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La decarbonizzazione del trasporto in Europa











Il progetto Decarbonising Transport in Europe avviato e finanziato con il supporto della Commissione Europea, evidenzia l’impatto delle misure di mitigazione della CO2. I decisori politici sono così in grado di ...

Clima, Mario Tozzi: "Va fermata subito l'estrazione di idrocarburi con lo stop alle sovvenzioni"

Il geologo: "Il rapporto Ipcc dice che servono azioni serie in poco tempo, ma nessuno le fa"





fonte: www.ansa.it


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Per una gestione sostenibile dei rifiuti e dei reflui nei porti

Prosegue l’attività del progetto GRRinPORT




Il progetto GRRinPORT è un progetto Interreg marittimo Italia-Francia della durata di 36 mesi avviato ad aprile del 2018. Il suo obiettivo è quello di migliorare la qualità delle acque marine nei porti, limitando l’impatto dell’attività portuale e del traffico marittimo sull’ambiente.

L’inquinamento delle acque, principale effetto negativo dell’attuale sistema di gestione dei rifiuti/reflui in ambito portuale, deriva soprattutto dalla scarsa informazione e sensibilizzazione dei fruitori del porto, da carenza/assenza delle infrastrutture di conferimento di rifiuti e reflui nei porti, ma anche dalla necessità per i fruitori di doversi adattare a regole/procedure diverse in ogni porto/paese.

In questo scenario, il progetto mira a ricollocare le strutture portuali in un contesto eco-sostenibile ed eco-innovativo con un approccio di cooperazione transfrontaliera, basato su alcuni elementi di innovatività.
Le attività svolte nell'ambito del progetto negli ultimi mesi

Il DICAAR (Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura) dell’Università di Cagliari sta procedendo all’individuazione delle aree su cui installare materiali assorbenti, a basso costo e ridotto impatto ambientale, per il contenimento e la rimozione di idrocarburi e altre sostanze sversati accidentalmente nelle acque dei porti, così come previsto dalla relativa azione pilota.

Il DiSB (Dipartimento di Scienze Biomediche) dell’Università di Cagliari sta operando la caratterizzazione delle proprietà fisiologiche e dell’ecologia di nuovi ceppi batterici precedentemente selezionati dal Porto di Cagliari nell’ambito del progetto ENPI CBC MED MAPMED.

Le attività in corso stanno dimostrando che si tratta di batteri mai indagati in precedenza e dotati della capacità di degradare idrocarburi tossici che possono persistere molto a lungo nei sedimenti marini. Questi batteri saranno impiegati in GRRinPORT per velocizzare trattamenti di bonifica di sedimenti portuali.

Mediante tecniche di sequenziamento ad alta efficienza, il DiSB sta definendo quali inquinanti antropici (es. metalli, idrocarburi) hanno un effetto sulle comunità batteriche che naturalmente colonizzano le acque ed i sedimenti dei porti con la finalità ultima di identificare metodologie di monitoraggio della qualità delle acque portuali basate sulle comunità batteriche.

Il DICAAR sta inoltre procedendo all’analisi degli interventi da proporre nel Piano d’Azione per la gestione sostenibile dei reflui nei porti: tra questi l’area attrezzata con il sistema per l’aspirazione e il convogliamento dei reflui dalle imbarcazioni per la quale si sta valutando il posizionamento assieme all’Autorità Portuale di Cagliari.

Dopo il Porto di Ajaccio, anche i porti di Livorno e Cagliari avranno le postazioni per la raccolta differenziata degli oli vegetali usati. La localizzazione di queste aree e delle aree di raccolta dei rifiuti differenziati presso i moli e banchine dedicate al diporto a Cagliari, Livorno ed Ajaccio verrà comunicata tramite la App predisposta dalla Fondazione MEDSEA di cui a breve ci sarà un aggiornamento.

Il DESTEC (Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni) dell’Università di Pisa ha ultimato le attività di analisi dei campionamenti dei sedimenti finalizzate all’individuazione di matrici con livelli di inquinamento adatti sia per i test di bonifica effettuati tramite elettrocinesi che per quelli biologici (Enhanced Landfarming) presso il porto di Piombino. Sono inoltre state realizzate due tipologie di prove a scala di laboratorio sia di Elettrocinesi che di Enhanced Landfarming che hanno permesso di condurre studi di ecologia batterica e fungina del processo di degradazione biologica degli idrocarburi pesanti.

