Il Salvagente ha inviato una lettera aperta ai ministri della Salute e dell’Istruzione per “Evitare che nei piatti dei nostri figli finiscano i
Visualizzazione post con etichetta #StoviglieRiutilizzabili. Mostra tutti i post
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Pfas nei piatti e nei bicchieri usati nelle mense scolastiche. L’appello della rivista Il Salvagente per sostituirli
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Mense scolastiche: candidato all'assegnazione di fondi Atersir il progetto comunale di introduzione delle stoviglie lavabili per la refezione
Punta a ridurre drasticamente la produzione di rifiuti derivanti dalle mense scolastiche di Ferrara il progetto "Cambiare per educare: meno rifiuti con le
Quando il cibo da asporto incontra i contenitori riutilizzabili. Gli esempi in Italia e nel mondo
Una lezione circolare da trarre dal Covid è che anche nel settore dell'asporto può esserci spazio per il riuso. In Gran Bretagna l'associazione City to Sea diffonde nelle caffetterie l'uso delle tazze riutilizzabili, mentre negli Usa Just Salad appone etichette climatiche sui menu. Anche in Italia qualcosa si muove

L’emergenza sanitaria ha comprensibilmente messo in secondo piano altre emergenze ambientali, come quelle connesse all’aumento della produzione di rifiuti. Le misure per contrastare il Covid hanno rallentato, se non fermato, centinaia di progetti nazionali o locali, in particolare quelli che riguardano la sostituzione di contenitori e altri accessori monouso nel settore della ristorazione da asporto, che sono già da tempo nel mirino delle direttive europee. Intanto la domanda di alimenti confezionati e pronti al consumo continua a crescere e il ricorso al cibo da asporto nei periodi di lockdown è letteralmente esploso.
Sfide impossibili che diventano realtà
Lo scossone prodotto dalla pandemia è l’occasione per vedere con più chiarezza i limiti e i rischi insiti nel modello di consumo e negli stili di vita attuali, aprendo la strada alla riflessione sulle opportunità di cambiamento che possono scaturire da una migliore organizzazione della società, del lavoro, della mobilità, della burocrazia. L’innovazione digitale nella pubblica amministrazione e la possibilità di lavorare da casa, ad esempio, sono due delle “conquiste” che nessuno prima che scoppiasse la pandemia immaginava potessero arrivare così velocemente.
Anche davanti a sfide come quella della neutralità climatica al 2050, così come sul fronte della prevenzione della produzione dei rifiuti c’è la possibilità di non perdere questo atteggiamento proattivo individuando soluzioni innovative e sistemiche che possano avere applicazioni su larga scala.
Guardando ai 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, il numero 12 in particolare, promuove un modello di consumo e di produzione sostenibile. Per superare il dilagare dell’usa e getta c’è l’impegno espresso a “ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclo e il riutilizzo”. E c’è un obiettivo temporale: il 2030, anno entro il quale bisogna anche “incoraggiare le imprese, in particolare le grandi aziende multinazionali, ad adottare pratiche sostenibili e a integrare le informazioni sulla sostenibilità nei loro resoconti annuali”.
Il monouso non offre maggiore protezione
La pandemia ha portato con sé misure che si sono poi rivelate eccessive, come la disinfezione ambientale di strade e spiagge da parte dei Comuni e l’utilizzo di guanti per uscire a fare la spesa da parte dei cittadini. La paura che il contatto con le superfici portasse il contagio si diffondeva insieme agli studi che rilevavano il permanere del coronavirus su oggetti e arredi per più giorni, anche perché non si precisava che la carica virale non fosse sufficiente a farci ammalare.
Successivamente sono poi arrivate rassicurazioni dal fronte medico, riprese dal ministro della Salute Roberto Speranza nel corso di un’audizione dello scorso anno sulla sicurezza delle stoviglie riutilizzabili che, al contrario dei manufatti monouso, si possono lavare seguendo i più elevati standard di igiene.
Superata la paura iniziale, dunque, hanno ripreso a farsi strada alcuni progetti basati sul riuso di contenitori e stoviglie per la ristorazione, in grado di garantire la qualità e la sicurezza del servizio, riducendo enormemente l’impatto ambientale dei contenitori usa e getta che vanno a sostituire.
Il caffè da asporto diventa “contactless”
L’organizzazione ambientalista inglese City to Sea si è attivata per evitare che le numerose caffetterie del Regno Unito sospendessero, sull’esempio di Starbucks, l’utilizzo di tazze riutilizzabili per le bevande da asporto. L’iniziativa #ContactlessCoffee nasce dalla consapevolezza delle dimensioni del problema rifiuti: secondo un recente studio di Science, ogni anno a livello globale 250-300 miliardi di tazze monouso finiscono smaltite o abbandonate nell’ambiente.
Per spingere i coffee shop britannici ad accettare il sistema di ritiro delle tazze riutilizzabili, City to Sea ha promosso una semplice procedura che evita contaminazioni incrociate mentre si riempie la tazza del cliente. Come si può vedere dalle istruzioni diffuse attraverso il sito e tramite un video, il barista versa il caffè da una tazza in ceramica nella tazza che il cliente appoggia su un vassoio senza bisogno di toccarla. Il vassoio viene poi igienizzato prima che un altro cliente lo usi nella stessa modalità.
City to Sea ha anche istituito una task force intersettoriale per valutare e gestire al meglio le questioni legate all’impiego di sistemi riutilizzabili durante la pandemia da Covid-19 che conta più di 20 organizzazioni, tra cui Starbucks, Sustainable Restaurant Association e Zero Waste Scotland.
Contenitori da asporto riutilizzabili per prevenire gli sprechi
Per tanti americani il cibo surgelato pronto da scaldare, così come quello da asporto, è un’abitudine che produce ogni anno montagne di rifiuti, per lo più smaltiti in discariche e inceneritori. Per permettere ai propri clienti di ordinare piatti pronti ma con un contenitore riutilizzabile, la catena Just Salad, con base a New York, sta sperimentando uno modello a rifiuti zero denominato Green Bowl Program.
Just Salad, che oggi conta 41 ristoranti negli Stati Uniti e 4 a Dubai, aveva già lanciato nel 2006 un servizio da asporto con contenitori riutilizzabili. Per ridurre ulteriormente la produzione di questi rifiuti, che si aggira intorno ai 100.000 kg l’anno, nel 2020 la catena ha anche eliminato l’uso di ciotole monouso per il consumo ai tavoli.
“Gran parte dei nostri clienti ordina online piuttosto che andare nei ristoranti”, ha dichiarato Sandra Noonan, responsabile sostenibilità di Just Salad. “Pertanto il nostro servizio deve diventare digitale. I rifiuti che si accumulano sui marciapiedi a New York sono la prova quotidiana che il problema è causato dalle consegne a domicilio e non si esaurirà a meno di affrontarlo a testa alta”.

