Visualizzazione post con etichetta #Diossina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Diossina. Mostra tutti i post

Plastica: tutti gli effetti sulla salute degli interferenti endocrini. Il rapporto di Endocrine Society e Ipen

 










Bisfenolo A e analoghi, ftalati, ritardanti di fiamma, per- e polifluoroalchili (Pfas), diossine, stabilizzanti UV e metalli pesanti come cadmio e piombo: è lunga la lista delle classi di sostanze, ciascuna delle quali contiene decine di composti, presenti nelle plastiche. E praticamente tutte hanno un impatto sulla salute umana. Conseguenze di cui a volte si sa molto, in altri casi molto meno, ma che dovrebbero essere tenute in maggiore considerazione. Così almeno la pensa la Endocrine Society, una società scientifica che riunisce decine di esperti di tutto il mondo, i quali hanno appena pubblicato insieme con i colleghi della Ipen (International pollutants elimination network) un dettagliato rapporto su quanto accertato finora.

Nel documento si legge che molti di questi composti sono interferenti endocrini (Edc), e possono causare cancro, diabete, disordini del sistema riproduttivo, danni allo sviluppo neurologico dei feti e dei bambini. Nonostante ciò, sono ubiquitari e sono presenti nel packaging, nei giocattoli, nei cosmetici, nelle auto, nei materiali per la casa, sono usati nella preparazione di alimenti industriali, oppure si sviluppano nella cottura: è praticamente impossibile non incontrarli nella vita di tutti i giorni. 


Gli interferenti endocrini sono presenti nella gran parte degli oggetti e degli imballaggi di plastica

Ecco allora le principali conclusioni su di essi e sulle altre sostanze contenute nel rapporto, in estrema sintesi:
Oltre 140 tra sostanze o classi di sostanze la cui pericolosità per la salute umana è accertata sono normalmente utilizzate nelle plastiche come antimicrobici, coloranti, ritardanti di fiamma, solventi, stabilizzatori UV e plastificanti;
L’esposizione può avvenire in tutte le fasi del ciclo vitale delle plastiche, dalla sintesi industriale (per chi ci lavora) al contatto e allo smaltimento o riciclo (per chi li usa da consumatore);
Gli interferenti endocrini sono ubiquitari e diversi studi hanno dimostrato che virtualmente ogni abitante della terra ne ha quantità più o meno rilevanti nel proprio organismo;
Le microplastiche contengono additivi che possono essere rilasciati ed entrare in contatto con la popolazione. Inoltre possono formare composti tossici con altre sostanze chimiche presenti nell’ambiente, per esempio nei sedimenti o negli scarichi delle fogne, trasformandosi in vettori di composti tossici;
Le plastiche biodegradabili e le bioplastiche, pubblicizzate come più ecologiche di quelle convenzionali, spesso contengono additivi molto simili, a loro volta interferenti endocrini.

Uno dei problemi più gravi, riguarda l’effetto cocktail, perché ogni giorno siamo tutti esposti a decine di queste sostanze, ma le combinazioni porrebbero avere effetti sconosciuti e determinare comunque il raggiungimento di valori soglia molto prima di quanto si immagini. È quindi indispensabile, secondo gli autori, determinare nuovi limiti di esposizione tenendo conto di questo.


Gli interferenti endocrini della plastica, essendo ubiquitari, possono andare incontro ad effetto cocktail

I governi dovrebbero essere più attivi, e come esempio di questo, il rapporto cita l’iniziativa della Svizzera, che nello scorso mese di maggio ha chiesto l’inclusione dell’UV-328, uno stabilizzante usato nelle plastiche per proteggerle dagli effetti appunto dei raggi UV, nella Convenzione di Stoccolma, cioè nell’elenco internazionale di sostanze che vanno valutate, monitorate e quando è il caso vietate perché potenziali o certi pericoli per la salute.

Secondo alcuni degli autori, inoltre, particolare attenzione andrebbe posta alle sostanze plastiche usate nei processi industriali, visto che si prevede una continua crescita del loro utilizzo (del 30-36% nei prossimi sei anni a livello mondiale).

È imperativo – concludono – adottare politiche globali il più possibile standardizzate e omogenee finalizzate all’eliminazione degli interferenti endocrini dalle materie plastiche nelle sintesi, così come al riciclo o all’incenerimento di quanto resta dopo l’utilizzo. Anche perché gli Edc e le altre sostanze pericolose pongono interrogativi molto pesanti sulla salute delle future generazioni, visto che iniziano ad avere effetto già sullo sviluppo fetale e dato che restano nell’ambiente a tempo indeterminato. Ne sanno qualcosa i Paesi più poveri, che pagano il prezzo dell’assenza di regole internazionali stringenti: è lì che molti altri Paesi, più ricchi e industrializzati, trasportano i loro rifiuti dannosi, senza preoccuparsi delle conseguenze sull’ambiente e sulla salute di chi ci abita.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

EM: Ottenuto brevetto Bonifca Terreni



Buongiorno cari amici degli EM, condividiamo con Voi questo grande successo! Che i microrganismi fossero efficaci per la bonifica dei terreni (e non solo...) da sostanze inquinanti quali PCB, diossine, metalli pesanti (e non solo...) lo avevamo già verificato praticamente, con la bonifica di un terreno inquinato nei pressi della famigerata area ex-Caffaro nel bresciano.

Bene, quei risultati hanno portato all'ottenimento di un brevetto, che sancisce l'efficacia del nostro metodo di bonifica dei terreni inquinati!

Eccone l'attestato appena ricevuto!

