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Economia circolare del cibo a Milano: fare rete è il modello vincente

 


Il Comune di Milano ha sviluppato un modello di riciclo degli scarti che permette di differenziare fino a quasi il 60% dei rifiuti.

Un approccio all’economia circolare del cibo significa ridurre il nostro impatto sull’ambiente e contribuire al tempo stesso alla lotta contro la malnutrizione. Si tratta del Goal 2 dei SDGs che intende porre fine alla fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un'agricoltura sostenibile.

Diventa necessario ridurre lo spreco, recuperare gli scarti e minimizzare l’impatto ambientale dell’intera industria. Il momento particolare che stiamo attraversando a causa della pandemia è un’occasione per ripensare l’intero ecosistema produttivo, rivalutando l’economia circolare e la bioeconomia in armonia con i fondamenti del Green New Deal, il programma lanciato dall’Unione Europea per raggiungere la neutralità delle emissioni inquinanti entro il 2050.

Parlando in numeri, secondo Ispra nel 2018 abbiamo prodotto 14,5 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari o derivanti dal packaging, cifre che si ripercuotono inevitabilmente sullo smaltimento dei rifiuti. Sebbene nelle piccole città la gestione dei rifiuti e della raccolta differenziata si è rivelata un modello ben riuscito, è anche vero che Milano si colloca al primo posto delle città al di sopra del milione di abitanti con il 58,8% di raccolta differenziata porta a porta e al secondo posto tra le città sopra ai 200 mila abitanti, dietro Venezia con 59,5%. In termini di produzione di rifiuti urbani pro capite con 502,1 kg/ab/anno il Comune di Milano è al di sotto della media del Nord Italia al di sotto dei valori delle altre grandi città. Un modello cittadino di economia circolare possibile, dunque.

Come si legge nel report del Comune di Milano con la Fondazione Cariplo e Novamont dal titolo “Economia circolare del cibo a Milano”, è stato realizzato un sistema industriale le cui dimensioni economiche sono cresciute negli anni grazie ad una rete di consorzi dedicati al miglioramento della raccolta, selezione e riciclo dei flussi di rifiuti differenziati. Fondazione Cariplo ha infatti sottoscritto il Protocollo lombardo per lo sviluppo sostenibile e ha firmato un Accordo Quadro specificatamente dedicato all’ambiente.

Dal 2014 Milano e Fondazione Cariplo hanno avviato un’agenda sul tema del cibo coinvolgendo tutti gli attori interessati, dai cittadini, agli Enti pubblici, associazioni, imprese e Università. Un progetto a cui ha preso parte la stessa Cariplo Factory, con l’iniziativa Food Policy Hot Pot, volta a sviluppare l’innovazione all’interno del sistema alimentare della città e alimentare il virtuosismo di Milano, prima città italiana a dotarsi di una policy legata al cibo.

Non è l’unica iniziativa: Cariplo Factory partecipa anche al progetto Food Trails. Ben undici città oltre Milano come Copenaghen, Varsavia, Birmingham, Bordeaux, Bergamo, Funchal, Groningen, Grenoble, Salonicco e Tirana, le Università di Cardiff, Wageningen e Roskilde e cinque player del sistema alimentare e di innovazione scendono in campo per evidenziare azioni concrete per supportare lo sviluppo e il consolidamento di politiche alimentari utili e praticabili. Il progetto europeo approvato nell’ambito del programma Horizon 2020 intende individuare eventuali ostacoli amministrativi alla replicabilità e trasferibilità delle politiche, permettendo successivamente di estendere queste conoscenze ad una rete più ampia di città. In ogni città vengono istituiti dei Living Labs per coordinare l’attuazione delle iniziative di innovazione del sistema alimentare, favorire la condivisione di idee tra istituzioni e l’ecosistema di attori della città e attrarre opportunità finanziarie che contribuiscano alla sostenibilità di tali sistemi a lungo termine.

Perché il riciclo sia un modello vincente è fondamentale che gli scarti possano essere riutilizzati anche da realtà che oggi non solo non se ne occupano ma neanche immaginano di poter diventare attori del processo. È qui che entra in gioco Open Innovation, uno spazio per le startup che intendono dare un contributo importante per migliorare la filiera del cibo in Italia ad esempio attraverso soluzioni e idee innovative che abilitino il controllo della qualità del cibo, o che ne migliorino la tracciabilità lungo l’intera catena del valore, o ancora che aiutino o migliorano il recupero delle eccedenze alimentari. Già nel 2018 Cariplo Factory ha attivato, insieme a Intesa Sanpaolo Innovation Center, il Circular Economy Lab (CE Lab), primo laboratorio per la circular economy in Italia che collega le imprese con le startup innovative.

fonte: www.nonsoloambiente.it/


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PNRR, critico il WWF: capitale naturale italiano non è tutelato

WWF critico riguardo il PNRR, secondo l'associazione in nessuno dei diversi punti c'è una vera tutela del capitale naturale italiano.



Il PNNR non tutela il capitale naturale italiano. Questa la critica principale rivolta dal WWF al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, considerato poco ambizioso e non coerente con gli obiettivi fissati dal Green New Deal.

Uno dei punti su cui batte il WWF è la mancanza di strumenti a favore della tutela del patrimonio naturalistico dell’Italia, in particolare di “obiettivi concreti e misurabili” per la conservazione della biodiversità. Manca, prosegue l’associazione, anche un piano specifico per l’ecosistema mare.

Mancano i presupposti per la creazione di un “futuro sano”, spiega il WWF, nell’ottica di quanto indicato dal programma Next Generation EU. A questo proposito l’associazione invierà ai parlamentari italiani la sua analisi.

In primo luogo emerge come vi sia stato, tra la precedente bozza e la versione attuale, un netto taglio dei fondi destinati alla “Rivoluzione Verde e alla Transizione Ecologica” (da 74,4 a 69,8 miliardi di euro). Un calo di 4,4 miliardi di euro, malgrado i fondi generali siano saliti di 31 mld (passando da 193 a 223,9 mld di euro). 

Secondo il WWF:

Non viene in alcuna parte chiarito come il Piano intenda traguardare l’obiettivo, richiesto dalla Commissione Europea agli Stati Membri, di destinare il 37% dell’ammontare complessivo delle risorse messe a disposizione dai Piani nazionali per azioni per il clima, l’adattamento ai cambiamenti climatici e alla biodiversità terrestre e marina.

Il WWF sottolinea poi un’ulteriore mancanza, ancora una volta relativa alla tutela del capitale naturale italiano:


Nel PNRR non si dedica nemmeno un euro alla tutela e il restauro del nostro patrimonio naturale, asset fondamentale per la salute, la sicurezza, il benessere e il rilancio del nostro Paese (che vanta una delle più ricche biodiversità d’Europa), nonché elemento centrale del Green Deal europeo e della Strategia Europea sulla Biodiversità.