A partire dal progetto pilota attivato a inizio anno in un negozio Just Salad a Manhattan, i clienti possono ordinare online scegliendo l’opzione della consegna in ciotola riutilizzabile di colore verde. Dopo di che, la potranno riportare al negozio che partecipa al programma, dove verrà igienizzata per poi finire reinserita nuovamente nel circuito delle consegne a domicilio.
Procedura contacless per la protezione del personale
La ciotola in polipropilene blu a disposizione dei clienti per l’asporto dal 2006 viene invece acquistata presso i punti vendita al costo di un dollaro. Nel 2019 le sue vendite sono aumentate del 100%.
Quando i clienti si recano con la loro ciotola nei ristoranti per acquistare un piatto del menù devono posarla su un apposito vassoio e il personale si serve di pinze e mestoli per riempirla. Questa procedura viene adottata nel rispetto dei requisiti del programma sanitario: i contenitori che arrivano dall’esterno non possono infatti toccare gli spazi di preparazione condivisi.
Nelle prime settimane del Green Bowl Program, senza che l’opzione fosse stata promossa, oltre il 30% degli ordini online richiedeva questo servizio in cui la ciotola rimane di proprietà della catena. Il prossimo passo sarà offrire lo stesso servizio per gli ordini di consegna. Come si può leggere nel Rapporto di sostenibilità pubblicato recentemente è in corso un monitoraggio sul progetto pilota per vedere quanto velocemente i clienti restituiscono i contenitori e quali “solleciti comportamentali” posso funzionare meglio.
Anche per gli uffici è previsto un sistema di consegna e ritiro, denominato Zero Waste Hub: si può ordinare un pasto in contenitore riutilizzabile con consegnato sul luogo di lavoro o ritiro in giornata da Just Salad.

Etichette climatiche sui menù
“Nel 2020, il nostro mondo è cambiato ma i nostri valori no” scrivono Noonan e Nick Kenner, rispettivamente ad e fondatore di Just Salad, nel rapporto sulla sostenibilità. “La pandemia ci ha resi più determinati nel creare una nuova normalità per il nostro settore, dove i rifiuti sono un tabù, e dove fare ‘meno male’ non è più sufficiente”. Se lo scorso anno la pandemia ha richiesto la sospensione o il rallentamento di alcune buone pratiche della catena legate al riutilizzabile, la direzione di Just Salad precisa che con il 2021 si recupererà il tempo perduto.
Oltre ai diversi impegni assunti dalla catena a livello ambientale e sociale, nel rapporto di Just Salad si legge che negli Usa gli imballaggi e contenitori monouso insieme rappresentano il 23% dei rifiuti che finiscono in discarica. Questa quota include imballaggi alimentari come scatole e contenitori da asporto monouso. Gli Stati Uniti consumano ogni anno oltre 3.300.000 tonnellate di articoli monouso legati all’asporto di cibo e bevande: contenitori per cibo e pizza, tazze, bicchieri e coperchi annessi, coppette, tovaglioli, involucri in carta e borse da asporto.
Just Salad è anche la prima catena del suo genere negli Usa ad aver dotato, già dallo scorso anno, i propri menù di etichette climatiche che quantificano l’impronta di carbonio di un prodotto ovvero le emissioni di Co2 generate per la produzione di uno specifico alimento. Anche quando si ordina online, accanto al valore calorico del loro pasto i clienti visualizzano il “peso”in termini di emissioni di ciò che mangiano: uno stimolo in più a scegliere a dieta giusta.

E a Milano c’è Altatto: piatti veg e schiscetta a rendere
Anche in Italia c’è chi sceglie il riutilizzabile per il suo servizio da asporto e a domicilio. Altatto è una realtà milanese di cucina vegana e vegetariana nata come servizio di catering per piccoli e grandi eventi con un bistrot in zona Greco a Milano, in cui offrono anche lezioni di cucina vegetariana e vegana. Nel novembre del 2020 – come si può leggere sul sito – la necessità di reinventasi e di dare un segnale di cambiamento, modificando anche le modalità in cui era avvenuto il delivery durante il primo periodo di lockdown, ha portato le tre fondatrici di Altatto all’idea di fornire un pasto da asporto “zero waste”.
La crescita del delivery – che e un’opzione irrinunciabile per i ristoratori di questi tempi– ha portato con sé un impatto ambientale e una produzione notevoli di rifiuti di cui si dispiacciono gli stessi operatori più sensibili del settore.

Altatto ha cercato una soluzione e l’ha trovata ispirandosi anche alla tradizione dei dabbawala indiani, un sistema composto da più contenitori sovrapposti che vengono ritirati e poi consegnati in India con il cibo caldo.
L’offerta con vuoto a rendere di Altatto, una schiscetta in acciaio inox, è per ora disponibile due volte a settimana e viene consegnata intorno all’ora di pranzo adoperando mezzi elettrici. Va ordinata attraverso il sito entro le 18 del giorno prima. Si può scegliere tra due menù completi, che possono essere riscaldati nel forno e consumati anche a cena.
La prima volta vengono addebitati 10 euro extra, cifra che corrisponde al prezzo della schiscetta. Già dall’ordine successivo si può scegliere l’opzione del vuoto a rendere che viene ritirato contestualmente alla consegna del pasto, e non si paga più per il contenitore. I clienti che vogliono ritirare di persona, e in particolare coloro che abitano fuori Milano, zona non coperta dal servizio di delivery, possono farlo presso il ristorante nell’orario in cui si effettuano le consegne.
L’esperienza di Altatto si presta ad essere implementata, per coinvolgere più milanesi qualora fosse condivisa dal circuito di ristoranti vegetariani e vegani, e non solo. Già solamente l’adozione da parte di tutti i ristoranti dello stesso modello di schiscetta favorirebbe il diffondersi dell’iniziativa e anche, perché no, un aumento dei clienti per tutto il circuito. Perché alla fine l’unione fa la forza, senza che ognuno debba rinunciare alle sue specificità.
Silvia Ricci
fonte: economiacircolare.com