Ora non ci resta... che continuare il nostro lavoro... grazie agli EM, ma con un riconoscimento in più!


fonte: http://www.italiaem.it



Diossine e relativi PCB: aggiornato il livello di assunzione tollerabile











L'EFSA ha confermato le conclusioni di valutazioni precedenti secondo cui l'esposizione alimentare a diossine e PCB (policlorobifenili) diossina-simili (inquinanti ambientali presenti a bassi livelli in alimenti e mangimi) costituisce un problema per la salute. I dati pervenuti da Paesi europei indicano un superamento del nuovo livello EFSA di assunzione tollerabile in tutte le fasce d’età.
Diossine e PCB diossina-simili sono sostanze chimiche tossiche che permangono nell'ambiente per anni e si accumulano a bassi livelli nella catena alimentare, di solito nei tessuti grassi degli animali. Negli ultimi 30 anni la loro presenza in alimenti e mangimi è diminuita grazie alle azioni intraprese dalle autorità pubbliche e dall'industria.
Il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) ha portato a termine la prima valutazione completa dell'Autorità sui rischi per la salute umana e animale connessi a queste sostanze presenti in alimenti e mangimi. La Commissione europea ha richiesto all'EFSA tale valutazione dei rischi dopo la revisione EFSA 2015 delle differenze tra i livelli di assunzione tollerabili stabiliti da vari organismi scientifici consultivi.
Nuova assunzione tollerabile
La valutazione del rischio ha considerato gli effetti osservati nell’uomo, utilizzando dati ottenuti da test su animali come evidenze di sostegno. L'EFSA ha discusso il proprio approccio scientifico, compreso il ricorso a studi sull’uomo ('epidemiologici'), con partner nazionali dei Paesi europei per contribuire a far comprendere meglio metodi e dati impiegati.
Il dott. Ron Hoogenboom, membro del gruppo di esperti scientifici CONTAM e presidente del gruppo di lavoro sulle diossine, ha dichiarato: "Il gruppo di esperti scientifici ha stabilito una nuova assunzione settimanale tollerabile [DST] per diossine e PCB diossina-simili negli alimenti di 2 picogrammi* per chilogrammo di peso corporeo”.
La nuova DST è di sette volte inferiore alla precedente dose tollerabile UE, stabilita nel 2001 dal disciolto Comitato scientifico per l'alimentazione umana della Commissione europea.
“Motivi principali dell’abbassamento sono stati la disponibilità di nuovi dati epidemiologici e sperimentali da animali circa la tossicità di queste sostanze e la disponibilità di tecniche di modellazione più precise per prevederne i livelli di accumulo nell’organismo umano nel corso del tempo”.
Diminuita qualità dello sperma
"La nuova DST è protettiva rispetto ad effetti sulla qualità dello sperma, un effetto nocivo sulla salute riscontrato nel sangue umano ai livelli minimi di questi contaminanti ", ha aggiunto il dott. Hoogenboom.
La DST è inoltre protettiva rispetto ad altri effetti osservati in studi condotti su soggetti umani: percentuale inferiore di nascite di sesso maschile rispetto a quelle di sesso femminile, livelli più elevati di ormoni tireostimolanti nei neonati e difetti nello sviluppo dello smalto dentale.
In tutte le fasce d’età l'esposizione supera la DST
I principali alimenti che contribuiscono all'esposizione alimentare media per la maggior parte delle fasce d’età nei Paesi europei sono il pesce (in particolare quello grasso), i formaggi e la carne di animali allevati.
Il dr Hoogenboom ha poi aggiunto: “Le esposizioni medie ed elevate erano rispettivamente fino a cinque e 15 volte la nuova DST in adolescenti, adulti e anziani. Nei bambini piccoli e in altri bambini fino a 10 anni di età si è visto un simile spettro di superamento della DST“.
Raccomandazioni del gruppo di esperti scientifici
“Tali superamenti sono un problema per la salute, ma è possibile che la tossicità dei PCB diossina-simili più pericolosi sia stata sovrastimata”, ha dichiarato il dottor Hoogenboom. “Per il calcolo della tossicità di sostanze come queste usiamo valori detti 'fattori di equivalenza tossica' (TEF in breve), concordati a livello internazionale. Alla luce dei nuovi dati scientifici, il gruppo di esperti scientifici sarebbe favorevole a una revisione dei TEF sia per le diossine sia per i PCB diossina-simili. Se venisse confermato che tali sostanze sono meno tossiche, i timori per la salute dei consumatori ne uscirebbero ridimensionati”.
Ricadute del parere EFSA
Per garantire un elevato livello di protezione dei consumatori, la Commissione europea e gli Stati membri dell'UE discuteranno le misure di gestione del rischio conseguenti al parere scientifico dell'EFSA.
* Un picogrammo è un trilionesimo (o10−12di un grammo.
Per ulteriori informazioni:
Le diossine sono sottoprodotti indesiderati originati da processi termici e industriali. I PCB trovavano numerose applicazioni industriali prima di essere banditi dall’UE alla fine degli anni '80. Dodici PCB vengono detti "PCB diossina-simili" poiché hanno proprietà tossicologiche comuni alle diossine. Vedi anche il nostro Approfondimento su diossine e PCB diossina-simili.

fonte: http://www.efsa.europa.eu

Cozze contaminate da diossina e Pcb a Taranto, Ilva nel mirino















Rimane alto a Taranto l’allarme attorno alle cozze, mitili che stanno risentendo in maniera particolare l’inquinamento dell’Ilva e la presenza della diossina, tanto che secondo le analisi effettuate di recente dalla Asl vedono un contenuto di diossina quasi tre volte più elevato al limite stabilito dalla legge.

In particolare, secondo i dati rilevati dalle autorità sanitarie della zona di Taranto, il contenuto di diossina e Pcb come sommatoria nelle cozze allevate nel primo seno del Mar Piccolo è pari a 16,618 picogrammi per grammo di prodotto fresco (pg/gr), rispetto al limite di leggefissato a 6,5 pg/gr dal Regolamento Ue 1259/2011.

Numeri altissimi, soprattutto se confrontati con quelli rilevati un anno fa (giugno 2017) quando si era registrata una concentrazione di 14,881 pg/gr, e di due anni fa (giugno 2016) quando i dati si attestavano ai 11,453 pg/gr. Spiega Luciano Manna dell’associazione eco-pacifista PeaceLink:
I dati della Asl di Taranto aggiornati al 2018 ci consegnano valori preoccupanti con risultati più elevati rispetto a quelli storici rilevati dopo il 2011. I risultati delle analisi relativi ai mesi del 2018 sono più elevati del triennio 2015/2017 se compariamo i dati di ogni mese in relazione a quelli degli stessi mesi del triennio scorso. Questo è un chiaro risultato frutto del bio-accumulo di diossine e pcb che in questi anni ha interessato l’eco-sistema dove vengono allevati i mitili di Taranto: nel Mar Grande e nel Mar Piccolo.


Sempre secondo PeaceLink, vi sarebbero tutti i presupposti per far scattare un’allerta sanitaria sulle cozze, con il primo seno del Mar Piccolo che “va completamente sgomberato” e sottoposto a bonifica immediata, accusa l’associazione.
fonte: http://www.greenstyle.it

Terra dei fuochi. Fumo nero su Caivano, rifiuti e interessi criminali ci uccidono




















Mercoledì, tarda mattinata. Un’immensa nuvola di fumo nero oscura il cielo di Caivano e paesi limitrofi. Si vede da Napoli, da Caserta, dall’autostrada. Qualcosa di grave sta succedendo, qualcosa che da anni si ripete in questo nostro territorio martoriato. La gente, per intuito, si chiude in casa, mette al riparo i figli: l’aria in breve tempo si è fatta irrespirabile. 