Il WWF punta il dito anche sulla quantificazione delle risorse aggiuntive, rispetto agli impegni già assunti con provvedimenti di spesa nazionali, dato che la quota dei “progetti in essere” dichiarata nel PNRR, sul totale della somma messa a disposizione dal Piano, ammonta ad un ragguardevole 28% e, nel caso specifico degli interventi della Missione 2, questa quota traguarda il 45,5%, ponendo dei dubbi sulla reale portata innovativa dei progetti messi in campo.

Non si tratta solo di cifre, perché ciò che preoccupa è che la sommatoria di progetti, vecchi e nuovi, non abbia quel respiro sistematico e quella ambizione che faccia compiere un salto di qualità al Paese nella sua capacità nell’affrontare in futuro le sfide dettate dalle emergenze ambientale e sanitaria, condizionate in maniera determinante dai cambiamenti climatici e dalla perdita di biodiversità. 

Dall’analisi del WWF emerge anche come il PNRR:

– non menzioni, né chiarisca quante e quali siano gli interventi e le risorse destinate alla protezione della natura e della biodiversità e alla tutela e il rispristino dei siti della Rete Natura 2000, tutelati dall’Europa, che secondo quanto richiesto dall’Europa devono rientrare nella quota del 37% degli investimenti per l’ambiente dei PNRR (ultima bozza del Regolamento istitutivo del Recovery and Resilience Facility RFF).
– manchi l’obiettivo di delineare una strategia industriale dell’Italia basata sul rinnovamento dei processi produttivi, coerenti con i target di decarbonizzazione, e non presenti nemmeno una long-term strategy di decarbonizzazione, che l’Europa attende dal primo gennaio 2020 e che rende impossibile la verifica di coerenza tra le spese del PNNR e gli obiettivi di decarbonizzazione, richiesta dall’Europa.

PNRR e Missione 2

L’ultima parte dell’analisi del WWF pone in evidenza i diversi pesi riconosciuti alle priorità di spesa indicate nella “Missione 2” del PNNR, dedicata a quella che è definita la “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”. 

Ha concluso l’associazione:

Il Bonus verde del 110%, misura seppur condivisibile, assorba il 42,2% (29,55 mld su 69,80 mld) delle risorse messe a disposizione complessivamente; mentre alla tutela del territorio dal rischio idrogeologico – una delle più gravi emergenze che affligge il Paese – vengono assegnati solo 3,61 mld, equivalenti all’1,6% della cifra totale stanziata dal PNRR; e all’economia circolare – che dovrebbe essere trainante per il futuro produttivo dell’Italia – si stanzia solo il 2%, 4,5 mld di euro.

fonte: www.greenstyle.it


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SACE in campo per il Green New Deal

Sostegno agli investimenti delle imprese per la riconversione dei processi industriali, economia circolare ed energie rinnovabili.









SACE sosterrà le imprese nella transizione all'economia 'verde', in ossequio al piano europeo Green New Deal, sostenendo finanziariamente interventi di riconversione dei processi industriali per ridurre sprechi ed emissioni inquinanti, investimenti in economia circolare e mobilità smart, oltre che nella produzione di energia da fonti rinnovabili.

Dopo la firma della Convenzione operativa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, SACE ha già individuato alcuni progetti e approvato le prime sette operazioni targate Green New Deal per oltre 600 milioni di euro. Altre 200 aziende potenziali beneficiarie sono state oggetto di incontri nell'ultimo mese.


Possono essere finanziati con garanzie SACE, assistite dalla garanzia dello Stato italiano, i progetti presentati da aziende italiane, di qualsiasi dimensione, capaci di generare un beneficio significativo in almeno uno di questi obiettivi ambientali: mitigazione dei cambiamenti climatici e adattamento agli stessi; uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine; transizione verso l’economia circolare; prevenzione e riduzione dell’inquinamento; protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

“L’attenzione a sostenibilità e resilienza per tutti in chiave circolare è oggi imprescindibile – spiega l'AD di SACE, Pierfrancesco Latini -. Non solo perché è maturata la convinzione che ci troviamo ad operare in una nuova normalità, ma anche perché oramai è diffusa la consapevolezza che la sostenibilità rappresenta una grande opportunità di investimento, crescita e occupazione per le società moderne. In questo senso, la riconversione del tessuto produttivo italiano, attraverso il sostegno agli investimenti 'green', costituisce un’occasione unica per far crescere la competitività del nostro Paese nel mondo e noi siamo orgogliosi di sostenere le aziende italiane che contribuiranno a rendere “circolare” l’Europa. Ecco perché, invito tutti gli stakeholder interessati a bussare alla porta di SACE per dialogare con noi e aprirsi a nuove opportunità, contando sul nostro supporto”.


fonte: www.polimerica.it

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Nuovo programma Bei: ora il Green Deal potrà contare su una “banca per il clima”

Approvata la nuova Roadmap 2021-2025: tutti i finanziamenti dovranno essere allineati agli obiettivi europei su clima e ambiente.











Il Green Deal europeo – il piano lanciato dalla Commissione Ue di Ursula von der Leyen – potrà contare su una “banca per il clima” che punta a essere totalmente allineata con l’obiettivo di azzerare le emissioni inquinanti entro il 2050.

Il consiglio d’amministrazione della Banca europea per gli investimenti (Bei), infatti, ha approvato la Roadmap 2021-2025 per trasformare l’istituto finanziario europeo in una “climate bank”, vale a dire, una banca che supporta solo gli investimenti che rispettano determinati criteri ambientali.

Sono due i punti essenziali della Roadmap.

Il primo: la Bei aumenterà al 50% del totale, entro il 2025, i suoi finanziamenti annuali per attività e iniziative che riguardano la sostenibilità ambientale. Nei prossimi dieci anni, la Bei intende supportare investimenti nell’azione climatica per circa mille miliardi di euro.

Il secondo pilastro della nuova climate bank è assicurare che tutti i suoi investimenti siano compatibili con gli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi del 2015: limitare sotto 2 gradi il surriscaldamento terrestre, rispetto all’età preindustriale.

Tutte le attività della Bei, quindi, dovranno seguire i criteri della finanza sostenibile, soprattutto il principio di “non fare danni significativi” (do no significant harm) contro l’ambiente.

È lo stesso principio che fonda la nuova tassonomia Ue, vale a dire, la nuova classificazione che permette di distinguere gli investimenti a ridotto impatto ambientale da quelli che invece sono rischiosi per il clima.

La Bei spiega in una nota che i progetti già in corso di valutazione potranno essere approvati fino alla fine del 2022. Le regole della Roadmap saranno applicate a tutte le nuove operazioni della banca dal primo gennaio 2021.

Per quanto riguarda l’energia, la Bei seguirà la nuova politica di finanziamento approvata a novembre 2019, che prevede lo stop dalla fine del 2021 a tutti i progetti che riguardano i combustibili fossili compreso il gas naturale (ma con delle eccezioni: ad esempio gli impianti fossili con tecnologie per catturare le emissioni di anidride carbonica).