L’emergenza sanitaria ha comprensibilmente messo in secondo piano altre emergenze ambientali, come quelle connesse all’aumento della produzione di rifiuti. Le misure per contrastare il Covid hanno rallentato, se non fermato, centinaia di progetti nazionali o locali, in particolare quelli che riguardano la sostituzione di contenitori e altri accessori monouso nel settore della ristorazione da asporto, che sono già da tempo nel mirino delle direttive europee. Intanto la domanda di alimenti confezionati e pronti al consumo continua a crescere e il ricorso al cibo da asporto nei periodi di lockdown è letteralmente esploso.
Sfide impossibili che diventano realtà
Lo scossone prodotto dalla pandemia è l’occasione per vedere con più chiarezza i limiti e i rischi insiti nel modello di consumo e negli stili di vita attuali, aprendo la strada alla riflessione sulle opportunità di cambiamento che possono scaturire da una migliore organizzazione della società, del lavoro, della mobilità, della burocrazia. L’innovazione digitale nella pubblica amministrazione e la possibilità di lavorare da casa, ad esempio, sono due delle “conquiste” che nessuno prima che scoppiasse la pandemia immaginava potessero arrivare così velocemente.
Anche davanti a sfide come quella della neutralità climatica al 2050, così come sul fronte della prevenzione della produzione dei rifiuti c’è la possibilità di non perdere questo atteggiamento proattivo individuando soluzioni innovative e sistemiche che possano avere applicazioni su larga scala.
Guardando ai 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, il numero 12 in particolare, promuove un modello di consumo e di produzione sostenibile. Per superare il dilagare dell’usa e getta c’è l’impegno espresso a “ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclo e il riutilizzo”. E c’è un obiettivo temporale: il 2030, anno entro il quale bisogna anche “incoraggiare le imprese, in particolare le grandi aziende multinazionali, ad adottare pratiche sostenibili e a integrare le informazioni sulla sostenibilità nei loro resoconti annuali”.
Il monouso non offre maggiore protezione
La pandemia ha portato con sé misure che si sono poi rivelate eccessive, come la disinfezione ambientale di strade e spiagge da parte dei Comuni e l’utilizzo di guanti per uscire a fare la spesa da parte dei cittadini. La paura che il contatto con le superfici portasse il contagio si diffondeva insieme agli studi che rilevavano il permanere del coronavirus su oggetti e arredi per più giorni, anche perché non si precisava che la carica virale non fosse sufficiente a farci ammalare.
Successivamente sono poi arrivate rassicurazioni dal fronte medico, riprese dal ministro della Salute Roberto Speranza nel corso di un’audizione dello scorso anno sulla sicurezza delle stoviglie riutilizzabili che, al contrario dei manufatti monouso, si possono lavare seguendo i più elevati standard di igiene.
Superata la paura iniziale, dunque, hanno ripreso a farsi strada alcuni progetti basati sul riuso di contenitori e stoviglie per la ristorazione, in grado di garantire la qualità e la sicurezza del servizio, riducendo enormemente l’impatto ambientale dei contenitori usa e getta che vanno a sostituire.
Il caffè da asporto diventa “contactless”
L’organizzazione ambientalista inglese City to Sea si è attivata per evitare che le numerose caffetterie del Regno Unito sospendessero, sull’esempio di Starbucks, l’utilizzo di tazze riutilizzabili per le bevande da asporto. L’iniziativa #ContactlessCoffee nasce dalla consapevolezza delle dimensioni del problema rifiuti: secondo un recente studio di Science, ogni anno a livello globale 250-300 miliardi di tazze monouso finiscono smaltite o abbandonate nell’ambiente.
Per spingere i coffee shop britannici ad accettare il sistema di ritiro delle tazze riutilizzabili, City to Sea ha promosso una semplice procedura che evita contaminazioni incrociate mentre si riempie la tazza del cliente. Come si può vedere dalle istruzioni diffuse attraverso il sito e tramite un video, il barista versa il caffè da una tazza in ceramica nella tazza che il cliente appoggia su un vassoio senza bisogno di toccarla. Il vassoio viene poi igienizzato prima che un altro cliente lo usi nella stessa modalità.
City to Sea ha anche istituito una task force intersettoriale per valutare e gestire al meglio le questioni legate all’impiego di sistemi riutilizzabili durante la pandemia da Covid-19 che conta più di 20 organizzazioni, tra cui Starbucks, Sustainable Restaurant Association e Zero Waste Scotland.
Contenitori da asporto riutilizzabili per prevenire gli sprechi
Per tanti americani il cibo surgelato pronto da scaldare, così come quello da asporto, è un’abitudine che produce ogni anno montagne di rifiuti, per lo più smaltiti in discariche e inceneritori. Per permettere ai propri clienti di ordinare piatti pronti ma con un contenitore riutilizzabile, la catena Just Salad, con base a New York, sta sperimentando uno modello a rifiuti zero denominato Green Bowl Program.
Just Salad, che oggi conta 41 ristoranti negli Stati Uniti e 4 a Dubai, aveva già lanciato nel 2006 un servizio da asporto con contenitori riutilizzabili. Per ridurre ulteriormente la produzione di questi rifiuti, che si aggira intorno ai 100.000 kg l’anno, nel 2020 la catena ha anche eliminato l’uso di ciotole monouso per il consumo ai tavoli.
“Gran parte dei nostri clienti ordina online piuttosto che andare nei ristoranti”, ha dichiarato Sandra Noonan, responsabile sostenibilità di Just Salad. “Pertanto il nostro servizio deve diventare digitale. I rifiuti che si accumulano sui marciapiedi a New York sono la prova quotidiana che il problema è causato dalle consegne a domicilio e non si esaurirà a meno di affrontarlo a testa alta”.

A partire dal progetto pilota attivato a inizio anno in un negozio Just Salad a Manhattan, i clienti possono ordinare online scegliendo l’opzione della consegna in ciotola riutilizzabile di colore verde. Dopo di che, la potranno riportare al negozio che partecipa al programma, dove verrà igienizzata per poi finire reinserita nuovamente nel circuito delle consegne a domicilio.
Procedura contacless per la protezione del personale
La ciotola in polipropilene blu a disposizione dei clienti per l’asporto dal 2006 viene invece acquistata presso i punti vendita al costo di un dollaro. Nel 2019 le sue vendite sono aumentate del 100%.
Quando i clienti si recano con la loro ciotola nei ristoranti per acquistare un piatto del menù devono posarla su un apposito vassoio e il personale si serve di pinze e mestoli per riempirla. Questa procedura viene adottata nel rispetto dei requisiti del programma sanitario: i contenitori che arrivano dall’esterno non possono infatti toccare gli spazi di preparazione condivisi.
Nelle prime settimane del Green Bowl Program, senza che l’opzione fosse stata promossa, oltre il 30% degli ordini online richiedeva questo servizio in cui la ciotola rimane di proprietà della catena. Il prossimo passo sarà offrire lo stesso servizio per gli ordini di consegna. Come si può leggere nel Rapporto di sostenibilità pubblicato recentemente è in corso un monitoraggio sul progetto pilota per vedere quanto velocemente i clienti restituiscono i contenitori e quali “solleciti comportamentali” posso funzionare meglio.
Anche per gli uffici è previsto un sistema di consegna e ritiro, denominato Zero Waste Hub: si può ordinare un pasto in contenitore riutilizzabile con consegnato sul luogo di lavoro o ritiro in giornata da Just Salad.

