Inaugurata la virtual #ploggingchallenge: in corsa per la prima edizione del World Plogging Championship
La prima edizione del Campionato Mondiale di Plogging, lo sport che unisce la corsa alla raccolta dei rifiuti abbandonati, avrà luogo dal 1 al 3 ottobre 2021 in Valle Pellice, in Piemonte. Mentre per gli atleti professionisti continua la selezione attraverso le gare qualificanti (TMT, Trail EDF Cenis Tour, Alpe Adria Trail, TorX), per i runner amatoriali si apre una nuova sfida tutta virtuale.
L’esclusiva #ploggingchallenge selezionerà 30 runner che prenderanno parte al Campionato, sfidando così i professionisti e le professioniste della disciplina. Questa doppia modalità di partecipazione permetterà così a chiunque di mettersi in corsa per l’ambiente. Ma come funziona?
Dopo essersi registrati sul sito www.ploggingchallenge.com e aver creato il proprio profilo personale, sarà possibile inserire ogni sessione di allenamento effettuata. Basterà caricare una foto delle specifiche tecniche del percorso effettuato (distanza percorsa, dislivello e tempo impiegato, come mostrato da app e dispositivi appositi) e una foto dei rifiuti raccolti. È necessario che questi siano posti ordinatamente, in modo da agevolare agli organizzatori il conteggio della CO2 risparmiata. Il risultato atletico e l’impatto ambientale saranno i due fattori che determineranno il punteggio del corridore, segnalato nella classifica parziale aggiornata regolarmente.
Al termine della fase di selezione, il 5 settembre, saranno resi noti i nomi dei 30 runner che si sono aggiudicati un pettorale, e che potranno così partecipare al World Plogging Championship (WPC) insieme agli atleti selezionati tramite le gare qualificanti.
L’impegno per l’ambiente sarà infine riconosciuto a livello europeo, registrando ogni sessione individuale come azione di plogging all’interno della campagna europea di sensibilizzazione Let’s Clean Up Europe.
fonte: www.envi.info
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In principio sono state le pentole antiaderenti. Poi sono stati trovati ovunque. E sono emersi, gravi, gli effetti sulla nostra salute. Nel libro “Pfas, inquinanti per sempre” la storia dei casi italiani, dei prodotti in cui si trovano e di come evitarli.
La notizia è di qualche settimana fa, ma l’eco e le polemiche sono scaturite in Italia solo in queste ore.
Partiamo con ordine dalla decisione di Solvay di cessare l’utilizzo dei Pfas negli Stati Uniti sostituendoli con nuove tecnologie dopo che lo Stato del New Jersey, per un vasto inquinamento da Pfas causato dallo stabilimento di West Deptford, aveva portato in giudizio l’azienda, chiedendo bonifiche e danni.
Da qui la decisione della multinazionale di sostituire dal 1° luglio i Pfas nelle sue fabbriche degli Stati Uniti. Una analoga scelta non sembra aver varcato l’oceano, visto che in Italia la Solvay continua ad usarli. Le polemiche, invece, quelle sì che sono approdate in Italia, in particolare in Piemonte a Spinetta Marengo dove lo stabilimento Solvay è al centro di numerosi timori e proteste della popolazione. L’ex assessore Claudio Lombardi sul Piccolo, il giornale della provincia di Alessandria, si domanda: “È un comportamento coerente, etico sospendere la produzione di Pfas negli Stati Uniti sostituendoli con prodotti ‘più sostenibili’ e non farlo negli altri stabilimenti, in particolare in quello di Spinetta Marengo?”.
Continua Lombardi: “Nel comunicato stampa, Solvay annuncia di avere messo a punto prodotti basati su nuove tecnologie che permettono di abbandonare l’impiego dei Pfas nei processi di polimerizzazione delle sostanze fluorurate. Inoltre, e questa è notizia altrettanto importante, Solvay ha rinunciato all’impiego dei Pfas in tutti i siti di produzione degli Stati Uniti dal 1° luglio 2021”.
Che sia stata una decisione obbligata dall’azione dello Stato del New Jersey non sfugge a Lombardi che chiosa: “Ben diversamente si sono comportate le pubbliche amministrazioni piemontesi, a partire dal Comune di Alessandria per arrivare alla Provincia, che il 12 maggio ha autorizzato Solvay a produrre il Pfas denominato cC6O4 e non ha mai fatto sospendere quella del Pfas denominato Adv”. Lombardi conclude, pungolando la Solvay: “Esistono paesi abitati da cittadini per i quali ci si deve comportare in modo ‘sostenibile’ e altri che non ne hanno diritto? Ritengo che agli alessandrini, e in particolare agli spinettesi, sulla base di queste notizie sia dovuta l’immediata sospensione della produzione dei Pfas nello stabilimento locale”.
C’è da ricordare che negli Stati Uniti, il caso del New Jersey non è l’unico che interessa la Solvay. A inizio anno L’Environmental Working Group ha chiesto all’Agenzia per la protezione ambientale, di imporre multe civili e penali alla multinazionale per un totale di 434 milioni di dollari per molteplici violazioni del Toxic Substances Control Act. Per 8 anni – questa l’accusa di Ewg – Solvay non ha mai tirato fuori queste prove, nonostante dimostrassero che la sua nuova sostanza chimica PFAS era tossica tanto quanto il composto fluorurato che avrebbe dovuto sostituire.
fonte: ilsalvagente.it
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Non solo un negozio sfuso che si impegna nella riduzione degli sprechi, ma anche un progetto che coinvolge detenuti, donne vittime di violenza e persone con disabilità. Vi parliamo oggi di Sfusi e Riusi, piccola attività che si trova nel comune di Chiusa di Pesio, in provincia di Cuneo.
