’alimentare confezionato”. Il quantitativo complessivo di imballaggi immessi al consumo sul territorio nazionale è stato di 2.198.000 tonnellate di cui 904 mila tonnellate circa sono state riciclate: una percentuale che si attesta quindi al 41%, dato in linea con gli altri Paesi europei (media EU 41,5%, dato Eurostat, 2018, vedi tabella).
Una possibile ragione della difficoltà nell’attuare una consistente politica di riciclaggio per la plastica risiede nel fatto che si stanno sviluppando materiali sempre più complessi e spesso accoppiati ad altri, per ragioni funzionali e di marketing, con performance sempre migliori dal punto di vista della funzionalità, ma non da quello del riciclo. Senza considerare la numerosità dei materiali plastici utilizzati oggigiorno. Va precisato che il dato italiano è superiore, per esempio, a quelli di Francia (26,9%, dato anch’esso del 2018 secondo fonte Eurostat), Danimarca (31.5%) e Finlandia (31.1%) ma di molto inferiore rispetto ad altri Paesi come Lituania (69.3%), Slovenia (60.4%), Bulgaria (59.2%) ma anche Spagna (50.7%).
Vi è poi in Italia una quantità spropositata di imballaggi in plastica (915 mila tonnellate circa, un quantitativo maggiore del riciclato) che viene destinata a recupero energetico. Una parte è avviata da Corepla presso cementifici e termovalorizzatori, ma la maggior parte è gestita come Rsu (rifiuti solidi urbani). Sulle ragioni di questa gestione andrebbe fatta una seria indagine: pur chiedendo spiegazioni a Corepla, ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta.
Ma allora perché il 3° Rapporto sull’economia circolare in Italia rilasciato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile ci parla di una quota di riciclo complessiva nella nostra Penisola pari al 70%? Semplicemente perché vi sono altri materiali, usati per produrre imballaggi, che registrano tassi di riciclo ben più alti della plastica. Nel 2019 è stato infatti riciclato oltre l’80% degli imballaggi in acciaio e in carta, il vetro si assesta su valori che superano il 75% dell’immesso al consumo e l’alluminio raggiunge il 70%. Come visibile in tabella per tutti questi materiali sono già stati raggiunti gli obiettivi di riciclaggio per il 2025, e per quasi tutti quelli fissati per il 2030. Un vero successo, ma all’appello manca la plastica. In particolare i dati Conai, aggiornati al 2019, ci mostrano che il riciclaggio di imballaggi in plastica deve essere implementato di quasi 5 punti percentuali per raggiungere l’obiettivo 2025 e di quasi il doppio per centrare il target 2030.
La piramide dei rifiuti (come definita dalla Direttiva quadro rifiuti)
Da consumatori, pur cercando di differenziare plastica al meglio, è fondamentale non perdere di vista la scala di priorità prevista per il reale successo di un’economia circolare: la piramide gerarchica nella gestione dei rifiuti ci mostra infatti che è meglio prevenirne la produzione (vedi sopra). Di contro, pensare che basti differenziare per risolvere ogni problema, rischia di spingerci a usare plastica anche quando potremmo farne a meno. Si tratta di un rischio che non possiamo permetterci di correre.
fonte: www.ilfattoalimentare.it
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Inga: i risultati derivanti dall’applicazione del Metodo Tariffario Rifiuti (2018-2021) hanno evidenziato questioni significative che richiedono correttivi
“La definizione del nuovo Metodo Tariffario Rifiuti-2, attualmente in fase di studio da parte di ARERA e che sarà in vigore dal 2022 al 2025, rappresenta l’occasione per risolvere le anomalie presenti nell’attuale metodo relativo alla gestione dei rifiuti urbani e favorire così una evoluzione del settore verso una maggiore stabilità e certezza delle regole per il raggiungimento dei nuovi target europei e Nazionali”. È questo l’auspicio espresso dal Presidente della Sezione Rifiuti Urbani di FISE Assoambiente (Associazione delle imprese di igiene urbana, riciclo, recupero e smaltimento di rifiuti urbani e speciali ed attività di bonifica) Domenico Inga, dopo l’invio di un contributo associativo alla consultazione avviata da ARERA.