Etichette climatiche sui menù
“Nel 2020, il nostro mondo è cambiato ma i nostri valori no” scrivono Noonan e Nick Kenner, rispettivamente ad e fondatore di Just Salad, nel rapporto sulla sostenibilità. “La pandemia ci ha resi più determinati nel creare una nuova normalità per il nostro settore, dove i rifiuti sono un tabù, e dove fare ‘meno male’ non è più sufficiente”. Se lo scorso anno la pandemia ha richiesto la sospensione o il rallentamento di alcune buone pratiche della catena legate al riutilizzabile, la direzione di Just Salad precisa che con il 2021 si recupererà il tempo perduto.
Oltre ai diversi impegni assunti dalla catena a livello ambientale e sociale, nel rapporto di Just Salad si legge che negli Usa gli imballaggi e contenitori monouso insieme rappresentano il 23% dei rifiuti che finiscono in discarica. Questa quota include imballaggi alimentari come scatole e contenitori da asporto monouso. Gli Stati Uniti consumano ogni anno oltre 3.300.000 tonnellate di articoli monouso legati all’asporto di cibo e bevande: contenitori per cibo e pizza, tazze, bicchieri e coperchi annessi, coppette, tovaglioli, involucri in carta e borse da asporto.
Just Salad è anche la prima catena del suo genere negli Usa ad aver dotato, già dallo scorso anno, i propri menù di etichette climatiche che quantificano l’impronta di carbonio di un prodotto ovvero le emissioni di Co2 generate per la produzione di uno specifico alimento. Anche quando si ordina online, accanto al valore calorico del loro pasto i clienti visualizzano il “peso”in termini di emissioni di ciò che mangiano: uno stimolo in più a scegliere a dieta giusta.

E a Milano c’è Altatto: piatti veg e schiscetta a rendere
Anche in Italia c’è chi sceglie il riutilizzabile per il suo servizio da asporto e a domicilio. Altatto è una realtà milanese di cucina vegana e vegetariana nata come servizio di catering per piccoli e grandi eventi con un bistrot in zona Greco a Milano, in cui offrono anche lezioni di cucina vegetariana e vegana. Nel novembre del 2020 – come si può leggere sul sito – la necessità di reinventasi e di dare un segnale di cambiamento, modificando anche le modalità in cui era avvenuto il delivery durante il primo periodo di lockdown, ha portato le tre fondatrici di Altatto all’idea di fornire un pasto da asporto “zero waste”.
La crescita del delivery – che e un’opzione irrinunciabile per i ristoratori di questi tempi– ha portato con sé un impatto ambientale e una produzione notevoli di rifiuti di cui si dispiacciono gli stessi operatori più sensibili del settore.

Altatto ha cercato una soluzione e l’ha trovata ispirandosi anche alla tradizione dei dabbawala indiani, un sistema composto da più contenitori sovrapposti che vengono ritirati e poi consegnati in India con il cibo caldo.
L’offerta con vuoto a rendere di Altatto, una schiscetta in acciaio inox, è per ora disponibile due volte a settimana e viene consegnata intorno all’ora di pranzo adoperando mezzi elettrici. Va ordinata attraverso il sito entro le 18 del giorno prima. Si può scegliere tra due menù completi, che possono essere riscaldati nel forno e consumati anche a cena.
La prima volta vengono addebitati 10 euro extra, cifra che corrisponde al prezzo della schiscetta. Già dall’ordine successivo si può scegliere l’opzione del vuoto a rendere che viene ritirato contestualmente alla consegna del pasto, e non si paga più per il contenitore. I clienti che vogliono ritirare di persona, e in particolare coloro che abitano fuori Milano, zona non coperta dal servizio di delivery, possono farlo presso il ristorante nell’orario in cui si effettuano le consegne.
L’esperienza di Altatto si presta ad essere implementata, per coinvolgere più milanesi qualora fosse condivisa dal circuito di ristoranti vegetariani e vegani, e non solo. Già solamente l’adozione da parte di tutti i ristoranti dello stesso modello di schiscetta favorirebbe il diffondersi dell’iniziativa e anche, perché no, un aumento dei clienti per tutto il circuito. Perché alla fine l’unione fa la forza, senza che ognuno debba rinunciare alle sue specificità.
Silvia Ricci
fonte: economiacircolare.com
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Quali stoviglie negli eventi?
Uno studio commissionato dal Canton Ticino analizza l’impatto ambientale di diverse alternative per il catering di fiere o sagre.
Il documento (scaricabile QUI) si inquadra negli obiettivi sanciti dalla Confederazione nel piano di attuazione dell’Agenda 2030, nell’ottica di uno sviluppo più sostenibile e rispettoso delle risorse, ma va visto anche alla luce della decisione presa dalle autorità ticinesi il 22 giugno scorso che vieta l'utilizzo di stoviglie di plastica monouso (non biodegradabili o riciclabili) a partire dal 1° gennaio 2023.

Il documento (scaricabile QUI) si inquadra negli obiettivi sanciti dalla Confederazione nel piano di attuazione dell’Agenda 2030, nell’ottica di uno sviluppo più sostenibile e rispettoso delle risorse, ma va visto anche alla luce della decisione presa dalle autorità ticinesi il 22 giugno scorso che vieta l'utilizzo di stoviglie di plastica monouso (non biodegradabili o riciclabili) a partire dal 1° gennaio 2023.

