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La prima gigafactory italiana per le batterie a ioni di litio sorgerà nell’area ex Olivetti di Scarmagno

Sarà l’impianto più grande d’Europa, con 4.000 posti di lavoro diretti e altri 1,500 nella supply chain



Italvolt, fondata e guidata da Lars Carlstrom, già fondatore di Britishvolt, ha annunciato di aver scelto l’area ex Olivetti di Scarmagno (TO) «per la realizzazione della prima “Gigafactory” in Italia, ovvero un impianto che sarà dedicato alla produzione e allo stoccaggio di batterie a ioni di litio per veicoli elettrici. La prima fase del progetto, che prevede un investimento complessivo di circa 4 miliardi di euro, sarà completata entro la primavera 2024».

Italvolt ha selezionato l’area ex Olivetti di Scarmagno, di proprietà del Fondo Monteverdi gestito da Prelios SGR, per le sue caratteristiche tecniche e per la sua collocazione geografica particolarmente favorevoli e spiega che «Il sito è oggi una vasta area industriale dismessa che si estende per circa 1 milione di m2, scelta già ai tempi della Olivetti dagli architetti Marco Zanuso ed Eduardo Vittoria per la facilità dei collegamenti stradali, autostradali e ferroviari, sia con Ivrea che con la città di Torino. Altro fattore che rende l’area di Scarmagno ideale ad ospitare il progetto di Italvolt è il suo forte legame con il tessuto produttivo del Piemonte che è la prima regione in Italia per quanto riguarda la produzione industriale Automotive».

La Gigafactory di Italvolt si estenderà su 300.000 m2 e punta a una capacità iniziale di 45 GWh, che potrà raggiungere i 70 GWh, rappresenta quindi «Un’importante opportunità di rilancio economico-industriale dell’area di Scarmagno, con un impatto significativo anche a livello regionale. Si stima infatti che nell’impianto verranno impiegati circa 4.000 lavoratori, con un indotto che nel complesso potrà arrivare a creare fino a 15.000 nuovi posti di lavoro».

Un impianto che sarà progettato dalla divisione Architettura di Pininfarina e pensato per rispondere alla crescente domanda di batterie in Europa che, secondo dati Mckinsey, dovrebbe «aumentare a livello globale di 17 volte fino a circa 3.600 gigawatt (GWh) entro il 2030».

A Italvolt promettono che il progetto sarà realizzato «Con una forte attenzione all’impatto ambientale e sociale, Pininfarina intende progettare un impianto industriale di nuova generazione, intelligente e responsabile, applicando metodologie costruttive DFMA e aprendo l’edificio al suo contesto, al fine di integrarlo nelle dinamiche economiche e sociali del territorio. Comau, leader mondiale nel campo dell’automazione industriale, con oltre 45 anni di esperienza e una forte specializzazione nei processi di elettrificazione, sarà il fornitore di soluzioni innovative, impianti e tecnologie per il gigaplant. Inoltre, Comau si occuperà della realizzazione del laboratorio di Ricerca e Sviluppo che accoglierà accademici e partner industriali impegnati nello sviluppo delle tecnologie più all’avanguardia nel settore della mobilità elettrica».

Carlstrom ha concluso: «Il sostegno della Regione Piemonte, delle amministrazioni locali e delle associazioni di categoria è stato oltre le nostre aspettative, l’intensa e proficua collaborazione degli ultimi otto mesi è stata determinante per la nostra decisione. Siamo particolarmente entusiasti di poter avviare il nostro progetto in Piemonte, dove abbiamo trovato la perfetta combinazione dei fattori che credo siano necessari per cogliere al meglio l’opportunità dell’industrializzazione verde: una solida tradizione industriale e un know-how tecnologico altamente specializzato proprio nell’industria automobilistica. Siamo infine onorati di avere la possibilità di costruire la nostra Gigafactory nell’area di Scarmagno, un tempo occupata dal polo industriale Olivetti, azienda che ha segnato la storia dell’industria italiana e ancora oggi rappresenta un’icona della tecnologia made in Italy».

fonte: www.greenreport.it


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Dai ricambi rigenerati al riciclo delle batterie: le case automobilistiche sperimentano la circolarità

Renault, Volkswagen, Toyota, Audi, FCA, Peugeot, Skoda, Mercedes, BMW: il mondo dell'automotive alla ricerca di soluzioni sostenibili e circolari per ridurre il proprio impatto ambientale










I leader del settore automobilistico stanno già investendo in un futuro sostenibile, molto più che altri comparti industriali. Lo certifica uno studio del Capgemini Research Institute (uno dei leader mondiale nei servizi di consulenza) dal titolo “The Automotive Industry in the Era of Sustainability”. Tuttavia, secondo lo studio, le aziende automobilistiche hanno ancora molta strada da fare per essere totalmente parte di un’economia circolare.

