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Perché l’acciaio schiaccerà (e inquinerà) “doppiamente” Taranto: la beffa del nuovo accordo sull’Ilva

 










Invece di salvare Taranto si sommeranno due tipi di inquinamento. Le nuove tecnologie si aggiungeranno alle vecchie, che continueranno a funzionare. E l’inquinamento quindi aumenterà, a danno della salute dei cittadini e dell’ambiente.


E’ questo l’allarme lanciato su GreenMe.it da Alessandro Marescotti, presidente e tra i fondatori di Peacelink, che da anni segue la vicenda dell’Ilva di Taranto.

La notizia dell’accordo ArcelorMittal-Invitalia sta lasciando attoniti. Attesa da giorni, è piombata nel bel mezzo della notte con un comunicato da parte dell’azienda che non lascia spazio a dubbi. La sorte di Taranto è stata ancora una volta “schiacciata” dall’acciaio, finanziato in gran parte dello Stato, con la vecchia Ilva già fallita e la nuova Ilva che deve fronteggiare perdite ingenti, con tutto il peso che ha aggiunto la crisi legata al Covid.

Vediamo di capire meglio quello che non leggeremo di certo sui comunicati stampa che annunciano questo accordo, che si candida a essere un flop dal punto di vista della tutela dei posti di lavoro, della salute e dell’ambiente…

Quali saranno le conseguenze dell’accordo?

E’ difficile prevedere le conseguenze immediate dell’accordo, perché invece quelle che si possono ipotizzare con certezza ci dicono che il mercato internazionale dell’acciaio metterà in seria difficoltà il progetto di rilancio dell’Ilva, che somiglia di più a un intervento di carattere assistenziale per rimandare il problema. Nell’immediato, lo Stato sembra che metta 400 milioni di euro mentre dai comunicati si comprende che ArcelorMittal praticamente non metterà niente quindi questa ipotesi del 50% e 50% non si comprende su cosa si basi.

Quindi, non c’è alcuna speranza?

Io sono assolutamente pessimista sul fatto che questo sia un intervento che possa risolvere il problema. Già in passato lo Stato è intervenuto e nel giro di 2 anni ha accumulato 2,9 miliardi di perdite. Stiamo parlando di uno stabilimento che produce con serie difficoltà di mercato sotto il punto di equilibrio che è a 7 milioni. Si produce in perdita, con un’emorragia di risorse economiche talmente elevata che ArcelorMittal aveva scelto di abbandonare lo stabilimento di Taranto.

Perché Taranto ne pagherà doppiamente le conseguenze?

Le clausole di questo accordo sono particolarmente dure per la città di Taranto, perché si vincola la presenza di ArcelorMittal alla modifica del Piano ambientale. Quindi stiamo parlando di rinviare la decisione delle tecnologie che dovevano già essere installate da molto tempo. E quando si parla di nuovo Piano ambientale, quest’ultimo deve costare meno. Queste è una delle condizioni che vengono poste, l’altra è una produzione aumentata, che però è difficile immaginare in un mercato come quello attuale, con la crisi del Covid.

Taranto si prepara a una situazione ancora più difficile di quella attuale. Tutte le promesse che ha fatto il Governo di riduzione dell’inquinamento sono relative solamente ai nuovi impianti di cui vengono declamate le caratteristiche “verdi”, ma i vecchi impianti continueranno a funzionare.

In una prospettiva di aumento della produzione si fanno continuare a funzionare anche i vecchi sistemi, con l’inquinamento che conosciamo, aggiungendo però i nuovi. La sommatoria aggiunge nuovo inquinamento al vecchio, non c’è una prospettiva per la città di uscire dalla situazione molto difficile che è stata fotografata dalla Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario del 2019 che sancisce un aspetto inequivocabile: c’è un rischio inaccettabile dal punto di vista sanitario nel quartiere Tamburi, accanto al quale sorge lo stabilimento.

Ancora una volta l’acciaio sta schiacciando la salute dei cittadini e dell’ambiente…

Sì. E tra l’altro senza produrre profitti, ma solo perdite economiche, oltre alle perdite di vite.

fonte: www.greenme.it


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In Svezia la prima acciaieria al mondo senza energie fossili

L'impianto pilota è un primo importante passo nella decarbonizzazione dell'industria siderurgica, oggi causa del 7% delle emissioni globali di gas serra.




I piani per la siderurgia sostenibile e la decarbonizzazione dell’industria pesante in genere sono al centro dell’attenzione un po’ in tutta Europa, compresa l’Italia.

Stando alla bozza di piano del Governo, il nostro paese vorrebbe destinare all’acciaio verde 5 miliardi di euro, grazie alle risorse messe a disposizione dal Recovery Fund.

E proprio in questo ambito si registra un’iniziativa significativa dalla Svezia, dove sorgerà la prima acciaieria pilota che farà completamente a meno dell’energia fossile.

“Oggi state gettando le basi che permetteranno all’industria siderurgica svedese di essere completamente priva di fossili e di biossido di carbonio nel giro di 20 anni“, ha dichiarato il Primo Ministro svedese, Stefan Löfven, presente al lancio dell’impianto HYBRIT (Hydrogen Breakthrough Ironmaking Technology) nel sito di Luleå.

L’impianto è una joint venture fra il gruppo siderurgico SSAB, la società mineraria LKAB e la utility energetica Vattenfall – tutte e tre aziende svedesi con attività preminenti nel paese scandinavo.

“Insieme possiamo ricostruire la Svezia come la prima nazione del benessere senza fossili al mondo”, ha aggiunto Lövfen.

La tecnologia HYBRIT mira a sostituire il carbon coke, tradizionalmente necessario per la produzione di acciaio a base di minerale, con elettricità e idrogeno privi di fonti fossili. Ne dovrebbe risultare la prima tecnologia siderurgica al mondo con un’impronta di carbonio praticamente inesistente.

“L’impianto pilota avrà un ruolo decisivo nel potenziamento della tecnologia per l’utilizzo su scala industriale. L’ossigeno presente nel ferro è l’ostacolo maggiore e dobbiamo eliminarlo”, ha detto Jan Moström, amministratore delegato di LKAB, a The Barents Observer.

Le operazioni minerarie in profondità dell’azienda stanno già testando veicoli elettrici con l’obiettivo di sostituire tutte le macchine a gasolio entro il 2030.

“Abbiamo la possibilità di rivoluzionare l’intera industria siderurgica e di dimostrare che emissioni nette pari a zero sono possibili. Dobbiamo cogliere questa opportunità”, ha dichiarato Martin Lindqvist, ad di SSAB.

Se l’impianto pilota avrà successo, SSAB prevede la piena operatività sul mercato entro il 2026, di essere completamente libera da fossili entro il 2045 e di riuscire a sfruttare la spinta della domanda globale di prodotti rispettosi del clima da parte della green economy.

L’obiettivo legato alla tecnologia HYBRIT è di ridurre le emissioni di CO2 della Svezia del 10% e della Finlandia del 7%.

In Italia, intanto, non più tardi di qualche giorno fa, i giganti italiani dell’energia, e cioè Enel ed Eni, nell’illustrare dal loro punto di vista le priorità relative al Recovery Fund durante delle audizioni alla Camera, hanno menzionato la necessità di puntare anche sul produrre energie rinnovabili per fornire idrogeno all’Ilva di Taranto, idea citata anche nel piano dell’esecutivo per usare i fondi di Next Generation Europe.

Proprio questo progetto figura al quarto posto fra i 10 investimenti prioritari indicati da Enel, dopo quelli per “Accelerazione Verde, Circular Power Plants e Gigafactory Fotovoltaica”.

fonte: www.qualenergia.it


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Taranto, ipotesi di impianto da 100mila tonnellate annue di Plasmix: tutti i dubbi di Zero Waste Puglia

Rifiuti plastici non riciclabili che diventerebbero SRA (Secondary Reducing Agent) da usare negli altoforni Ilva o C.S.S. da bruciare nei cementifici: "Proposta in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche"




Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa di Zero Waste Puglia che accende i riflettori sul progetto della milanese Unità di Misura, una proposta che secondo l'associazione "andrebbe rigettata in quanto in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche in corso di trasposizione nelle norme nazionali".

Un impianto per il trattamento di 100.000 tonnellate/anno di rifiuti plastici non riciclabili, cosiddetto plasmix, che opportunamente preparati diventano SRA (Secondary Reducing Agent) per utilizzo negli altoforni in sostituzione del carbone per la produzione di acciaio e/o C.S.S. (Combustibile Solido Secondario) da bruciare nei cementifici.


Secondo l’istanza presenta alla Provincia di Taranto da Unità di Misura S.r.l. di Milano per l’ottenimento del Provvedimento Autorizzativo Unico Regionale (PAUR), l’impianto avrà sede nell’area di sviluppo industriale di Taranto, in località Pantano sulla S.S. Jonica 106. Avrà una capacità di trattamento per tre volte la produzione di plasmix dell’intera regione Puglia e più di un quarto di tutta la plastica avviata a recupero energetico nel 2018 in Italia.

Il Proponente presenta come qualificante la tecnologia BEST che da una breve ricerca si è rilevata come precaria e senza precedenti operativi (vedi rif. https://bit.ly/2EANAwu, https://bit.ly/2D07Ozr ). In definitiva tale referenza non depone a favore della qualifica tecnico-organizzativa della società Proponente.