Mercoledì, tarda mattinata. Un’immensa nuvola di fumo nero oscura il cielo di Caivano e paesi limitrofi. Si vede da Napoli, da Caserta, dall’autostrada. Qualcosa di grave sta succedendo, qualcosa che da anni si ripete in questo nostro territorio martoriato. La gente, per intuito, si chiude in casa, mette al riparo i figli: l’aria in breve tempo si è fatta irrespirabile. 
L'intervento è davvero difficile (Ansa)
L'intervento è davvero difficile (Ansa)
Sui social compaiono le prime foto. Il rogo è enorme. È andata in fiamme un’azienda che lavora al riciclo della carta e della plastica. In questi ultimi due anni sono centinaia queste aziende che vanno prendendo fuoco. Nessuno può dire se si tratti di un incendio doloso o di un incidente.
Una cosa è certa: l’immondizia, in un modo o in un altro, ci sta rendendo invivibile la vita. Che cosa sta accadendo? Parlando di se stesso, un camorrista dice: faccio parte del “sistema”. Ecco, il sistema. C’è un sistema, un ingranaggio, un modo di ragionare, di agire cui ho aderito. Credo che anche per quanto riguarda la raccolta, lo smaltimento, il trattamento, il riciclo dei rifiuti siamo entrati in una sorta di sistema maledetto che mette al riparo il singolo industriale e rovina l’esistenza a una folla di persone di cui è impossibile sapere il numero.
Che effetti avrà la diossina sprigionatosi per tutto il pomeriggio di mercoledì dalla zona industriale di Caivano? Una volta spento il rogo tutto passerà nel dimenticatoio. Ci sono azioni cattive che vengono punite, altre che resteranno per sempre in una sorta di limbo legale. Io non so se questo ennesimo incendio sia doloso, non sta a me dirlo, dico solo che mi viene sempre più difficile credere, in questi casi, che si tratti di incidenti. 
Le operazioni per spengere le fiamme sono andate avanti a lungo (Kontrolab)
Le operazioni per spengere le fiamme sono andate avanti a lungo (Kontrolab)
La recente legge sugli ecoreati infatti punisce severamente chi appicca i roghi, ma non prevede alcuna punizione se a bruciare sono rifiuti plastici ammassati in quantità enormi, in modo dissennato, in aziende legali in attesa di essere smaltiti o trattati. Per cui viene il sospetto che ai roghi piccoli - che bruciavano all’aperto – si siano sostituiti i roghi giganti, incredibilmente e dolorosamente “legali”. In questa tristissima storia dei rifiuti c’è sempre qualcosa che non torna, una sorta di anello mancante.
L’incendio che ci ha rapinato l’aria e la gioia di vivere mercoledì scorso, se ancora ce ne fosse bisogno, è l’ennesima prova che “Terra dei fuochi” non è più solo un luogo ma un fenomeno che riesce sempre di più ad uscire dalla macchia e ammantarsi di legalità. E non c’è niente di più terribile per il popolo indifeso che essere colpiti e affondati da un nemico “legale”.
Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, conosce molto bene questo meccanismo perverso. Da lui ci apettiamo molto. Dove c’è la “monnezza”, in un modo o in un altro, c’entra la camorra. Per impaurire, per affossare, per consigliare. A volte degli industriali è nemica e pretende il pizzo, altre volte diventa loro buona amica e il pizzo lo incassa senza far rumore, altre volte ancora arriva ad essere loro socia in affari. 
Il fumo si vede da molto lontano (Kontrolab)
Il fumo si vede da molto lontano (Kontrolab)
Questo nostro popolo ne ha subito tante. È stanco, amareggiato, deluso. È arrabbiato. Ha paura. C’è bisogno di più Stato. O, meglio, c’è bisogno che lo Stato in “Terra dei fuochi” si decida a fare lo Stato. Uno Stato attento, vicino, che sa ascoltare e al momento intervenire. Che punisce severamente chi deve essere punito e si fa custode attento dei suoi cittadini. La domanda è sulla bocca di tutti: come è possibile ammassare tonnellate e tonnellate di materiali altamente infiammabili in un sito senza prevedere un sistema antincendio funzionante e all’avanguardia? I Vigili del fuoco non stanno dietro la porta e le autobotti in questi casi somigliano a minuscoli secchi d’acqua. Occorre bloccare il sistema. È un sistema disumano, che uccide. Ingiusto. Un sistema che premia gli scaltri e abbatte gli onesti.