I livelli di investimento, implementazione e governance in tema di sostenibilità non sembrano ancora sufficienti per stare al passo con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Solo il 9% delle 500 aziende automobilistiche analizzate può essere infatti classificato come “high-performing sustainability leader”, mentre il restante 91% deve ancora raggiungere la maturità, con un 26% che appare in forte ritardo.

Ad esempio, nonostante il 74% dei produttori del comparto automobilistico abbia una strategia per i veicoli elettrici, solo per il 56% di loro questa è parte integrante della strategia di sostenibilità. Il report afferma che l’industria automobilistica dovrebbe incrementare i propri investimenti attuali almeno del 20% per poter raggiungere gli obiettivi definiti a livello internazionale.

Approccio sistemico

Uno dei modi più efficaci per rendere le aziende automobilistiche più sostenibili è quello di adottare un approccio sistemico orientato all’economia circolare.

Importanti marchi del settore hanno portato avanti dei progetti estremamente interessanti in tal senso. Pensiamo a Michelin, che riutilizza l’85% dei vecchi pneumatici, trattandoli nel proprio stabilimento nel Regno Unito e risparmiando 60 kg di emissioni di carbonio per pneumatico. O General Motors, che ha generato un miliardo di dollari dalla vendita di rifiuti riciclabili.

Su diversi aspetti sono stati fatti già importanti passi in avanti: dallo studio emerge, ad esempio, che il 75% degli intervistati ricicla “una quantità significativa” di rifiuti e rottami industriali e il 71% incentiva gli utenti finali a utilizzare parti e componenti ricondizionati. Le aziende intervistate hanno dichiarato però che solo il 32% della loro supply chain contribuisce attualmente all’economia circolare e appena il 36% di loro realizza partnership per garantire un secondo ciclo di vita alle batterie dei veicoli elettrici.

C’è ancora da lavorare dunque per poter essere totalmente parte di un’economia circolare. Come spiega Andrea Falleni, Amministratore Delegato di Capgemini Business Unit Italy, “per recuperare il ritardo e diventare un settore più rispettoso dell’ambiente, le aziende devono concentrarsi su due priorità chiave: collegare più saldamente le proprie strategie in ambito di sostenibilità con quelle riguardanti lo sviluppo di veicoli elettrici, e aumentare gli investimenti in iniziative di economia circolare”.

Il modello di business

Abbracciare un modello di business circolare influisce sulla sostenibilità di molte aree chiave, dalla supply chain al riciclaggio, dall’approvvigionamento al post-vendita. Per un futuro circolare, l’industria automobilistica ha bisogno di puntare forte su tre aspetti chiave: la crescita di modelli ad alto utilizzo di veicoli (Mobility as a service e car sharing), la conversione della rete di distribuzione e manutenzione in centri di raccolta, rigenerazione e riciclaggio. E, infine, l’adozione di design modulari e materiali circolari a basso tenore di carbonio durante la progettazione del veicolo.

Molti ci stanno già lavorando. Renault, ad esempio, ha annunciato che convertirà il suo più antico stabilimento di assemblaggio a Flins, vicino a Parigi, per la creazione di una RE-Factory, incentrata interamente sull’economia circolare, con l’obiettivo di creare 3 mila posti di lavoro e raggiungere un bilancio di CO2 negativo entro il 2030.

Quasi tutti i costruttori poi, hanno centri per il remanufacturing. La stessa Renault è molto attiva da tempo nel recupero dei veicoli e dei componenti fuori uso e a fine vita. È stata la prima infatti, ad aver realizzato una fabbrica specializzata a Choisy-le-Roi, nella periferia di Parigi, dove offre una seconda vita ai ricambi da ben 70 anni, generando entrate per circa 250 milioni di euro l’anno. A questo scopo Renault controlla una rete di società specializzate nel settore come Indra, che gestisce 400 demolitori in Francia che trattano il 25% delle auto fuori uso di tutte le marche, di cui viene garantito il 95% del riciclaggio sulla massa totale dei veicoli.

C’è anche la Mercedes, che nel suo Core Consolidation Center di Offenbach riceve dai rivenditori nel mondo tutte le parti che i clienti hanno utilizzato e restituito, che vengono poi ricondizionate e spedite al centro ricambi usato vicino a Stoccarda.

Ecco una breve carrellata delle iniziative più significative.

Renault

Apriamo proprio con la casa francese, che tra riciclaggio dei tessuti, ricondizionamento dei ricambi, riutilizzo delle batterie dei veicoli elettrici, sviluppo di offerte di car sharing sempre più sostenibili, è in prima linea in tema di economia circolare.