Il DESTEC ha inoltre avviato l’allestimento degli impianti da banco e sono in fase di programmazione una serie di test pilota che si svolgeranno nel "box reattori" dedicato presso la sede DESTEC-UNIPI. I lavori di progettazione dell’impianto pilota di elettrocinesi si sono conclusi e sono iniziate le prime prove di collaudo sia in bianco (con un campione di riferimento) che a caldo (terminato il collaudo dell'impianto stesso).

ISPRA ha partecipato ad un tavolo di confronto promosso dal capofila del progetto Sediterra, INSA (Progetto IT/FR Marittimo). Tale riunione, svolta a Lione il 4 e 5 febbraio 2020, ha avuto come finalità un confronto tecnico e analitico con altre realtà partenariali e un’elaborazione specifica dei dati ottenuti dall’applicazione di diverse tecniche di trattamento di sedimenti contaminati durante il quale sono stati presentati anche i risultati analitici scaturiti dalle prove sperimentali di trattamento dei sedimenti portuali, condotte da ISPRA a Livorno mediante l’impianto pilota di separazione meccanica e comparati con quelli effettuati da INSA a Tolone .

fonte: http://www.arpat.toscana.it

Green News Deal, il WWF presenta la Roadmap per una giusta Transizione

Il WWF ha proposto a Governo e Parlamento la sua Roadmap per la Giusta Transizione: l’ONG chiede di strutturare e accelerare le politiche sul clima approvando un Pacchetto di misure urgenti basato su 9 filoni di intervento e 21 proposte
















Impegnatasi lo scorso settembre in occasione dell’Assemblea Generale dell’ONU a sostegno del New Deal for Nature and People, l’Italia gioca un ruolo fondamentale per “salvare il Pianeta e configurare il futuro all’Umanità”. A ricordarlo è il WWF che, attraverso una “Roadmap” contenente la richiesta dell’istituzione di un Tavolo per la Giusta Transizione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha individuato 9 filoni di intervento e 21 proposte. “L’Italia – spiega l’ONG – ospita circa la metà delle specie vegetali e circa 1/3  delle specie animali europee, ma sta disperdendo il suo capitale naturale: il 50% dei vertebrati è minacciato di estinzione, un quarto degli uccelli  è a forte rischio, il 40% delle piante inferiori (licheni, muschi e felci) è in pericolo e molti ambienti naturali sono sottoposti a pesanti impatti e trasformazioni fisiche”.

L’articolato pacchetto di proposte presentate dal WWF si propone innanzitutto di affrontare i tre capisaldi del Green New Deal. Nel dettaglio, l’ONG chiede di strutturare e accelerare le politiche sul clima approvando un Pacchetto di misure urgenti che, tra le altre cose,  contempli un prezzo minimo del carbonio per i settori ETS (produzione di energia elettrica e termica e settori energivori) e una carbon tax per quelli non ETS, stabilendo al contempo obiettivi per la decarbonizzazione per gli specifici settori (industria, trasporto e agricoltura) e definendo attraverso una Legge quadro sul clima i piani e i tetti settoriali puntando, anche, sull’efficienza energetica degli edifici, a cominciare da quelli di edilizia popolare. Non secondario, l’obbiettivo di “conservare e valorizzare” il nostro capitale naturale: il WWF chiede per tanto di disporre aliquote IVA agevolate per le produzioni e i servizi collegati alla gestione e alla valorizzazione della biodiversità nelle aree protette e di inserire gli obiettivi della Strategia Nazionale della Biodiversità al 2030 nelle programmazione nazionale comunitaria 2021-2027.

Tra le richieste formulate dall’ONG vi è anche quella di “rendere operativa l’economia circolare”, allargando da una parte il campo d’azione del Piano nazionale Industria 4.0 con investimenti utili ad “attivare misure di simbiosi industriale” (tra cui il miglioramento dell’intero processo produttivo agevolando anche il riutilizzo degli scarti di produzione e consentendo la sostituzione dell’utilizzo di materia prima vergine con materiali riciclati e/o energia da fonte fossile con quella da fonte rinnovabile) ed introducendo dall’altra incentivi fiscali per la transizione all’economia circolare, prevedendo, ad esempio, l’abbattimento dell’IVA sui prodotti realizzati in ecodesign e per i fornitori di beni e servizi all’interno di progetti di economia circolare.