Secondo lo studio, il passaggio dalle stoviglie monouso a quelle riutilizzabili (la soglia per rientrare in questa categoria è di almeno 20 volte) può rappresentare un vantaggio ambientale in termini di impronta di carbonio, dalla produzione al fine vita, a condizione che venga massimizzato il numero di riutilizzi, minimizzato il peso delle stoviglie e selezionato il materiale che presenta un minore impatto ambientale.
Considerando 20 utilizzi, l’adozione di stoviglie riutilizzabili in polipropilene (PP) risulta più vantaggiosa rispetto alle stoviglie monouso e di quelle in melammina.
Con un basso numero di riutilizzi, ad esempio 5, non risulta invece conveniente dal punto di vista ambientale passare dalle stoviglie monouso a quelle riutilizzabili, mentre a partire da un numero molto alto (ad esempio 100) il beneficio ambientale offerto dalle riutilizzabili diventa indipendente dal peso e dal materiale.
L’utilizzo di stoviglie in materiali non plastici (ceramica, vetro e metallo) si colloca come impronta di carbonio a metà strada tra le stoviglie riutilizzabili in polipropilene e quelle in melamina, senza dimenticare che l’uso di stoviglie in vetro o ceramica potrebbe comportare criticità in termini di sicurezza, rotture o danneggiamenti.

Considerando 20 utilizzi, l’adozione di stoviglie riutilizzabili in polipropilene (PP) risulta più vantaggiosa rispetto alle stoviglie monouso e di quelle in melammina.
Con un basso numero di riutilizzi, ad esempio 5, non risulta invece conveniente dal punto di vista ambientale passare dalle stoviglie monouso a quelle riutilizzabili, mentre a partire da un numero molto alto (ad esempio 100) il beneficio ambientale offerto dalle riutilizzabili diventa indipendente dal peso e dal materiale.
L’utilizzo di stoviglie in materiali non plastici (ceramica, vetro e metallo) si colloca come impronta di carbonio a metà strada tra le stoviglie riutilizzabili in polipropilene e quelle in melamina, senza dimenticare che l’uso di stoviglie in vetro o ceramica potrebbe comportare criticità in termini di sicurezza, rotture o danneggiamenti.

Se non è possibile adottare un sistema di stoviglie riutilizzabili - rileva lo studio elvetico - è preferibile adottare stoviglie in bioplastica o in legno, indipendentemente dal fine vita che può essere - nel caso del cantone svizzero - la metanizzazione o la termovalorizzazione. Considerando anche l’impronta idrica (che svantaggia i polimeri da biomassa), le stoviglie in PLA risultano meno vantaggiose rispetto alle alternative in plastiche convenzionali, anche se una soluzione intermedia - con bicchieri in PLA e piatti e posate in legno - torna ad essere più sostenibile.
Infine, le dimensioni dell’evento non sembrano essere un fattore determinante dal punto di vista ambientale nella scelta o meno di adottare le stoviglie riutilizzabili.
Scarica lo studio: Analisi degli impatti ambientali delle stoviglie monouso e riutilizzabili usate negli eventi in Ticino
fonte: www.polimerica.it
Infine, le dimensioni dell’evento non sembrano essere un fattore determinante dal punto di vista ambientale nella scelta o meno di adottare le stoviglie riutilizzabili.
Scarica lo studio: Analisi degli impatti ambientali delle stoviglie monouso e riutilizzabili usate negli eventi in Ticino
fonte: www.polimerica.it
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Stoviglie in bar e ristoranti ai tempi del Coronavirus. Ministro Speranza: il lavaggio con acqua calda e detergente di quelle riutilizzabili assicura un’adeguata sicurezza biologica
Importante affermazione del ministro della Salute durante un'audizione in Commissione Ecomafie sulla gestione dei rifiuti collegata all'emergenza COVID-19

La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) ha audito il Ministro della Salute Roberto Speranza sulla gestione dei rifiuti collegata all'emergenza COVID-19.
Il Ministro, riconoscendo il ruolo della Commissione come importante articolazione del Parlamento, ha fornito informazioni in merito ai rifiuti sanitari e ai rifiuti derivanti dall’uso di guanti e mascherine. L’audito ha dichiarato che questi ultimi sono destinati ad aumentare e, nell’ottica di un bilanciamento tra i valori costituzionali di tutela della salute e dell’ambiente, ha dichiarato che è necessario mettere in campo misure per limitare l’impatto derivante dal ricorso diffuso e massivo a tali dispositivi.
Per quanto riguarda il riuso delle mascherine di comunità, adatte alla protezione individuale nella vita quotidiana, l’audito ha riferito che questo è possibile, attenendosi alle indicazioni fornite dal produttore anche sul numero di lavaggi. Rispetto invece alle mascherine chirurgiche, il Ministro ha spiegato che al momento non sono disponibili test sulle caratteristiche di prodotti monouso ricondizionati. Relativamente alle mascherine FFP2 ed FFP3, l’audito ha riferito che un loro ricondizionamento porta con sé numerose criticità, soprattutto di natura biologica e meccanica, oltre che di sicurezza degli operatori addetti alla sanificazione dei dispositivi, al momento non risolte. Secondo quanto riferito, sono in corso numerosi studi sul loro possibile ricondizionamento.
Sul tema dell’uso diffuso di stoviglie usa e getta da parte delle attività di ristorazione per una percezione di maggiore sicurezza, il Ministro ha riferito che il lavaggio con acqua calda e detergente di quelle riutilizzabili assicura un’adeguata sicurezza biologica. L’audito ha riferito che è possibile attuare una campagna di sensibilizzazione delle attività di ristorazione in favore dell’uso di stoviglie riutilizzabili.
Per quanto riguarda il trattamento dei rifiuti sanitari prodotti dagli ospedali tramite la tecnica della sterilizzazione in situ, l’audito ha riferito che sul tema è in corso una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità.
«Ringrazio il Ministro Speranza per la disponibilità e la sensibilità dimostrata verso i temi ambientali. Ritengo necessario un bilanciamento tra esigenze sanitarie e problematiche ambientali. È fondamentale che la ripresa proceda di pari passo con misure che frenino la proliferazione dei rifiuti, in primo luogo promuovendo ove possibile il riuso delle mascherine e l'uso di stoviglie riutilizzabili nelle attività di ristorazione, in considerazione delle adeguate garanzie di sicurezza offerte. Anche sull’uso dei guanti può essere fatta una riflessione, per evitare utilizzi non necessari. Su questi aspetti la Commissione proseguirà anche il dialogo avviato con l’Istituto Superiore di Sanità», dichiara il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.
fonte: www.ecodallecitta.it
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La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) ha audito il Ministro della Salute Roberto Speranza sulla gestione dei rifiuti collegata all'emergenza COVID-19.
Il Ministro, riconoscendo il ruolo della Commissione come importante articolazione del Parlamento, ha fornito informazioni in merito ai rifiuti sanitari e ai rifiuti derivanti dall’uso di guanti e mascherine. L’audito ha dichiarato che questi ultimi sono destinati ad aumentare e, nell’ottica di un bilanciamento tra i valori costituzionali di tutela della salute e dell’ambiente, ha dichiarato che è necessario mettere in campo misure per limitare l’impatto derivante dal ricorso diffuso e massivo a tali dispositivi.
Per quanto riguarda il riuso delle mascherine di comunità, adatte alla protezione individuale nella vita quotidiana, l’audito ha riferito che questo è possibile, attenendosi alle indicazioni fornite dal produttore anche sul numero di lavaggi. Rispetto invece alle mascherine chirurgiche, il Ministro ha spiegato che al momento non sono disponibili test sulle caratteristiche di prodotti monouso ricondizionati. Relativamente alle mascherine FFP2 ed FFP3, l’audito ha riferito che un loro ricondizionamento porta con sé numerose criticità, soprattutto di natura biologica e meccanica, oltre che di sicurezza degli operatori addetti alla sanificazione dei dispositivi, al momento non risolte. Secondo quanto riferito, sono in corso numerosi studi sul loro possibile ricondizionamento.
Sul tema dell’uso diffuso di stoviglie usa e getta da parte delle attività di ristorazione per una percezione di maggiore sicurezza, il Ministro ha riferito che il lavaggio con acqua calda e detergente di quelle riutilizzabili assicura un’adeguata sicurezza biologica. L’audito ha riferito che è possibile attuare una campagna di sensibilizzazione delle attività di ristorazione in favore dell’uso di stoviglie riutilizzabili.
Per quanto riguarda il trattamento dei rifiuti sanitari prodotti dagli ospedali tramite la tecnica della sterilizzazione in situ, l’audito ha riferito che sul tema è in corso una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità.
«Ringrazio il Ministro Speranza per la disponibilità e la sensibilità dimostrata verso i temi ambientali. Ritengo necessario un bilanciamento tra esigenze sanitarie e problematiche ambientali. È fondamentale che la ripresa proceda di pari passo con misure che frenino la proliferazione dei rifiuti, in primo luogo promuovendo ove possibile il riuso delle mascherine e l'uso di stoviglie riutilizzabili nelle attività di ristorazione, in considerazione delle adeguate garanzie di sicurezza offerte. Anche sull’uso dei guanti può essere fatta una riflessione, per evitare utilizzi non necessari. Su questi aspetti la Commissione proseguirà anche il dialogo avviato con l’Istituto Superiore di Sanità», dichiara il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.
fonte: www.ecodallecitta.it
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Le 5 mamme che si sono inventate la “stoviglioteca”: alle feste i piatti ora si affittano
L’obiettivo è tutelare l’ambiente e ridurre i rifiuti: “Il nostro servizio a Buttigliera Alta è totalmente autofinanziato”