La tecnologia di preparazione dello SRA è sicuramente matura, ma in tutti gli esempi internazionalmente noti la sua messa a punto specifica ha visto la compartecipazione attiva dell'utilizzatore finale (l'acciaieria per intenderci). Prima di tutto l'alimentazione dello SRA comporta delle modifiche strutturali all'altoforno, incluso l'impianto di stoccaggio e alimentazione dello SRA. La composizione e la granulometria dello SRA sono decisivi nella validazione del suo uso nello specifico altoforno. Non siamo riusciti a determinare se ILVA ha già esperienza di uso dello SRA e se ha emesso delle specifiche tecniche cui i vari fornitori si devono conformare. Senza tale indicazione e garanzia, la fornitura di SRA a destinazione ex-ILVA o altra acciaieria è del tutto aleatoria. Facciamo notare che il prodotto finale dell'impianto proposto è definito dal Proponente come SRA oppure CSS (Relazione tecnica - pag.10). Chiunque noterebbe l'assurdità dell'investimento se fallisse la fornitura di SRA all’impianto ex-ILVA o altra acciaieria. Mentre il Proponente accenna a un accordo con COREPLA per la fornitura dei rifiuti in ingresso, non si accenna neanche minimamente ad accordi o sperimentazioni fatte con Arcelor Mittal o altra acciaieria relativamente all'utilizzo dello SRA prodotto negli altoforni.

Non abbiamo trovato traccia delle condizioni economiche di fornitura dello SRA, essenziale per valutare il piano finanziario su cui si regge l'iniziativa proposta. A nostro parere questo resta un'incognita decisiva da risolvere prima di qualsiasi validazione del progetto.

Nella Relazione Tecnica si cita la norma UNI10667-17 come standard tecnico per lo SRA. Ma non si afferma esplicitamente che tale normativa sarà seguita e garantita dal Proponente in fase operativa. Né si descrivono le procedure di controllo di conformità a tale normativa dello SRA prodotto.


Il Proponente definisce la produzione di SRA come un processo di "riciclo chimico". Abbiamo forti dubbi che l’Agente Riducente Secondario (SRA) sia considerato come riciclo dalle norme europee, visto che distrugge materia. Diventa però essenziale la garanzia che il prodotto finale sia destinato a SRA e non a CSS per cementifici. Nel secondo caso infatti NON potrebbe essere classificato come "riciclo" e tra l'altro penalizzerebbe l'obiettivo obbligatorio relativo alle quantità di plastica riciclata da raggiungere in accordo alle recenti normative UE. Da notare altresì che i recenti accordi fra Stati membri hanno incluso una nuova tassa sulla plastica non riciclata. Che - per la quota parte di prodotto destinata a CSS - sarebbe a carico dello Stato e non del Proponente.

Il Proponente elenca i codici CER relativi alle materie prime usate nell'impianto. A nostro parere sono inammissibili due di essi:

- 150102/rifiuti da imballaggi in plastica da RD. Non trattandosi di scarti della selezione, si rischierebbe una competizione negativa con le piattaforme di selezione meccanica della plastica da RD, da avviare al riciclo come nuovi imballaggi;

- 191219/CDR o CSS. Trattandosi di un materiale già trattato e destinato a recupero energetico non si capisce l'utilità di trattarlo ulteriormente per fargli fare la stessa fine.

La stima di riduzione delle emissioni di CO2 è basata sull'utilizzo dello SRA in sostituzione del 6-13% di coke negli altoforni. Tale beneficio verrebbe completamente meno se l'impianto producesse CSS invece di SRA.

Alcune osservazioni minori e formali sulla Relazione Tecnica:

- a pag. 7 si indica al 26% l'obiettivo di riciclo degli imballaggi in plastica, mentre le recenti Direttive UE impongono l'obiettivo del 50% al 2025. Questa osservazione rileva in quanto l'impianto proposto contribuirebbe al raggiungimento dell'obiettivo solo nella misura in cui producesse effettivamente SRA da utilizzare in acciaieria. Ragione per cui l'ottenimento della garanzia dell'utilizzo finale dello SRA dovrebbe far parte della procedura di rilascio dell'autorizzazione alla sua realizzazione ed esercizio;

- alle pag. 59 e 72 della Relazione Tecnica la terza colonna delle Tabelle 5-4, 5-5 e 9-2 deve essere corretta indicando (m3) e non (ton).

In conclusione a nostro parere sono eccessivi i dubbi sulla proposta e le evidenze ad essa contrarie. La proposta andrebbe dunque rigettata in quanto in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche in corso di trasposizione nelle norme nazionali.

fonte: www.ecodallecitta.it


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I genitori di Taranto: «Sommersi da tempesta di veleni»

Maria Aloisio del Comitato Genitori tarantini, vicepresidente dell’associazione “LiberiAMO Taranto”, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” e ha parlato della nube rossa che si è rivista a Taranto: «Veniva dall'Ilva».



Maria Aloisio del Comitato Genitori tarantini, vicepresidente dell’associazione “LiberiAMO Taranto”, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, per parlare della nube rossa che si è rivista a Taranto.

“Noi questa nube la vediamo spesso, si è vista meglio lo scorso 4 luglio perché c’è stata una tromba d’aria. Siamo stati sommersi da una tempesta di veleni. Una nube rossa che veniva dall’Ilva e che sicuramente contiene degli inquinanti. Sapevamo che l’intervento che è stato fatto con la copertura dei parchi minerali non avrebbe risolto assolutamente il problema ambientale - ha detto, come riporta anche AgenPress - I cumuli di minerali sono comunque scoperti e in balia dei venti, così come i nastri trasportatori dei minerali. La polvere non si solleva dai capannoni coperti, ma da altre parti dell’acciaieria che sono scoperte e per cui non è prevista la copertura. Quando c’è il wind day, giornate di vento che soffiano dall’acciaieria verso la città, questi inquinanti vengono trasportati verso i centri abitati. Il problema non è relativo solo ai quartieri che sono a ridosso dell’Ilva».

«Il sindaco di Taranto ha posizioni che a me sembrano ambigue - ha proseguito Aloisio - Ha ignorato la nostra associazione, non ha mai voluto incontrarci e ha prodotto un’ordinanza che non è stata scritta con gli spunti validi che noi avevamo fornito. Tutte le associazioni ambientaliste di Taranto sono per la chiusura dell’Ilva. Non si può neanche più parlare del fattore occupazione. Negli anni 70 erano 30mila i dipendenti dell’Ilva, oggi sono 5mila in cig e 3mila realmente al lavoro».

«L’Ilva frena l’economia, frena la possibilità di sviluppo di Taranto, il turismo qui non è mai decollato, nonostante ci siano tante imprese pronte ad investire - ha aggiunto ancora Aloisio - Abbiamo un porto che è asservito completamente alla grande industria: Ilva ed Eni. Per la maggior parte dei tarantini Ilva è un ostacolo allo sviluppo, tutti i tentativi di tenerla in piedi sono tentativi che ammazzano Taranto. Se dobbiamo parlare di Green new deal, parliamo di un’economia che abbandona il fossile, invece ci propinano soluzioni che vedono ancora in piedi quest’azienda preistorica. C’è stata anche la sentenza Cedu, che ha condannato lo Stato. Lo Stato è colpevole di mantenere questa situazione e persevera, nel decreto Rilancio si parla addirittura di nazionalizzare l’Ilva. Si tratta di un aiuto ad Acerlor Mittal. Noi non vogliamo la conversione tecnologica, non vogliamo la conversione a gas che propone Emiliano, noi non vogliamo più produrre acciaio a Taranto, vogliamo sfruttare le risorse che abbiamo: storiche, turistiche e culturali».

«Vogliamo riappropriarci dei nostri spazi, respirare aria pulita ed avere un’economia che hanno le altre città portuali. Abbiamo la sensazione di essere una colonia di schiavi, sfruttata dal governo che non interagisce con noi. Decidono a porte chiuse a Roma, senza interloquire con le autorità locali e questo è molto umiliante».

fonte: www.ilcambiamento.it


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L'Ilva è come il Paltò di Napoleone in "Miseria e Nobiltà". Intervista ad Alessandro Marescotti






















Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink, parlando della vicenda Ilva ha tra l’altro dichiarato: "INVITALIA non può salvare l'ILVA.

La sua mission è infatti differente rispetto a quella che fu la mission di GEPI.

E lo ha chiarito l'AD di INVITALIA, spiegando che INVITALIA non può tornare a diventare un carrozzone per mascherare i fallimenti.

Tra il 1971 e il 1992 a GEPI lo Stato erogò circa 4.000 miliardi di lire per gestire 108.000 lavoratori.

Una prospettiva non più proponibile oggi, come ha chiarito bene l'AD di INVITALIA, Arcuri.

Cliccate qui sotto per saperne di più sul passato di GEPI che qualcuno si illude possa ritornare mascherato da INVITALIA".


fonte: https://www.radioradicale.it


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Riconvertire l’ex ILVA di Taranto in un Polo delle energie rinnovabili per rilanciare il Sud

Il possibile abbandono di ArcelorMittal dell'acciaieria ex ILVA di Taranto potrebbe essere l’occasione di un vero rilancio del Sud Italia aumentando l’occupazione, la salvaguardia dell’ambiente e la salute delle persone. Un'utopia? Assolutamente no.




Il possibile abbandono di ArcelorMittal dell'acciaieria ex ILVA di Taranto potrebbe essere l’occasione di un vero rilancio del Sud Italia aumentando l’occupazione, la salvaguardia dell’ambiente e la salute delle persone. Dopo anni di inquinamento, morti, sfruttamento e devastazione ambientale, finalmente sarebbe ora di un progetto sensato e sano, per la popolazione di Taranto e per il Sud, costretto ad accettare un modello industriale fallimentare e nocivo. Per ottenere eccezionali risultati basterebbe fare un piano di riconversione dell’ ex ILVA trasformandola in un Polo delle energie rinnovabili.

Un progetto del genere avrebbe un campo di applicazione vastissimo. L’Italia paese del sole infatti incredibilmente non è ai primi posti in Europa per la diffusione delle energie rinnovabili, che invece dovrebbero essere utilizzate massicciamente in tutte le loro molteplici funzioni. Sarebbe un grande segnale di riconversione industriale verso tecnologie utili e necessarie e che potrebbe poi indicare la strada a molti altri progetti simili. In un colpo solo l’Italia si ritroverebbe all’avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici.