Accanto a quelle sopra citate, il WWF ha presentato inoltre un pacchetto di proposte per gli altri filoni di intervento, che il Governo ha individuato nella NADEF come prioritari per la realizzazione del Green New Deal. Tra queste, l’azzeramento dei SAD (Sussidi Ambientali Dannosi) entro il 2025 e  il taglio – già dalla Legge di Bilancio – dei 126 milioni di sostegno alle attività petrolifere; l’introduzione di incentivi fiscali per la transizione ecologica dell’agricoltura attraverso la ridefinizione delle aliquote IVA (il WWF parla nel dettaglio di innalzare l’aliquota per i prodotti fitosanitari dall’attuale 10% al 22% e per i fertilizzanti chimici dall’attuale 4% al 10%) e l’introduzione di nuovi “strumenti di fiscalità ambientale”; lo stop al consumo del suolo incentivandone da una parte il riutilizzo, il recupero e la riqualificazione e rendendo dall’altra fiscalmente più gravoso l’utilizzo di nuovo suolo. Infine, il WWF chiede l’aggiornamento del Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (concepito nel 2001) per meglio stabilire quali siano le scelte infrastrutturali prioritarie e favorire i vettori meno inquinanti con priorità alle grandi aree urbane.
Il testo completo è consultabile qui.

fonte: www.rinnovabili.it

Norvegia: il gigantesco Oil Fund apre alle rinnovabili

Messe al bando le società che operano esclusivamente nell’esplorazione e produzione di idrocarburi, il più grande fondo sovrano al mondo apre le porte ai progetti verdi non quotati in borsa



















Via libera dal governo norvegese al cambio di rotta per il Government Pension Fund Global (GPFG), noto anche come Fund Oil, il più grande fondo sovrano al mondo. Creato nel 1990 con lo scopo di investire le plusvalenze del settore petrolifero nazionale, il GPFG ha iniziato quest’anno il suo percorso verso il divestment dalle fossili. Un percorso cauto rispetto ai primi proclami ma comunque concreto. La prima mossa in tal senso è stata quella di eliminare gli investimenti in tutte quelle società attive esclusivamente nel settore idrocarburi, sul fronte esplorazione e produzione. L’ultima, in ordine cronologico,l’approvazione delle prime risorse all’energia pulita non quotata in borsa. Questo settore costituisce oltre due terzi dell’intero mercato delle fer, che oggi vale miliardi di dollari.


“Il mercato delle energie rinnovabili sta crescendo rapidamente. Una parte importante delle opportunità di investimento in questo settore si trova nel mercato non quotato, soprattutto nei progetti infrastrutturali”, ha spiegato il Ministero delle Finanze norvegese in una nota stampa, sottolineando che il limite massimo per tali investimenti sarà raddoppiato da 60 a 120 miliardi di corone norvegesi (ossia da 6,2 a 12,4 miliardi di euro). Gli investimenti faranno parte della gestione attiva della Norges Bank e, per limitare il rischio, avranno un limite massimo pari al 2% del Fondo.

Il governo ci tiene a specificare che l’interesse dietro questa operazione è esclusivamente economico. “Non è una misura di politica climatica, ma fa parte della strategia di investimento per il Fondo. Non stiamo stabilendo che il Fund Oil debba investire in infrastrutture di energia rinnovabile non quotate, ma stiamo consentendo a Norges Bank di farlo laddove lo ritenesse profittevole”. La misura, che deve ancora essere ufficializzata dal Parlamento Norvegese, non è peregrina. A livello mondiale, quasi 1.000 investitori istituzionali, che gestiscono un patrimonio complessivo di oltre 6mila miliardi di dollari, si sono impegnati ad abbandonare i combustibili fossili, guidati delle preoccupazioni finanziarie più che da quelle climatiche.