In questi anni vi abbiamo raccontato dei sempre più numerosi punti vendita che decidono di rinunciare agli imballaggi superflui e dannosi, promuovendo il riuso in tutte le sue sfumature. Li chiamiamo negozi sfusi o negozi alla spina proprio perché si impegnano a promuovere prodotti locali e spese più “essenziali”, mostrandoci che è possibile acquistare solo ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno. Così facendo, queste piccole e sempre più numerose realtà incentivano azioni a breve termine finalizzate a un cambiamento a lungo termine. Il negozio di cui vi parliamo oggi è il progetto Sfusi e Riusi, che nasce nel piccolo paese di Chiusa di Pesio, in provincia di Cuneo.
Il punto vendita nasce in un’area di proprietà comunale e al suo interno trovano spazio alimenti dalla filiera garantita, prodotti agricoli locali, del commercio equosolidale e artigianato, oltre che una vasta gamma di detersivi, detergenti e saponi alla spina. Grazie alla collaborazione tra il Comune e alcune organizzazioni del territorio, come l’associazione culturale Equazione e le cooperative sociali Proposta 80 e Fiordaliso, il progetto vuole contribuire non solo alla tutela dell’ambiente in una logica di riduzione degli sprechi, ma anche alla promozione del benessere delle persone attraverso iniziative dal forte impatto sociale.
I prodotti che si trovano all’interno di Sfusi e Riusi sono realizzati da una cooperativa che fornisce lavoro ai detenuti, ma sono coinvolte nel progetto anche donne vittime di violenza accolte dalla cooperativa Fiordaliso; inoltre una ricca selezione di manufatti è realizzata dagli ospiti del Centro Mauro di Chiusa di Pesio, gestito da Proposta 80, che da più di trent’anni si occupa del sostegno a persone diversamente abili, offrendo loro un supporto assistenziale, un’occupazione lavorativa e migliori condizioni economiche, sociali e professionali.
«Quando abbiamo letto il bando Ri-attivare proposto dalla Fondazione CRC, abbiamo pensato immediatamente a Equazione, l’associazione attiva da quasi diciotto anni sul nostro territorio, con lo scopo di diffondere pratiche commerciali eque, il consumo critico e la sostenibilità energetica/ambientale», ha spiegato Daniela Giordanengo, assessora alla comunicazione e alla cultura.
Lo spazio, appena inaugurato, sarà gestito dai volontari dell’associazione Equazione e il progetto prevede lo svolgimento di laboratori didattici e momenti formativi per giovani e adulti. Inoltre, per mantenere uno stile di vita orientato alla sostenibilità, le consegne della spesa verranno effettuate a domicilio in bicicletta.
Come ha raccontato Gianni Dalmasso, presidente di Equazione, «attraverso il nostro operato speriamo di incuriosire sempre più persone sui temi che sono all’origine e motivazione del nostro esistere, oltre che del progetto stesso. Auspichiamo di attirare molti giovani, particolarmente sensibili ai temi della giustizia sociale e della sostenibilità ambientale, in modo che diventino parte attiva della nostra azione di volontariato».
fonte: www.italiachecambia.org
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Presentazione del nuovo modello basato su produzione e consumo sostenibile di energia da fonti rinnovabili, vicino a Cuneo. Il comico fondatore del M5s approva in pieno: “L’energia è intelligenza, e voi siete un Comune intelligente. Da oggi siete un Comune elevato”. Per il presidente della commissione Industria a Palazzo Madama, Gianni Girotto, questa è “la pietra miliare della rivoluzione in atto”
“L’energia è intelligenza, e voi siete un Comune intelligente”. In questo modo Beppe Grillo – intervenuto in collegamento telefonico – mette la firma e offre la sua ‘benedizione’ alla presentazione di quella che viene definita “la prima comunità energetica realizzata in Italia”, al Comune di Magliano Alpi, a Cuneo, in Piemonte. Il M5s si sente infatti responsabile di questa trasformazione che – il presidente della commissione Industria a Palazzo Madama Gianni Girotto – definisce, in questo caso riferendosi al Comune di Magliano Alpi, “la pietra miliare della rivoluzione in atto”.
La Comunità è stata costituita il 18 dicembre 2020 con il supporto dell’Energy Center del Politecnico di Torino. Qualche giorno fa anche Legambiente aveva presentato una Comunità energetica (la ‘prima’), vicino Napoli, che viene anche richiamata dal comico fondatore del M5s.
“Oggi è una giornata storica, rovesciamo la piramide energetica. Ci sono sempre stati pochi operatori che servivano milioni di utenti, qui si rovescia tutto ed è il cittadino ad essere protagonista. In questi giorni la transizione ecologica è sulla bocca di tutti: questa è la vera transizione ecologica – osserva Gianni Girotto, presidente della commissione Industria a Palazzo Madama, intervenendo all’evento di inaugurazione – ci sono voluti anni per arrivare a questa situazione, ma alla fine ce l’abbiamo fatto. Si tratta di un modello che coniuga lavoro sostenibile e tutela dell’ambiente visto che produciamo energia rinnovabile con meno gas e meno petrolio. Facciamo questo per la tutela dei giovani e del loro futuro in Italia. Tutto questo avviene con un forte risparmio economico sulla bolletta energetica. In due mesi i progetti si possono realizzare, questo strumento è dei cittadini. Non ci saranno grandi imprese a dettare legge, le comunità sono a gestione del cittadino o dell’ente pubblico”.
Operativa da dicembre 2020, la Comunità di Magliano Alpi ‘auto-consuma’ in gran parte l’energia prodotta, garantendo a tutti i suoi membri un approvvigionamento energetico vantaggioso, e fornendo un contributo concreto alla lotta contro la povertà energetica.