Don Maurizio Patriciello

fonte: www.avvenire.it

Analisi dei suoli: confronto tra valori di fondo e valori eventi


















La conoscenza del contenuto di diossine, furani, policlorobifenili e idrocarburi policiclici aromatici nei suoli e la definizione di valori di riferimento da utilizzare per la valutazione degli impatti di incendi di impianti o depositi sono alcuni degli obiettivi dello studio di Arpa Veneto
L’accumulo nei terreni di questi composti può avvenire in modi diversi, tra cui i più importanti sono la deposizione atmosferica di emissioni da impianti o da traffico e la distribuzione nelle attività agricole di sostanze fertilizzanti o antiparassitarie. La conoscenza del contenuto di inquinanti organici nel suolo può quindi fornire informazioni utili sul livello di inquinamento diffuso e sugli elementi per valutare eventuali rischi connessi alla gestione dei suoli sia agricoli che urbani.
Alcuni dati e risultati del monitoraggio
Il monitoraggio è iniziato nel 2011. I campionamenti sono stati eseguiti in parte in prossimità di particolari fonti di pressioni ambientali legate a processi di combustione (fonderie, cementifici, inceneritori, ecc.), mentre nel restante territorio regionale i punti sono stati distribuiti secondo una griglia con densità di circa 1 campione per 100 km2. Il campionamento è avvenuto attraverso l’individuazione di aree il più omogenee possibile per le caratteristiche pedologiche e di coltivazione. All’interno di ciascun sito selezionato, è stato effettuato un campionamento sistematico su un’area di circa 4000 metri quadrati.
La profondità di campionamento è stata diversa in relazione all’uso del suolo e alla possibile miscelazione dell’orizzonte superficiale dovuto all’aratura in area agricola. Tutti i campioni sono stati analizzati dal laboratorio ARPAV.
Per il parametro Diossine e Furani sono stati campionati e analizzati 129 siti, e solo in un caso si è riscontrato un valore superiore al limite previsto per le aree residenziali (10 ng I-TE/ kg). Circa il 50% dei campioni raccolti all’interno del progetto hanno concentrazioni inferiori a 0,5 ng I-TE/kg un valore vicino al limite di rilevabilità. Alcuni valori determinati nei campioni raccolti sono degni di attenzione, perché sebbene al di sotto dei limiti di legge, presentano concentrazioni anomale rispetto alla popolazione dell’intero database. L’elaborazione statistica dei dati ha permesso di individuare valori di riferimento per i suoli delle aree agricole (1,1 ng/kg) e urbane (3,1).
Per il parametro Policlorobifenili (PCB) sono stati campionati 113 siti. La maggior parte dei dati è inferiore a 0,005 mg/kg che significa molto vicino al limite di rilevabilità, tutti i dati sono inferiori a 0,03 mg/kg(il limite di legge per la zona residenziale è 0,06 mg/kg). L’elaborazione statistica dei dati ha permesso di individuare valori di riferimento per i suoli delle aree agricole (4 microg/kg) e urbane (13,2).
Per il parametro Idrocarburi aromatici policiclici (IPA) sono stati campionati 131 siti. Non è stato osservato alcun superamento del limite di legge (10 mg / kg). L’85% dei campioni prelevati ha presentato concentrazioni inferiori al limite di rilevabilità, tanto che non è stato possibile applicare l’elaborazione statistica per la definizione di valori di riferimento.
Dal confronto tra i dati raccolti nel corso del monitoraggio e quelli rilevati dall’analisi dei terreni prelevati in prossimità di incendi rilevanti verificatisi nel territorio veneto, si è potuto concludere che:
  • diossine/IPA/PCB nei terreni analizzati in prossimità di incendi sono presenti a livelli normali, cioè sempre ben al di sotto dei valori di riferimento individuati
  • eventuali concentrazioni rilevate al di sopra di tali valori sono dovute a cause diverse dall’incendio
  • gli apporti di Diossine/IPA/PC a seguito di un incendio non sono in grado di modificare la concentrazione presente nei suoli
la sezione web dedicata sul sito Arpav
a cura di: Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche
fonte: https://ambienteinforma-snpa.it

Evitar diossine con il riciclo.


I quarantotto inceneritori con recupero energetico, che erano in funzione in Italia nel 2013, hanno trasformato in cenere 5,4 milioni di tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati, frazioni secche non riciclabili, combustibili da rifiuto.
Questi impianti, a causa delle inevitabili complesse reazioni che avvengono nelle combustioni, hanno anche trasformato parte dei rifiuti trattati in diossine e furani, molecole molto pericolose per i loro effetti tossici a dosi estremamente basse  e per la la loro elevata persistenza nell'ambiente.

Nonostante i sofisticati sistemi adottati dai moderni inceneritori per depurare i fumi, nel corso del 2013 , 0,75 grammi di diossine e furani, calcolati come tossicità equivalente alla diossina più pericolosa ( I-TEQ) sono state immesse in atmosfera dai camini degli inceneritori e, una volta ricadute al suolo, si concentreranno, inevitabilmente, lungo la catena alimentare e, in parte arriveranno nelle nostre tavole.

L'emissione annuale di 0,75 grammi I-TEQ di " diossine" equivale alla emissione giornaliera di 2 miliardi di picogrammi di questi compost.

Il picogrammo è la miliardesima parte del grammo, una quantità che può sembrare insignificante, ma unità di misura così piccole devono essere usate per stimare l'estrema pericolosità delle diossine.

Infatti la dose giornaliera di diossine, assunte attraverso il cibo, che l'Organizzazione Mondiale della Salute e la Commissione Europea  giudica tollerabile è di 2 picogrammi, per chilo di peso corporeo.

Questo significa che per un adulto di 70 chili, l'assunzione giornaliera di 140 picogrammi I-TEQ di diossine è tollerata, anche se non è esente da effetti.

Pertanto, anche se tutti i 48 inceneritori italiani, per ogni tonnellata di rifiuto trattato, emettono quantità di diossine nettamente inferiori rispetto ad impianti realizzati intorno agli anni '80 e '90, gli attuali 2 miliardi di picogrammi I -TEQ, emessi giornalmente dai "termovalorizzatori" italiani, nel pieno rispetto delle autorizzazioni, corrispondono alla dose tollerabile giornaliera di 14,6 milioni di abitanti adulti.

Ovviamente non tutta la diossina prodotta finirà sulle tavole degli italiani, ma chi risiede nelle area di ricaduta dei fumi degli inceneritori e consuma alimenti prodotti a chilometro zero, in particolare uova, latte, carne corre rischi evitabili grazie ad altre scelte possibili.

Nel 2015, nonostante i gravi ritardi nel conseguimento degli obbiettivi di legge di raccolta differenziata (alla fine del 2012 avremmo dovuto differenziare il 65% dei nostri scarti e siamo intorno al 42%) abbiamo differenziato e riciclato 3,1 milione di tonnellate di carta e cartone, 5,7 milioni di tonnellate di frazione umida, 0,45 milioni di tonnellate di plastiche.

Il riciclo di tutti questi scarti ha avuto il vantaggio di non produrre diossine e furani, effetto indesiderato della combustione.

Ma quante diossine abbiamo evitato attuando il riciclo, invece della "termovalorizzazione"?

Il conto è presto fatto: la termovalorizzazione di una tonnellata di rifiuti nel più moderno impianto italiano, produce 0,02 microgrammi (milionesimi di grammo ) I-TEQ di diossine.

Se i 9,25 milioni di tonnellate di carta, umido e plastiche che abbiamo immesso in nuovi cicli produttivi fossero stati termovalorizzati, oggi, nel nostro ambiente, avremmo annualmente 0,185 grammi I-TEQ di diossine in più, un aumento del 24,6%.

Insomma, grazie all'attenzione di tanti cittadini che hanno separato con cura i loro scarti, abbiamo un ambiente molto meno inquinato.

Ambiente che potremmo ulteriormente migliorare con il raggiungimento del 65 % di raccolta differenziata, grazie al Porta a Porta e con efficaci politiche di riduzioni alla fonte ( vuoto a rendere, riduzione degli sprechi alimentari, compostaggio domestico...).