Per il Polo delle energie rinnovabili ci sarebbe una diffusione enorme in tutto il Sud Italia che scoppia di sole e di vento e dove potrebbero essere installati centinaia di migliaia di impianti Made in Sud; così come un tempo c’era l’Alfasud, ora ci sarebbe il Solar Sud. Non solo quindi impianti da installare ovunque ma anche migliaia di installatori, migliaia di educatori ambientali da formare che vadano ovunque nelle scuole, negli edifici pubblici, nei negozi, nelle case private a spiegare l’importanza del risparmio energetico e delle energie rinnovabili e facciano da indispensabile supporto per la diffusione dei prodotti del Polo. E la diffusione non sarebbe solo in tutto il Sud e nel resto dell’Italia ma anche guardando al resto del mondo. Finalmente la capacità, l’inventiva, la creatività italica si esplicherebbe con quelle materie prime che abbiamo in abbondanza e ci farebbero diventare una vera e propria Potenza Solare che brillerebbe a livello internazionale. In questo modo non solo sarebbero velocemente riassorbiti tutti gli attuali diecimila lavoratori dell’ ex ILVA, dapprima per la bonifica del luogo e poi per la sua trasformazione ma ne servirebbero anche molti altri per le ulteriori varie occupazioni che seguirebbero.

Come si finanzia un piano del genere? Con i fondi europei che ci sono per riconversioni di questo tipo e poi utilizzando una parte dei soldi non più regalati dallo Stato alla fonti fossili che in Italia finanziamo ogni anno per più di 18 miliardi di euro. Visto che la situazione dei cambiamenti climatici è drammatica e il futuro è quello delle energie rinnovabili, quale occasione migliore per agire in questa direzione.

Abbiamo tutto, le competenze, le conoscenze, le tecnologie, i soldi, basta volerlo fare ed è la soluzione migliore da ogni punto di vista: politico, sanitario, ambientale, occupazionale, economico e sociale.

Paolo Ermani

fonte: www.ilcambiamento.it

SAVE THE DATE : TARANTO 13 APRILE 2019

INFORMAZIONE DI SERVIZIO : CHI DESIDERA (IN PARTICOLARE LE SEZIONI DI MEDICINA DEMOCRATICA) RICEVERE COPIA DEI MANIFESTI E/O DELLE LOCANDINE PRENDA CONTATTO CON MAURIZIO LOSCHI : maloschi@alice.it


Ecco il programma degli interventi
– Perché questo convegno e perché a Taranto – Enzo Ferrara – Direttore Responsabile della rivista Medicina Democratica
– La giurisprudenza nazionale ed europea, in materia di inquinamento ambientale e tutela della salute, dopo la sentenza Cedu – Avv. Stefano Palmisano
– Studi epidemiologici e valutazioni di impatto sanitario a Taranto – dr.ssa Lucia Bisceglia. Agenzia regionale Strategica per la Salute e il Sociale. Taranto
– La lotta per la salute dall’interno della fabbrica. L’autorganizzazione a Taranto. Antonio Ferrari – Segretario Nazionale FLMUniti CUB
– Perchè gli operai ILVA sono ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo– avv. Iolanda De Francesco.
– Referto Epidemiologico del comune di Taranto 2010/2017 – dr. Valerio Gennaro, IRCCS Policlinico San Martino, Genova
– Una campagna per lo screening del tumore al polmone nelle aree ad alta mortalità – Dr. Maurizio Portaluri. Associazione Salute Pubblica. Brindisi
– Dignità e Giustizia per le vittime dell’amianto, l’importanza della sorveglianza sanitaria – Murgia Mario – AIEA Valbasento
– Dalla denuncia alla proposta: il progetto partecipativo del Piano Taranto – Un Rappresentante delle Associazioni e dei cittadini che hanno redatto il Piano Taranto: Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, Tamburi Combattenti, Taranto respira, Giustizia per Taranto, Tutta mia la Città, FLMUniti CUB.
– La metodologia del Gruppo di Prevenzione e Igiene Ambientale della Montedison di Castellanza sulla individuazione dei rischi e i loro superamento – Un Rappresentante del Centro per la salute Giulio Maccacaro di Castellanza. Varese
– La non neutralità della scienza ed il ruolo dei tecnici nelle cause per la salute – prof. Annibale Biggeri università di Firenze
– L’impegno di MD nelle cause legali affianca la lotta dei lavoratori e delle popolazioni nelle battaglie per la salute – avv. Laura Mara – Legale di Medicina Democratica
– La lotta per la salute in fabbrica e nel territorio: l’esperienza di Sesto San Giovanni – Michele Michelino – Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio – Milano
– Convivere con l’acciaieria tra malattie e percezione del rischio – Dr.ssa Maria Filomena Valentino – Vicepresidente della sezione ISDE di Taranto
– Il caso delle Fonderie Pisano, la nostra piccola Ilva – Lorenzo Forte – Comitato salute e vita – Salerno
– L’utilità e gli scopi dello sportello salute – Maurizio Loschi – Medicina Democratica – Savona
– Un’esperienza di lotta sul territorio – Rosa Porcu -Associazione Bianca Lancia – Coordinamento Ricerca Partecipata – Manfredonia
– Taranto nelle statistiche di mortalità dei lavoratori e cittadini- Ph.D Stefano Cervellera – Dipartimento Jonico – UniBa – Ufficio Statistica del Comune di Taranto– Peacelink Taranto
– Il disagio lavorativo, le malattie professionali conseguenti ed i contenziosi con l’INAIL – dr. Gino Carpentiero – Avv. Alessandro Rombolà – Sportello Salute Medicina Democratica di Firenze –
– TARANTO, SIDERURGICO E MARINA: le morti invisibili, una verità scomoda – Luciano CARLEO – CONTRAMIANTO E ALTRI RISCHI ONLUS
– Gli strumenti in possesso dei lavoratori per difendere la propria salute – Ing. Marco Spezia – Md la Spezia.
– Dibattito pubblico (max 5 minuti x intervento)
– Conclusioni Marco Caldiroli presidente di MD
fonte: https://www.medicinademocratica.org

Cozze contaminate da diossina e Pcb a Taranto, Ilva nel mirino















Rimane alto a Taranto l’allarme attorno alle cozze, mitili che stanno risentendo in maniera particolare l’inquinamento dell’Ilva e la presenza della diossina, tanto che secondo le analisi effettuate di recente dalla Asl vedono un contenuto di diossina quasi tre volte più elevato al limite stabilito dalla legge.

In particolare, secondo i dati rilevati dalle autorità sanitarie della zona di Taranto, il contenuto di diossina e Pcb come sommatoria nelle cozze allevate nel primo seno del Mar Piccolo è pari a 16,618 picogrammi per grammo di prodotto fresco (pg/gr), rispetto al limite di leggefissato a 6,5 pg/gr dal Regolamento Ue 1259/2011.

Numeri altissimi, soprattutto se confrontati con quelli rilevati un anno fa (giugno 2017) quando si era registrata una concentrazione di 14,881 pg/gr, e di due anni fa (giugno 2016) quando i dati si attestavano ai 11,453 pg/gr. Spiega Luciano Manna dell’associazione eco-pacifista PeaceLink:
I dati della Asl di Taranto aggiornati al 2018 ci consegnano valori preoccupanti con risultati più elevati rispetto a quelli storici rilevati dopo il 2011. I risultati delle analisi relativi ai mesi del 2018 sono più elevati del triennio 2015/2017 se compariamo i dati di ogni mese in relazione a quelli degli stessi mesi del triennio scorso. Questo è un chiaro risultato frutto del bio-accumulo di diossine e pcb che in questi anni ha interessato l’eco-sistema dove vengono allevati i mitili di Taranto: nel Mar Grande e nel Mar Piccolo.


Sempre secondo PeaceLink, vi sarebbero tutti i presupposti per far scattare un’allerta sanitaria sulle cozze, con il primo seno del Mar Piccolo che “va completamente sgomberato” e sottoposto a bonifica immediata, accusa l’associazione.
fonte: http://www.greenstyle.it

Cementir, l’accusa della procura: “Ceneri contaminate nella produzione di cemento”


Ceneri contaminate e pericolose vendute alla Cementir e finite nel ciclo produttivo, quindi nel cemento. È durissima l’accusa della procura di Lecce nei confronti della centrale Enel di Cerano (Brindisi) della Cementir e anche dell’Ilva di Taranto: venivano ceduti al cementificio anche lotti di “loppa d’altoforno”. Nessuno smaltimento speciale come previsto dalla legge ma “riutilizzo“ per la realizzazione di cemento. E così, un costo di produzione diventava un ricavo.  

Una tegola che si abbatte sull’apparato produttivo di Taranto e Brindisi già messo sotto accusa da decenni per le emissioni inquinanti. Questa volta si apre un nuovo capitolo frutto di un’indagine nata ben 5 anni fa.  

Sono 31 le persone indagate per traffico illecito di rifiuti e attività di gestione di rifiuti non autorizzata. Alle tre società sono contestati anche illeciti amministrativi mentre nei confronti dell’Enel è stato disposto anche il sequestro di depositi, titoli, crediti, immobili per più di 523 milioni di euro. Questo sarebbe infatti l’illecito guadagno dell’Enel dovuto allo smaltimento degli scarti di produzione nel cemento. La procura ha predisposto anche il sequestro della centrale, così come della Cementir stessa e della zona loppa d’altoforno e nastri trasportatori dell’Ilva, ma la produzione non si è fermata: «L’uso è consentito - viene scritto nell’ordinanza – per permettere all’azienda di mettersi in regola».  

«I nostri procedimenti sono sempre stati corretti», scrive in una nota l’Enel. «I provvedimenti relativi alla centrale di Enel Produzione riguardano l’uso delle ceneri nell’ambito di processi produttivi secondari», hanno spiegato.  

Ma in conferenza stampa il procuratore di Lecce Leonardo Leone de Castri ha rincarato la dose: «Secondo la nostra ricostruzione accusatoria e quello che emerge dalle intercettazioni, i dirigenti Enel sapevano della circostanza» che le ceneri inviate alla Cementir per la produzione di cemento non erano in regola. «Lo sapevano documentalmente - ha aggiunto - anche perchè l’impianto preposto allo stoccaggio delle ceneri pericolose «c’era, e la cosa secondo noi più grave è che non venisse utilizzato. Ovvero, c’era già tutto quanto fosse possibile per far bene la propria attività in sicurezza e questo non è stato fatto. Per Enel la convenienza stava proprio di «eliminare la procedura di eliminazione del rifiuto». 