“La transizione ecologica è anche transizione energetica: per questo motivo le competenze in materia di impianti da fonti di energia rinnovabile sono passate dal Mise al Mattm per creare il Mite – dice la sottosegretaria alla Transizione ecologica Ilaria Fontana – affinché avvenga però, non possiamo parlare soltanto di fonti di energia. Dobbiamo estendere il nostro punto di vista, includendo anche l’efficientamento energetico e il risparmio energetico”.
“Il termine ‘comunità’ è fondamentale per una nuova identità culturale nella quale la produzione e il consumo di energia sono una responsabilità da sentire propria, facendola diventare parte della quotidianità e alimentando così il sentimento verso maggiore sostenibilità – rileva Fontana – la comunità energetica estende il concetto di autoconsumo, spesso individuato oggi come qualcosa che possiamo fare soltanto da soli per le proprie case o in condominio. In realtà è assolutamente possibile sostenere una domanda locale di energia anche fuori dalle abitazioni consentendo una riduzione della domanda di energia dalla rete”.
L’idea alla base delle Comunità energetica è quella di tenere insieme le più recenti innovazioni tecnologiche, che stanno generando nuove opportunità di sviluppo industriale e nuova occupazione. Un nuovo modello basato su produzione ed uso sostenibile dell’energia, prodotta da fonti rinnovabili, per la creazione di valore e rilanciare il territorio dopo l’emergenza sanitaria. La normativa europea punta alla centralità dei cittadini che sono allo stesso tempo produttori e consumatori (in una parola ‘prosumer’).
“Da oggi siete un Comune elevato. Siete in quattro a farlo, siete ancora pochi ma questo non deve scoraggiare perché i più grandi cambiamenti della storia sono sempre stati portati avanti da piccoli gruppi – osserva Grillo citando anche la rivoluzione capitalista cinese messi in piedi alla fine degli anni ’70 da 20 famiglie – un piccolissimo Comune sta facendo una cosa grandissima: vi do la mia benedizione. Serve una nuova cultura energetica, un cambiamento di pensiero e di cultura. L’energia deve diventare il centro dell’intelligenza. Voi siete Comuni intelligenti. L’energia è intelligenza“.
fonte: www.rinnovabili.it
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Sarà l’impianto più grande d’Europa, con 4.000 posti di lavoro diretti e altri 1,500 nella supply chain
Italvolt, fondata e guidata da Lars Carlstrom, già fondatore di Britishvolt, ha annunciato di aver scelto l’area ex Olivetti di Scarmagno (TO) «per la realizzazione della prima “Gigafactory” in Italia, ovvero un impianto che sarà dedicato alla produzione e allo stoccaggio di batterie a ioni di litio per veicoli elettrici. La prima fase del progetto, che prevede un investimento complessivo di circa 4 miliardi di euro, sarà completata entro la primavera 2024».
Italvolt ha selezionato l’area ex Olivetti di Scarmagno, di proprietà del Fondo Monteverdi gestito da Prelios SGR, per le sue caratteristiche tecniche e per la sua collocazione geografica particolarmente favorevoli e spiega che «Il sito è oggi una vasta area industriale dismessa che si estende per circa 1 milione di m2, scelta già ai tempi della Olivetti dagli architetti Marco Zanuso ed Eduardo Vittoria per la facilità dei collegamenti stradali, autostradali e ferroviari, sia con Ivrea che con la città di Torino. Altro fattore che rende l’area di Scarmagno ideale ad ospitare il progetto di Italvolt è il suo forte legame con il tessuto produttivo del Piemonte che è la prima regione in Italia per quanto riguarda la produzione industriale Automotive».
La Gigafactory di Italvolt si estenderà su 300.000 m2 e punta a una capacità iniziale di 45 GWh, che potrà raggiungere i 70 GWh, rappresenta quindi «Un’importante opportunità di rilancio economico-industriale dell’area di Scarmagno, con un impatto significativo anche a livello regionale. Si stima infatti che nell’impianto verranno impiegati circa 4.000 lavoratori, con un indotto che nel complesso potrà arrivare a creare fino a 15.000 nuovi posti di lavoro».
Un impianto che sarà progettato dalla divisione Architettura di Pininfarina e pensato per rispondere alla crescente domanda di batterie in Europa che, secondo dati Mckinsey, dovrebbe «aumentare a livello globale di 17 volte fino a circa 3.600 gigawatt (GWh) entro il 2030».
A Italvolt promettono che il progetto sarà realizzato «Con una forte attenzione all’impatto ambientale e sociale, Pininfarina intende progettare un impianto industriale di nuova generazione, intelligente e responsabile, applicando metodologie costruttive DFMA e aprendo l’edificio al suo contesto, al fine di integrarlo nelle dinamiche economiche e sociali del territorio. Comau, leader mondiale nel campo dell’automazione industriale, con oltre 45 anni di esperienza e una forte specializzazione nei processi di elettrificazione, sarà il fornitore di soluzioni innovative, impianti e tecnologie per il gigaplant. Inoltre, Comau si occuperà della realizzazione del laboratorio di Ricerca e Sviluppo che accoglierà accademici e partner industriali impegnati nello sviluppo delle tecnologie più all’avanguardia nel settore della mobilità elettrica».
Carlstrom ha concluso: «Il sostegno della Regione Piemonte, delle amministrazioni locali e delle associazioni di categoria è stato oltre le nostre aspettative, l’intensa e proficua collaborazione degli ultimi otto mesi è stata determinante per la nostra decisione. Siamo particolarmente entusiasti di poter avviare il nostro progetto in Piemonte, dove abbiamo trovato la perfetta combinazione dei fattori che credo siano necessari per cogliere al meglio l’opportunità dell’industrializzazione verde: una solida tradizione industriale e un know-how tecnologico altamente specializzato proprio nell’industria automobilistica. Siamo infine onorati di avere la possibilità di costruire la nostra Gigafactory nell’area di Scarmagno, un tempo occupata dal polo industriale Olivetti, azienda che ha segnato la storia dell’industria italiana e ancora oggi rappresenta un’icona della tecnologia made in Italy».
fonte: www.greenreport.it
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Sabato 4 Luglio è stata inaugurata in piazza Michele Galetto la nuova sede, presso La Cassa, di Strass&Baratt, da sei anni stanziato unicamente a Pessinetto Fuori, nato grazie alla volontà e alle idee di Luca Baraldo e Laura Castelli.