Detto di RE-Factory, primo stabilimento europeo dedicato all’economia circolare nella mobilità, che verrà realizzato entro il 2024 per affiancare i veicoli per tutto il loro ciclo di vita – dall’approvvigionamento alla manutenzione, dalla sostenibilità delle batterie alla fase di rigenerazione e riciclo – e della fabbrica di Choisy-le-Roi, Renault sta lavorando anche per raddoppiare il suo consumo globale di plastica riciclata.

“Di fronte alla sfida della transizione energetica, le industrie svolgono un ruolo di primaria importanza per far evolvere le loro modalità di produzione e ridurre l’impatto ambientale”, ha spiegato Jean-Philippe Hermine, Direttore strategia e Piano ambientale del Gruppo Renault. “Con il sostegno dei nostri partner Filatures du Parc ed Adient Fabrics France, dimostriamo che è possibile realizzare modelli di sviluppo circolari e competitivi incentrati sulle risorse, dotandosi al tempo stesso di un vantaggio competitivo prezioso in un momento in cui la disponibilità e il costo delle materie prime diventa una vera e propria sfida strategica”. Prossimo step: ridurre gli impatti ambientali dei veicoli per l’intero ciclo di vita e diminuire del 25% la propria carbon footprint a livello mondiale nel 2022 rispetto al 2010.

Volkswagen

Entro il 2050 il Gruppo Volkswagen intende diventare carbon neutral, ovvero a impatto zero in termini di CO2 con tutte le proprie attività. Il primo passo, da concretizzare entro il 2025, è ridurre le emissioni delle auto e dei veicoli commerciali leggeri – lungo l’intera catena del valore – del 30% rispetto al 2015.

Nell’ottica di una riduzione sistematica delle emissioni lungo l’intero ciclo di vita di ogni veicolo, la casa tedesca sta portando avanti un grande lavoro in materia di impianti sostenibili. Ad esempio, lo stabilimento di Zwickau, in Germania (dove è stata avviata la produzione della nuova elettrica ID 3), diventerà non solo il più grande impianto in Europa dedicato alle auto elettriche, ma anche il più efficiente e sostenibile. La produzione verrà assicurata attraverso il consumo di energia proveniente esclusivamente da fonti rinnovabili. Grazie all’elettricità generata da centrali eoliche, idroelettriche e fotovoltaiche, si ha una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 106 mila tonnellate ogni anno.

L’adeguamento delle strutture porterà a una riduzione delle emissioni di CO2 dei siti produttivi tedeschi di Braunschweig, Emden, Hannover, Kassel, Salzgitter e Wolfsburg pari al 50%, mentre quelle degli impianti del Gruppo Volkswagen nel mondo scenderanno del 15%. Ma non è tutto: saranno significativamente ridotti, in media del 50%, anche il consumo di acqua e la produzione di scarti. Entro il 2025 le emissioni di tutti gli stabilimenti saranno dimezzate rispetto al 2010: l’impianto Audi di Bruxelles è un esempio virtuoso in tal senso: già oggi è carbon neutral.

Gruppo Volkswagen sta lavorando anche sulla fase del riciclo. Dopo aver lanciato nel 2009 il progetto di ricerca LithoRec, che ha come obiettivo il riciclo delle batterie agli ioni di litio, ora sta lavorando alla realizzazione di un impianto pilota all’interno dello stabilimento di Salzgitter per ottimizzare il processo e utilizzare le materie prime recuperate per ridurre ulteriormente la sua impronta ambientale.

Audi

Come anticipato, anche Audi – che fa sempre parte del gruppo Volkswagen – sta portando avanti la sua rivoluzione verde. Solo per fare un esempio, i rivestimenti dei sedili della nuova A3 sono realizzati grazie a un processo di trasformazione che interessa circa 45 bottiglie di plastica da 1,5 litri. Ogni sedile è composto per l’89% da bottiglie di plastica riciclata.

Anche Audi mira a ridurre le proprie emissioni del 30% nei prossimi cinque anni e portarle a zero entro il 2050. Una parte importante di questo processo è rappresentata dall’elettrificazione della gamma. Obiettivo: portare sul mercato trenta modelli elettrificati entro il 2025.

Audi poi sta lavorando anche sull’approvvigionamento: ogni fornitore è valutato secondo un indice di sostenibilità che ne certifica l’idoneità. Inoltre, collabora con partner esterni per creare un sistema di riciclo completo. Il brand costruisce le auto in modo che possano essere disassemblate rapidamente e facilmente negli impianti di raccolta ufficiali, alla fine del proprio ciclo di vita.