Inoltre sono ammessi gli investimenti in centrali fossili che producono energia elettrica con emissioni inferiori a 250 grammi di CO2 per kWh, che però è una soglia più elevata in confronto a quella che dovrebbe essere inserita nella tassonomia (si parla di 100 g/CO2 per kWh).

fonte: www.qualenergia.it


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Green Symposium a Napoli il 22-23 ottobre

 

“European New Deal dopo il Covid: uscire dalle infrazioni puntando sull’innovazione” è la proposta alla base del Green Symposium 2020 in programma a Napoli nella Stazione marittima il 22 e il 23 ottobre. La due giorni dedicata all’economia circolare, promossa da Ecomondo e Ricicla Tv, si terrà a numero chiuso (per partecipare è necessario registrarsi) dopo essere stata rimandata a marzo a causa dell’emergenza sanitaria.


In programma numerosi interventi di rappresentanti istituzionali: tra questi, l’assessore all’Energia della Regione Sicilia, Alberto Pierobon, il vicepresidente della Regione Campania, con delega all’Ambiente, Fulvio Bonavitacola, gli assessori all’Ambiente delle Regioni Lazio e Calabria, rispettivamente Massimiliano Valeriani e Sergio De Caprio.

Per il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, parteciperanno il direttore generale Ispra Alessandro Bratti (sessione dedicata allo schema di recepimento della direttiva europea “Imballaggi”, prevista nella mattinata del 23 ottobre), e il direttore generale Arpa Campania Stefano Sorvino (sessione dedicata alle bonifiche e al ruolo delle stazioni appaltanti, prevista nel pomeriggio del 23 ottobre).

Nei tavoli tecnici dedicati all’incontro tra istituzioni e imprese (sessioni mattutina e pomeridiana del 23 ottobre) sono previsti gli interventi, per Ispra-Snpa, di Valeria Frittelloni e Fabio Pascarella, e inoltre di Francesco Bussetti (Arpa Puglia), Vincenzo Barbuto e Alberto Grosso (Arpa Campania),

Programma completo dell’evento

fonte: https://www.snpambiente.it

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Green Deal UE, fondi a carbone e fossili anche dopo il 2030?

Il Green Deal UE rischia di sapere ancora troppo di carbone, anche dopo il 2030: le previsioni per l'Europa e per l'Italia.



Il Green Deal UE sembrerebbe procedere in una direzione non del tutto verde. Almeno è quello che sembra delinearsi sul fronte europeo in vista del 2030. I dati provengono da un’analisi effettuata dal “think-tank” Ember, intitolata “Just Transition or Just Talk?“, e sono tutt’altro che confortanti. Sul fronte comunitario, ma in parte anche su quello più strettamente nazionale.

L’Unione Europea ha deciso di stanziare il Just Transition Fund, una sorta di “cassa comune” da cui attingere fondi per la transizione energetica. Lo scopo è quello di rendere più green il mix energetico UE, procedendo quanto più velocemente possibile verso la decarbonizzazione. Finanziamenti che sono destinati a tutti i Paesi del Vecchio Continente, inclusi quelli (a meno di clamorosi colpi di scena dell’ultima ora) che con buona probabilità punteranno su carbone o fonti fossili anche dopo il 2030.

Green Deal UE, carbone e fossili anche dopo il 2030

L’uscita dal carbone entro il 2030 non coinvolgerà tutti i 18 Stati UE che attualmente ne fanno uso. Nello specifico saranno sette i Paesi che non rinunceranno a questo particolare combustibile fossile, e che allo stato attuale delle cose percepiranno i finanziamenti inclusi nel Just Transition Fund. A guidare la fila la Germania, unitamente ad alcune nazioni dell’Est Europa (Bulgaria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia).

L’Italia figura invece nel mini-gruppo di quattro Paesi UE che diranno addio al carbone, ma in favore di altre fonti fossili. Le risorse non più investite nel carbone verranno in parte impiegate a sostegno del gas. Il risultato sarà quello di possedere un mix energetico ancora sbilanciato verso i combustibili fossili.

Una scelta che per il Bel Paese sembrerebbe giustificata anche dalle forti resistenze locali che alcune Regioni oppongono all’installazione delle fonti rinnovabili. Emblematico il caso della Sardegna, dove l’eolico offshore fatica ad affermarsi malgrado il sostegno degli ambientalisti.

I sette Paesi UE più virtuosi sono Danimarca, Finlandia, Francia, Olanda, Portogallo, Slovacchia e Spagna. Qui l’addio al carbone non verrà compensato da un ampio ricorso al gas.

Italia: Ambiente e Recovery Fund

Si è parlato di ambiente anche in relazione al Recovery Fund. Diverse associazioni hanno chiesto maggiori informazioni al Governo e al Ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Il responsabile del dicastero di via Cristoforo Colombo ha dichiarato, durante un’audizione alla Commissione Ambiente della Camera:


Il 37% delle risorse assegnate all’Italia devono andare al green, non al Ministero dell’Ambiente, ma con un concetto trasversale di sostenibilità. Le missioni nell’utilizzo del Recovery fund UE riguardano sei aree principali di azione, che hanno come comune denominatore l’ambiente: Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per la mobilità; Istruzione, formazione, ricerca e cultura; Equità sociale, di genere e territoriale; Salute.

Nei giorni scorsi ha iniziato anche a circolare una bozza, redatta dal Ministero dello Sviluppo Economico e relativa al Recovery Fund. Un capitolo importante del piano sarebbe stato riservato produzione di “acciaio green” e alla riconversione di siti industriali a luoghi di produzione e/o stoccaggio di idrogeno. Nell’orbita di tale discorso sarebbe venuta fuori anche l’Ilva di Taranto. Lo stesso Ministro Patuanelli ha dichiarato in un’audizione alla Camera di puntare a un’Italia “hub europeo dell’idrogeno”.

Decarbonizzare l’Ilva sarà un obiettivo primario per l’Italia, ha sottolineato il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Emersa in questi giorni la possibilità che gli stanziamenti ricevuti nell’ambito del Recovery Fund possano venire utilizzati anche per il rilancio degli Ecobonus al 110%.


fonte: www.greenstyle.it


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La rivoluzione dei camion elettrici può abbattere un quinto delle emissioni del trasporto merci su gomma. Ma servono 28 miliardi

 



L'Ue potrebbe tagliare le emissioni prodotte dal trasporto merci su strada di un quinto (il 22 per cento) in dieci anni investendo nei camion elettrici e nelle infrastrutture di ricarica - Getty Images

Nell’ambito del Green Deal, la Commissione europea ha adottato alcune strategie per favorire la trasformazione energetica nell’industria, nelle costruzioni e nella mobilità. Ma il potenziale dell’elettrico potrebbe non essere stato pienamente colto. L’Ue potrebbe tagliare le emissioni prodotte dagli autocarri sul continente di oltre un quinto (il 22 per cento) in dieci anni, dotando le sue principali città delle infrastrutture di ricarica necessarie. Gli e-truck, camion alimentati con energia elettrica, ridurrebbero significativamente l’impatto inquinante che il trasporto merci su gomma ha sul nostro pianeta. Ma affinché siano pienamente operativi, è necessario sviluppare oltre 40 mila punti di ricarica: un piano che richiede circa 28 miliardi di investimenti in 10 anni, 2,8 miliardi in media ogni anno. Una cifra che costituisce solo il 2,8 per cento dell’ammontare di risorse, pari a 100 miliardi di euro, che l’Ue mette ogni anno a disposizione per finanziare i lavori delle infrastrutture stradali.