fonte: www.rinnovabili.it

Per Greenpeace il Piano nazionale energia e clima proposto da M5S e Lega è «deludente»

Secondo l’organizzazione ambientalista si tratta di «una versione peggiorata della strategia energetica del precedente Governo»



















La proposta di Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) che il Governo italiano ha inviato alla Commissione europea l’8 gennaio continua a riscuotere magri consensi tra gli ambientalisti e gli imprenditori della green economy italiana: ai commenti di Elettricità futura, del Coordinamento Free e della Fondazione per lo sviluppo sostenibile si è aggiunto quello di Greenpeace, che non fa veli sulla stroncatura.
Per l’organizzazione ambientalista il Piano energia e clima appena presentato dall’esecutivo è «deludente: una versione peggiorata della strategia energetica del precedente Governo», ovvero quella delineata all’interno della Sen approvata nell’autunno 2017. Per questo «Greenpeace chiede dunque che si apra un confronto sulle prospettive energetiche del Paese», partendo da un punto fermo: «Se l’Italia vuole davvero rispettare l’Accordo di Parigi sul clima non deve certo puntare sulle scarse riserve di idrocarburi ma su efficienza e fonti rinnovabili».

Il richiamo è alla querelle sulle trivellazioni volte a ricercare ed estrarre dai mari italiani nuovi idrocarburi, con un’aspra polemica che ha tenuto banco dentro e fuori le fila del Governo nazionale nelle ultime settimane. «È ora che questa follia si concluda – dichiara Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia – non ha alcun senso continuare a bombardare il nostro mare per estrarre riserve limitate che non ci garantiscono nessuna indipendenza energetica, ma solo rischi ambientali ed economici. Se Di Maio e Costa sono davvero contrari alle trivelle e, come dichiarato a più riprese, non vorrebbero riportare l’Italia al Medio Evo economico e ambientale, facciano subito approvare una legge che vieti per sempre l’utilizzo degli airgun. È questo il modo più immediato ed efficace per allontanare per sempre la minaccia di nuove trivelle dai nostri mari».

fonte: www.greenreport.it

La circular economy viaggia su quattro ruote: l’enciclopedia dell’auto sostenibile




















"Scrivo di automobili dal ’91. In tutti questi anni mi sono occupato della loro parti più visibili, delle performance su strada. Con questo libro invece abbiamo voluto usare i raggi X per studiarne ogni componente. Ci siamo fatti delle domande: cosa si utilizzerà per costruire un’auto? Per me il futuro dell’auto si gioca sul concetto di leggerezza. 
Nel libro diamo una panoramica su quali materiali si possono usare per comporne una e quanto questi si possono riutilizzare.” Sì, perché l’economia circolare viaggia anche su quattro ruote come ci ha spiegato Roberto Sposini, giornalista e curatore di Automotive – Neomateriali nell’economia circolare. Un dizionario che dal cofano alla marmitta orienta il lettore come in un’enciclopedia del mondo car che ha scelto sostenibilità, tecnologia e ambiente.


















Il libro Automotive parte dai dati per far luce sugli orizzonti e suggerire riflessioni. 800 miliardi nel 2025 e 7.000 miliardi nel 2050: sono queste le prospettive di crescita della cosiddetta "Passenger Economy", il giro d’affari che i passeggeri di domani – ovvero i guidatori di oggi – garantiranno grazie a una smart mobility che si affiderà anche alle auto a guida autonoma sia per il trasporto pubblico che per quello privato. “Ma il futuro non è in discesa per l’industria automobilistica – avverte Sposini – perché in Cina, il più grande mercato delle e-car, l’elettricità proviene ancora dal carbone bruciato nelle centrali. Questo è un paradosso, insostenibile a livello ambientale.”
“L’e-car è senz’altro il futuro, ma non sarà l’unica opzione.” Sposini non ha tralasciato il problema che ruota attorno all’approvvigionamento energetico e alle materie prime necessarie per le batterie. Come il litio, che si estrae da riserve conosciute (e in gran parte ancora inutilizzate) nel cosiddetto triangolo sudamericano, e il cobalto, prodotto per due terzi nella Repubblica Democratica del Congo. “Se teniamo conto dell’intero ciclo produttivo di un’auto non possiamo scordarci delle condizioni drammatiche a cui sono sottoposti i lavoratori che estraggono queste materie prime.”