BUTTIGLIERA ALTA. Qualsiasi discorso sull’ambiente ruota attorno ad un unico, importante postulato: ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare la differenza. Lo sanno bene Elena, Maria Chiara, Tiziana, Arianna e Barbara, le cinque mamme che pochi giorni fa, in occasione di una festa di carnevale per bambini, hanno inaugurato a Buttigliera Alta la loro «stoviglioteca». L’idea alla base dell’iniziativa è semplice quanto ambiziosa: ridurre drasticamente la mole di rifiuti prodotta durante feste e ricevimenti attraverso il noleggio gratuito di stoviglie e posate in plastica lavabili e riutilizzabili.
L’idea
«Nella vita facciamo tutt’altro, ad unirci è l’amicizia e la comune passione per le tematiche ambientali. Ci siamo ispirate al virtuoso esempio di Linda Maggiori, la giornalista e blogger di Faenza ideatrice del progetto» specifica Elena Bollati, una delle protagoniste dell’iniziativa «Il nostro è un servizio totalmente autofinanziato; chi vuole usufruirne può contattarci tramite whatsapp o via e-mail per prenotare le stoviglie e concordare il luogo in cui ritirarle. È previsto il pagamento di una cauzione e di un contributo simbolico di un euro. Al termine dell’utilizzo è sufficiente riportare ad una delle organizzatrici il kit lavato ed asciutto». Piatti, bicchieri, posate, caraffe, vassoi: questi gli elementi di cui si compone il progetto di sostenibilità ambientale che da qualche anno sta spopolando in tutta Italia, tanto che sul web crescono a vista d’occhio le pagine dedicate alle stoviglioteche.
«In completa autonomia»
«Il comune di Buttigliera Alta è al corrente della nostra iniziativa, ma abbiamo deciso di portarla avanti autonomamente, a differenza di quanto avviene altrove, ad esempio ad Almese o a Grugliasco» prosegue Elena. «Non vogliamo che possa essere strumentalizzata, ma ci auguriamo che anche l’amministrazione decida di avvalersene per i suoi eventi. Si tratta di un impegno che abbiamo inteso assumere per il bene dei nostri figli. È necessario che comprendano sin da ora la necessità di cambiare le loro abitudini e spetta a noi il compito di guidarli verso un futuro più sostenibile».
fonte: www.lastampa.it