Infine, attraverso l’applicazione dei concetti dell’economia circolare e dell’efficienza nella produzione, gli stabilimenti stanno progressivamente riducendo le emissioni di CO2, i consumi di energia e di acqua, l’uso di solventi organici e la creazione di rifiuti. Entro il 2025, l’obiettivo è raggiungere emissioni nette di carbonio pari a zero in tutti gli impianti Audi.

Skoda

Il brand ceco – anch’esso fa parte del gruppo Volkswagen – è costantemente impegnato nella riduzione dell’impatto ambientale delle proprie auto con una strategia a 360 gradi: dall’estrazione delle materie prime alla fine del ciclo di vita.

Škoda racchiude tutte le proprie attività in favore dell’ambiente nella strategia “GreenFuture”, basata su tre pilastri: “GreenProduct” ha l’obiettivo di creare vetture più sostenibili in termini di consumi, materiali impiegati e riciclabilità; “GreenRetail”, che promuove i comportamenti virtuosi nelle concessionarie e nei Service Partner; “GreenFactory”, che mette insieme tutte le attività volte alla conservazione delle risorse durante i processi produttivi.

Tutti i parametri chiave, come il consumo di energia, di acqua e la quantità di scarti generata, sono costantemente monitorati e ottimizzati. Lo stesso principio si applica alle emissioni di CO2 e alle cosiddette particelle volatili (VOCs) che sono generate durante le fasi di verniciatura. L’obiettivo a lungo termine è rendere completamente carbon neutral il consumo di energia degli impianti di produzione di veicoli e componentistica entro la fine di questo decennio.

Il brand dall’inizio dell’anno ha riciclato in modo pressoché totale tutti i rifiuti prodotti utilizzati durante i cicli produttivi, negli impianti e stabilimenti. In questo senso, un vero modello per tutti gli altri costruttori. “Abbiamo raggiunto un traguardo importante nella strategia GreenFuture e, nello specifico, nell’area GreenFactory”, spiega Michael Oeljeklaus, membro del Board Škoda per produzione e logistica. “Siamo in grado di riciclare al 100% tutti gli scarti generati durante la produzione di un’auto. Questo è un importante passo in avanti e dimostra il nostro impegno verso il rafforzamento della cosiddetta economia circolare”.

FCA

Anche Fiat-Chrysler Automobiles (FCA) ha deciso di investire nell’economia circolare. Lo stabilimento di Cassino, dove si producono le Alfa Romeo Giulietta, Giulia e Stelvio, è “zero waste” dal 2000. Neanche un grammo di scarti o rifiuti industriali viene inviato a discarica. Dato che il 100% dell’energia elettrica utilizzata dallo stabilimento proviene da fonti rinnovabili e il 100% delle emissioni legate all’uso di energia termica sono compensate, lo stabilimento di Cassino è anche “zero CO2 emission”.

Il gruppo italo-statunitense sta portando avanti una vera e propria strategia di design di processo circolare puntando su numerosi elementi. Come la scelta di materiali per alcuni veicoli bio-based (cioè di origine naturale), facilmente riciclabili, fibre naturali come il kenaf e la juta, o materia rinnovata come il nylon riciclato oppure la riduzione del consumo di acqua nella filiera (-27,5% dal 2010) e di scarti (-18,7%), con taglio delle emissioni di quasi un decimo. Il remanufacturing si concentra soprattutto per i ricambi, riducendone così i costi per i consumatori e il volume di scarti destinati alla discarica.

Peugeot

La casa francese, da poco unita in matrimonio con FCA per dare vita a Stellantis, punta sull’allungamento della vita della componentistica. La casa del Leone offre infatti ai proprietari di auto la possibilità far riparare le proprie vetture Peugeot con pezzi di ricambio originali rigenerati: l’esatto opposto dell’obsolescenza programmata. In catalogo ci sono 2 milioni di pezzi di ricambio, ognuno con un anno di garanzia. Inoltre, dopo la riparazione Peugeot, col progetto My Tree, si impegna a piantare un albero nell’ambito di un progetto di riforestazione in Senegal

Mercedes-Benz

Mercedes-Benz, o meglio il Gruppo Daimler AG, ha dato il via a un nuovo piano di sostenibilità per la mobilità del futuro, chiamato “Ambition 2039”. Entro quella data la marca tedesca intente rendere l’intera gamma neutrale in quanto a emissioni di carbonio.

Il processo di neutralizzazione delle emissioni di CO2, già iniziato, riguarderà però anche le fabbriche del Gruppo Daimler. La cosiddetta “Factory 56”, nata all’interno degli stabilimenti di Sindelfingen, utilizza energie rinnovabili ed è stata concepita sin dall’inizio per avere zero emissioni di CO2. Lo stesso concetto sarà poi, man mano, esportato a tutti gli impianti industriali del gruppo in Europa entro il 2022.