I correttivi necessari
FISE Assoambiente, ha spiegato Inga, è certa che l’ascolto del mondo imprenditoriale costituisca un tassello fondamentale, in assenza del quale si rischia di avere una impostazione metodologica solo teorica, che non rispecchia le sfaccettature di un comparto le cui specificità costituiscono un valore aggiunto a salvaguardia delle esigenze dei territori. “Siamo consapevoli di quanto il settore della gestione dei rifiuti urbani abbia bisogno di un soggetto regolatore per colmare alcune criticità strutturali che fanno dell’Italia un Paese con performance fortemente differenziate, tuttavia i risultati derivanti dall’applicazione del Metodo Tariffario Rifiuti (2018-2021) hanno evidenziato questioni significative che oggi richiedono correttivi; alcuni aspetti operativi, emersi nella complessa fase di transizione delle nuove regole, hanno generato effetti destabilizzanti sia dal punto di vista degli investimenti pianificati che della complessiva programmazione societaria”, ha aggiunto Inga.
Regole chiare per evitare conflitti
Nonostante il notevole sforzo per l’adattamento al waste management di un’impostazione consolidata in altri settori regolati, l’Associazione negli ultimi due anni ha continuato il confronto con l’Autorità per evidenziare le peculiarità degli assetti gestionali e contrattuali, non sempre colti dai provvedimenti ARERA. Secondo l’Associazione, servono oggi regole chiare per l’impatto della regolazione sui contratti in essere, in modo da evitare conflittualità tra gestori ed Enti Territorialmente Competenti (Comuni o enti d’ambito), ma anche strumenti a garanzia dei Gestori, che possano restituire oggettività all’applicazione del metodo. Per quanto attiene alle prime proposte regolatorie relative alla determinazione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento, l’Associazione, pur apprezzando l’approccio asimmetrico e incentivante, ha espresso preoccupazione rispetto alla sua effettiva applicazione nei tempi previsti dall’entrata in vigore del nuovo metodo. Difficilmente si riusciranno a completare in tempo gli imprescindibili atti programmatori da parte degli altri soggetti istituzionali (Stato e Regioni).
fonte: www.e-gazette.it
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Gestire i rifiuti comporta delle responsabilità, sia da parte degli amministratori che dei cittadini. Chi ha il compito di governare le nostre città deve organizzare la raccolta dei rifiuti urbani in modo da garantire la differenziazione di qualità per favorirne poi il riciclo. Ma anche i cittadini devono dare senso al proprio far parte di una comunità, impegnandosi nella differenziata ma anche in comportamenti corretti anche su aspetti più banali ma molto importanti.
In questo anno di pandemia durante il quale abbiamo dovuto prendere confidenza con l’uso dei dispositivi protettivi individuali, le mascherine, abbiamo visto e continuiamo a vedere, gli effetti di comportamenti irresponsabili con tanti di questi oggetti che si trovano ovunque, lungo le strade, sulle spiagge, nei boschi. Ciò è incomprensibile è inaccettabile, non è possibile che delle persone possano pensare di gettare ovunque i rifiuti, in questo caso ancora più a rischio, trattandosi di dispositivi che potrebbero favorire la diffusione del virus. Chi si comporta così non è degno di essere considerato una persona civile.
La stima fatta da ISPRA sui rifiuti derivanti da DPI (mascherine e guanti), alla fine del 2020, era compresa approssimativamente tra le 160.000 e le 440.000 tonnellate, In particolare, la produzione di rifiuti da mascherine giornaliera su scala nazionale – sino a fine 2020 (circa 240 giorni) – si attesterebbe tra le 60.000 e le 175.000 tonnellate di rifiuti, mentre quella relativa ai guanti, che porta un ulteriore contributo alla produzione di rifiuti essendo obbligatori anch’essi in alcuni contesti, è approssimativamente compresa tra le 400 e le 1.100 tonnellate.
Ma veniamo alla questione dei dati.
La disponibilità dei dati ambientali è essenziale per contribuire al formarsi di opinioni avvedute e favorire processi decisionali efficaci. Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, istituito con una legge del 2016 approvata all’unanimità dal Parlamento, che ha messo in rete, con una soluzione “federale”, Ispra e le 21 agenzie regionali e delle province autonome, è il fornitore dei dati “ufficiali”. Questo carica di responsabilità il Sistema, che ha quindi il compito di raccogliere i dati che recupera attraverso le proprie attività di monitoraggio di tutte le matrici ambientali (aria, acqua, suolo, agenti fisici), organizzarli e diffonderli. Tutto questo usando procedure di qualità “certificate”, che garantiscano pienamente la correttezza e veridicità dei dati forniti.
Si tratta di un patrimonio enorme, in continua evoluzione, presente nelle banche dati dei 22 enti (Ispra, Arpa, Appa) che compongono il Sistema, e che devono essere integrate. Si tratta di un impegno da “far tremare i polsi”, ma anche da solo giustificherebbe l’esistenza del SNPA.