«Qui non si compra e non si vende, ma si scambia oppur si prende… e se non dai niente sei lo stesso benvenuto», è questo lo slogan e il motto che da sempre ha mosso Strass&Baratt, luogo del riciclo che basa le proprie fondamenta sullo scambio di oggetti dall’uso quotidiano, elettrodomestici funzionanti, libri, capi d’abbigliamento, e quant’altro.
Si tratta di una iniziativa privata dove, dalle 10:30 alle 19:00 di ogni sabato, dal 2014, si è venuta a costituire una vera e propria piccola oasi del riuso dove poter scambiare, prendere, portare oggetti, il tutto senza scambio di denaro; vi è solamente la possibilità di lasciare un’offerta. Grazie a un gruppo di volontari e all’Amministrazione comunale che ha concesso in uso uno spazio comunale non utilizzato per sostenere il progetto, Strass&Baratt è riuscita ad aprire questa succursale, riuscendo a estendere la propria rete anche a La Cassa, nella speranza che in un futuro queste iniziative possano fiorire con maggiore prosperità, grazie a realtà che, volenterose di diffondere pratiche sostenibili, siano in grado di portare avanti un ideale di forte impatto ecologico, in prima linea contro gli sprechi e capace di dare a chi meno ha.
Non poche, a tal proposito, le richieste che si trovano analizzando questo progetto, come ad esempio quella che domanda di raccogliere «indumenti per il prossimo viaggio di fine Luglio a Trieste e dintorni, sul confine sloveno al termine della Rotta Balcanica, a sostegno dei ragazzi che avrebbero diritto a miglior vita ma che vengono pestati, respinti e privati del poco che gli è rimasto dalla polizia europea di frontiera»; oppure quella che chiede enciclopedie da utilizzare per un’opera d’arte.
Nella nuova sede già a fine Giugno sono arrivati i primi oggetti destinati al riuso, tuttavia per portare a regime anche questo nuovo piccolo mondo, è necessario che chi possiede articoli di cui non fa più uso, li venga a portare da Strass&Baratt per ridare loro vita attraverso un riciclo mai fine a se stesso ma sempre volto a un ‘porto e prendo’, un ‘do ut des’, basato sulla volontà di non sprecare ciò che con sudore è stato comprato e che magari potrebbe servire a qualcun altro e nel contempo trovare qualcosa che possa essere
utile a chi ha donato.
Un’iniziativa totalmente verde, ecosostenibile e figlia di una società, o meglio di una parte di società, che inizia a sentire stretto questo consumismo di cui è figlia e a cui l’economia capitalista ci ha legati ben stretti, che percepisce l’esigenza di cambiamento, di un ritorno a quelle pratiche che da anni, troppi anni abbiamo dimenticato.
Un costante e continuo aiutarsi reciprocamente, rendendosi commensali di una stessa tavola, una pratica lontana nel tempo e nella concezione ma così vicina nello spazio, quello di La Cassa ad esempio, a cui tutti rivolgo l’invito di spendere un’oretta o anche meno per fare un salto e chissà, magari portare un cappello o un maglione che non ci piace più, tornando a casa con un paio di pantaloni comodi che stavamo cercando.
fonte: www.italiachecambia.org
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A Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, nel raggio di tre chilometri dallo stabilimento chimico della Solvay, dove si producono polimeri fluorurati, ci si ammala più che nel resto del Piemonte. A stabilirlo sono due studi epidemiologici condotti dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale del Piemonte e dall’Asl di Alessandria resi noti a fine 2019. Intanto la produzione dello stabilimento va avanti
Una manifestazione di comitati e cittadini contro il silenzio delle istituzioni e le ricadute dello stabilimento produttivo Solvay a Spinetta Marengo
A Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, nel raggio di tre chilometri dallo stabilimento chimico della Solvay, dove si producono polimeri fluorurati, ci si ammala -e di conseguenza si muore- più che nel resto del Piemonte. A stabilirlo sono due studi epidemiologici condotti dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) del Piemonte e dall’Azienda sanitaria locale di Alessandria. I dati sono stati resi noti nel dicembre 2019, proprio nel momento in cui si concludeva in Cassazione il processo -iniziato nel 2008- contro i vertici aziendali di Solvay e Ausimont (i due gruppi che si sono avvicendati alla guida dello stabilimento dal 1980 a oggi), accusati di “avvelenamento doloso delle falde e omessa bonifica”: tre degli otto imputati coinvolti sono stati condannati a un risarcimento economico (a breve si potranno leggere le motivazioni della sentenza, giudicata dalle parti civili “troppo lieve”).
Le due analisi epidemiologiche sono state avviate dal Comune di Alessandria nel 2017 con lo scopo di valutare gli effetti sulla salute umana dovuti alla vicinanza al polo chimico in questione. I dati finali confermano i timori degli ambientalisti, che da anni denunciano l’inquinamento da PFAS -sostanze perfluoroalchiliche per le quali l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) chiede di abbassarne gli attuali livelli di tollerabilità- che nell’area esaminata, denominata “Fraschetta”, hanno inquinato le falde acquifere sotto e intorno allo stabilimento da cui migliaia di cittadini, oltre ai lavoratori della fabbrica, si sono approvvigionati per anni. Altreconomia ne aveva già parlato nel 2015, andando a intervistare cittadini ed ex-lavoratori della Solvay.