L’inchiesta si chiama Araba Fenice, un nome che evoca rinascita dalle proprie ceneri. E proprio come l’essere mitologico, gli scarti della lavorazione della centrale a carbone e dell’acciaieria tornavano a nuova vita. Ma purtroppo l’economia circolare non c’entra: se le ipotesi della procura fossero confermate allora ci troveremmo di fronte a un disastro ambientale. “Nessun danno per la salute”, ha detto il procuratore. Ma ulteriori indagini sapranno dirci se il cemento così prodotto avrà veleni finiti nella filiera dell’edilizia. 

Inquietante un passaggio dell’ordinanza: in base alla perizia effettuata da un consulente della Procura, le materie prime acquistate dall’Ilva e utilizzate da Cementir c’erano scarti di scaglie di ghisa, materiale lapideo, profilati ferrosi, pietrisco e loppa di sopravaglio che «ne inficiano la capacità di impiego allo stato tal quale nell’ambito del ciclo produttivo del cemento». Con quali conseguenze per quel cemento prodotto? E dove è finito quel materiale? Potrebbero emergere problemi di sicurezza? La Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo di rifiuti promette nuove indagini mentre l’utilizzo delle scorie delle attività industriali nei cementifici così come previsto da una legge del 2015, è contestato da tempo, dai Verdi come dal MoVimento 5 Stelle. In particolare la norma che prevede l’utilizzo delle scorie di acciaieria dell’Ilva di Taranto sotto le strade, nelle massicciate ferroviarie e nei recuperi ambientali senza effettuare test su inquinanti. «Grazie a questa norma – denuncia il coordinatore dei Verdi Angelo Bonelli – molti processi sono a rischio e molte indagini possono essere indebolite». 

fonte: http://www.lastampa.it









Ilva di Taranto: rischi neurologici per i bambini. Il nuovo dossier del Ministero













Non solo tumori ma anche rischi neurologici per i cosiddetti bambini dell’Ilva, le vittime più colpite dai veleni della fabbrica a carbone più grande d’Europa.
Un nuovo dossier del Ministero della Salute e presentato mercoledì a Roma. torna a parlare dell’emergenza Taranto. Nei giorni scorsi, vi avevamo dato notizia della scomparsa dell’emendamento secondo cui, il governo avrebbe destinato 50 milioni di euro, per curare i malati tarantini. Soldi letteralmente spariti dalla manovra eppure, sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze dell’Ilva.
Mortalità in aumento, patologie respiratorie,del sistema circolatorio e oggi, anche il riscontro di problemi neurologici sui bambini.

“Per quanto riguarda l’esposizione a metalli con proprietà neurotossiche in fluidi e tessuti di soggetti in età evolutiva (6-11 anni), lo studio dell’Iss di biomonitoraggio e tossicità degli inquinanti presenti a Taranto ha permesso di rilevare una situazione di potenziale presenza di disturbi clinici e preclinici del neurosviluppo nell’area di Taranto, non riconosciuti e non adeguatamente sottoposti ad interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi”, si legge nel dossier.

Una notizia che apre nuovi tristi scenari e che è seguita da qualche polemica. Secondo il team di ricercatori, infatti, “Taranto è inquinata quanto Roma”,sia dal punto di vista della quantità di polveri sottili, che della loro composizione e dell'effetto sulla salute.

"Ma a Roma - ribatte il governatore della Puglia, Michele Emiliano - non sembrano esserci gli stessi problemi riscontrati soprattutto nei quartieri di Tamburi e Paolo VI, a ridosso dello stabilimento".
Ancora sui possibili rischi neurologici per i bambini si legge nel dossier:
"Si tratta di un risultato in linea con i dati epidemiologici mondiali sulle patologie del neurosviluppo comprendenti autismo, disturbi dell'apprendimento e del comportamento, che interessano il 10-15 per cento delle nascite. Ma i disturbi osservati sono maggiormente evidenti nelle aree in prossimità delle emissioni industriali calcolata in riferimento ai camini di emissione Ilva, nelle cui adiacenze insistono anche una raffineria ed un cementificio".
LEGGI qui il dossier completo

fonte: www.greenme.it

A Taranto è allarme anche pesticidi, + 30% malattie sangue. E Peacelink scopre un lago di catrame a ridosso dell'Ilva

Nei giorni scorsi i dati aumento della mortalità per esposizioni a polveri sottili e anidride solforosa, ora quelli della Rep danno in aumento le malattie ematologiche. Intanto Pecelink filma un lago di catrame nei pressi dell'acciaieria
"All'inquinamento del petrolchimico si somma quello agricolo di pesticidi e fertilizzanti". L'emergenza sanitaria e ambientale a Taranto si arricchisce di un nuovo capitolo dopo i dati diffusi dagli specialisti della Rete ematologica pugliese che hanno incontrato a Martina Franca, nel tarantino, i pazienti ematologici della regione. "Il 30% di malattie ematologiche in più: tanto - è stato spiegato - pesa a Taranto il fattore ambientale. Questa tossicità globale fa impennare la prevalenza di tumori e malattie del sangue".

L'incontro, promosso da Novartis, è stato realizzato in collaborazione con l'Ail (Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma onlus). "L'esposizione protratta agli erbicidi e ad altri agenti tossici largamente impiegati in agricoltura nella nostra provincia - ha precisato il dott. Patrizio Mazza, direttore di Ematologia all'ospedale Moscati di Taranto - ha un impatto estremamente dannoso sulla salute di una popolazione già esposta agli agenti inquinanti dell'industria petrolchimica. Le mutazioni geniche indotte sono all'origine del sensibile aumento dei casi di linfomi e delle altre malattie ematologiche, inclusa la mielofibrosi. Già secondo i dati del registro 2006-2010 la prevalenza è più elevata del 30% rispetto alla media nazionale. Ma negli ultimi cinque anni la situazione potrebbe essersi addirittura aggravata".

Nei giorni scorsi lo studio epidemiologico commissionato dalla Regione Puglia aveva evidenziato un aumento della mortalità, rispettivamente, del 4% e del 9%, per esposizioni a polveri sottili (Pm10) e anidride solforosa (So2), e un eccesso di ricoveri per patologie respiratorie tra i bambini residenti nei quartieri Tamburi (+24%) e Paolo VI (+26). Secondo il rapporto "a maggiori livelli produttivi dell'Ilva corrispondono dati di mortalità e di morbilità". Esattamente un mese fa il sindaco di Taranto Ippazio Stefano mostrò ai giornalisti una bozza di ordinanza di chiusura dell'Ilva, sottolineando di aver scritto al ministro della Salute Beatrice Lorenzin chiedendo risposte immediate dopo la presentazione dei dati epidemiologici. Risposte che non sono ancora arrivate.

Ora ci sono i dati della Rete ematologica pugliese (Rep) che testimoniano un significativo aumento di malattie ematologiche proprio a Taranto. "In questo momento, dopo tanti anni, sul fronte dei trattamenti delle malattie mieloproliferative - ha sottolineato il dott. Mazza - si apre uno scenario del tutto nuovo perché la ricerca ha portato allo sviluppo di farmaci intelligenti in grado di inibire in modo mirato il bersaglio mutazionale che causa tali malattie. Si punta, dunque, a una medicina di precisione".

Gli ultimi dati sono emersi nel giorno in cui l'associazione ambientalista Peacelink ha documentato con un video la presenza di un "lago di catrame e pece" affiorante in superficie al confine Nord della proprietà Ilva, nei pressi dell'Abbazia Mater Gratiae. Per il leader dei Verdi Angelo Bonelli si tratta di "una scoperta drammatica e inquietante. Ci troviamo di fronte ad un evento di una gravità inaudita perché la pece di catrame è stata classificata anche come cancerogeno e l'affioramento del catrame dalla falda in superficie indica che l'inquinante ha compromesso irreversibilmente l'ambiente".

fonte: www.ecodallecitta.it

Sarà la cannabis a salvare Taranto dal disastro ambientale dell’Ilva

La pianta riesce a bonificare i terreni contaminati dalla diossina

Sempre più contadini si stanno convertendo alla produzione di cannabis perché è in grado di liberare il terreno dalla diossina intorno all’Ilva

Il libeccio soffia lieve. Fino a qualche anno fa portava nubi rosse, cariche di polvere di ferro. Oggi non più: l’aria è cambiata, odora di mare. La terra invece no, è ancora inquinata dalla diossina. Sul campo della masseria la cannabis cresce sotto il sole d’inizio giugno. Le piante sono alte un metro e mezzo. L’agricoltore punta gli occhi scuri verso le ciminiere dell’Ilva. Dice: «Eccolo il mostro che ci avvelena. Speriamo che la canapa lo circondi e lo soffochi, proprio come fa con le erbe infestanti».

IL MOSTRO D’ACCIAIO
A due chilometri in linea d’aria c’è la più grande acciaieria d’Europa. Un gigante di tubi, altiforni, lamiere, nastri trasportatori e parchi minerali su 15 milioni di metri quadrati. È grande una volta e mezza Taranto. Nel regno del ferro il dominio è delle macchine. L’uomo è residuale, minuto, insignificante. Eppure questa storia è la rivincita dell’uomo. Anzi, di due fratelli: Vincenzo e Vittorio Fornaro. Famiglia tarantina, stirpe contadina, allevatori da tra generazioni. Fino al dicembre 2008, quando la Regione ordina di abbattere le loro 600 pecore perché contaminate dalla diossina dell’Ilva. «È stato il giorno più brutto della mia vita. Quella sera in masseria c’era un silenzio assordante. Eravamo abituati ad addormentarci con il suono del bestiame», racconta Vincenzo. «Il bivio era: andarcene e ricominciare da un’altra parte o rimanere e combattere». Otto anni dopo i Fornaro sono ancora qui. Hanno appeso tre campanacci alla porta della masseria: «Ci ricordano le pecore». Oggi la litania è suonata dal vento.