Daimler punta anche sul riciclaggio, oltre ad esigere ai propri fornitori lo stesso rigore ecologico. Una visione circolare che coinvolge tutto il processo produttivo e che cercherà di essere trasmessa anche ai clienti, attraverso il programma “Mercedes Me Charge” che, come sostiene la stessa azienda, permetterà di “caricare le proprie vetture ecologiche utilizzando corrente ecologica”. In sostanza, sarà possibile ricaricare i veicoli in stazioni pubbliche in tutta Europa, con energia prodotta attraverso fonti rinnovabili.

Bmw Group

Il brand tedesco mira ad avere più di sette milioni di veicoli elettrificati sulle strade entro il 2030, due terzi dei quali completamente elettrici.

Parallelamente alla forte crescita della mobilità elettrica, il gruppo Bmw sta espandendo costantemente le sue attività sostenibili. Gli investimenti si concentrano su tre aree principali: il rispetto degli standard ambientali e sociali, la protezione delle risorse naturali e la riduzione delle emissioni di CO2 nella catena di approvvigionamento.

Bmw si è posta l’obiettivo di aumentare in modo significativo la percentuale di materie prime riciclate utilizzate entro il 2030 e di utilizzare più volte le materie prime in un’ottica circolare. Inoltre, per la stessa data, si vogliono ridurre le emissioni di CO2 della catena di fornitura del 20% per veicolo rispetto ai livelli del 2019. Senza misure correttive, le emissioni di CO2 della catena di fornitura aumenterebbero di oltre un terzo: attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili nella produzione delle celle della batteria della BMW iX c’è stata invece significativa riduzione delle emissioni.

Toyota

Il colosso nipponico pioniere dell’ibrido, con milioni di vetture vendute nel mondo, ha stretto un accordo con Panasonic per dare una seconda vita alle sue batterie. Inoltre, ha appena attivato una joint-venture con Subaru per realizzare una piattaforma elettrica destinata alla produzione di nuove autovetture 100% green. Quella dell’elettrificazione è l’obiettivo primario di Toyota: per favorire la transizione elettrica e potenziare le infrastrutture di ricarica ha sottoscritto una partnership in Italia con Edison, per installare oltre 300 colonnine di ricarica, ad accesso pubblico e alimentate da energia rinnovabile, presso tutti i concessionari e centri assistenza Toyota e Lexus.

Le sfide ambientali di Toyota per il 2050 comprendono anche l’azzeramento delle emissioni di CO2 nel ciclo di vita delle auto, il raggiungimento delle zero emissioni di CO2 negli impianti di produzione e di una gestione efficiente delle acque di scarico e dei consumi idrici durante la produzione.

fonte: economiacircolare.com

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Salone dell'auto, Greenpeace: 'Le automobili producono il 9% delle emissioni globali di gas serra, più di tutta l’Ue'

"Viviamo una grave emergenza climatica e le case automobilistiche sono tra le principali responsabili di quanto sta accadendo al clima" dichiara Luca Iacoboni di Greenpeace Italia "La sola Volkswagen emette più dell’Australia, Fiat Chrysler Automobiles più della Spagna"
















Alla vigilia del Salone dell’Automobile di Francoforte, Greenpeace lancia oggi una classifica delle 12 principali compagnie automobilistiche del mondo in relazione al loro impatto sul clima. Secondo quanto contenuto nel report “Scontro con il clima: come l’industria automobilistica guida la crisi climatica, Volkswagen è l’azienda che produce la maggior quantità di emissioni, seguita da Renault Nissan, Toyota, General Motors e Hyunday-Kia. Fiat Chrysler Automobiles (FCA) detiene invece il primato negativo di azienda più inquinante per emissioni medie per veicolo. Nel suo complesso, nel 2018 il settore automobilistico ha prodotto il 9 per cento delle emissioni globali di gas serra, più di tutta l’Ue.  

«Viviamo una grave emergenza climatica e le case automobilistiche sono tra le principali responsabili di quanto sta accadendo al clima», dichiara Luca Iacoboni, responsabile della campagna Clima di Greenpeace Italia. «La sola Volkswagen emette più dell’Australia, e non è da meno Fiat Chrysler Automobiles, l’azienda con il più alto livello medio di emissioni per veicolo, che in termini di gas serra inquina di più dell’intera Spagna».

Dall’analisi effettuata da Greenpeace emerge che la rapida diffusione di modelli più grandi e pesanti come i SUV sta causando un ulteriore incremento delle emissioni. In Europa, la quota di mercato di questi modelli è aumentata di oltre quattro volte negli ultimi dieci anni - dall’8 per cento del 2008 al 32 per cento del 2018 – mentre nel 2018 le vendite totali di SUV negli Stati Uniti hanno raggiunto quasi il 70% del mercato.