Gli e-truck possono ridurre sensibilmente le emissioni inquinanti prodotte dal trasporto merci su gomme – Getty Images

A fare i conti è l’organizzazione ambientalista Transport & Environment, che in uno studio appena pubblicato mostra come sia possibile de-carbonizzare un settore molto inquinante, sottolineando come l’investimento richiesto tra il 2021 e il 2025 è solo uno 0,5% delle risorse stanziate con il recovery fund (pari a 750 miliardi di euro). Come si legge nel report “Unlocking Electric Trucking in the EU: recharging in cities“, i camion rappresentano meno del 2 per cento dei veicoli attualmente su strada, ma sono responsabili del 22 per cento delle emissioni di CO2 causate dal trasporto su gomma. Eppure, la metà dell’attività di questi mezzi (espressa in tonnellate di prodotti trasportati per km) nel vecchio continente viene svolta percorrendo distanze minori di 300 km: viaggi che potrebbero essere coperti da autocarri elettrici, grazie a nuovi modelli disponibili sul mercato dotati di un’autonomia di circa 300 km (abbastanza per fare nove viaggi su dieci). “Ma le forniture limitate e la mancanza di una strategia per le infrastrutture di ricarica ostacola la diffusione di questi mezzi”, si legge nel report, che ricorda come “l’autonomia dei camion elettrici aumenterà rapidamente a 500 km, coprendo così circa due terzi dei chilometri e 19 viaggi su 20”. Un esempio, in questo senso, è l’annuncio di Nikola Motor che comincerà a produrre il primo truck con batteria elettrica a lungo raggio in Europa a partire dal 2021 in joint venture con Iveco (con un’autonomia fino a 400 km).



Numero di viaggi e attività in tonnellate per km di camion e veicoli commerciali – Transport & Environment


Più nel dettaglio, quasi la metà di questi viaggi in Europa avvengono nella stessa regione (la maggior parte con meno di 50 km percorsi) e sono responsabili del 16% delle attività in tonnellate per km. Sono proprio questi che potrebbero essere più velocemente effettuati da veicoli elettrici. Poi ci sono i tragitti che collegano due centri di diverse regioni (spostamenti solo andata fino a 400km), che costituiscono un’altra metà dei viaggi dei camion di trasporto merci sul continente, la cui attività nel complesso raggiunge la quota del 59%. Infine, le distanze più lunghe che superano i 400 km rappresentano circa il 4% per cento dei viaggi e il 26% delle attività. Questo vuol dire, quindi, che le consegne intra ed inter regionali insieme valgono il 96% dei viaggi e i tre quarti delle attività di trasporto.

Viaggi dei camion distinti per tipologia (urbano, regionale e lunga distanza) – Transport & Environment

Ovviamente, questi mezzi necessitano di essere alimentati per potere effettuare il loro lavoro. Così i ricercatori hanno individuato 173 aree urbane medie e grandi in Europa dove lo sviluppo di infrastrutture di ricarica consentirebbe questa transizione energetica nel settore del trasporto merci su gomma. Sono chiamati “nodi urbani” e si caratterizzano per tre elementi importanti:
sono degli hotspot per l’attività di trasporto merci: la metà delle attività totali in Ue (misurata in tonnelate di merci spostate per km) sono attribuiti ai viaggi che partono o arrivano da questi punti;
il 15 per cento dell’attività totale di trasporto merci si verifica all’interno di questi nodi urbani;
sono le aree che registrano i livelli più alti di inquinamento prodotto da veicoli su strada.

I punti di ricarica sono di tre diversi tipi: la stazione di partenza, quella di destinazione (l’infrastruttura condivisa nell’hub logistico dove avviene lo scarico merci) e la colonnina pubblica. Per valutare quante ne serviranno entro il 2030, i ricercatori distinguono tre scenari. Il primo è quello previsto dall’industria automotive: la quota di vendite di camion elettrici è pari al 15%, con 191 mila veicoli di questo tipo in circolazione nel 2030; il secondo si basa sulle stime dei leader del settore elettrico: in questo caso, la quota è pari al 20% e il numero di mezzi in circolazione sarà di 316 mila; infine, l’ultimo scenario, elaborato da Transport & Environment considerando gli obiettivi climatici europei: la quota è del 30% e il totale degli e-truck sarà di 526 mila.


Transport & Environment

A seconda dello scenario, sarà necessaria una diversa dotazione delle infrastruttura di ricarica, che comporterà un costo economico (e un risparmio di CO2) significativamente differente. Come mostra il grafico sotto, nel primo caso serviranno 15.200 punti di ricarica: l’investimento richiesto sarà di 9 miliardi di euro, con una riduzione delle emissioni di anidride carbonica dell’8% rispetto a quelle del 2017 relative ai veicoli commerciali.

Transport & Environment

Nel secondo scenario, invece, le stazioni di ricarica necessarie saranno 25.200, con una spesa stimata di 17 miliardi e un taglio della CO2 del 13%. Infine, nell’ultimo caso, i punti di ricarica da costruire sono 41.900, con un costo di 28 miliardi di euro ma un taglio di CO2 del 22 per cento.


fonte: https://it.businessinsider.com


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11 settembre 2020. CIRCE2020: la conferenza conclusiva del progetto





Il prossimo 11 settembre, dalle 9.00 in modalità webinar, si tireranno le somme per il progetto che negli ultimi tre anni ha impegnato i partner partecipanti sul tema dell’economia circolare e sul passaggio da un modello economico lineare ad uno circolare, in un’ottica di sviluppo sostenibile. Verranno quindi presentati i principali risultati, in particolare i casi pilota, cioè l’applicazione di modelli di economia circolare ad attività economiche presenti nei territori coinvolti, sviluppati da ciascun partner nel corso del progetto.

I casi pilota realizzati in Veneto riguardano, ad esempio, il percolato di discarica che attraverso un processo chimico chiamato strippaggio viene privato dell’ammoniaca, poi trasformata ed utilizzata come fertilizzante in agricoltura. Ancora il biometano, ottenuto dalla purificazione del biogas derivante dalla digestione anaerobica dell’umido della raccolta differenziata, impiegabile come carburante per i veicoli o per l’immissione nella rete distributiva nazionale.