LA MORIA DI ANIMALI
Le carcasse degli animali, le lacrime, la rabbia, il divieto di pascolo nel raggio di 20 chilometri dalla zona industriale. Sembrava finita. E invece era l’inizio della seconda vita dei Fornaro. L’intuizione giusta arriva dai ragazzi dell’associazione «CanaPuglia»: convertire i terreni alla cannabis per decontaminare i campi. L’allevatore accetta la sfida e riparte dall’unica certezza che gli resta: l’amore per la sua terra. La prima semina avviene nel 2014, circondata da scetticismo. «Sapevo poco della canapa, non è stato facile», racconta Vincenzo. Ma la salute del terreno migliora. Rispuntano erbe selvatiche. Dopo un anno di pausa, due mesi fa, l’ex famiglia di allevatori è tornata a spargere semi di cannabis.

In principio fu Cernobil. A fine anni Novanta una società americana specializzata in biotecnologia ambientale coltiva canapa per decontaminare i terreni radioattivi zuppi di cesio, plutonio, piombo. Funziona. Sono una decina le piante in grado di svolgere questa funzione, dal girasole al pioppo. Le radici della cannabis si rivelano particolarmente adatte a bonificare i terreni avvelenati dalla diossina. In Italia si inizia a parlare di fitorisanamento nei primi anni Duemila. Partono progetti sperimentali. L’iniziativa più avanzata è quella di Taranto. «È un’operazione di bonifica a bassissimo costo rispetto a quelle tradizionali. Ma per i risultati scientifici serve tempo», spiega Marcello Colao, ingegnere dell’Associazione biologi ambientalisti pugliesi. I Fornaro hanno fatto da apripista, altri agricoltori sono pronti a seguire il loro esempio. E ora il sogno si fa più ambizioso: creare una cintura verde di cannabis attorno all’Ilva.

Conviene sgombrare il campo da equivoci: è tutto legale. La cannabis sativa non è una droga. Il Thc è nel limite dello 0,2% consentito dalla legge. Niente principio attivo, niente sballo. Gli usi sono molteplici, dal tessile alla bioedilizia. Il progetto si chiama «Green». L’obiettivo immediato è ripulire i terreni dalla diossina, quello a medio termine creare una filiera. «Taranto può diventare il distretto della canapa del Sud Italia», spiega Gianni Cantele, presidente di Coldiretti Puglia. «È una coltura rustica che non ha particolari pretese nutrizionali. Diversi imprenditori locali sono pronti a convertirsi alla cannabis». Ma dovranno farlo senza l’aiuto della Regione: «I fondi comunitari all’agricoltura sono destinati per la produzione alimentare», frena l’assessore Leonardo Di Gioia.

L’ESASPERAZIONE
«Siamo stufi di aspettare la politica», replica Fornaro. «Con una decina di agricoltori siamo pronti a seminare a canapa 150 ettari». A Taranto esiste già un impianto di prima trasformazione (in Italia sono solo due). Un’azienda locale di materiali edili, la Vibrotek, sta testando un prototipo di calce e canapa. Un gruppo di giovani ragazze vuole usare la fibra per produrre piatti.

Dall’altra parte del Mare Piccolo c’è una città dilaniata dall’atroce dilemma: il diritto alla vita o il diritto al lavoro. Due settimane fa a Taranto è iniziato il processo «Ambiente svenduto». Tra i 44 imputati ci sono i Riva e l’ex governatore Vendola. Lo Stato è finito invece alla sbarra a Strasburgo. La Corte europea dei diritti umani accusa l’Italia di non aver protetto la salute dei cittadini. Come la madre dei fratelli Fornaro. «Un tumore se l’è portata via anni fa», racconta Vincenzo. «A me hanno tolto un rene, sono vivo per miracolo. Ma adesso il vento è cambiato, ci riprendiamo la nostra terra. Stiamo vincendo noi».

fonte: www.lastampa.it

Ilva, Ambiente Svenduto riparte a maggio. Il ministero nasconde i dati allarmanti sulle diossine?

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Il processo Ambiente Svenduto riparte a maggio. 47 gli imputati, tutti rinviati a giudizio (3 sono società che fanno capo alla famiglia Riva). C’è anche Nichi Vendola. Intanto emergono dati clamorosi sulle diossine a Taranto, mai resi noti.
Era stato un errore – la mancanza del nome di un avvocato nella documentazione – a far ripartire da zero il processo.
Si ricomincerà comunque il 17 maggio, a processo ci saranno Fabio e Nicola Riva, su cui pesano accuse gravissime, da associazione per delinquere a disastro ambientale, fino ad avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.
Oltre a loro, sotto accusa tra gli altri anche dirigenti aziendali, dei ministeri, politici, l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola - che dovrà difendersi dall’accusa di pressioni sull'Arpa e sul direttore Giorgio Assennato – e il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, per abuso d’ufficio e per non aver tutelato a dovere i cittadini dall'inquinamento.
Tra gli altri nomi ormai noti, a processo anche l’ex presidente della Provincia di Taranto Giovanni Florido e il responsabile relazioni esterne dell’Ilva Girolamo Archinà: avrebbero fatto pressioni su dirigerti provinciali all'Ambiente perché si aprisse una discarica.
Spuntano intanto alcuni dati sui livelli di diossine a Taranto, dati preoccupanti a fronte di un silenzio sostanziale delle istituzioni. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti non li ha resi noti, dicono dai Verdi, un fatto gravissimo.
“Il Ministro dell’Ambiente deve spiegare all’Italia intera, non solo ai tarantini, perché non ha reso pubblici i dati di rilevamento della diossina a Taranto effettuati con i deposimetri che hanno raggiunto valori drammaticamente eccezionali in modo particolare nel quartiere Tamburi”, scrive su Facebook il leader dei Verdi Angelo Bonelli, che lancia l'allarme anche sui social network.
I dati sono quelli aggiornati al periodo agosto 2013 - febbraio 2015 e raccolti nel quartiere Tamburi: hanno superato i 790 pg I-WHO/mq giorno nel novembre 2014 e oltre 210 pg I-WHO/mq giorno nel febbraio 2015. Valori superiori a tutti i valori del periodo 2008-2011 che avevano raggiunto un intervallo di diossine tra 0.57-45 pg WHO-TE.
Chiedo di sapere le ragioni per cui i dati di rilevamento delle diossine sui terreni attraverso i deposimetri, che è un obbligo dell’autorizzazione integrata ambientale, non sono stati resi pubblici e ancora oggi non lo sono. Perché il ministro dell’Ambiente non ha reso pubblici questi dati perché questo silenzio? La mia considerazione è che l'Italia non ha un ministro dell'Ambiente e che nessuno che ha le leve del comando si occupa di salvare Taranto e i tarantini”, conclude Bonelli.
(qui i documenti che racchiudono i dati)

fonte: www.greenbiz.it

Ilva: la corsa per il salvataggio continua, a discapito dell'ambiente

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Scaduto il termine per presentare le manifestazioni d’interesse per l’Ilva, all’appello compaiono 29 interessati. Già erano pervenute quelle di Marcegaglia e Cdp, tra le altre è arrivata anche quella di ArcelorMittal.

GLI INTERESSATI - Sia Marcegaglia che ArcelorMittal da anni si erano fatte avanti. O meglio, Marcegaglia aveva appoggiato la proposta dell’azienda indiana, ma ora le due manifestazioni d’interesse sono assolutamente separate, con la variabile Cassa Depositi e Prestiti, visto che ha dichiarato di volersi unire eventualmente ad una cordata con un ruolo di minoranza. Tra gli altri “pretendenti” anche il gruppo Arvedi e la Eusider.

VERSO LA CESSIONE - Ora la procedura prevede che le manifestazioni d’interesse siano esaminate in relazione ai requisiti del bando, tra cui compare anche quello di proseguire le attività siderurgiche senza trascurare gli obblighi di tutela ambientale. La cessione sarà completata entro il 30 giugno 2016. La prossima scadenza è comunque quella del 31 marzo, quando – dopo la fase di consulenza di Rothschild – dovranno arrivare le offerte vincolanti. I commissari valuteranno entro il 15 aprile e potranno anche avanzare l’ipotesi di cordate, con l’entrata in scena anche di soggetti terzi.

LA QUESTIONE RISANAMENTO - Ma cosa dovrà garantire chi acquisirà l’Ilva? La Reuters fornisce alcune cifre riassuntive: occorrono almeno 2 miliardi di euro, considerando la manutenzione ormai urgente e il rifacimento dell'Altoforno 5, il più grande d'Europa. E poi c’è il problema degli almeno 4 mila esuberi. Un decreto del governo semplifica leggermente la vita al nuovo proprietario, visto che proroga all'estate 2017 la scadenza per l’"ambientalizzazione" del polo di Taranto e garantisce un prestito ponte da 1,1 miliardi di euro con la garanzia dello Stato. Non solo. Il piano di risanamento ambientale si potrà modificare in base al piano industriale. Tradotto: se cala la produzione, possono essere meno severe anche le prescrizioni di interventi ambientali.