«Occorre una rivoluzione della mobilità e del settore dei trasporti, e le aziende automobilistiche, che oggi stanno ostacolando questo cambiamento proponendo false soluzioni come le macchine ibride, devono invece esserne protagoniste», continua Iacoboni. «L’industria dell’auto deve abbandonare completamente gli inquinanti motori a combustione interna, smettere di seguire un modello di business sbagliato che prevede un costante aumento della vendita di veicoli, e puntare su servizi che si integrino con il trasporto pubblico, come il car sharing e il car pooling», conclude.

In questi giorni produttori di auto e rappresentanti politici da tutto il mondo parteciperanno a Francoforte al Salone dell’Automobile, la più grande fiera del settore a livello globale. Il 14 settembre Greenpeace, insieme ad altri gruppi e a migliaia di persone, manifesterà – muovendosi a piedi o in bicicletta – davanti all’ingresso del Salone per chiedere una rapida transizione verso modelli di trasporto più sostenibili.

Per raggiungere l’obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5°C, Greenpeace chiede a tutte le case automobilistiche di fermare la produzione e la vendita di auto diesel e benzina entro il 2028, compresi i modelli ibridi, e di impegnarsi a produrre veicoli elettrici più piccoli, leggeri, ed efficienti dal punto di vista energetico.

Leggi il riassunto in italiano


fonte: www.ecodallecitta.it

Emissioni veicoli, c’è l’accordo europeo per il taglio della CO2

Europarlamento e Consiglio hanno trovato la quadra sul nuovo regolamento dedicato ad auto e furgoni. Ma il testo finale scontenta quasi tutti
















Fumata bianca per le nuove norme comunitarie sulle emissioni veicoli. Il trilogo europeo ha trovato ieri sera un accordo informale sul taglio della CO2 da applicare ad auto e furgoni venduti dal 2021. Il testo finale, che dovrà ora essere votato ufficialmente sia dal Parlamento che dal Consiglio dell’UE, dà una vigorosa scossa alla proposta iniziale della Commissione Europea. Allo stesso tempo, tuttavia, livella l’impegno richiesto dagli eurodeputati per riuscire a trovare un punto d’incontro con le richieste dei Ventotto, Germania in primis.
Non è una sorpresa, dunque, che il risultato finale accontenti i legislatori ma incassi le critiche sia del settore auto che di quello ambientalista, per ragioni ovviamente opposte.


Cosa prevede il regolamento sulle emissioni veicoli? L’intesa ha alzato gli obiettivi di riduzione della CO2 da raggiungere per il 2030 che diventano: -37,5% per le nuove auto e -31% per i nuovi furgoni (lì dove Bruxelles aveva inizialmente proposto per entrambi solo un -30% e Strasburgo chiedeva un -40%). Il target sarà calcolato sulla base dei livelli di emissione del 2021, con un passaggio intermedio del -15% di CO2 per entrambi i veicoli leggeri da raggiungere entro il 2025. Scompare invece dal testo finale qualsiasi accenno ad un sistema di tassazione (malus) per le case automobilistiche che non dovessero rispettare la quota di veicoli ecologici richiesta dal regolamento. Un elemento di cui oggi si rammarica l’ONG Transport & Environment(T&E). Seppur soddisfatta dei miglioramenti introdotti nel provvedimento, l’associazione sottolinea come l’accordo sia ben al di sotto di quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi climatici del 2030 o quelli dell’accordo di Parigi, che richiederebbero che l’ultima auto con un motore a combustione interna sia venduta agli inizi degli anni ’30.

Le nuove norme non soddisfano neppure l’industria auto. In una nota stampa, l’Associazione europea dei costruttori di automobili (ACEA) fa sapere di essere seriamente preoccupata per target emissivi “estremamente impegnativi”. Secondo il gruppo un taglio del 37,5% potrebbe “sembrare plausibile, ma [è] totalmente irrealistico rispetto a dove siamo oggi”. Raggiungere gli obiettivi “richiederà un maggiore rafforzamento del mercato dei veicoli elettrici e di altri veicoli alternativi rispetto a quelli attualmente disponibili”, ha aggiunto ACEA invitando i 28 Stati membri e la Commissione europea a garantire “tutte le condizioni di abilitazione”, in particolare gli investimenti necessari in infrastrutture.

fonte: www.rinnovabili.it

La circular economy viaggia su quattro ruote: l’enciclopedia dell’auto sostenibile




















"Scrivo di automobili dal ’91. In tutti questi anni mi sono occupato della loro parti più visibili, delle performance su strada. Con questo libro invece abbiamo voluto usare i raggi X per studiarne ogni componente. Ci siamo fatti delle domande: cosa si utilizzerà per costruire un’auto? Per me il futuro dell’auto si gioca sul concetto di leggerezza. 
Nel libro diamo una panoramica su quali materiali si possono usare per comporne una e quanto questi si possono riutilizzare.” Sì, perché l’economia circolare viaggia anche su quattro ruote come ci ha spiegato Roberto Sposini, giornalista e curatore di Automotive – Neomateriali nell’economia circolare. Un dizionario che dal cofano alla marmitta orienta il lettore come in un’enciclopedia del mondo car che ha scelto sostenibilità, tecnologia e ambiente.


