L’indagine ha evidenziato un incremento del 19% delle patologie tumorali, in particolare del polmone, della pleura e dell’apparato emolinfopoietico, rispetto al resto del territorio alessandrino e piemontese. Dati che si differenziano a seconda delle malattie specifiche con punte del +75% rispetto ai dati regionali per quanto riguarda i mesoteliomi pleurici e +76% per tumore al rene. Inoltre nei maschi si è riscontrata una incidenza di oltre il doppio per quanto riguarda i tumori epatici e delle vie biliari e nelle neoplasie al pancreas; nelle donne vi è un raddoppio di ricoveri per leucemie. Tra le patologie non tumorali risultano incrementi di ricoveri per malattie dell’apparato cardiocircolatorio, respiratorio e apparato genitourinario. In particolare lo studio sottolinea un +22% di malattie endocrine, +50% di casi di ipertensione, +56% di infarti del miocardio, +29% per insufficienza renale, +36% per malattie ematologiche, +22% di malattie cutanee, e molte altre. Infine, le valutazioni effettuate nel sottogruppo costituito dai bambini hanno messo in evidenza un aumento dei ricoveri per malattie neurologiche con un incremento dell’86%. Per tutte queste patologie si nota un andamento crescente in base alla durata della residenza.
Lo stabilimento di Spinetta Marengo è nato agli inizi del Novecento dalla Montecatini e nel corso degli anni è stato sede di vari tipi di produzioni, fino alle attuali incentrate sulla chimica del fluoro, diventando parte della Solvay nel 2002. Un sottogruppo dei composti fluorurati prodotti è rappresentato da PFAS, composti di difficile degradazione e conseguente accumulo nell’ambiente (tracce di PFAS sono stati rinvenuti ai Poli Nord e Sud), nella flora, nella fauna selvatica e negli esseri umani dove si accumula nel sangue e nei tessuti. Molti studi hanno evidenziato rilevanti conseguenze sulla salute umana derivanti dall’esposizione a questi elementi, come quelli messi in rilievo dalle due indagini citate. I PFAS sono solo una delle famiglie di sostanze pericolose rilevate nell’area industriale di Spinetta Marengo: infatti sono stati identificati nel terreno superamenti per cromo esavalente, arsenico, piombo, ddt, idrocarburi pesanti e cloroformio. Quest’ultimo è presente anche nelle acque di falda insieme al tetracloruro di carbonio, tetracloroetilene e tricloroetilene. Anche la rilevazione della qualità dell’aria ha portato a individuare diversi composti a base di fluoro. La storia centenaria dello stabilimento avrebbe lasciato in eredità, secondo i comitati presenti sul territorio, oltre 1,15 milioni di tonnellate di materiale tossico su una superficie compresa tra i 10 e 15 chilometri quadrati.
Intanto la produzione dello stabilimento va avanti. La condanna non ha fermato la produzione di C6O4, un composto della medesima famiglia di PFAS, a catena corta e quindi considerato meno impattante. Nonostante l’Agenzia Chimica Europea (Echa) abbia classificato il C6O4 come “non biodegradabile” (oltre che tossico per ingestione e corrosivo), la Solvay ha già chiesto un ampliamento dello stabilimento per la produzione del composto. Durante la conferenza dei servizi non ha voluto rivelare le modalità di produzione di C6O4 invocando il segreto industriale. Inoltre la relazione tecnica attualmente resa pubblica da Solvay contiene 56 omissis, tra cui le previsioni di impatto sull’ambiente. Dal momento che la Solvay, come ricorda Legambiente Alessandria in una lettera inviata alle istituzioni, si è già confermata come la principale sorgente di PFAS nei fiumi Bormida e Tanaro, il timore è che si continui a inquinare. Eppure Solvay non prende in considerazione di sostituire il C6O4 (di cui sono state trovate tracce alla foce del Po) con altre sostanze più sostenibili: il laboratorio di chimica e tossicologia dell’ambiente Mario Negri ha individuato 20 sostanze alternative agli PFAS per ridurre l’impatto sulla salute e sull’ambiente. Lo studio è stato promosso dal ministero dell’Ambiente ed è proprio a partire da questa lista che il dicastero dovrà porsi l’obiettivo di fornire degli orientamenti precisi alle aziende che ne fanno maggiore uso. Dall’analisi dei dati di mortalità “si evince un importante incremento per patologie, tumorali e non tumorali, nella zona adiacente al polo chimico di Spinetta” ha spiegato l’epidemiologo Lelio Morricone del comitato locale “Vivere a Predosa”. “Ciò è strettamente correlato all’esposizione a sostanze tossiche ed inquinanti relative all’area in esame. Come tutti gli studi di tipo epidemiologico-descrittivo, che non hanno infatti questa finalità, non è possibile stabilire un rapporto diretto causa-effetto, ma il dato è talmente eclatante che risulterebbe poco plausibile pensare ad altre ragioni, per spiegare questo fenomeno”.
Al fine di rendere più “robusta”, dice l’Asl nel suo rapporto, l’analisi complessiva “parrebbe opportuno ipotizzare lo sviluppo di eventuali successivi step epidemiologici”. Che è anche quello che chiedono cittadini e comitati. Il costo delle analisi per la determinazione periodica di PFAS nell’acqua dei pozzi dovrebbe essere a carico dell’autorità pubblica ma nessuno per ora vuole accollarsene i costi. Intanto i comitati, tra cui Stop Solvay, propongono alle istituzioni di completare una mappatura precisa dei pozzi privati utilizzati a scopo potabile o irriguo. Come già disposto in Veneto, dove la Miteni di Trissino ha lasciato in eredità la più alta concentrazione di PFAS al mondo, occorrere un biomonitoraggio delle sostanze negli alimenti, i cui risultati siano resi pubblici al più presto.