Inutile sottolineare che se riesce ad andare in porto il decreto "Sblocca Italia" del governo Renzi, che ci vuole imporre 35 nuovi inceneritori, la raccolta differenziata restera' al palo e la quantità di diossine immesse nell'ambiente, a causa della termovalorizzazione dei nostri scarti, inevitabilmente aumenterà.
 
fonte: http://federico-valerio.blogspot.it

Vecchio stupidario per nuovi inceneritori: il traffico inquina di più


Mettiamo noi le centraline!

E' ormai un classico.

Ogni volta che si vuole imporre un inceneritore, c'è il personaggio di turno che racconta che "non c'è da preoccuparsi, l'inceneritore inquina meno di qualche macchina".

Nel tempo, a sostenere questa schiocchezza, si sono succeduti il presidente Berlusconi, il sindaco di Genova Pericu, il presidente Commissione Ambiente Realacci...

Oggi, per far digerire l'impianto che dovrebbe trattare  198.000 tonnellate  l'anno, nella Piana di Firenze, a pronunciare questa schiocchezza, almeno da quanto riportato sui giornali, sono la prof.ssa Loredana Musumeci, direttore del dipartimento Ambiente dell'Istituto Superiore di Sanità- "Impianti come questo inquinano meno del traffico"- e la società Quadrifoglio che gestisce i rifiuti fiorentini -"Quando siamo fermi ai semafori ne respiriamo molta di più"- con riferimento alle diossine.

E evidente che tutti questi personaggi non si sono letti i numerosi documenti su questo tema che ho pubblicato in rete fin dal lontano 2004 ma, evidentemente, non si sono neanche presi la briga di verificare quante diossine emette l'attuale parco veicolare italiano, consultabile nel sito SINANET di Ispra Ambiente.

Nel 2014, in media, per ogni chilometro percorso lungo il nostro Paese, una  vettura a benzina  ha emesso 0,00467 nanogrammi di diossine; più inquinanti le solite vetture diesel: 0,01690 nanogrammi di diossine per chilometro.

Le statistiche fiorentine ci dicono che il 90% delle vetture immatricolate in questa città percorre meno di 60 chilometri al giorno.

Pertanto una autovettura diesel che, girando per Firenze e dintorni, percorre 50 chilometri, rilascia lungo le strade percorse  0,845 nanogrammi di "diossine".

L'inceneritore della Piana Fiorentina, al meglio delle sue prestazioni (concentrazione di diossine nei fumi a metà del valore autorizzato) emetterà giornalmente sulla Piana, 204.000 nanogrammi di diossine.

Pertanto l'emissione giornaliera di diossine dell'inceneritore corrisponde alle emissioni giornaliere di diossine da parte di 241.420 autovetture diesel in giro per la stessa Piana.

Per capire cosa significano questi numeri e quanto sia stupido confrontare l'inquinamento prodotto dal traffico con quello di un inceneritore è il caso di ricordare che nel 2009 tutte le autovetture circolanti a Firenze (diesel e a benzina) erano 205.543.

Quindi, se mai l'inceneritore nella Piana  si farà, i fiorentini oltre all'inquinamento da traffico subiranno anche l'inquinamento di questo impianto assolutamente evitabile.

Non mi sembrano scelte lungimiranti. 


Sarà la cannabis a salvare Taranto dal disastro ambientale dell’Ilva

La pianta riesce a bonificare i terreni contaminati dalla diossina

Sempre più contadini si stanno convertendo alla produzione di cannabis perché è in grado di liberare il terreno dalla diossina intorno all’Ilva

Il libeccio soffia lieve. Fino a qualche anno fa portava nubi rosse, cariche di polvere di ferro. Oggi non più: l’aria è cambiata, odora di mare. La terra invece no, è ancora inquinata dalla diossina. Sul campo della masseria la cannabis cresce sotto il sole d’inizio giugno. Le piante sono alte un metro e mezzo. L’agricoltore punta gli occhi scuri verso le ciminiere dell’Ilva. Dice: «Eccolo il mostro che ci avvelena. Speriamo che la canapa lo circondi e lo soffochi, proprio come fa con le erbe infestanti».

IL MOSTRO D’ACCIAIO
A due chilometri in linea d’aria c’è la più grande acciaieria d’Europa. Un gigante di tubi, altiforni, lamiere, nastri trasportatori e parchi minerali su 15 milioni di metri quadrati. È grande una volta e mezza Taranto. Nel regno del ferro il dominio è delle macchine. L’uomo è residuale, minuto, insignificante. Eppure questa storia è la rivincita dell’uomo. Anzi, di due fratelli: Vincenzo e Vittorio Fornaro. Famiglia tarantina, stirpe contadina, allevatori da tra generazioni. Fino al dicembre 2008, quando la Regione ordina di abbattere le loro 600 pecore perché contaminate dalla diossina dell’Ilva. «È stato il giorno più brutto della mia vita. Quella sera in masseria c’era un silenzio assordante. Eravamo abituati ad addormentarci con il suono del bestiame», racconta Vincenzo. «Il bivio era: andarcene e ricominciare da un’altra parte o rimanere e combattere». Otto anni dopo i Fornaro sono ancora qui. Hanno appeso tre campanacci alla porta della masseria: «Ci ricordano le pecore». Oggi la litania è suonata dal vento.

LA MORIA DI ANIMALI
Le carcasse degli animali, le lacrime, la rabbia, il divieto di pascolo nel raggio di 20 chilometri dalla zona industriale. Sembrava finita. E invece era l’inizio della seconda vita dei Fornaro. L’intuizione giusta arriva dai ragazzi dell’associazione «CanaPuglia»: convertire i terreni alla cannabis per decontaminare i campi. L’allevatore accetta la sfida e riparte dall’unica certezza che gli resta: l’amore per la sua terra. La prima semina avviene nel 2014, circondata da scetticismo. «Sapevo poco della canapa, non è stato facile», racconta Vincenzo. Ma la salute del terreno migliora. Rispuntano erbe selvatiche. Dopo un anno di pausa, due mesi fa, l’ex famiglia di allevatori è tornata a spargere semi di cannabis.