Un punto di arrivo ma anche un punto di partenza con un nuovo approccio funzionale ad un modello di sviluppo in cui l’economia circolare diviene una variabile strategica, una leva del Green new Deal che verrà presentato durante l’evento da un rappresentante della Commissione Europea.

La conclusione del webinar sarà dedicata al tema della ripresa, nell’ottica della sostenibilità e dell’economia circolare, con una sessione dedicata specificamente all’economia circolare declinata in rapporto alla pandemia, al cambiamento climatico, alla dipendenza delle materie prime e al tema della resilienza.

Il meeting sarà in lingua inglese, ma sarà disponibile un servizio di traduzione in italiano.
il programma

Per partecipare all’evento è necessario iscriversi all’indirizzo https://forms.gle/QWkAuVhto5KtcrZN9

Da sempre ARPAV è impegnata in progetti di cooperazione, mettendo a disposizione il know-how e la professionalità dei propri collaboratori in attività di proficuo scambio tra realtà territoriali che insieme collaborano per individuare modalità di prevenzione, protezione e sviluppo sostenibili per l’ambiente.

fonte: https://www.snpambiente.it

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I genitori di Taranto: «Sommersi da tempesta di veleni»

Maria Aloisio del Comitato Genitori tarantini, vicepresidente dell’associazione “LiberiAMO Taranto”, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” e ha parlato della nube rossa che si è rivista a Taranto: «Veniva dall'Ilva».



Maria Aloisio del Comitato Genitori tarantini, vicepresidente dell’associazione “LiberiAMO Taranto”, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, per parlare della nube rossa che si è rivista a Taranto.

“Noi questa nube la vediamo spesso, si è vista meglio lo scorso 4 luglio perché c’è stata una tromba d’aria. Siamo stati sommersi da una tempesta di veleni. Una nube rossa che veniva dall’Ilva e che sicuramente contiene degli inquinanti. Sapevamo che l’intervento che è stato fatto con la copertura dei parchi minerali non avrebbe risolto assolutamente il problema ambientale - ha detto, come riporta anche AgenPress - I cumuli di minerali sono comunque scoperti e in balia dei venti, così come i nastri trasportatori dei minerali. La polvere non si solleva dai capannoni coperti, ma da altre parti dell’acciaieria che sono scoperte e per cui non è prevista la copertura. Quando c’è il wind day, giornate di vento che soffiano dall’acciaieria verso la città, questi inquinanti vengono trasportati verso i centri abitati. Il problema non è relativo solo ai quartieri che sono a ridosso dell’Ilva».

«Il sindaco di Taranto ha posizioni che a me sembrano ambigue - ha proseguito Aloisio - Ha ignorato la nostra associazione, non ha mai voluto incontrarci e ha prodotto un’ordinanza che non è stata scritta con gli spunti validi che noi avevamo fornito. Tutte le associazioni ambientaliste di Taranto sono per la chiusura dell’Ilva. Non si può neanche più parlare del fattore occupazione. Negli anni 70 erano 30mila i dipendenti dell’Ilva, oggi sono 5mila in cig e 3mila realmente al lavoro».

«L’Ilva frena l’economia, frena la possibilità di sviluppo di Taranto, il turismo qui non è mai decollato, nonostante ci siano tante imprese pronte ad investire - ha aggiunto ancora Aloisio - Abbiamo un porto che è asservito completamente alla grande industria: Ilva ed Eni. Per la maggior parte dei tarantini Ilva è un ostacolo allo sviluppo, tutti i tentativi di tenerla in piedi sono tentativi che ammazzano Taranto. Se dobbiamo parlare di Green new deal, parliamo di un’economia che abbandona il fossile, invece ci propinano soluzioni che vedono ancora in piedi quest’azienda preistorica. C’è stata anche la sentenza Cedu, che ha condannato lo Stato. Lo Stato è colpevole di mantenere questa situazione e persevera, nel decreto Rilancio si parla addirittura di nazionalizzare l’Ilva. Si tratta di un aiuto ad Acerlor Mittal. Noi non vogliamo la conversione tecnologica, non vogliamo la conversione a gas che propone Emiliano, noi non vogliamo più produrre acciaio a Taranto, vogliamo sfruttare le risorse che abbiamo: storiche, turistiche e culturali».

«Vogliamo riappropriarci dei nostri spazi, respirare aria pulita ed avere un’economia che hanno le altre città portuali. Abbiamo la sensazione di essere una colonia di schiavi, sfruttata dal governo che non interagisce con noi. Decidono a porte chiuse a Roma, senza interloquire con le autorità locali e questo è molto umiliante».

fonte: www.ilcambiamento.it


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Decarbonizzare e rilanciare l’economia. Se non ora, quando?

Dare la priorità agli investimenti per le politiche di decarbonizzazione è oggi la scelta più efficace per il rilancio dell’economia. Ritardare queste scelte produrrebbe un danno incalcolabile.



Il 22 gennaio, Larry Flint, amministratore delegato di BlackRock, il più grande fondo di investimento del mondo, in una lettera inviata ai colleghi di grosse imprese multinazionali ha scritto testualmente: “I dati sui rischi climatici obbligano gli investitori a riconsiderare le fondamenta stesse della finanza moderna”, per cui “siamo convinti, quanto agli investimenti, che integrare la sostenibilità – in particolare il clima – nei portafogli possa fornire agli investitori dei migliori rendimenti, corretti per il rischio” (vedi anche Clima e investimenti, anche BlackRock vuole uscire sul carbone).

I rumors suscitati dalla lettera sono stati rapidamente sovrastati dalle preoccupazioni provocate dalla pandemia e dalla conseguente crisi economica.

Così, quando si è incominciato a discutere della ripresa post-virus, da più parti si è potuto tranquillamente sostenere che gli investimenti per la ricostruzione dovevano avere la precedenza rispetto a quelli per il contrasto alla crisi climatica.

Oltre che discutibile, questa tesi ignora che, soprattutto in Europa, si sta facendo strada una proposta che riprende, arricchendoli, i suggerimenti di Flint: gli investimenti per attuare politiche di decarbonizzazione sono quelli più efficaci per il rilancio dell’economia.

Il 14 aprile, 9 eurodeputati di tutto lo spettro politico, 37 amministratori delegati di grosse imprese e più di 50 del settore bancario e finanziario, 28 associazioni imprenditoriali, la confederazione sindacale europea, 7 Ong e numerose associazioni europee hanno promosso l’European Alliance for Green Recovery, sottoscrivendo una dichiarazione, con cui si impegnano a favore di “programmi di ricostruzione e di trasformazione che assumano la battaglia contro il cambiamento climatico e la biodiversità come pilastri fondamentali della strategia economica” (vedi Post Covid, se la grande finanza europea si schiera per una ripresa verde).