Ma come si fa a parlare di leggerezza quando l’auto più venduta oggi in America è un pick up? “I primi cambiamenti si vedranno nelle città, nelle smart cities che io mi immagino nasceranno in paesi come la Bolivia o negli Emirati Arabi. Nelle grandi realtà urbane sarà comunque più facile far circolare un’auto a guida autonoma o spostarsi con un’auto elettrica. Fuori, nelle province italiane ad esempio, le alternative saranno ancora i veicoli di proprietà, ma più ecologici perché cammineranno a biometano e biodiesel.” Ma quando arriveranno i veicoli più ‘temuti’ di questa ondata tech?
“Che se ne dica – scrive Sposini – la diffusione dei veicoli con funzionamento autonomo non arriverà prima del 2040. C’è tempo per preoccuparsi”. Soccorso dagli interventi di diversi giornalisti ed esperti del settore che hanno contribuito alla realizzazione del libro, il coautore ha spiegato a StartupItalia! perché, oltre ai giustificati dubbi e paure, dietro alla self driving car ci sia in realtà una tecnologia più che sicura per l’incolumità nel traffico. “È normale che le persone abbiano paura di qualcosa che non conoscono. Io però ho sperimentato l’auto a guida autonoma a livello 5: se tutti vedessero come funziona non si spaventerebbero”.



Il futuro dell’automobile si gioca anche sui carburanti. Da una parte ci sono ricerche come quella di Transport&Environment che mettono in guardia dai rischi del metano, dall’altra non sembra ancora tempo per un verdetto definitivo. Come ha spiegato a StartupItalia! Roberto Sposini “il metano resta un carburante molto più che transitorio.” E infatti, come si spiega in Automotive, il futuro non potrebbe essere molto diverso dal Ritorno al futuro cinematografico: come nella celebre pellicola, dove la Delorean era alimentata da rifiuti organici, così oggi diverse aziende italiane hanno iniziato a produrre biogas da utilizzare come carburante grazie al compostaggio.
Parlando poi di open innovation, anche l’industria automobilistica sembra essersi aperta alle nuove idee che germogliano fuori dagli stabilimenti. “Si tratta sì di un settore conservatore, ma credo anche che i grandi marchi dovranno accettare, prima o poi, di passare da costruttori a fornitori di servizi. Questo cambiamento – precisa il coautore di Automotive Sposini – si nota anche per i contest che le case automobilistiche organizzano per scovare le migliori idee partorite dai giovani. Gli stessi giovani che in futuro faranno sempre a meno dell’auto di proprietà.”
Ma, alla fine, come sarà il futuro? Sarà simile a una puntata di Black Mirror, a una terribile distopia? “Innanzitutto penso che tra dieci anni non ci potremo più permettere un’auto di proprietà. Nelle città ci sarà sempre meno spazio per le auto, che diventeranno un servizio più che un bene privato. I veicoli saranno come un telefonino a quattro ruote: sapranno il giorno del compleanno della nostra fidanzata e ci indicheranno lungo la strada dove prendere i loro fiori preferiti e in quale negozio.” Tutto questo ha però un prezzo: la nostra privacy. “Certo – risponde Sposini – ma credo che sia ormai una parola desueta. Tutto quello che uno smartphone sa di noi, presto anche auto lo saprà.” 