In principio fu Cernobil. A fine anni Novanta una società americana specializzata in biotecnologia ambientale coltiva canapa per decontaminare i terreni radioattivi zuppi di cesio, plutonio, piombo. Funziona. Sono una decina le piante in grado di svolgere questa funzione, dal girasole al pioppo. Le radici della cannabis si rivelano particolarmente adatte a bonificare i terreni avvelenati dalla diossina. In Italia si inizia a parlare di fitorisanamento nei primi anni Duemila. Partono progetti sperimentali. L’iniziativa più avanzata è quella di Taranto. «È un’operazione di bonifica a bassissimo costo rispetto a quelle tradizionali. Ma per i risultati scientifici serve tempo», spiega Marcello Colao, ingegnere dell’Associazione biologi ambientalisti pugliesi. I Fornaro hanno fatto da apripista, altri agricoltori sono pronti a seguire il loro esempio. E ora il sogno si fa più ambizioso: creare una cintura verde di cannabis attorno all’Ilva.

Conviene sgombrare il campo da equivoci: è tutto legale. La cannabis sativa non è una droga. Il Thc è nel limite dello 0,2% consentito dalla legge. Niente principio attivo, niente sballo. Gli usi sono molteplici, dal tessile alla bioedilizia. Il progetto si chiama «Green». L’obiettivo immediato è ripulire i terreni dalla diossina, quello a medio termine creare una filiera. «Taranto può diventare il distretto della canapa del Sud Italia», spiega Gianni Cantele, presidente di Coldiretti Puglia. «È una coltura rustica che non ha particolari pretese nutrizionali. Diversi imprenditori locali sono pronti a convertirsi alla cannabis». Ma dovranno farlo senza l’aiuto della Regione: «I fondi comunitari all’agricoltura sono destinati per la produzione alimentare», frena l’assessore Leonardo Di Gioia.

L’ESASPERAZIONE
«Siamo stufi di aspettare la politica», replica Fornaro. «Con una decina di agricoltori siamo pronti a seminare a canapa 150 ettari». A Taranto esiste già un impianto di prima trasformazione (in Italia sono solo due). Un’azienda locale di materiali edili, la Vibrotek, sta testando un prototipo di calce e canapa. Un gruppo di giovani ragazze vuole usare la fibra per produrre piatti.

Dall’altra parte del Mare Piccolo c’è una città dilaniata dall’atroce dilemma: il diritto alla vita o il diritto al lavoro. Due settimane fa a Taranto è iniziato il processo «Ambiente svenduto». Tra i 44 imputati ci sono i Riva e l’ex governatore Vendola. Lo Stato è finito invece alla sbarra a Strasburgo. La Corte europea dei diritti umani accusa l’Italia di non aver protetto la salute dei cittadini. Come la madre dei fratelli Fornaro. «Un tumore se l’è portata via anni fa», racconta Vincenzo. «A me hanno tolto un rene, sono vivo per miracolo. Ma adesso il vento è cambiato, ci riprendiamo la nostra terra. Stiamo vincendo noi».

fonte: www.lastampa.it

Ilva, Ambiente Svenduto riparte a maggio. Il ministero nasconde i dati allarmanti sulle diossine?

ilvadiscarica
Il processo Ambiente Svenduto riparte a maggio. 47 gli imputati, tutti rinviati a giudizio (3 sono società che fanno capo alla famiglia Riva). C’è anche Nichi Vendola. Intanto emergono dati clamorosi sulle diossine a Taranto, mai resi noti.
Era stato un errore – la mancanza del nome di un avvocato nella documentazione – a far ripartire da zero il processo.
Si ricomincerà comunque il 17 maggio, a processo ci saranno Fabio e Nicola Riva, su cui pesano accuse gravissime, da associazione per delinquere a disastro ambientale, fino ad avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.
Oltre a loro, sotto accusa tra gli altri anche dirigenti aziendali, dei ministeri, politici, l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola - che dovrà difendersi dall’accusa di pressioni sull'Arpa e sul direttore Giorgio Assennato – e il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, per abuso d’ufficio e per non aver tutelato a dovere i cittadini dall'inquinamento.
Tra gli altri nomi ormai noti, a processo anche l’ex presidente della Provincia di Taranto Giovanni Florido e il responsabile relazioni esterne dell’Ilva Girolamo Archinà: avrebbero fatto pressioni su dirigerti provinciali all'Ambiente perché si aprisse una discarica.
Spuntano intanto alcuni dati sui livelli di diossine a Taranto, dati preoccupanti a fronte di un silenzio sostanziale delle istituzioni. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti non li ha resi noti, dicono dai Verdi, un fatto gravissimo.
“Il Ministro dell’Ambiente deve spiegare all’Italia intera, non solo ai tarantini, perché non ha reso pubblici i dati di rilevamento della diossina a Taranto effettuati con i deposimetri che hanno raggiunto valori drammaticamente eccezionali in modo particolare nel quartiere Tamburi”, scrive su Facebook il leader dei Verdi Angelo Bonelli, che lancia l'allarme anche sui social network.
I dati sono quelli aggiornati al periodo agosto 2013 - febbraio 2015 e raccolti nel quartiere Tamburi: hanno superato i 790 pg I-WHO/mq giorno nel novembre 2014 e oltre 210 pg I-WHO/mq giorno nel febbraio 2015. Valori superiori a tutti i valori del periodo 2008-2011 che avevano raggiunto un intervallo di diossine tra 0.57-45 pg WHO-TE.
Chiedo di sapere le ragioni per cui i dati di rilevamento delle diossine sui terreni attraverso i deposimetri, che è un obbligo dell’autorizzazione integrata ambientale, non sono stati resi pubblici e ancora oggi non lo sono. Perché il ministro dell’Ambiente non ha reso pubblici questi dati perché questo silenzio? La mia considerazione è che l'Italia non ha un ministro dell'Ambiente e che nessuno che ha le leve del comando si occupa di salvare Taranto e i tarantini”, conclude Bonelli.
(qui i documenti che racchiudono i dati)

fonte: www.greenbiz.it

Salute, allarme per i cementifici trasformati in inceneritori

Scritto dall’ex ministro Clini e potenziato dal Governo Renzi, un decreto su misura trasforma questi impianti in inceneritori. Con pericoli seri per la salute. Come dimostrano gli studi dell’Arpa e i casi in Lombardia e Puglia

Salute, allarme per i cementifici trasformati in inceneritori 

Una rivoluzione tra le ciminiere dei 69 impianti italiani. Una rivoluzione che fa la gioia del settore. Anche i cementifici possono bruciare i rifiuti. Dove nascono i sacchi indispensabili al ciclo del cemento si usano i forni per altri scopi.