fonte: www.greenbiz.it

Ilva, grazie al M5S le petizioni dei cittadini arrivano in Europa

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La battaglia del Movimento 5 Stelle per la difesa di cittadini di Taranto e lavoratori dell'Ilva arriva al Parlamento europeo. Grazie alla richiesta della portavoce Eleonora Evi due petizioni presentate dai cittadini di Taranto sono state calendarizzate in febbraio e verranno discusse al Parlamento europeo. Le due petizioni esprimono preoccupazione per il grave problema d'inquinamento provocato dallo stabilimento dell'Ilva di Taranto e, in particolare, per l'impatto delle polveri tossiche provenienti dai 70 ettari di parchi minerari, causa di un vero e proprio disastro ambientale.
All'Ilva di Taranto sta crollando tutto. Gli impianti sono ormai al collasso e i lavoratori temono per la loro incolumità. Ecco le ultime notizie arrivate dagli stabilimenti: una nuova perdita di soda da una tubazione, le peripezie di alcuni lavoratori che, per poter accedere a un serbatoio di catrame, devono attraversare il tetto di un altro serbatoio rischiando di cadere, pedane in legno a rischio incendio e la mancanza di coibentazione su una tubazione contenente catrame. Gli operai lamentano, inoltre, condizioni igieniche assurde.
Il Movimento 5 Stelle, tramite la portavoce Rosa D'Amato, ha presentato una segnalazione ad ASL, ARPA, ISPRA, Comune di Taranto e Regione Puglia in cui sono state elencati tutti i deficit strutturali degli stabilimenti. Se queste Istituzioni dovessero latitare, il Movimento 5 Stelle continuerà questa battaglia in difesa dei diritti del lavoratori presentando un esposto alla magistratura.
Il Movimento 5 Stelle chiede che le direttive europee che tutelano la salute dei lavoratori e dei cittadini vengano applicate. Le informazioni messe a disposizione della Commissione Europea hanno evidenziato che l'impianto opera in violazione di diverse condizioni di autorizzazione tese a evitare o ridurre l'inquinamento derivante dai processi di produzione. Le misurazioni hanno mostrato un grave inquinamento non solo dell'aria, ma anche dell'acqua e del suolo. Il più colpito dalla contaminazione è il rione Tamburi nel comune di Taranto.
Il Movimento 5 stelle ha richiesto e ottenuto la calendarizzazione urgente delle due petizioni visto che l'azienda continua a produrre senza ottemperare all'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). La stessa Azienda sanitaria locale della città di Taranto ha addirittura raccomandato di non uscire di casa durante il giorno e di ridurre qualsiasi attività sportiva all'aperto al fine di minimizzare l'esposizione a polveri sottili della popolazione della città. Questa situazione si verifica pressoché ciclicamente in occasione dei cosiddetti «wind days» con vento proveniente da nord-ovest (area industriale). Questa soluzione proposta è ridicola e niente affatto risolutiva del problema perché non è in grado di salvaguardare la salute dei cittadini che sono esposti a inquinanti cancerogeni e teratogeni a dosi costanti tutto l'anno.
Il Movimento 5 Stelle lotta in difesa di cittadini e lavoratori. Il Governo, con l'ennesimo regalo di 800 milioni di aiuti di Stato, protegge solo gli interessi degli imprenditori amici che vogliono comprarsi l'Ilva.

fonte: MoVimento 5 Stelle Europa

I bambini di Taranto vogliono vivere


taranto ilva
TARANTO – “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente”. Queste parole sono scritte sulla porta dell’inferno di Dante. L’immagine che ho davanti agli occhi, invece, rappresenta l’inferno di Taranto. Non un inferno immaginario, dal quale è possibile venir fuori semplicemente chiudendo le pagine di un libro. No, quell’inferno è reale, visibile tutti i giorni e soffoca, strazia i cuori in una morsa di rabbia e dolore, fa stringere i pugni per l’impotenza. Questo è l’inferno in cui vivono i bambini di Taranto, bambini uguali a quelli delle altre città d’Italia, almeno sulla carta perchè nella realtà non è così. I bambini di Taranto non sanno più che il cielo può essere di un azzurro limpido e brillante, sono abituati a vederlo ricoperto da una spessa coltre di fumo color ruggine. I bambini di Taranto devono pensare agli esami medici da fare, per rilevare la presenza di veleni nel loro organismo, invece di giocare sereni. I bambini di Taranto sognano di fuggire via perchè in quell’inferno non ci vogliono più stare. I bambini di Taranto hanno poche ore d’aria pura al giorno, condannati senza aver commesso alcun crimine, espiano la loro pena nell’indifferenza generale.
Perchè dei bambini di Taranto non interessa niente a nessuno. Sono bambini di serie B, immolati sull’altare del profitto, sacrificati per qualche tonnellata d’acciaio. Prendeteli per mano e scendete con loro nell’inferno di Taranto. Parlatene, condividete le foto, fate conoscere al mondo questa vergogna tutta italiana. La vergogna di un paese che non ha cuore i propri bambini, che svende il proprio futuro. Non voltate la testa dall’altra parte perchè questi bambini ne hanno avuta già troppa d’indifferenza. Ora hanno bisogno che qualcuno combatta per loro e per la vita che meritano di avere.

fonte: http://informazioneindipendente.com/

Ilva, otto domande al governo

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Il governo, alla prese con la crisi dell’Ilva, è nel pantano fino al collo per cinque ragioni:
1) non riesce a trovare nessuno disposto ad accollarsi le perdite dell’Ilva: venderla è come vendere debiti a getto continuo;
2) gli impianti non sono stati messi a norma e la Commissione Europea ha avviato una doppia procedura di infrazione;
3) la crisi internazionale dell’acciaio rende l’Ilva una fabbrica che produce ogni anno perdite superiori all’ammontare complessivo degli stipendi dei suoi lavoratori;
4) la Commissione Europea ha avvertito il governo italiano che gli aiuti di Stato all’Ilva non sono consentiti perché falsano la concorrenza le altre acciaierie che non ricevono aiuti di Stato;
5) la magistratura mantiene sotto sequestro gli impianti perché ritenuti pericolosi ed essi potevano continuare a produrre – come ha stabilito la Corte Costituzionale – solo alla condizione che gli interventi di messa a norma fossero tempestivi.
Di fronte a questi cinque formidabili problemi, il governo – con un emendamento al nono decreto Ilva – pensa di uscire fuori dal pantano con due mosse disperate:
A) concedere un ulteriore finanziamento statale di 800 milioni di euro all’azienda (che ha tre miliardi di debiti);
B) spostare al 30 giugno 2017 la messa a norma degli impianti.
Se – come noi non crediamo – quegli ottocento milioni di euro dovessero servire, a detta del governo, «al fine esclusivo dell’attuazione e della realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitarie», come verrebbe risolto il problema dei debiti  che Ilva continua ad accumulare per la crisi del mercato internazionale dell’acciaio? E come potrà giustificare lo spostamento al 30 giugno 2017 della messa a norma degli impianti se essi dovevano essere messi a norma entro il 2015? Si crea un conflitto insanabile sia con la sentenza della Corte Costituzionale (che non concedeva proroghe alla messa a norma degli impianti) sia con la Commissione Europea (che non consente aiuti di Stato).
L’ultima mossa del governo di concedere finanziamenti e proroghe è quindi una mossa disperata e sconclusionata, destinata a scontrasi con le norme nazionali ed europee che non la consentono. Ma è destinata a scontrasi con il più elementare buon senso, in quanto si sta finanziando un’azienda che è decotta e fallita, che non ha futuro e che nessuno vuole prendersi, al di là delle cordate di facciata che avranno vita breve.
Guai a “credere” troppo in una società decotta. Se l’azienda è impantanata in una situazione di crisi grave e irreversibile è grave perseverare in un’attività improduttiva, anziché chiuderne i battenti. A queste conclusioni era giunta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32899 del 26 agosto 2011.
Ci sono domande a cui nessuno fino a ora ha saputo rispondere e crediamo che neppure in futuro qualcuno avrà soluzioni intasca. Proviamo a sintetizzarle in otto domande.
Chi pagherà i tre miliardi di euro debiti che l’Ilva ha accumulato negli ultimi tre anni?
Come farà a pagare tale somma colossale quando deve ancora investire altri miliardi di euro per mettere a norma gli impianti?
Come farà a coprire la vastissima area dei parchi minerali da cui si disperdono ogni giorno le polveri che minacciano i polmoni dei cittadini?
Come farà l’Ilva a bonificare i terreni e la falda che da anni attendono la messa in sicurezza di emergenza?
Come farà a sopravvivere alla crisi strutturale del mercato dell’acciaio che nel 2015 ha fatto crollare del 45 per cento il prezzo internazionale dell’acciaio?
Come mai l’Ilva non ha presentato il bilancio negli ultimi tre anni?
Come mai non ha presentato il piano industriale?
Come è possibile pianificare la messa a norma degli impianti senza avere un bilancio e un piano industriale?
Il governo non sa rispondere a queste otto domande. Il governo Renzi sta pasticciando con improvvisazioni di ogni tipo. Alla fine la soluzione sarà inevitabilmente quella di scaricare i debiti dell’Ilva sugli italiani, con tasse sui contribuenti e mancati pagamenti di fornitori e creditori.
PeaceLink agirà a Bruxelles per fermare questa nuova disperata mossa del governo per guadagnare tempo con un’azienda decotta e inquinante. Al contempo si impegnerà perché a livello regionale venga realizzata una commissione per la riconversione dell’Ilva con un piano B che sfrutti i finanziamenti europei per le aree di crisi industriale.