fonte: http://www.puntosostenibile.it

Analisi dei suoli: confronto tra valori di fondo e valori eventi


















La conoscenza del contenuto di diossine, furani, policlorobifenili e idrocarburi policiclici aromatici nei suoli e la definizione di valori di riferimento da utilizzare per la valutazione degli impatti di incendi di impianti o depositi sono alcuni degli obiettivi dello studio di Arpa Veneto
L’accumulo nei terreni di questi composti può avvenire in modi diversi, tra cui i più importanti sono la deposizione atmosferica di emissioni da impianti o da traffico e la distribuzione nelle attività agricole di sostanze fertilizzanti o antiparassitarie. La conoscenza del contenuto di inquinanti organici nel suolo può quindi fornire informazioni utili sul livello di inquinamento diffuso e sugli elementi per valutare eventuali rischi connessi alla gestione dei suoli sia agricoli che urbani.
Alcuni dati e risultati del monitoraggio
Il monitoraggio è iniziato nel 2011. I campionamenti sono stati eseguiti in parte in prossimità di particolari fonti di pressioni ambientali legate a processi di combustione (fonderie, cementifici, inceneritori, ecc.), mentre nel restante territorio regionale i punti sono stati distribuiti secondo una griglia con densità di circa 1 campione per 100 km2. Il campionamento è avvenuto attraverso l’individuazione di aree il più omogenee possibile per le caratteristiche pedologiche e di coltivazione. All’interno di ciascun sito selezionato, è stato effettuato un campionamento sistematico su un’area di circa 4000 metri quadrati.
La profondità di campionamento è stata diversa in relazione all’uso del suolo e alla possibile miscelazione dell’orizzonte superficiale dovuto all’aratura in area agricola. Tutti i campioni sono stati analizzati dal laboratorio ARPAV.
Per il parametro Diossine e Furani sono stati campionati e analizzati 129 siti, e solo in un caso si è riscontrato un valore superiore al limite previsto per le aree residenziali (10 ng I-TE/ kg). Circa il 50% dei campioni raccolti all’interno del progetto hanno concentrazioni inferiori a 0,5 ng I-TE/kg un valore vicino al limite di rilevabilità. Alcuni valori determinati nei campioni raccolti sono degni di attenzione, perché sebbene al di sotto dei limiti di legge, presentano concentrazioni anomale rispetto alla popolazione dell’intero database. L’elaborazione statistica dei dati ha permesso di individuare valori di riferimento per i suoli delle aree agricole (1,1 ng/kg) e urbane (3,1).
Per il parametro Policlorobifenili (PCB) sono stati campionati 113 siti. La maggior parte dei dati è inferiore a 0,005 mg/kg che significa molto vicino al limite di rilevabilità, tutti i dati sono inferiori a 0,03 mg/kg(il limite di legge per la zona residenziale è 0,06 mg/kg). L’elaborazione statistica dei dati ha permesso di individuare valori di riferimento per i suoli delle aree agricole (4 microg/kg) e urbane (13,2).
Per il parametro Idrocarburi aromatici policiclici (IPA) sono stati campionati 131 siti. Non è stato osservato alcun superamento del limite di legge (10 mg / kg). L’85% dei campioni prelevati ha presentato concentrazioni inferiori al limite di rilevabilità, tanto che non è stato possibile applicare l’elaborazione statistica per la definizione di valori di riferimento.
Dal confronto tra i dati raccolti nel corso del monitoraggio e quelli rilevati dall’analisi dei terreni prelevati in prossimità di incendi rilevanti verificatisi nel territorio veneto, si è potuto concludere che:
  • diossine/IPA/PCB nei terreni analizzati in prossimità di incendi sono presenti a livelli normali, cioè sempre ben al di sotto dei valori di riferimento individuati
  • eventuali concentrazioni rilevate al di sopra di tali valori sono dovute a cause diverse dall’incendio
  • gli apporti di Diossine/IPA/PC a seguito di un incendio non sono in grado di modificare la concentrazione presente nei suoli
la sezione web dedicata sul sito Arpav
a cura di: Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche
fonte: https://ambienteinforma-snpa.it

Idrocarburi: Banca Mondiale, dal 2019 stop finanziamenti fossili















Anche la Banca Mondiale (World Bank) è pronta a compiere qualche passo avanti verso la fine dei sussidi agli idrocarburi. Lo ha annunciato il Gruppo stesso oggi rivelando però un approccio timido e contenuto: a partire dal 2019 la Banca non finanzierà più le attività di upstream nel settore del gas e del petrolio. Questo significa lo stop dei fondi a sostengo dell’acquisizione dei titoli minerari e dei diritti di sfruttamento così come delle risorse per le esplorazioni e l’estrazione delle fonti fossili.