Il libro Automotive parte dai dati per far luce sugli orizzonti e suggerire riflessioni. 800 miliardi nel 2025 e 7.000 miliardi nel 2050: sono queste le prospettive di crescita della cosiddetta "Passenger Economy", il giro d’affari che i passeggeri di domani – ovvero i guidatori di oggi – garantiranno grazie a una smart mobility che si affiderà anche alle auto a guida autonoma sia per il trasporto pubblico che per quello privato. “Ma il futuro non è in discesa per l’industria automobilistica – avverte Sposini – perché in Cina, il più grande mercato delle e-car, l’elettricità proviene ancora dal carbone bruciato nelle centrali. Questo è un paradosso, insostenibile a livello ambientale.”
“L’e-car è senz’altro il futuro, ma non sarà l’unica opzione.” Sposini non ha tralasciato il problema che ruota attorno all’approvvigionamento energetico e alle materie prime necessarie per le batterie. Come il litio, che si estrae da riserve conosciute (e in gran parte ancora inutilizzate) nel cosiddetto triangolo sudamericano, e il cobalto, prodotto per due terzi nella Repubblica Democratica del Congo. “Se teniamo conto dell’intero ciclo produttivo di un’auto non possiamo scordarci delle condizioni drammatiche a cui sono sottoposti i lavoratori che estraggono queste materie prime.”











Ma come si fa a parlare di leggerezza quando l’auto più venduta oggi in America è un pick up? “I primi cambiamenti si vedranno nelle città, nelle smart cities che io mi immagino nasceranno in paesi come la Bolivia o negli Emirati Arabi. Nelle grandi realtà urbane sarà comunque più facile far circolare un’auto a guida autonoma o spostarsi con un’auto elettrica. Fuori, nelle province italiane ad esempio, le alternative saranno ancora i veicoli di proprietà, ma più ecologici perché cammineranno a biometano e biodiesel.” Ma quando arriveranno i veicoli più ‘temuti’ di questa ondata tech?
“Che se ne dica – scrive Sposini – la diffusione dei veicoli con funzionamento autonomo non arriverà prima del 2040. C’è tempo per preoccuparsi”. Soccorso dagli interventi di diversi giornalisti ed esperti del settore che hanno contribuito alla realizzazione del libro, il coautore ha spiegato a StartupItalia! perché, oltre ai giustificati dubbi e paure, dietro alla self driving car ci sia in realtà una tecnologia più che sicura per l’incolumità nel traffico. “È normale che le persone abbiano paura di qualcosa che non conoscono. Io però ho sperimentato l’auto a guida autonoma a livello 5: se tutti vedessero come funziona non si spaventerebbero”.



Il futuro dell’automobile si gioca anche sui carburanti. Da una parte ci sono ricerche come quella di Transport&Environment che mettono in guardia dai rischi del metano, dall’altra non sembra ancora tempo per un verdetto definitivo. Come ha spiegato a StartupItalia! Roberto Sposini “il metano resta un carburante molto più che transitorio.” E infatti, come si spiega in Automotive, il futuro non potrebbe essere molto diverso dal Ritorno al futuro cinematografico: come nella celebre pellicola, dove la Delorean era alimentata da rifiuti organici, così oggi diverse aziende italiane hanno iniziato a produrre biogas da utilizzare come carburante grazie al compostaggio.
Parlando poi di open innovation, anche l’industria automobilistica sembra essersi aperta alle nuove idee che germogliano fuori dagli stabilimenti. “Si tratta sì di un settore conservatore, ma credo anche che i grandi marchi dovranno accettare, prima o poi, di passare da costruttori a fornitori di servizi. Questo cambiamento – precisa il coautore di Automotive Sposini – si nota anche per i contest che le case automobilistiche organizzano per scovare le migliori idee partorite dai giovani. Gli stessi giovani che in futuro faranno sempre a meno dell’auto di proprietà.”
Ma, alla fine, come sarà il futuro? Sarà simile a una puntata di Black Mirror, a una terribile distopia? “Innanzitutto penso che tra dieci anni non ci potremo più permettere un’auto di proprietà. Nelle città ci sarà sempre meno spazio per le auto, che diventeranno un servizio più che un bene privato. I veicoli saranno come un telefonino a quattro ruote: sapranno il giorno del compleanno della nostra fidanzata e ci indicheranno lungo la strada dove prendere i loro fiori preferiti e in quale negozio.” Tutto questo ha però un prezzo: la nostra privacy. “Certo – risponde Sposini – ma credo che sia ormai una parola desueta. Tutto quello che uno smartphone sa di noi, presto anche auto lo saprà.” 