BUTTIGLIERA ALTA. Qualsiasi discorso sull’ambiente ruota attorno ad un unico, importante postulato: ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare la differenza. Lo sanno bene Elena, Maria Chiara, Tiziana, Arianna e Barbara, le cinque mamme che pochi giorni fa, in occasione di una festa di carnevale per bambini, hanno inaugurato a Buttigliera Alta la loro «stoviglioteca». L’idea alla base dell’iniziativa è semplice quanto ambiziosa: ridurre drasticamente la mole di rifiuti prodotta durante feste e ricevimenti attraverso il noleggio gratuito di stoviglie e posate in plastica lavabili e riutilizzabili.
L’idea
«Nella vita facciamo tutt’altro, ad unirci è l’amicizia e la comune passione per le tematiche ambientali. Ci siamo ispirate al virtuoso esempio di Linda Maggiori, la giornalista e blogger di Faenza ideatrice del progetto» specifica Elena Bollati, una delle protagoniste dell’iniziativa «Il nostro è un servizio totalmente autofinanziato; chi vuole usufruirne può contattarci tramite whatsapp o via e-mail per prenotare le stoviglie e concordare il luogo in cui ritirarle. È previsto il pagamento di una cauzione e di un contributo simbolico di un euro. Al termine dell’utilizzo è sufficiente riportare ad una delle organizzatrici il kit lavato ed asciutto». Piatti, bicchieri, posate, caraffe, vassoi: questi gli elementi di cui si compone il progetto di sostenibilità ambientale che da qualche anno sta spopolando in tutta Italia, tanto che sul web crescono a vista d’occhio le pagine dedicate alle stoviglioteche.
«In completa autonomia»
«Il comune di Buttigliera Alta è al corrente della nostra iniziativa, ma abbiamo deciso di portarla avanti autonomamente, a differenza di quanto avviene altrove, ad esempio ad Almese o a Grugliasco» prosegue Elena. «Non vogliamo che possa essere strumentalizzata, ma ci auguriamo che anche l’amministrazione decida di avvalersene per i suoi eventi. Si tratta di un impegno che abbiamo inteso assumere per il bene dei nostri figli. È necessario che comprendano sin da ora la necessità di cambiare le loro abitudini e spetta a noi il compito di guidarli verso un futuro più sostenibile».
fonte: www.lastampa.it
Mamme No Inceneritore: “Alia e il compostabile, una sconfitta figlia di 15 anni di arretratezza”
Grazie al lavoro giornalistico di Lady Radio abbiamo scoperto che ALIA non è in grado di gestire una importante quantità di prodotti venduti in commercio e correttamente dichiarati 100% compostabili.
In particolare ALIA, tramite il suo amministratore delegato Alessia Scappini, afferma che “le bioplastiche negli impianti di compostaggio vengono scartate oppure finiscono in frammenti che contaminano il compost finale, che a quel punto non potrà essere utilizzato in agricoltura ma dovrà essere trattato come un rifiuto!”.
Durante l’intervista ALIA si spinge oltre e arriva a dichiarare che “l’unica cosa che al momento possiamo indicare è che questo tipo di rifiuto venga messo nell’indifferenziato”.
Avete sentito bene, uno dei gestori di rifiuti piu’ grandi d’Italia, che copre le province di Firenze, Prato e Pistoia, con contratto ventennale per 5 Miliardi di euro, invece di attivarsi per operare bene come gestore, invita i cittadini a non differenziare bene i rifiuti!
Questo è troppo! L’unico appello corretto che abbiamo sentito è quello di invitare a usare SOLO STOVIGLIE DUREVOLI o, in deroga, piatti e bicchieri di carta e forchettine di legno compostabili al 100% in tempi rapidi. Ma una grossa azienda come Alia deve affrontare il problema. Le BIOPLASTICHE in commercio oggi non sono certamente perfette e non combattono la pratica nefasta per l’ambiente dell’USA E GETTA, ma sono un prodotto che esiste e rispetta le normative vigenti in tema di biodegradabilita’ e compostabilita’ e quindi devono poter essere gestite nella filiera dell’organico.
Noi riteniamo che l’atteggiamento di ALIA sia completamente sbagliato. Studiando il modo di comportarsi di decine di gestori dei rifiuti in Italia (e dei comuni da loro coperti), abbiamo verificato che chi lavora bene ha tre regole semplici e basilari:
– la responsabilità delle buone pratiche è equamente divisa tra 3 attori: cittadini e aziende, amministrazioni locali e gestori dei rifiuti;
– al cittadino va chiesto di fare una buona raccolta differenziata, e per farlo il gestore deve offrire un buon servizio domiciliare e le amministrazioni devono premiare tramite un sistema di tariffazione puntuale;
– il gestore deve occuparsi della raccolta, dell’avvio a riciclo dei materiali differenziati e dello smaltimento dei rifiuti residui. Sta al gestore, insieme alle amministrazioni, decidere quali soluzioni adottare, se costruire impianti o affidare ad altre aziende alcune attività.
Fino ad oggi la quasi totalità dei comuni dell’ATO Toscana Centro, con Firenze in testa, ha impedito ad ALIA di dotarsi della impiantistica per una corretta gestione dei rifiuti. Fino a qualche mese fa si era pronti a buttare via 170 Milioni di Euro per la costruzione di un nuovo inceneritore, e per questo non si è fatta ad esempio la ristrutturazione, nell’area di Sesto Fiorentino, dell’impianto di Trattamento Meccanico Biologico, dotandolo di un migliore filtro anti-odori (vedere impiantistica del Consorzio Contarina nel trevigiano) o la costruzione di fabbriche del riciclo avanzate.
Alle amministrazioni e ad ALIA lanciamo un semplice appello:
– investire rapidamente in impiantistica in grado di selezionare il materiale bioplastico rigido nel percorso di gestione del rifiuto organico in modo da ottenere COMPOST di qualità da utilizzare in agricoltura e non un altro rifiuto.
– nel medio termine costringere i produttori di bioplastiche ad investire in impiantistica in grado di recuperare i materiali da loro prodotto;
Suggeriamo inoltre di ELIMINARE tutti i cassonetti: con il sistema a cassonetto non si può avere una raccolta differenziata di qualità; nel cassonetto dell’organico ad esempio, oltre alle BIOPLASTICHE RIGIDE, ci vanno a finire tanti altri rifiuti non biodegradabili né compostabili!
In conclusione: concordiamo sul fatto che l’USA E GETTA deve essere bandito, sia in plastica che in bioplastica: è ambientalmente insostenibile. Un piatto/bicchiere/forchetta in bioplastica è sicuramente di difficile gestione in impianti industriali e, qualora abbandonato nell’ambiente, ha tempi di degradazione di alcuni anni. Ma questo non toglie la responsabilità alle amministrazioni e ad ALIA.
Ora sta al gestore, che è in ritardo di almeno 10 anni, dotarsi di impiantistiche o soluzioni che indirizzino questo tipo di rifiuti verso cicli virtuosi.
Mamme No Inceneritore
fonte: https://tuttosesto.net
Apre la “Stoviglioteca” Prestiti gratuiti per feste e compleanni
Il Comune vuole ridurre l’uso di plastica e si inventa il servizio Oggi l’inaugurazione per le associazioni e ad ottobre i privati