In questo, supportati da un rapporto edito a maggio da McKinsey (“How a post-pandemic stimulus can both create jobs and help the climate”), secondo cui ogni milione di dollari speso come stimolo genera 7,49 posti di lavoro a tempo pieno, diretti e indiretti, se destinato alle infrastrutture per le energie rinnovabili; 7,72, se indirizzato all’efficienza energetica; solo 2,65, se utilizzato per i combustibili fossili.

Il 27 maggio è stata la volta di Next Generation, la proposta della Commissione europea di un fondo da 750 miliardi di euro, di cui 500 a fondo perduto e 250 di prestiti. All’Italia andrebbero rispettivamente 82 e 91 miliardi di euro (vedi Next Generation EU, una potenza di fuoco “green” per iniziare a ripensare l’economia).

La parte più cospicua del fondo è destinata a sostenere gli investimenti diretti degli Stati membri e a stimolare quelli privati, entrambi finalizzati allo sviluppo della transizione sia verde che digitale; una distinzione spesso formale, visto che l’elettrificazione green richiede importanti investimenti nella digitalizzazione, in particolare delle reti.

Obiettivo immediatamente recepito dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle considerazioni finali alla relazione annuale del 29 maggio: “la proposta della Commissione presentata due giorni fa al Parlamento Europeo per la creazione del nuovo strumento denominato Next Generation EU ribadisce la centralità della transizione ambientale e di quella digitale”.

Anche nell’America di Trump qualcosa sta cambiando. Nel 2019, per la prima volta da 130 anni, il consumo energetico complessivo delle fonti rinnovabili ha superato – anche se di poco – il consumo di carbone. E, durante l’assemblea annuale degli azionisti di Chevron, seconda compagnia petrolifera del paese, che si è svolta il 27 maggio, la richiesta degli azionisti Bnp Paribas e BlackRock di divulgare tutte le attività di lobby, per poter verificare se la società sostiene gli obiettivi di contrasto del riscaldamento globale, è stata approvata dalla maggioranza dei soci, contro il parere del consiglio di amministrazione. Non era mai accaduto prima.

Anche se anacronistica, la posizione di chi sostiene che la priorità data agli investimenti per la politica di decarbonizzazione danneggerebbe la ripresa economica, continuando a essere presente nel dibattito sul che fare, rischia però di ritardare una scelta, viceversa molto urgente: focalizzare l’attenzione sulla tempestiva messa a punto di un programma operativo per la gestione dei fondi di Next Generation in supporto di obiettivi congruenti con il Green Deal europeo, che non sono solo quelli di un PNIEC più sfidante dell’attuale, in quanto dovrà garantire la riduzione del 50-55% delle emissioni climalteranti entro il 2030.

Il Green Deal dovrà infatti essere inclusivo, cioè particolarmente attento alle regioni, alle industrie e ai lavoratori su cui maggiormente graveranno gli effetti delle politiche energetico-climatiche.

Dovendo garantire la contestuale realizzazione di tutti gli obiettivi, la stesura del programma operativo rappresenta di per sé una sfida tutt’altro che banale, tuttavia da vincere, perché la mancata realizzazione degli impegni presi porterebbe alla sospensione dei finanziamenti.

Next Generation dovrebbe presumibilmente decollare nel 2021. Non c’è quindi tempo da perdere. Se non ora, quando?

fonte: www.qualenergia.it
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Ripartire con la sostenibilità al centro

Sono sempre di più gli appelli per una ripartenza che sia rispettosa dell'ambiente, «perché l’Italia ed il mondo di domani siano migliori, non solo di oggi, ma anche di ieri»





Molti si chiedono se vi siano legami tra lo stato di degrado del nostro Pianeta dovuto all'attività umana e l'affacciarsi di pandemie come quella che stiamo affrontando. La scienza ci fornirà delle risposte.

Nell'immediato, da più parti, giungono appelli per una ripartenza che abbia al centro la sostenibiltà ambientale e la mitigazione della crisi climatica, questioni già importanti prima del COVID-19, che, ora, si sommano a quelle dell'emergenza sanitaria.

Marco Frey, in qualità di Presidente del Global Compact Network Italia, ha sottoscritto l’appello rivolto al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, su iniziativa del CSR Manager Network, con cui chiede di seguire un orientamento lungimirante e soprattutto improntato allo sviluppo sostenibile nella fase di ripresa delle attività economiche e sociali.

La lettera è aperta alla firma di tutti i cittadini che credono fermamente che la sostenibilità debba essere un asse portante del futuro sociale ed economico del nostro Paese. Oltre 950 persone hanno già firmato questa lettera. Fallo anche tu !

Contemporaneamente dal mondo delle imprese italiane giunge un’iniziativa simile, tesa a rilanciare l’economia in chiave" green". 110 esponenti di importanti imprese e organizzazioni di imprese hanno sottoscritto il Manifesto “Uscire dalla pandemia con un nuovo Green Deal per l’Italia”.

Il Manifesto interviene nel dibattito in corso, a livello nazionale ed europeo, sulle misure per il rilancio dell’economia, pesantemente colpita dalla pandemia da Covid19, sollecitando un progetto di sviluppo all’altezza delle sfide attuali, come suggerito anche, a livello europeo, dal GreenRecovery, sottoscritto da 11 ministri, 79 eurodeputati, 37 AD, 100 sindacati, 7 Ong e 6 centri studi.

Nel Manifesto si sottolinea il bisogno di divenire più resilienti alle pandemie, ma anche al cambiamento climatico, che è un minaccia importante a cui ancora non abbiamo dato risposte adeguate, mentre si fa sempre più urgente la necessità di abbandonare un modello di economia lineare ad elevato consumo di energia fossile e spreco di risorse naturali.

Un nuovo "Green Deal" è la via da seguire per una forte e duratura ripresa, perché in grado di valorizzare le produzioni di qualità, attente a non aumentare le emissioni di gas serra e gli impatti ambientali. Ora più che mai, è importante puntare su:



  • il riciclo dei rifiuti, pilastro dell’economia circolare
  • l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili di energia
  • l'agricoltura sostenibile
  • la bioeconomia rigenerativa
  • la rigenerazione urbana in chiave "green"
  • il turismo sostenibile
  • la mobilità decarbonizzata, elettrica e condivisa
  • le innovazioni digitali.

Il Manifesto è gia stato sottoscritto dai primi 110 firmatari ma la raccolta di adesioni continua, se rappresenti un'impresa o un'organizzazione di imprese, firma anche tu !

Oltre al Greenrecovery, in questi giorni, sempre a livello europeo, anche la Commissione ha lanciato il monito per la difesa del clima, ricordando come la crisi sanitaria si aggiunge a quella climatica, infatti, nonostante gli accordi di Parigi, al momento ancora poco è stato fatto per contenere le emissioni in atmosfera.