“In quanto istituzione globale per lo sviluppo multilaterale, il Gruppo della Banca mondiale sta continuando a trasformare le proprie operazioni in riconoscimento di un mondo in rapida evoluzione”, ha fatto sapere l’Istituto da Parigi, dove si sta svolgendo il Summit sul clima voluto dal presidente francese Emmanuel Macron“Il Gruppo non finanzierà più le attività di upstream per petrolio e gas a monte dopo il 2019”.Ovviamente c’è una postilla, scritta in piccolo: saranno esclusi per ora da questa messa al bando alcuni progetti di sviluppo del gas naturale, nei paesi più poveri e in circostanze eccezionali. Il Gruppo ha annunciato inoltre di essere “sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di destinare il 28 per cento dei suoi prestiti all’azione per il clima entro il 2020″.

In realtà, la bandiera del disinvestment sventola sul palazzo neyorkese della World Bank dal tempo. Per la precisione da quando, a pochi mesi dalla storica COP21 sui cambiamenti climatici nel 2015, il presidente aveva dichiarato Jim Yong Kim “Abbiamo bisogno di sbarazzarci degli aiuti ai combustibili fossili ora”. Peccato che dal 2015 a oggi, l’istituto assieme alle altre banche multilaterali di sviluppo, abbia continuato a sostenere generosamente il settore degli idrocarburi. Solo nell’anno fiscale 2016, le banche di sviluppo – World Bank in testa – hanno erogato 9 miliardi di dollari in finanziamenti pubblici a progetti legati ai combustibili fossili. Con un trend che mostra un’accelerazione più che una frenata.

fonte: www.rinnovabili.it

Luca Mercalli: Un ambiente sempre più inquinato. Meno salute, meno qualità di vita














L’adozione di normative ambientali via via più severe nei paesi del primo
mondo ha indotto un calo delle emissioni di diversi inquinanti, tuttavia l’accumulo
di sostanze pericolose per la salute nell’ambiente (in aria, acqua,
suolo) rimane pur sempre preoccupante. Ma oggi è nei paesi in via di sviluppo
che si concentrano alcune tra le situazioni ambientali più critiche,
dovute soprattutto ad attività industriali e minerarie condotte trascurando
ogni rispetto per l’ambiente circostante. Nel 2007 le località più inquinate
del mondo erano individuate in Azerbaigian, Cina, India, Perù, Russia,
Ucraina e Zambia (foto: US Fish and Wildlife Service).


A partire dalla Rivoluzione Industriale e via via con lo sviluppo dell’industria chimica, l’uomo ha riversato nell’ambiente una quantità crescente di composti sia naturali, sia di sintesi, spesso dannosi per la salute: plastiche, idrocarburi, solventi, coloranti, vernici, colle, fertilizzanti, fitofarmaci, metalli pesanti, gas a effetto serra, e così via...

Il registro europeo delle sostanze chimiche in commercio (EINECS, http://ecb.jrc.ec.europa.eu) a fine 2007 contava 100.204 composti, ma il numero
reale di prodotti in uso nel mondo è probabilmente superiore e di fatto sconosciuto.
A causa della circolazione atmosferica e oceanica e delle catene alimentari, gli inquinanti si diffondono ovunque, e pressoché nessun luogo della Terra oggi può definirsi «incontaminato»: tracce di metalli pesanti sono stati ritrovati nel grasso di animali artici, e carotaggi profondi condotti sui ghiacciai del Monte Rosa (Colle Gnifetti, 4480 m, e Colle del Lys, 4240 m) hanno rivelato la presenza di livelli contaminati dal trizio riconducibile ai test nucleari dei primi Anni 1960.

Certamente non dobbiamo scordare che l’inquinamento è il sottoprodotto negativo di uno sviluppo scientifico, tecnologico ed economico che ha portato comunque ricchezza e condizioni di vita migliori almeno a una parte dell’umanità (in cui noi europei rientriamo), ma oggi le schiaccianti evidenze sui pericoli ambientali e sanitari che ne derivano devono
guidarci verso l’utilizzo più consapevole di sostanze meno dannose.

PER SAPERNE DI PIÙ

www.eea.europa.eu - European Environment Agency
http://toxnet.nlm.nih.gov - Banca dati relativa a
sostanze tossiche e salute ambientale
www.blacksmithinstitute.org - Risorse ed esperienze
per contrastare l’inquinamento ambientale

CLIMA ED ENERGIA

Capire per agire

Luca Mercalli