Alessandro Marescotti, Peacelink
 

Caro Presidente Mattarella

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Medici, ricercatori, scienziati e associazioni si mettono a disposizione (senza proporre ricette, soluzioni o certezze) per affrontare con trasparenza e indipendenza un problema complesso, testimoniando l’urgenza di porre la tutela dei diritti, dell’ambiente e della salute tra le priorità dell’agenda politica. Ecco la lettera indirizzata al Presidente della Repubblica.
Caro Presidente Mattarella,
abbiamo ascoltato ed apprezzato il suo discorso di fine anno, in particolare dove Lei ha toccato il tema dell’inquinamento e delle sue ricadute per la salute.
Il tema è di stringente attualità, specie  in queste settimane di continui superamenti dei livelli di smog ed in cui ci sembra paradossale che non si possa far altro che sperare in un cambiamento delle condizioni climatiche ( come se ”magicamente” con la pioggia gli inquinanti si dileguassero e non ricadessero viceversa al suolo) e sembra che non ci resti altro che confidare nella “benignità” di quella  Natura che viceversa costantemente violiamo.
Proprio a questo proposito, come cittadini italiani, ci rivolgiamo a Lei  per esprimerle tutto il nostro più profondo sgomento e la nostra angoscia per i tempi che stiamo vivendo.
Siamo certamente preoccupati per la mancanza di lavoro e perché non vediamo un futuro per i nostri giovani, ma ancor più ci angoscia la consapevolezza che stiamo compromettendo un bene ancora più prezioso: la loro salute.
Vorremmo tanto continuare a illuderci di vivere nel “Bel Paese”, ma purtroppo così non è:  Lei saprà che l’ultimo rapporto dell’ UE ci pone al primo posto per morti premature in Europa a causa dei livelli di PM2.5, ossidi di azoto, ozono.
Siamo il paese dove la speranza di “vita in salute”  alla nascita (disabilità medio-grave) dal 2004 al 2013  è diminuita di 7 anni nei  maschi e di oltre 10 nelle femmine. Secondo l’ultimo rapporto dei registri tumori (AIRTUM) “Considerando il rischio cumulativo di avere una diagnosi di qualunque tumore, questa probabilità riguarda un uomo ogni due e una donna ogni tre nel corso della loro vita”.
Gli ultimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (ACCIS, Automated Childhood Cancer Information System – IARC), dei quali si attende un aggiornamento proprio quest’anno, hanno tempo fa evidenziato come questo problema sia rilevante anche nei bambini, con un’incidenza di tumori infantili più alta in Italia rispetto alle medie europee sia nella fascia di età 0-14 che in quella 0-19.
Dall’esame del più aggiornato rapporto nazionale AIRTUM emerge, come ricordato in un editoriale pubblicato sulla rivista “Epidemiologia e Prevenzione” nel 2013, che i tassi italiani di incidenza dei tumori in età 0-14 anni continuino ad essere tra i più alti fra i paesi occidentali, nonostante la crescita si sia apparentemente stabilizzata rispetto ai dati precedenti.
A questo si aggiunga la rilevanza di particolari, stridenti e diffuse criticità sanitarie locali da danno ambientale come quelle che caratterizzano i Siti di Interesse Nazionale (SIN), ben descritte dagli studi “SENTIERI” dell’Istituto Superiore di Sanità e valide per tutte le classi età, o i rilevi del recentissimo rapporto dell’ISS sulla Terra dei Fuochi, nel quale si legge che: “Per quanto riguarda la salute infantile è emerso un quadro di criticità meritevole di attenzione, in particolare si sono rilevati eccessi nel numero di bambini ricoverati nel primo anno di vita per tutti i tumori, e, in entrambe le province, eccessi di tumori del sistema nervoso centrale nel primo anno di vita e nella fascia di età 0-14 anni.”
In maniera simile, nell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sulla situazione di Taranto, dove si è registrato un eccesso di incidenza di tumori in età pediatrica del 54% rispetto all’atteso regionale, si ricorda come “l’osservazione di un eccesso di incidenza dei tumori e delle malattie respiratorie fra i bambini e gli adolescenti contribuisce a motivare l’urgenza degli interventi tesi a ripristinare la qualità dell’ambiente”.
A proposito dei SIN è anche importante sottolineare come, nonostante le evidenze epidemiologiche, ci siano ancora, in questo momento, circa sei milioni di italiani che risiedono in aree ad elevato rischio ambientale e sanitario senza che in quasi nessuno di questi luoghi si siano avviate le pratiche di bonifica e risanamento previste dalla legge. In alcuni di questi luoghi (ad esempio Taranto), in assenza di bonifiche si è persino continuato ad insediare nuove sorgenti inquinanti.
Ma quante piccole o grandi  Taranto e quante Terre dei Fuochi ci sono sparse nel nostro paese?
Le evidenze scientifiche dimostrano ampiamente che le sostanze tossiche presenti nell’aria, nei cibi, nelle acque generano un aumento del rischio non solo di cancro o di patologie cardiovascolari, ma anche di tante altre malattie in adulti e bambini: sindrome metabolica, diabeteobesità, patologie neurodegenerative, disturbi dello spettro autisticoinfertilitàabortività spontanea,  (anche per valori di inquinanti abbondantemente al di sotto dei limiti di legge), diminuzione del Quoziente Intellettivo, per non citarne che alcune.
In Europa si calcola che ogni anno si perdano 13 milioni di punti di QI e si contino ben 59.300 casi aggiuntivi diritardo mentale a causa dell’esposizione durante la gravidanza a pesticidi organo-fosforici e che, in definitiva,  per l’esposizione a  sostanze che agiscono come interferenti endocrini i costisanitari conseguenti ammontano a 209 miliardi di euro, pari all’1,23% dell’intero prodotto interno lordo.
L’Italia è il paese europeo che consuma più pesticidi per ettaro di suolo agricolo e la contaminazione nelle falde acquifere superficiali e profonde aumenta a dismisura.
La  testimonianza coraggiosa  di un imprenditore agrozootecnico che vede andare in fumo il lavoro e l’impegno di una vita per la contaminazione del suo terreno da insediamenti petroliferi ci ha letteralmente toccato il cuore e siamo certi che sarà così anche per Lei.
Con il cuore in mano Le vogliamo dunque chiedere se Le sembra sensato che venga chiesto solo  a noi cittadini di avere comportamenti virtuosi (raccolta differenziata/trasporto pubblico/meno riscaldamento nelle case) e nel contempo si attuino politiche energetiche ed industriali che sono contrarie al più elementare buon senso. Alla luce di numerose evidenze scientifiche  che dimostrano la nocività degli inceneritori di rifiuti (compresi quellidi nuova generazione), come si può prevedere di costruire nuovi impianti cheavranno bisogno di enormi quantità di rifiuti da bruciare per almeno 20 anniper ammortizzare i costi, vanificando quindi tutti i nostri sforzi?
E che dire del recente decreto “Sblocca Italia” che, calcolando il “fabbisogno di incenerimento” invece del più sostenibile “fabbisogno di impianti per il recupero di materia” e  superando i vincoli territoriali, consente già a centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti di viaggiare su e giù per l’Italia con l’ovvio aggravio anche dell’inquinamento da traffico?
Come si possono prevedere incentivi agli inceneritori, pari ogni anno ad oltre 500 milioni di euro, per finanziare la produzione di energia da rifiuti e contemporaneamente chiedere ai cittadini di ridurre i rifiuti non riciclabili?
Gli incentivi previsti per gli inceneritori sono superiori al totale dei contributi ricevuti dai Comuni dal CONAI per la raccolta differenziata degli imballaggi.
Non sarebbe più utile, sia dal punto di vista economico che ambientale, prevedere che quella cifra – proveniente dai contributi dei cittadini – fosse utilizzata per promuovere raccolte differenziate di qualità e impianti di recupero e riciclo?
Si stima che un più uso efficiente delle risorse lungo l’intera catena potrebbe ridurre il fabbisogno di fattori produttivi materiali del 17%-24% entro il 2030, con risparmi per l’industria europea dell’ordine di 630 miliardi di euro l’anno.
Chi così legifera non è in linea con quanto chiaramente indicato dalle direttive EU in tema di gestione di rifiuti che pongono il recupero di materia prioritario rispetto al recupero di energia, come è ormai documentato da fiumi di inchiostro.
Chi così legifera sembra non considerare che ogni processo di combustione genera inquinamento atmosferico, rifiuti liquidi e ceneri tossiche (che vengono addirittura destinate alla produzione di cemento) e  continua pervicacemente a premiare l’incenerimento di biomassedi ogni genere, inclusi scarti  animali  fino a ieri destinati a produrre mangimi.
Stiamo assistendo a devastazioni di fiumi per tagli sconsiderati degli alberi destinati a queste centrali e  spuntano come funghi centrali a biogas in cui la materia organica invece di essere restituita ai suoli come compost viene “digerita” in assenza di ossigeno con rischi per ambiente e salute.
Si “dimentica” che così facendo si perde il benefico effetto che l’aumento di sostanza organica nei suoli avrebbe nel contrastare non solo la desertificazione  (che ormai riguarda il 30% dei nostri suoli) ma anche  i cambiamenti climatici, grazie alla  “cattura” della CO2, favorita anche dalla agricoltura biologica.
Per non parlare della follia di trivellare il nostro paese per la ricerca di idrocarburi per mare e per terra i cui effetti devastanti sono ormaiscientificamente ed in modo incontestabile dimostrati: non  è questa l’energia di cui abbiamo bisogno.