L'UE sottolinea come la crisi legata al COVID-19 possa costituire un'ulteriore battuta di arresto per il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento climatico se gli aiuti per la ripartenza si focalizzassero solo sul ricreare una situazione pre-crisi.

Ora è il tempo di ricostruire, ma in meglio, è giunto il momento di introdurre importanti misure per il clima. Per questo, la Commissione Europea ha lanciato una consultazione pubblica per comprendere quale sia l’idea della società sulla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici.

Anche le associazioni ambientaliste si stanno mobilitando in questa direzione, in particolare, il WWF ha lanciato un manifesto per costruire insieme il mondo che verrà, perché "tornare al passato non è un'opzione percorribile".

Nel manifesto sono indicate le priorità su cui tutti siamo chiamati a riflettere e che rappresentano elementi fondamentali per la costruzione della nostra società dopo la crisi, si tratta di azioni concrete e immediate:
contro la crisi climatica, per la riduzione dell’inquinamento, per trasporti ed energia sostenibili, per la difesa delle aree naturali ancora integre e restauro degli ecosistemi naturali deteriorati dall’uomo
per la difesa del suolo dall’invasione del cemento


per l’espulsione dei veleni dall’agricoltura, per mettere in sicurezza il cibo che mangiamo e l’acqua che beviamo
per la cura, il benessere e la salute delle persone, che vengono prima del profitto
per la difesa degli organi vitali del Pianeta, come le foreste e gli oceani, che devono essere un patrimonio comune dell’umanità
per la protezione della biodiversità animale e vegetale, terrestre e marina che sostiene le nostre esistenze e rende la vita sul pianeta meravigliosa.

fonte: http://www.arpat.toscana.it




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La dottoressa Fiorella Belpoggi interviene su #Covid-19 e #Inquinamento




#Covid-19 e #Inquinamento: la dottoressa Fiorella Belpoggi è stata invitata a intervenire nella Commissione Ambiente e Territorio del Consiglio comunale di #Bologna.
qui sotto trovate il suo intervento.



📌 a questo link il documento che è stato messo agli atti della commissione —> https://bit.ly/3fcd8hx


Istituto Ramazzini


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Il monito del sociologo Jeremy Rifkin: “Siamo di fronte alla minaccia di estinzione e la gente nemmeno lo sa”

















“Siamo di fronte alla minaccia di estinzione.Tutto quello che sta accadendo deriva dai cambiamenti climatici, negli ultimi anni abbiamo avuto altre pandemie e sono state le attività umane a generarle”. In un’intervista telefonica alla rivista Telos della Fundación Telefónica, il sociologo Jeremy Rifkin, spiega cosa sta succedendo al nostro Pianeta e come, secondo lui, si è arrivati allo scoppio dell’emergenza coronavirus.

Attivista e da sempre sostenitore di un passaggio dalla società industriale a modelli più sostenibili, Jeremy Rifkin ha scritto oltre venti libri per raccontare la sua idea di equilibrio tra ambiente ed essere umano. Adesso, interviene proprio sulla pandemia da Covid-19. “Tutto ciò che ci sta accadendo deriva dai cambiamenti climatici, che i ricercatori e io stesso avvertiamo da molto tempo. Negli ultimi anni, abbiamo avuto altre pandemie e ci sono stati parecchi avvertimenti sul fatto che sarebbe potuto succedere qualcosa di grave”, dice il sociologo.

“L’attività umana ha generato queste pandemie perché abbiamo alterato il ciclo dell’acqua e l’ecosistema che mantiene l’equilibrio sul Pianeta. Le catastrofi naturali – pandemie, incendi, uragani, inondazioni – continueranno perché la temperatura sulla Terra continua a salire e perché abbiamo rovinato il suolo. C’è un fattore che non possiamo non considerare: i cambiamenti climatici causano movimenti della popolazione umana e di altre specie”, dice ancora.

La pandemia secondo Rifkin è un campanello d’allarme, ma anche una rottura con il passato, perché è cambiato il concetto di normalità. “Ciò che dobbiamo fare ora è costruire le infrastrutture che ci consentano di vivere in modo diverso. Dobbiamo presumere che siamo in una nuova era. Se non lo facciamo, ci saranno più pandemie e catastrofi naturali. Siamo di fronte alla minaccia di estinzione”.

Il sociologo è consigliere di Stati e governi sulla gestione della pandemia; la sua idea è quella di iniziare ad avere una relazione diversa con la Terra perché ogni comunità deve assumersi delle responsabilità. “Dobbiamo iniziare la rivoluzione verso il Green New Deal globale, un modello digitale a zero emissioni, sviluppare nuove attività, creare nuovi posti di lavoro, ridurre il rischio di nuove catastrofi. La globalizzazione è finita, dobbiamo pensare in termini di glocalizzazione”, spiega ancora.

Il cambiamento deve iniziare dal rivoluzionare il concetto di economia. “La nostra è la civiltà dei combustibili fossili. Negli ultimi 200 anni, si è basato tutto sullo sfruttamento della Terra. Il suolo era rimasto intatto fino a quando non abbiamo iniziato a scavare il suolo per estrarre gas, petrolio e carbone. E abbiamo pensato che la Terra sarebbe rimasta sempre lì, intatta. Abbiamo creato un’intera civiltà basata sull’uso di fossili. Abbiamo utilizzato così tante risorse che ora ci stiamo rivolgendo al capitale fondiario invece di trarne profitto. Stiamo usando una terra e mezzo quando ne abbiamo solo una. Abbiamo perso il 60% della superficie del suolo del pianeta”, dice.

Ma non solo.I cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale e dalle emissioni di CO₂ alterano il ciclo dell’acqua terrestre. “Siamo il Pianeta dell’acqua, il nostro ecosistema è emerso e si è evoluto nel corso di milioni di anni grazie all’acqua. Questo ciclo ci permette di vivere e svilupparci. Ed ecco il problema: per ogni grado di temperatura che aumenta a causa delle emissioni di gas serra, l’atmosfera assorbe il 7% in più di precipitazioni dal terreno e questo riscaldamento le costringe a scendere più velocemente, più concentrate e causando catastrofi naturali legate all’acqua. Ad esempio, grandi nevicate in inverno, inondazioni in primavera in tutto il mondo”, avverte il sociologo.