L’obiettivo è tutelare l’ambiente e ridurre i rifiuti: “Il nostro servizio a Buttigliera Alta è totalmente autofinanziato”
BUTTIGLIERA ALTA. Qualsiasi discorso sull’ambiente ruota attorno ad un unico, importante postulato: ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare la differenza. Lo sanno bene Elena, Maria Chiara, Tiziana, Arianna e Barbara, le cinque mamme che pochi giorni fa, in occasione di una festa di carnevale per bambini, hanno inaugurato a Buttigliera Alta la loro «stoviglioteca». L’idea alla base dell’iniziativa è semplice quanto ambiziosa: ridurre drasticamente la mole di rifiuti prodotta durante feste e ricevimenti attraverso il noleggio gratuito di stoviglie e posate in plastica lavabili e riutilizzabili. L’idea «Nella vita facciamo tutt’altro, ad unirci è l’amicizia e la comune passione per le tematiche ambientali. Ci siamo ispirate al virtuoso esempio di Linda Maggiori, la giornalista e blogger di Faenza ideatrice del progetto» specifica Elena Bollati, una delle protagoniste dell’iniziativa «Il nostro è un servizio totalmente autofinanziato; chi vuole usufruirne può contattarci tramite whatsapp o via e-mail per prenotare le stoviglie e concordare il luogo in cui ritirarle. È previsto il pagamento di una cauzione e di un contributo simbolico di un euro. Al termine dell’utilizzo è sufficiente riportare ad una delle organizzatrici il kit lavato ed asciutto». Piatti, bicchieri, posate, caraffe, vassoi: questi gli elementi di cui si compone il progetto di sostenibilità ambientale che da qualche anno sta spopolando in tutta Italia, tanto che sul web crescono a vista d’occhio le pagine dedicate alle stoviglioteche.
«In completa autonomia»
«Il comune di Buttigliera Alta è al corrente della nostra iniziativa, ma abbiamo deciso di portarla avanti autonomamente, a differenza di quanto avviene altrove, ad esempio ad Almese o a Grugliasco» prosegue Elena. «Non vogliamo che possa essere strumentalizzata, ma ci auguriamo che anche l’amministrazione decida di avvalersene per i suoi eventi. Si tratta di un impegno che abbiamo inteso assumere per il bene dei nostri figli. È necessario che comprendano sin da ora la necessità di cambiare le loro abitudini e spetta a noi il compito di guidarli verso un futuro più sostenibile».
Un nuovo bando regionale prevede l'erogazione di un sostegno finanziario alla fase di costituzione delle comunità energetiche.
Beneficiari dell'iniziativa, dunque, sono i Comuni piemontesi che propongono la nascita di comunità energetiche. Ricordiamo che la Regione Piemonte è stata la prima in Italia a promuovere le comunità energetiche, con la Lr n. 12/2018; alcune disposizioni attuative della norma sono poi state dettate dalla Dgr 8 marzo 2019, n. 18-8520.
Ai sensi del Bando, sono ammissibili a contributo le spese sostenute per la redazione dei progetti e della documentazione correlata alla costituzione delle comunità energetiche, quali ad esempio:
• i documenti e le relazioni progettuali; • le analisi di fattibilità tecnico-economica; • gli studi e gli atti di carattere giuridico.
Ciascun richiedente può beneficiare di un contributo non inferiore a 5.000 e non superiore a 10.000 euro. La dotazione complessiva del Bando ammonta a € 50.000.
La domanda di partecipazione può essere inviata dalle 9.00 del 21 ottobre 2019 alle 12.00 del 6 dicembre 2019.
Per ogni ulteriore informazione e per consultare il Bando, completo di tutta la modulistica, si vedano i riferimenti qui sotto. Riferimenti
"Scollegati dalla rete, vivi fuori dagli schemi" è il motto di OffGrid Italia, associazione che a Torino promuove un nuovo modello di vivere a basso impatto ambientale attraverso la bioarchitettura, il design e il riuso creativo. In che modo? Coinvolgendo i cittadini in progetti collettivi di autocostruzione e fai da te, creando reti che sul territorio collaborino promuovendo recuperi e scambi di materiali e realizzando un parco innovativo interamente dedicato ai temi del riuso e dell’economia circolare. Ce ne parla Marco Mangione, mente e cuore di una realtà che ogni giorno reinventa in chiave innovativa il concetto di “spreco”.
Il termine anglosassone “Off the Grid” ha molteplici significati: scollegati dalla rete, vivere fuori dagli schemi. L’associazione OffGrid a Torino sta creando un movimento di persone accomunate dal sogno di vivere in un mondo a basso impatto ambientale. «In italia basta poco per avere un atteggiamento off the grid!» ci racconta Marco Mangione, che incontriamo sempre con molto piacere e che riesce ogni volta a stupirci con la sua forte energia improntata al cambiamento.
«Uno dei motivi per cui siamo nati è che ci siamo resi conto, come movimento di persone, che l’Italia e più in generale il mondo è fatto di sprechi». Partiamo dal settore dell’architettura, ad esempio, dove le soluzioni improntate alla sostenibilità sono innumerevoli ma spesso mai sperimentate. Un caso emblematico è proprio il mondo “Earthship” che nasce in America come tipologia di abitazione resiliente e realizzata con materiali di recupero, indipendente in termini di approvvigionamento energetico, idrico e alimentare. Insomma, una soluzione che permette di non dover più pagare le bollette e sprecare le risorse che la natura ci offre. Ma allora perché non realizzarla proprio qui, in Italia?
Da questo punto di domanda nasce Offgrid Italia, con la convinzione che proprio nel nostro Paese tante persone hanno voglia di mettere in pratica la sostenibilità nella loro vita e aderire ad un modello che riduca l’impronta sul pianeta. In parole povere nasce “per costruire un movimento indirizzato al vivere sostenibile, fatto di persone che condividono la medesima filosofia di vita» ci racconta Marco.