Per quanto riguarda i rifiuti, la situazione è molto più avanti che su altre tematiche ambientali. Infatti Ispra da tempo pubblica il “Catasto nazionale dei rifiuti“, nel quale si trovano: i dati relativi alla produzione e raccolta differenziata dei rifiuti urbani, fino al dettaglio comunale per gli anni 2010-2019, fino al dettaglio provinciale per gli anni 2001-2019; quelli relativi alla gestione dei rifiuti urbani per gli anni 2015-2019 e sui costi di gestione dei rifiuti urbani per gli anni 2011-2019; i dati sulla produzione e la gestione dei rifiuti speciali per gli anni 2014-2018.
Per tutti questi dati è possibile scaricare le informazioni in formato aperto e riutilizzabile.
In questo articolo utilizzerò i dati ricavati dal Catasto per alcune considerazioni sui rifiuti urbani, con particolare riferimento ai dati relativi alla % di raccolta differenziata.
La normativa europea, successivamente recepita da quella italiana (D. Lgs. 152/2006), aveva da tempo indicato l’obiettivo minimo del 65% da raggiungere entro il 2012 (mentre il 45% doveva essere raggiunto nel 2008). Da allora sono passati quasi dieci anni e solamente il 60% dei comuni italiani (dati 2019) ha raggiunto e superato questo livello di raccolta differenziata, e questi comuni corrispondono al 52% della popolazione, con differenze molto significative fra una regione e l’altra.
L’Italia nel settembre 2020 ha recepito le direttive del “Pacchetto Economia Circolare” con gli obiettivi di riciclo dei rifiuti urbani: almeno il 55 per cento entro il 2025, il 60 per cento entro il 2030, il 65 per cento entro il 2035 e una limitazione del loro smaltimento in discarica non superiore al 10 per cento entro il 2035.
Popolazione dei comuni per % raccolta differenziata
<45%
RD
>=45<65%
RD
>=65%
Valle d'Aosta
14,2
85,8
Veneto
18,4
81,4
Sardegna
18,8
81,2
Trentino-Alto Adige
19,8
80,1
Marche
20,5
78,9
Lombardia
22,6
75,4
Emilia-Romagna
3
29,7
67,3
Umbria
30,1
66,8
Abruzzo
12,4
26,5
61
Friuli-Venezia Giulia
17,1
24,6
58,3
Italia
16,6
31,6
51,9
Toscana
19,5
29,4
51,1
Piemonte
48,2
49,2
Puglia
37,3
23,2
39,5
Liguria
48,1
13,4
38,6
Molise
29,3
33,5
37,2
Campania
33
39
28
Lazio
10,9
61,7
27,4
Calabria
35,4
38,4
26,3
Basilicata
36,4
38,8
24,8
Sicilia
52,9
29,9
17,2
Nella tabella che segue si riepiloga il quadro della situazione, con il dettaglio regionale, dal quale si rileva una situazione piuttosto differenziata riguardo ad entrambi gli aspetti, andando da un massimo di 663 kg di rifiuti urbani (RU) prodotti per abitante in Emilia-Romagna ai 354 della Basilicata, con una percentuale di raccolta differenziata (RD) che varia fra il 74,7 del Veneto e il 38,5 della Sicilia.
Dall’analisi di dettaglio dei dati, per tutte le dimensioni di comuni, appare abbastanza chiaramente che il quantitativo di raccolta differenziata è strettamente collegato alla volontà e capacità, a livello del singolo comune, di gestire la raccolta dei rifiuti, puntando o meno davvero con impegno su questa pratica.
Infatti comuni con dimensioni e caratteristiche simili presentano dati anche molto lontani (superiori all’80% o inferiori al 20% di RD), mostrando con chiarezza che sono necessarie politiche mirate puntuali rivolte a premiare e sanzionare gli amministratori locali in relazione ai loro comportamenti, in quanto questi dati pesano e determinano le scelte relative alle modalità di gestione dei rifiuti ed al loro smaltimento.
Nelle seguenti tabelle interattive (è possibile ordinare i dati per ciascuna colonna e fare ricerche all’interno) sono contenuti i dati di tutti i comuni italiani, nella prima >10.000 abitanti e nella seconda di dimensioni inferiori.
Infatti comuni con dimensioni e caratteristiche simili presentano dati anche molto lontani (superiori all’80% o inferiori al 20% di RD), mostrando con chiarezza che sono necessarie politiche mirate puntuali rivolte a premiare e sanzionare gli amministratori locali in relazione ai loro comportamenti, in quanto questi dati pesano e determinano le scelte relative alle modalità di gestione dei rifiuti ed al loro smaltimento.
Nelle seguenti tabelle interattive (è possibile ordinare i dati per ciascuna colonna e fare ricerche all’interno) sono contenuti i dati di tutti i comuni italiani, nella prima >10.000 abitanti e nella seconda di dimensioni inferiori.