A tal proposito la lettera “Energia per l’Italia” indirizzata al Governo da valenti ricercatori e scienziati del nostro paese è rimasta ad oggi senza risposta e così pure le considerazioni dei medici sono rimaste inascoltate.
Sembra che non si voglia prendere coscienza del fatto che la materia sul nostro pianeta è qualcosa di “finito”  e che la vita si è sviluppata grazie ad una fonte esterna, il sole: è quindi a questa fonte inesauribile che dobbiamo rivolgerci per rendere  possibile il proseguimento della vita stessa sulla Terra.
Caro Presidente, l’angoscia che portiamo nel cuore è davvero grande e non ci potremmo perdonare di non avere tentato ogni strada utile a contrastare la follia delle scelte che si vanno operando nel nostro Paese.
Come medici, ingegneri, ricercatori, scienziati, cittadini siamo disponibili a stilare  un manifesto di intenti: “Italia sostenibile e responsabile”, anche perché, coerentemente con gli impegni assunti dal nostro paese al vertice di Parigi, COP 21, non vorremmo che tutto rimanesse, ancora una volta, lettera morta.
Le chiediamo quindi di riceverci, ascoltarci ed approfondire direttamente con noi le questioni che abbiamo sollevato.
Vorremmo anche darLe testimonianza  delle tante esperienze positive e delle tante soluzioni già in essere nel nostro paese, quali ad esempio quelle attuate nei Comuni Virtuosi  che riteniamo dovrebbero essere maggiormente conosciute, valorizzate e premiate.
La ringraziamo per l’attenzione e fiduciosi in un positivo riscontro voglia gradire i nostri più sinceri auguri e saluti.
Gentilini Patrizia Medico oncoematologo Forlì Comitato Scientifico ISDE
Di Ciaula Agostino Medico internista Bari Comitato Scientifico ISDE
Primi Firmatari
Abbondanza Rossella, assistente di studio odontoiatrico, Taranto
Abenavoli Fabio Medico Chirurgo, Roma
Agnoletto Vittorio, Medico del Lavoro,  Milano
Agrusta Domenico, Medico Odontostomatologo, ISDE Taranto
Ancora Antonio Medico di Medicina Generale, ISDE Taranto
Bagnoni Egisto Medico Chirurgo a nome di tutto l’Ordine dei Medici di Pistoia
Bai Edoardo Medico del Lavoro, ISDE Milano
Balzani Vincenzo Docente Emerito di Chimica Università di Bologna, Coordinatore del gruppo di scienziati Energia per l’Italia
Baracca Angelo Docente di Fisica Università di Firenze
Barocci Roberto, Docente Scienze Agrarie, Grosseto
Barone Gennaro, Medico  Psichiatra, ISDE- Campobasso
Bassetti Gianluigi, già Direttore SIAN Cuneo
Beghini Giovanni Medico MMG ISDE Verona
Bellini Alberto Docente Ingegneria Università di Bologna
Belpoggi Fiorella  Direttrice Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni Istituto Ramazzini, Bologna
Benedetti Maria Clorinda Medico Pediatra, Consultori Valle d’Aosta ISDE Valle d’Aosta
Bonaldi Antonio – Medico di Sanità Pubblica e Presidente di Slow Medicine
Bondi Giuliana Medico Veterinario Siena
Borgo Stefania Medico Psichiatra Roma, Giunta Esecutiva  ISDE Italia
Boschini Marco Direttivo Associazione Nazionale Comuni Virtuosi
Bossi Dario  Medico Chirurgo odontostomatologo , Presidente ISDE Trieste
Buiatti Marcello Docente di Genetica ed evoluzione Università di Firenze, Presidente di Res viva, centro di Filosofia della Biologia, Sapienza, Roma, Comitato Scientifico ISDE Italia
Burgio Ernesto, Pediatra, Presidente Comitato Scientifico ISDE
Calgaro Marco Medico MMG – specialista in geriatria Referente ISDE – Novara
Cappelletti Roberto Medico Presidente sezione Trentino ISDE
Castignini Giuliano  Medico Chirurgo fisiatra Costituenda Sez. ISDE Massafra (Taranto)
Carpentiero Gino Medico del Lavoro Firenze
Cavasin Francesco Medico di Medicina Generale e Specialista in Reumatologia Presidente ISDE Treviso
Cavuto Antonio, impiegato Ortona a mare, Chieti
Colella Albina Professore Ordinario di Geologia Università della Basilicata
Cordiano Vincenzo, Medico oncoematologo, Valdagno (VI). Presidente ISDE Vicenza
Costani Gloria Medico MMG Presidente ISDE Mantova
Crosignani Paolo Medico già Primario Unità di Epidemiologia Ambientale Istituto Tumori, Milano, Comitato Scientifico ISDE Italia
Debernardi  Marco Ass.Cult. Pediatri Valle d’Aosta
De Leo Giovanna Avvocato  Terlizzi (Bari)
Del Pup Lino Oncologia Ginecologica Istituto Nazionale Tumori, CRO, Aviano (PN)
Di Giacomo Maria Concetta Medico Internista ISDE Padova
D’Onofrio Silvana Medico MMG Campobasso
Droandi  Lorenzo Medico MMG Arezzo
Erba Paolo Sindaco Malegno Comuni Virtuosi
Falasconi Anna Maria  Medico Pediatra Roma
Formica Massimo Medico MMG Narni, Presidente ISDE Terni
Franceschi Paolo Medico Pneumologo Savona
Frusi Mario Medico Presidente ISDE-Cuneo
Gambale Antonio Ingegnere – esperto sicurezza sul lavoro
Gardini Andrea Medico, Presidente Società Italiana per la Qualità dell’assistenza sanitaria  Trieste
Garetti Gianluca Medico MMG Firenze
Gennaro Esposito ISDE Campania
Gennaro Valerio Medico Epidemiologo Comitato Scientifico ISDE Genova
Ghirga Giovanni  Medico Pediatra Civitavecchia
Girbino Giuseppe Direttore Clinica Malattie Respiratorie Università di Messina Policlinico “G. Martino” pad H
Giuria Roberto medico dentista responsabile SIPNEI
Giusta Federica Medico di famiglia  Borgo S. Dalmazzo Cuneo
Giuliano Maria Concetta, Medico di Medicina Generale, Gravina di Catania (CT)
Grasso Fulvia Oncologo Medico AOSTA membro ISDE Regione Valle d’Aosta
Grandori Luisella Medico Pediatra Modena
Grippa Maria Lorella  – Biologa – Taranto
Guerra Manrico Medico MMG ISDE Parma
Iacono Giovanni Presidente FEDERSANITA’-ANCI Sicilia
Laghi Ferdinando Direttore UOC di Medicina Interna P.O. di Castrovillari (CS) ASP Cosenza Giunta Esecutiva ISDE
Litta Antonella Medico MMG, specialista in reumatologia, referente Isde-Viterbo
Lo Presti Tancredi  Presidente Nazionale 2016  SISM – Segretariato Italiano Studenti in Medicina
Lupo Antonio Medico Ematologo Chiavari
Maddalena Paolo Giurista
Marolla Federico Pediatra Pediatri per Un Mondo Possibile ROMA
Maratona Valter pensionato (ex insegnante) Genova
Mariottini Gian Luigi Biologo e Medico-Chirurgo (Università di Genova)
Masera Giuseppe Pediatra Emato-oncologo Milano Comitato Scientifico ISDE Italia
Massimo Luisa Primario Emerito Istituto Gaslini Genova
Matricadi Giorgio Docente di educazione alla Sostenibilità Genova
Mazzi Gustavo Medico ospedaliero Pordenone ISDE Friuli Venezia Giulia
Migaleddu Vincenzo Medico Radiologo Direttore Scientifico SMIRG no Profit Foundation- Coordinatore ISDE Sardegna
Miserotti Giuseppe Medico MMG Piacenza Giunta Esecutiva ISDE Italia
Missoni Eduardo Medico, Docente di Salute Globale Milano, Comitato Scientifico ISDE Italia
Mercati Massimo Aboca S.p.a.
Mercati Valentino Aboca S.p.a.
Modonesi Carlo professore di Ecologia umana (Ambiente e salute), Università degli Studi di Parma.
Monaco Delio, MD-PhD U.O. Radiologia – Osp. SS. Annunziata, ASL Taranto
Monfredini Roberto Medico Veterinario Modena
Montano Luigi Medico Uroandrologo Responsabile Andrologia ASL Salerno
Murgia Vitalia Medico Pediatra Mogliano Veneto
Novelletto Bruno Franco Medico Presidente ISDE sezione di Padova
Olivieri Luciano Genova
Orbello Gianfranco Medico nefrologo  Presidente ISDE Taranto
Orzes Ezio Comune Ponte nelle Alpi
Padovan Carla Medico (Pediatra di comunità) Pordenone
Padovan Maria Teresa Medico Igienista Gorizia
Pedale Rosa Medico di Medicina Generale Presidente ISDE Foggia
Perrino Pietro già Direttore CNR Bari
Petronio Maria Grazia Medico Igienista Pisa Giunta Esecutiva ISDE Italia
Primavera Giuseppe Medico Pediatra di famiglia (Ass. Cult. Pediatri ACP) Palermo
Rabitti Paolo Ingegnere, Mantova
Ramorino Donatella, Comune Legnago
Reali Laura Medico Pediatra ACP Roma, membro Pediatri per un mondo possibile (PUMP)
Ridolfi Ruggero Medico Oncologo Forlì Presidente ISDE Forlì
Ristagno Rosalba Medico Componente del Consiglio dell’Ordine dei Medici di Messina; Presidente AIDM (Associazione Italiana Donne Medico) sez. Tirreno-S.Stefano C.(ME).
Rivezzi Gaetano Medico Pediatra Caserta Coordinatore ISDE Campania
Romagnoli Carlo Medico referente ISDE Umbria
Romani Gabriele Medico igienista presidente ISDE Modena
Romizi Roberto Medico MMG Presidente ISDE Italia
Rotondo Salvatore  Medico Urologo Messina
Saltalamacchia Luca Avvocato socio dello Studio Legale Saltalamacchia
Salzmann Roberto Medico MMG Campobasso
Santini Ferdinando Medico MMG Pistoia
Sarboraria Marco Medico Rianimatore Osp. Aosta, ISDE Valle d’Aosta.
Sbolgi Patrizia Medico Pediatra Genova
Siddi Elena Medico del Lavoro ISDE Firenze
Stefanini Angelo, Medico, Docente di Sanita’ Pubblica, Bologna
Taffetani Fabio Docente di Botanica Università di Ancona
Tamino Gianni  Docente Biologia Università di Padova, Comitato Scientifico ISDE
Terzano Bartolomeo Medico MMG  Campobasso, Giunta Esecutiva  ISDE Italia
Valerio Federico Chimico Ambientale già ricercatore presso Istituto Nazionale Ricerca Cancro Genova
Vantaggi Giovanni Medico MMG ISDE  Gubbio
Venezi Maurizio Medico Presidente ISDE Perugia
Vernero Sandra, Medico, vicepresidente di Slow Medicine
Vigotti Maria Angela Epidemiologa Pisa
Vinci Emanuele Medico Patologo Clinico Brindisi
Vitiello Elisabetta Biologa Genova
Vitullo Felice, Medico Epidemiologo, Presidente ISDE Chieti
Zambon Paola Medico Epidemiologo Padova
Zarrilli Sergio Medico Pediatra Campobasso

fonte; http://comunivirtuosi.org