fonte: http://www.puntosostenibile.it

Emilia 4, l’auto solare dell’università di Bologna consuma quanto un asciugacapelli e vince

L’auto si aggiudica anche l’American Solar challenge: dopo 2700 chilometri attraverso le Montagne Rocciose, dal Nebraska all’Oregon, il team Onda Solare ha conquistato il primo posto















Dopo 2700 chilometri attraverso la regione delle Montagne Rocciose, dal Nebraska all’Oregon, il team Onda Solare - unica squadra europea in gara - chiude il percorso conquistando il primo posto. E sono arrivati anche due premi speciali: il premio per la miglior meccanica e uso dei compositi e il premio per il miglior progetto della batteria. Un successo che conferma il ruolo di primo piano dell’Università di Bologna nel settore dell’Automotive a livello mondiale, e che apre la strada a possibili importanti ricadute in campo industriale. 

Il veicolo sviluppato dalla squadra di Onda Solare, ha un aspetto simile a quello di un’auto tradizionale ma con una grande differenza nei consumi: per muoversi Emilia 4 utilizza una quantità di energia simile a quella necessaria per far funzionare un asciugacapelli. Con due motori elettrici posizionati dentro alle ruote, è alimentata da cinque metri quadrati di pannelli solari ad alto rendimento collegati a batterie al litio di ultima generazione. 


La sfida di Emilia 4 era partita il 6 luglio, con una serie di prove preliminari su circuito (per un totale di quasi 500 chilometri percorsi), tutte superate con ottimi risultati. Poi, il 14 luglio è partita la gara vera e propria. L’auto solare nata dalla ricerca Unibo ha gareggiato nella categoria Cruiser, quella riservata ai veicoli con più di un posto (Multi Occupant Vehicle). 

Quattro posti, la prima in Italia così  
Da notare, a questo proposito, che Emilia 4 è un’auto solare a quattro posti (la prima auto italiana di questo tipo), mentre gli altri veicoli arrivati al traguardo sono tutti a due posti. Non solo: l’auto dell’Alma Mater è arrivata al traguardo sfruttando esclusivamente l’energia solare, senza mai collegarsi alla rete elettrica per ricaricare le batterie, e percorrendo autonomamente l’intero percorso, mentre tutti gli altri veicoli in gara hanno dovuto essere trainati su carrello per almeno un tratto del tracciato. Il percorso dell’American Solar Challenge ha portato le vetture in gara fino a 2500 metri di altezza, attraverso la regione delle Montagne Rocciose. Una sfida a colpi di chilometri macinati in dieci giorni, partendo da Omaha e proseguendo per Grand Island, Gering, Casper, Lander, Farson, Mountain Home, Burns, fino all’ultima tappa, la città di Bend in Oregon. I ragazzi del team Onda Solare hanno documentato la gara giorno dopo giorno, tra batterie da ricaricare, pit stop e problemi meccanici da risolvere lungo il percorso o durante di lunghe notti di lavoro. Ma anche acquazzoni e nebbia che hanno limitato la disponibilità di energia solare, creando non pochi problemi.
Sforzi ripagati  
Alla fine, però, gli sforzi sono stati premiati: Emilia 4 ha completato con successo il viaggio riportando, giorno dopo giorno, punteggi ottimi per efficienza, tempi di percorrenza, numero di persone a bordo, capacità della batteria. Risultati che, messi uno accanto all’altro, hanno portato alla conquista del primo posto in classifica. 
Nata da un progetto di ricerca industriale finanziato dalla Regione Emilia-Romagna grazie ai Fondi europei - Por Fesr 2014-2020, Emilia 4 è stata sviluppata e costruita interamente in Emilia-Romagna dall’Università di Bologna e dal team di Onda Solare, con il coinvolgimento del CIRI Meccanica Avanzata e Materiali e il CIRI Aeronautica e il sostegno di diverse aziende e centri di ricerca, tra cui il Centro di super calcolo del Cineca e Scm Group. Il lavoro di progettazione, che ha coinvolto una sessantina di persone, è durato due anni, mentre la fase di costruzione è stata portata a termine in meno di un anno. 

fonte: http://www.lastampa.it