E se pensiamo alle nostre città, esempi insostenibili per eccellenza, in che modo possiamo renderle più vivibili? «Ad un certo punto della vita ci siamo resi conto che, per portare avanti progetti che avessero un impatto positivo sul territorio, proprio come nel caso della “Earthship”, c’era bisogno di persone che, con i propri personali talenti e le proprie capacità, potessero farsi promotrici di un cambiamento. Per questo abbiamo cominciato a ragionare su quali potessero essere dei momenti pratici di condivisione che accogliessero persone intenzionate a mettere in gioco le proprie competenze. Così abbiamo iniziato ad organizzare dei momenti di incontro e sperimentazione, che abbiamo chiamato “Reuse Day”».
Il Reuse Day è una giornata completamente dedicata al riuso, dove le persone si incontrano per realizzare un progetto di autocostruzione e fai da te, utilizzando materiali di recupero da riconvertire e condividendo idee progettuali per la creazione di qualcosa di nuovo. Il tutto si svolge all’interno degli spazi di OffGrid, attrezzati appositamente per permettere ai partecipanti di creare e imparare a “sporcarsi le mani”.
Ogni Reuse Day è incentrato sulla progettazione di un diverso manufatto, ci racconta Marco: «Recentemente una nostra socia ci ha confessato di voler costruire una libreria nella sua abitazione. Noi abbiamo quindi dedicato questo momento interamente a lei, aprendo una call di partecipazione che coinvolgesse persone interessate ad imparare a costruire una libreria con bancali. È stata un’occasione molto significativa che ha visto diverse persone collaborare insieme e proporre ipotesi progettuali e la migliore è stata realizzata in laboratorio».
Un progetto che guarda in grande è poi “Edilizia Circolare”, che nasce con l’obiettivo di dare nuova vita a materiali di scarto in ambito edilizio, mettendo in connessione le realtà presenti sul territorio. «Attualmente viviamo nell’era dello spreco – racconta Marco – ma ci sono dei settori dove si spreca molto di più, come nel caso dell’edilizia”. Il progetto, da un lato, vuole mettere in evidenza che il mondo dell’edilizia genera un quantitativo di materiale che può essere riconvertito e dall’altro lato vuole avviare una valorizzazione di tutti quei materiali di scarto che possono diventare oggetti di utilità. “Nella sperimentazione stiamo creando un team che io chiamo, in modo un po’ giocoso, gli “Avenger dell’edilizia” o gli “X Man”, proprio perché accomunati da un “fattore R” dedicato alla riconversione».
La sperimentazione sul territorio prevede la creazione di un cantiere collaborativo e circolare: collaborativo perché comporta il coinvolgimento di soggetti quali artigiani, progettisti, imprese, aziende, professionisti del settore edile e gli stessi abitanti del quartiere. Proprio per questo Offgrid sta realizzando una “harvest map”, nonchè “mappa del raccolto” che li riunisca secondo logiche di attivazione di comunità, affinchè siano capaci, insieme, di creare una rete e condividere la medesima visione di un’edilizia più sostenibile. Circolare poichè uno dei principi alla base del progetto è proprio l’impiego di materiali e oggetti in disuso donati prevenendone il conferimento in discarica e al tempo stesso la riduzione di rifiuti provenienti dai cantieri stessi.
«Nei cantieri della città spesso sono presenti materiali di scarto che per noi hanno molto valore» ci dice Marco. Parliamo di prodotti quali isolanti o vernici destinate alla discarica, ma anche quantità infinite di materiali utilizzati negli eventi che possono essere reinvestiti in progetti di ecodesign, o ancora tettoie o fogli per costruire stampi nell’ambito della carpenteria.
«Tutti questi materiali sono scarti per loro e opere d’arte per noi» confessa Marco, raccontandoci che verranno individuati proprio grazie alla triangolazione delle realtà presenti sul territorio e alle collaborazioni che l’associazione sta aprendo con coloro che conoscono e vivono il quartiere. «Una volta prelevati i materiali che ci sono stati donati, li riconvertiremo e li recupereremo all’interno dei Reuse Day aperti alla cittadinanza», in collaborazione con la cooperativa sociale “La Fabbrica del Chinino”, che mette a disposizione gli spazi per la sperimentazione.
«La rete che stiamo costruendo è fatta di artigiani e creativi come parte manuale e architetti e designer come parte intellettuale, oltre a realtà imprenditoriali che hanno a che vedere con la produzione di materiale riciclato per l’edilizia, uniti al coinvolgimento del quartiere.
Il progetto di Edilizia Circolare non ha solo un valore ambientale, ottenuto grazie alla riconversione dei materiali, ma anche un impatto sociale grazie al coinvolgimento di persone disabili che parteciperanno ai momenti creativi di riuso, oltre che un aspetto economico, grazie alla sostenibilità derivante dalla riduzione del materiale destinato alla discarica e al suo reinvestimento sul territorio.
Altro sogno nel cassetto improntato alla sostenibilità che sta diventando realtà è il progetto di Reland, un parco che sorgerà in provincia di Torino e che sarà, secondo la visione di Offgrid, un incubatore dove sperimentare modelli alternativi per il futuro, attraverso il gioco, l’intrattenimento e l’educazione alla sostenibilità ambientale.
«Dalle mie esperienze personali ho imparato a capire che le persone tendono a valorizzare quello che hanno proprio quando non hanno quasi più nulla. All’interno della nostra società avviene esattamente l’opposto poiché, nella realtà in cui viviamo, abbiamo quasi tutto ed è proprio da ciò nascono gli sprechi». Il progetto di Reland è una risposta diretta a questa emergenza: sarà un parco costruito con materiali di recupero, autosufficiente sotto tutti gli aspetti e realizzato da Offgrid insieme al Politecnico di Torino e al Comune virtuoso di Cambiano, dove il parco, ora in fase di progettazione, verrà realizzato. «Per noi è fondamentale che il parco sia pensato insieme alla cittadinanza. Molto spesso i progetti nascono senza domandare alle persone quanto realmente importanti siano. La vera sfida per noi è proprio questa, cogliere i bisogni di un territorio».