Per Jeremy Rifkin “siamo di fronte alla sesta estinzione e la gente non lo sa nemmeno. Gli scienziati affermano che la metà di tutti gli habitat e gli animali sulla terra scomparirà tra otto decenni. Questo è il quadro in cui ci troviamo, un faccia a faccia con una potenziale estinzione della natura per la quale non siamo preparati”. In quest’ottica, quanto tempo ci resta? “Non lo so. Faccio parte di questo movimento per il cambiamento dagli anni ’70. La domanda è: possiamo, come specie, essere resilienti e adattarci ad ambienti totalmente diversi?”. E conclude:

“Se mi chiedi quanto tempo ci vorrà per passare a un‘economia pulita, i nostri scienziati al vertice europeo sui cambiamenti climatici nel 2018 hanno detto che ci sarebbero rimasti 12 anni. Ci resta meno per noi di trasformare completamente la civiltà e iniziare questo cambiamento. La seconda rivoluzione industriale, che ha causato i cambiamenti climatici, sta morendo”.

fonte: www.greenme.it


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Un vero e radicale Green New Deal può innescare un percorso di Decrescita Felice





Nonostante la tempesta del coronavirus, quello dei Green (New?) Deal italiani ed europei sarà (o dovrebbe essere) uno dei temi più importanti del nostro dibattito politico dei prossimi anni. L’inconsistenza e l’insufficienza dei piani attuali, sia italiano che europeo, sono sempre più evidenti ed hanno già incassato severe critiche, tra cui quella di Greta Thunberg all’ Europarlamento: “Ue a zero emissioni nel 2050? Non è obiettivo ma resa

In questo contesto, segnaliamo l’ultimo saggio di Riccardo Mastini, che descrive alcune idee per un Green New Deal davvero all’altezza della crisi ecologica, prendendo spunto dal libro “A Planet To Win” scritto da un gruppo di intellettuali statunitensi che hanno anche contribuito alla formulazione del programma elettorale di Bernie Sanders.





Nel libro (e nell’articolo) si sostiene che un vero Green New Deal deve andare oltre le semplici proposte di impiegare il potere dirigista dello Stato per coordinare e finanziare la trasformazione infrastrutturale e produttiva di un paese, ma deve anche ridurre le diseguaglianze, democratizzare l’economia, ampliare la sfera dei diritti, demercificare i servizi di base ed abbandonare la chimera della crescita verde.

Non è un libro sulla decrescita, ma lo sembra: “.. la vera sfida è quella della riduzione dei consumi aggregati accompagnata da una ridistribuzione dei consumi fra classi sociali. La lotta alla povertà deve quindi passare per una riduzione delle diseguaglianze e non per un’ulteriore crescita del PIL. Dobbiamo riorganizzare il modo in cui produciamo e consumiamo così da permettere a tutti di vivere dignitosamente utilizzando poche risorse, producendo pochi rifiuti, e garantendo l’inclusione lavorativa.”

Molto interessante anche il riferimento alla questione lavorativa che, come ben sappiamo anche in Italia, è sempre più utilizzata per mettere in scacco le proposte di conversione ecologica.

Terremo conto di questa e di altre idee (come il “reddito di cura” di cui scrive Stefania Barca) anche per le future revisioni della nostra “Visione su Occupazione e Lavoro”, su cui aspettiamo il contributo dello stesso Riccardo.

fonte: http://www.decrescitafelice.it

UE, neutralità climatica e l'opinione dei cittadini

La Commissione Europea avvia l'iter per l'adozione della "legge sul clima" e chiede il feedback dei cittadini europei



















Affrontare il cambiamento climatico è una priorità per gli Europei; per questo l'UE intende raggiungere la neutralità climatica, in modo da incidere sul cambiamento del clima entro il 2050, rispettando i risultati scientifici del Gruppo internazionale sui cambiamenti climatici (IPCC).
Per raggiungere questo obiettivo, si propone l'adozione di una "legge sul clima", che porterà ad un nuovo quadro normativo in materia. Siamo solo all'inizio dell'iter, la Commissione ha predisposto una proposta che, dal 6 marzo fino al 1 maggio 2020, sarà oggetto di feedback da parte dei cittadini europei, che potranno esprimere la loro opinione e contribuire al miglioramento della legislazione europea.
eurobarometro_clima_
Come indicato nella roadmap, la volontà della Commissione è quella di creare, a livello europeo, una politica ambiziosa in grado di proteggere il welfare, la prosperità, la salute, gli ecosistemi e la biodiversità dalla minaccia dei cambiamenti climatici dovuti all’attività umana, come indicato anche nella Comunicazione che prende il nome di “European Green Deal”.
Questa nuova iniziativa vuole contribuire anche a dare attuazione all'accordo di Parigi e, nello specifico, al raggiungimento dell' obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura globale ben al di sotto di 2°C  rispetto ai valori pre-industriali e di proseguire gli sforzi per mantenerlo al di sotto di 1,5°C.
Se questo risulta essere l'obiettivo primario, non meno importanti sono:
  • la volontà di trasformare le politiche dell'UE e stabilire la direzione di viaggio a lungo termine per raggiungere questo obiettivo attraverso tutte le politiche, in modo socialmente equo ed efficiente in termini di costi,
  • l'intenzione di definire chiaramente le condizioni per una transizione efficace ed equa, per fornire prevedibilità agli investitori ed anche agli altri attori economici, compresi i datori di lavoro, i lavoratori e i consumatori, garantendo che il passaggio alla neutralità climatica sia irreversibile,
  • la necessità di stabilire elementi fondamentali trasversali a tutte le politiche, quali, ad esempio, il benessere dei cittadini, la prosperità della società, la competitività economica, l’efficienza e sicurezza energetica, la salute, la protezione dei consumatori vulnerabili, l’equità e la solidarietà nella società e nelle regioni, nonché un approccio basato sulla scienza,
  • l’intento di assicurare che tutte le politiche a livello europeo contribuiscano al raggiungimento della neutralità climatica e che tutti i settori facciano la loro parte.
Questo significa anche agire sui finanziamenti dell'Unione, affinché siano coerenti con gli obiettivi dell'accordo di Parigi. Per questo è necessario effettuare una "verifica climatica" degli investimenti per prevenire che essi siano vulnerabili agli impatti climatici a lungo termine, considerando sempre  i "costi climatici" e rafforzando gli incentivi per lo sviluppo sostenibile e rispettoso del clima.
Greta Thumberg, invitata a prendere parte alla riunione straordinaria della commissione per l’ambiente del Parlamento europeo per parlare della legge europea sul clima, ha espresso, in un suo intervento, alcune criticità, ritenendo l'iniziativa ancora "troppo timida".
intervento Greta Thumberg
Al momento, prendiamo atto della consapevolezza mostrata dall'UE rispetto a questo tema. In particolare la Commissione, dal suo insediamento, sottolinea come gli attuali cambiamenti del clima stiano riscrivendo la storia del Pianeta ed aumentando i rischi di instabilità in tutte le sue forme.
Aggiungendosi alle altre pressioni ambientali, già significative, il cambiamento climatico, a livello globale, sta trasformando il nostro ambiente, incrementando la frequenza e l’intensità degli eventi estremi. Se non porremo dei limiti, tutto questo avrà importanti conseguenze sull’economia, sulle infrastrutture, sulla capacità di produrre cibo, sulla salute pubblica, sulla biodiversità e sulla stabilità politica.
fonte: http://www.arpat.toscana.it/