La decisione è stata prima scritta dal Governo Monti e poi confermata e potenziata dal premier Renzi quando nell’estate del 2014 spiegava la sua idea di futuro e ripresa economica con il decreto Sblocca Italia:«Non ho paura di sognare un’Italia che, se cambia, diventa “smart”. Vogliamo liberare interventi fermi da 40 anni».

Dietro allo storytelling del rottamatore c’è un’accelerata per bruciare di più ma con meno regole: fino al 2013 la quota era minima, ma per evitare la costruzione di nuovi impianti di incenerimento ecco la soluzione low-cost e veloce. Con pesanti ricadute sull’aria, l’ambiente e la salute pubblica.

Come dimostra un’analisi di Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Piemonte, pubblicata poche settimane fa. Sono stati studiati gli effetti per gli abitanti che vivono vicino ad uno storico inceneritore, quello di Vercelli.

Lo studio mostra un aumento della mortalità generale del 20 per cento nei residenti e un aumento di patologie invalidanti come il tumore del colon retto del 400 per cento, e ancora tumore del polmone (più 180 cento), cardiopatia ischemica-infarto (più 90 per cento), enfisema e bronchite cronica (più 50 per cento).

In questo caso sotto osservazione è finito un inceneritore, concepito allo scopo di bruciare rifiuti, dotato di filtri e sistemi di abbattimento degli inquinanti, ma quali risultati si avrebbero se lo studio fosse applicato a un cementificio, costruito con un’altra mission e trasformato in un forno per la distruzione dell’immondizia?

A portare questi dubbi in Parlamento ci ha pensato Alberto Zolezzi, medico pneumologo ed eletto alla Camera per il Movimento cinque stelle: «Assistiamo ad una deregulation totale: un cementificio che vuole bruciare non chiede nessun permesso speciale, basta l’ok del Comune e si inizia. Con effetti devastanti, le emissioni di diossine e metalli pesanti sono quindici volte più alte rispetto agli impianti tradizionali. Il motivo è chiaro: sono stati progettati e costruiti 50 anni fa con tutt’altro scopo».

Se in Europa la tendenza è smantellare e potenziare la raccolta differenziata, il nostro Paese ha deciso da fare eccezione. A febbraio 2014  con il governo Letta agli sgoccioli viene approvato il cosiddetto decreto Clini (dal nome dell’ex ministro dell’ambiente finito a processo con l’accusa di corruzione ) che consente di svolgere, pur utilizzando un combustile ritenuto meno inquinante, lo stesso sporco lavoro degli inceneritori: bruciare i rifiuti.

Sette mesi dopo entra in vigore lo “Sblocca Italia”, 13 provvedimenti governativi per far ripartire edilizia e grandi opere con lo scopo di spingere la ripresa economica.

Nel decreto si parla anche di immondizia: addio al vecchio federalismo ambientale (ogni regione deve essere auto-sufficiente, dotandosi degli impianti necessari e aumentando la differenziata) in nome di una ritrovata “solidarietà” nazionale, che consente di portare i rifiuti della Campania in Trentino trasformandoli da problema a risorsa.

Lo scenario cambia in maniera radicale. E la preoccupazione di maggiori emissioni sale soprattutto al Nord. Nella mappa dei 69 centri di produzione, un terzo sono concentrati in Pianura Padana:  6 in Veneto, 5 in Lombarda, 5 in Piemonte, 4 in Emilia Romagna, 3 in Friuli Venezia Giulia, uno in Trentino Alto Adige. Impianti che vanno ad aggiungersi agli inceneritori. Anche in questo caso sono le regioni settentrionali a detenere il record assoluto con 25 siti contro i cinque del centro-sud con la possibilità di salire di altri dodici nei prossimi anni.

LA TERRA DEI FUOCHI IN LOMBARDIA

Tra le province di Milano, Lecco e Bergamo, c’è un triangolo delle emissioni dove si trovano cinque impianti per ridurre in cenere i rifiuti e produrre materia prima per l’edilizia nel raggio di appena trenta chilometri. Una concentrazione senza eguali, che fa di quest’area, dove vivono oltre due milioni di persone, una delle zone più inquinate in Europa.

Una terra dei fuochi in salsa lombarda dove è nato un comitato (Rete Rifiuti Zero Lombardia, La Nostra Aria e Aria Pulita) che chiede di bloccare l'autorizzazione di Italcementi per salire da 30.000 alle future 110.000 tonnellate all’anno per il polo di Calusco D’Adda, comune a metà strada tra Monza e Bergamo.

Dibattiti pubblici, gruppi di studio con l'associazione “Medici per l'ambiente” e 10 mila firme raccolte e consegnate alla Regione Lombardia e alla Provincia di Bergamo non hanno però avuto alcun risultato.
«Bruceranno anche fanghi di depurazione, pneumatici e derivati da imballaggi, oltre ai rifiuti già classificati» spiega allarmato il Comitato zero rifiuti.

Se la società civile si è organizzata, tutti i comuni hanno invece accettato – con le eccezioni di Paderno d'Adda (Lecco) e Solza (Bergamo) – la proposta di Italcementi: compensazioni ambientali sotto forma di opere pubbliche in cambio del via libera all'aumento della quantità da bruciare. Con una postilla: le amministrazioni locali «rinunciano irrevocabilmente ed incondizionatamente ad ogni pretesa, richiesta, ragione o azione».

In ballo dieci nuove “casette dell'acqua” e soprattutto la promessa di un nuovo scalo per togliere i tir dalle intasate strade provinciali e portare i convogli dei rifiuti grazie alla ferrovia. Dopo tre anni però le rotaie sono sparite dal progetto e ritornate nei cassetti.

«Sono decisamente mutate le condizioni di riferimento», spiega Italcementi a “l’Espresso”: «È stato detto con trasparenza che l’impegno per la realizzazione dello scalo non è più commisurato ai benefici attesi».
Niente scalo, rimane solo la promessa di ridurre ancora di più le emissioni.

Ma intanto i sindaci che hanno firmato l’accordo faticano a spiegare ai loro cittadini che arriveranno altri disagi. E delle rotaie promesse nessun sindaco vuole parlare. È solo il presidente del Parco Adda Nord, Agostino Agostinelli, che non retrocede: «La ferrovia deve essere fatta, perché sarebbe il simbolo di un accordo rispettato».

DISASTRO AMBIENTALE NEL CORTILE DI CASA

Non è solo un problema lombardo. In Puglia la Procura non ha dubbi: a Barletta (capoluogo della provincia di Barletta-Andria-Trani) si sono spinti oltre e la cementeria locale ha smaltito rifiuti speciali oltre i limiti imposti. Nessuna remora e rispetto per chi vive a duecento metri dalle ciminiere.