Trasformare in vere e proprie "fattorie per lombrichi" i contenitori dedicati alla raccolta dei rifiuti: E' l'obiettivo del progetto "Il Ciclo del Lombrico", avviato in provincia di Alessandria coinvolgendo i cittadini e le scuole con lo scopo di diffondere la conoscenza della lombricoltura, quale pratica utile a ridurre il quantitativo di rifiuti che produciamo in casa, produrre humus per i nostri terreni e risparmiare sulla raccolta differenziata.
Lo sapevate che esiste una soluzione semplice e pratica per smaltire i rifiuti organici in casa riducendo la quantità di scarti alimentari prodotti nelle nostre cucine? Tutto questo è possibile grazie ai lombrichi, piccoli amici ma grandi lavoratori, capaci di trasformare questi scarti in un prodotto naturale e utile per il nostro Pianeta.
Grazie al progetto “Il Ciclo del Lombrico”, ideato da Ruben Gemme e Mirko Pepe ed avviato nell’alessandrino, chiunque potrà praticare il compostaggio domestico nel proprio giardino o all’interno della propria abitazione! Come vi abbiamo raccontato in un precedente articolo, la lombricoltura è una soluzione perfetta e a basso impatto, nonchè una tecnica alternativa e sconosciuta ai più ma con grandi potenzialità: si basa sulla trasformazione di scarti vegetali in humus ad opera dei lombrichi e permette il riciclo di rifiuti organici e la conseguente produzione di fertilizzante naturale in agricoltura e orticoltura, con innumerevoli benefici dal punto di vista ambientale, economico e sociale.
Obiettivo del progetto è realizzare una “lombricompostiera infinita”, trasformando il numero più elevato di contenitori dedicati alla raccolta dei rifiuti in vere e proprie “fattorie per lombrichi”. Si tratta di un modello alternativo di vivere, produrre e consumare e si basa proprio sul concetto di “ciclo continuo”: la terra ci dona i suoi frutti per nutrirci, una volta consumati, gli scarti rimasti finiranno nella vermicompostiera, che i lombrichi lavoreranno producendo humus per concimare la terra, che in questo modo produrrà nuovi frutti. L’humus prodotto dai lombrichi è inoltre un "super concime", in quanto ricco di minerali e sostanze essenziali per la crescita sana delle piante e capace di migliorare il terreno dal punto di vista nutritivo.
Obiettivo è promuovere una cultura educativa e ambientale tra le persone, mostrando come questa semplice pratica possa entrare a far parte delle nostre abitudini quotidiane con innumerevoli vantaggi.
La lombricompostiera verrà realizzata con la prerogativa di utilizzare esclusivamente materiali di recupero: contenitori dismessi, plexiglass o lamiere derivanti da scarti di lavorazione, che andranno a costituire la nuova casa dei lombrichi. Come racconta Mirko, «I lombrichi amano la spazzatura organica, per questo rappresentano una soluzione ottimale ed efficace sia in scala domestica che industriale nella gestione dello smaltimento dei rifiuti».
Ebbene, si tratta di una soluzione vincente sia da un punto di vista dell’ecologia che dell’economia. In primis la vermicoltura ci consente di ridurre il quantitativo di rifiuti che produciamo quotidianamente in casa ed inoltre chiunque può farne uso: cittadini, condomìni, scuole, ristoranti, con risparmi economici sulla tassa dei rifiuti. Pensate che una famiglia può riutilizzare un normalissimo bidone della spazzatura che, ospitando una popolazione di un chilo di Lombrichi, è capace di smaltire fino a due quintali di rifiuti all’anno! Inoltre, realizzare un solo bidone con materiali di scarto permette di recuperare fino a sei chili di plastica e un chilo di ferro, che in alternativa sarebbero stati destinati allo smaltimento.
Con le iniziative di “Il Ciclo del Lombrico”, la lombricoltura arriva ora anche nelle scuole. “Rifiutiamo lo spreco!” è il progetto pensato per le scuole elementari, per avvicinare i più piccoli al mondo dei lombrichi e a tutti i benefici che ne derivano, attraverso un progetto didattico tutto improntato all’ecosostenibilità. Il compostaggio dei rifiuti organici è infatti una pratica semplice, divertente e molto istruttiva per i più piccoli, aiutandoli a prendersi cura della terra e della natura. Protagonisti di quest’avventura sono proprio i bambini delle scuole elementari di Rivalta Bormida e Cassine, che, insieme agli aiutanti lombrichi, trasformano gli scarti delle mense in prezioso humus e lo ridonano alla Terra, all’interno degli orti che le scuole mettono loro a disposizione.
Ad Alessandria, inoltre, Ruben e Mirko hanno portato la lombricoltura all’interno della ristorazione sociale promossa dalla Cooperativa Sociale Coompany&, dove sono state collocate dieci vermicompostiere per riporre gli scarti alimentari della frutta e della verdura coltivata negli orti urbani della cooperativa.
«Il Lombrico, per noi, è la base di tutto - affermano Ruben e Mirko - e grazie a lui stiamo dando vita a diversi progetti con un unico comune denominatore: dare nuova e migliore vita a ciò che ieri chiamavamo rifiuto!». Un progetto virtuoso che vuole contribuire a sensibilizzare grandi e piccoli fornendo le basi per la crescita organica del terreno, oltre che a costruire nuove comunità resilienti e promuovere un'economia circolare chiudendo il cerchio sugli sprechi alimentari.