Mesi di indagini con diciotto indagati che dovranno rispondere di reati di cooperazione in disastro ambientale colposo, falso e abuso d'ufficio. Al centro del ciclone i rappresentanti legali della cementeria “Buzzi Unicem” di Casale Monferrato in provincia di Alessandria a cui fa capo la filiale di Barletta, di “Dalena Ecologia” di Putignano, “Trasmar” di Barletta e “Corgom” di Corato più sei componenti del comitato provinciale che hanno rilasciato la Valutazione d'impatto ambientale (l’autorizzazione necessaria che certifica il rispetto delle norme) e due dirigenti del settore Ambiente della Regione Puglia e cinque tecnici dell'Arpa, l’agenzia regionale incaricata dei controlli.

Secondo quanto è emerso dalle indagini della Guardia di finanza, la cementeria avrebbe ottenuto i permessi «sul falso presupposto del possesso di un'autorizzazione a incenerire 20mila tonnellate l'anno di rifiuti pericolosi costituiti da oli minerali» si legge nell’ordinanza.

Non trattandosi di un impianto di incenerimento inizialmente creato ad hoc, ma appunto di una cementeria, ha poi ottenuto una nuova autorizzazione, sostituendo la dicitura di rifiuto “pericoloso” con quella di “speciale”, con una potenzialità che saliva da 140 a 178 tonnellate al giorno. Proprio questa nuova attività di incenerimento dei rifiuti avrebbe provocato la «diffusione areo-dispersa di sostanze oltre i limiti di legge esponendo la popolazione della città di Barletta al rischio di inalazione di fattori inquinanti dannosi alla salute».  

fonte: http://espresso.repubblica.it/

Rom: dove portano i segnali di fumo

Il libro di recente uscita A Ferro e Fuoco, scritto da quattro giovani giornalisti vincitori del premio Morrone 2014 per la video-inchiesta Anello di Fumo, è un dito puntato contro organi di informazione e istituzioni spesso silenti, talvolta complici, del circuito di veleni tossici che avvelena da anni la città di Roma.

rifiuti tossici
Si parte dai rom, ultimo anello di una catena che alimenta una “terra dei fuochi” ad est della Capitale, dove colletti bianchi e imprenditori senza scrupoli muovono “scarti materiali” e “scarti umani” per trarre profitti. L’indagine prende spunto da loro, gli abitanti nelle baraccopoli romane che chi ha governato Roma ha chiamato senza vergogna «villaggi della solidarietà».
A Roma sono anni che il tema dei roghi tossici appiccati in prossimità dei “campi nomadi” riempie colonne di giornali sollevando la comprensibile indignazione di comitati di quartiere. Sull’argomento si spendono commenti di ogni genere, si organizzano riunioni e manifestazioni, si assiste a prese di posizione di esponenti politici. Periodicamente la questione trova sbocco in una interpellanza parlamentare.
E’ facile guardare il dito, più difficile osservare la luna. Anzi, è proprio di chi non vuole che si guardi la luna, focalizzare l’attenzione sul dito! E così, mentre ci si preoccupa della diossina che scaturisce dal rogo tossico appiccato nella baraccopoli di Salone o in quella di Salviati, a Roma bruciano capannoni e la discarica dell’Inviolata o la Basf (ribattezzata l’Ilva di Roma dagli autori del libro inchiesta) inquinano falde e vomitano veleni a ciclo continuo.
Emblematico è il caso dell’impianto Basf, inceneritore della multinazionale tedesca, collocato proprio a ridosso della baraccopoli di Salone e non lontano dal quartiere di Tor Sapienza dove la battaglia contro i roghi tossici dei rom da parte di cittadini e di comitati di quartieri ha raggiunto i livelli più alti. L’impianto vomita giornalmente nell’aria di Roma quasi 200.000 metri cubi di fumi inquinanti, saturi di palladio e diossina, che contengono circa 30 chilogrammi di sostanze tossiche. A pochi metri dall’impianto sorgono case e strutture per bambini, anche se l’Asl di Roma lo ha classificato come “industria insalubre di prima classe” vietando qualsiasi tipo di insediamento abitativo nell’area limitrofa.
Perché allora prendersela con i roghi tossici sprigionati nelle baraccopoli romane il cui impatto è infinitesimamente meno grave dei fumi che escono dalle ciminiere della Basf? Perché serve a distogliere l’attenzione provocando una guerra tra poveri che solleva le istituzioni dalle loro responsabilità. Perché alla fine, non dimentichiamolo, i primi a respirare i veleni della Basf sono i mille rom che abitano a 500 metri dall’impianto. Sono loro le principali vittime collaterali di una filiera che imprigiona Roma nel fumo tossico, che si arricchisce e si autoalimenta nello smaltimento illegale di rifiuti.
La Basf e la baraccopoli vicina condividono la medesima via di Salone ma anche un unico destino. Nella prima vengono inceneriti catalizzatori esausti, nella seconda viene annichilita un’umanità sfinita. Nella cosiddetta “Ilva romana” viene trattato lo “scarto materiale”, nella baraccopoli di Salone viene contenuto e compresso lo “scarto umano”, quello in esubero, non produttivo e senza funzione utile. Come i rifiuti tossici prima di essere inceneriti sono sigillati in contenitori a tenuta stagna, così il ghetto per soli rom è il luogo da cui non si può uscire, né fisicamente né mentalmente. Entrambi sono presidiati da forme rigide di controllo poliziesco. Entrambe rappresentano le istituzioni dove il “rifiuto materiale” e il “rifiuto umano” vengono smaltiti e trasformati in qualcosa di diverso, senza più alcuna sembianza rispetto alla forma originaria. I due “rifiuti” generano paura e la paura alimenta l’odio e il disprezzo.
E allora, seguendo i segnali di fumo di A Ferro e Fuoco, scopriamo che piuttosto che indicare i roghi tossici degli insediamenti romani come il “problema dei problemi”, sarebbe più onesto individuare altrove le responsabilità della diossina presente nell’aria romana. La risposta non è dentro la baraccopoli ma al di fuori, nelle sale degli amministratori incapaci di fare programmazione politica e negli uffici di imprenditori senza scrupolo, gli stessi che attendono con ansia le prossime elezioni amministrative per trasformare veleni in euro. Lasciando che i cittadini della periferia continuino a prendersela con i rom…

fonte: www.ilfattoquotidiano.it