NONANTOLA. Si chiama “Stoviglioteca” ed è il nuovo servizio che il Comune si è inventato, dopo alcuni mesi di studio, per ridurre ulteriormente l’utilizzo della plastica durante gli eventi pubblici e le feste private. Un piano già attivo nelle scuole, dove vengono utilizzate stoviglie di plastica dura e lavabili e che oggi esordirà al pranzo promosso dalla Consulta del Volontariato all’interno della manifestazione “Pizza in Festa”.
Ma come funziona il servizio? Finanziata dal contributo regionale, la “Stoviglioteca” si configura come un servizio di prestito gratuito di stoviglie in materiale durevole in modo da poter favorire l’eliminazione di prodotti usa e getta in plastica. Alla “Stoviglioteca” si possono trovare centinaia di piatti, bicchieri e posate, ma non solo infatti sono disponibili vassoi, caraffe e suppellettili di supporto. In particolare il materiale è stato pensato in modo tale da poter soddisfare le esigenze di manifestazioni di media grandezza, di eventi legati alle scuole e di feste private.
«Il servizio - spiega l’amministrazione - grazie alla disponibilità garantita dalla Consulta del Volontariato e da singoli volontari, è già attivo per le associazioni che animano gli eventi dell’estate nonantolana e sarà progressivamente esteso anche ai privati a partire dal mese di ottobre».
Sono circa 300 i pezzi acquistati dal Comune che saranno utilizzabili dall’intera collettività. È tuttora in fase di elaborazione il regolamento attuativo del prestito (riservato ai nonantolani) ma che potrebbe declinarsi - stando ai primi input della Giunta - con un prestito settimanale a kit. Saranno infatti creati dei pacchetti da 25-30 stoviglie che verranno poi affidate a chi li chiederà in prestito compilando un apposito modulo.
«La Stoviglioteca fa parte di una serie di azioni “green” del Comune di Nonantola a favore dell’ambiente. In particolare il servizio punta alla riduzione dei rifiuti usa e getta - spiega il sindaco Federica Nannetti - Con questi interventi, già programmati nel mio precedente mandato e che si affiancano anche quelli messi in campo della Parrocchia, la nostra comunità si avvia ad essere un comune sempre più “plastic-free”». —
fonte: https://gazzettadimodena.gelocal.it

NONANTOLA. Si chiama “Stoviglioteca” ed è il nuovo servizio che il Comune si è inventato, dopo alcuni mesi di studio, per ridurre ulteriormente l’utilizzo della plastica durante gli eventi pubblici e le feste private. Un piano già attivo nelle scuole, dove vengono utilizzate stoviglie di plastica dura e lavabili e che oggi esordirà al pranzo promosso dalla Consulta del Volontariato all’interno della manifestazione “Pizza in Festa”.
Ma come funziona il servizio? Finanziata dal contributo regionale, la “Stoviglioteca” si configura come un servizio di prestito gratuito di stoviglie in materiale durevole in modo da poter favorire l’eliminazione di prodotti usa e getta in plastica. Alla “Stoviglioteca” si possono trovare centinaia di piatti, bicchieri e posate, ma non solo infatti sono disponibili vassoi, caraffe e suppellettili di supporto. In particolare il materiale è stato pensato in modo tale da poter soddisfare le esigenze di manifestazioni di media grandezza, di eventi legati alle scuole e di feste private.
«Il servizio - spiega l’amministrazione - grazie alla disponibilità garantita dalla Consulta del Volontariato e da singoli volontari, è già attivo per le associazioni che animano gli eventi dell’estate nonantolana e sarà progressivamente esteso anche ai privati a partire dal mese di ottobre».
Sono circa 300 i pezzi acquistati dal Comune che saranno utilizzabili dall’intera collettività. È tuttora in fase di elaborazione il regolamento attuativo del prestito (riservato ai nonantolani) ma che potrebbe declinarsi - stando ai primi input della Giunta - con un prestito settimanale a kit. Saranno infatti creati dei pacchetti da 25-30 stoviglie che verranno poi affidate a chi li chiederà in prestito compilando un apposito modulo.
«La Stoviglioteca fa parte di una serie di azioni “green” del Comune di Nonantola a favore dell’ambiente. In particolare il servizio punta alla riduzione dei rifiuti usa e getta - spiega il sindaco Federica Nannetti - Con questi interventi, già programmati nel mio precedente mandato e che si affiancano anche quelli messi in campo della Parrocchia, la nostra comunità si avvia ad essere un comune sempre più “plastic-free”». —
fonte: https://gazzettadimodena.gelocal.it
“Passer d’un bien jetable à un bien durable”: il semplice obiettivo di Ecocup Distribution
In un giorno, ognuno di noi produce circa 1kg di rifiuti. Tra questi, la quantità di prodotti, solitamente in plastica, “usa & getta” è impressionante e costituisce la gran parte dei rifiuti accumulati nel breve termine.
Partendo da questo dato e cercando di dare una risposta al problema, Ecocup Distribution, nel 2008, è la prima azienda in Francia che decide di produrre bicchieri di plastica dura, commercializzati per i grandi eventi (Festival, concerti, eventi sportivi, serate, feste private…) e riutilizzabili fino a un migliaio di volte.
L’idea nasce a Céret, un paese vicino a Perpignan, nei Pirenei Orientali; a elaborarla sono tre amici: un professore di matematica, un addetto alla logistica per le mense scolastiche e un impiegato dell’Ufficio Nazionale delle Foreste. La loro proposta viene lanciata nel 2006 per l’organizzazione della festa di Perpignan e ha immediatamente successo. Il meccanismo è semplice, ma l’idea intelligente: il bicchiere viene dato in cambio di una cauzione di 1 euro, il quale può essere richiesto indietro a fine serata a restituzione dell’Ecocup avvenuta. Il risultato? I rifiuti vengono ridotti in maniera considerevole e la ripulitura dei luoghi in cui si svolge l’evento è molto agevolata. Come fanno questi bicchieri ad essere utilizzabili mille volte? La risposta sta nei materiali: policarbonato e polipropilene. Essi fanno sì che l’oggetto possa essere lavato (a 80°, con una lavastoviglie specifica), asciugato e riaffittato o venduto per un altro evento.
In breve tempo, tutti i maggiori organizzatori di eventi in Francia comprendono la portata e l’utilità del prodotto. L’azienda cresce, lavora su tutto il territorio nazionale e presto comincia a esportare il prodotto anche all’estero. La Festa di Bayonne, con 2 milioni di bicchieri commercializzati, è solo un esempio; nel 2015 l’azienda ha vinto l’appalto per fornire i bicchieri alla coppa del mondo di Rugby in Inghilterra!
La concorrenza non è ben vista ed è per questo che Ecocup Distribution si occupa di tutte le fasi di “vita” del bicchiere: dalla produzione, alla distribuzione, al lavaggio, all’asciugatura. L’azienda è stata anche attenta a sviluppare un’immagine virtuosa dal punto di vista sociale: assumendo persone escluse da tempo dal mondo del lavoro, essa ha dato il via a un meccanismo virtuoso di re-inserzione lavorativa.
Oggi Ecocup Distribution fattura più di 7 milioni di euro l’anno ed è stato stimato che, nel 2013, essa abbia permesso di risparmiare 280 tonnellate di plastica. L’aspetto dell’eco sostenibilità è senza dubbio il primo argomento messo in avanti, ma le ecocups permettono anche un notevole risparmio di lavoro ad evento terminato e, nel tempo, sono diventate sempre più un prodotto utile per l’immagine dell’evento che sceglie di utilizzarle. Infatti, le stampe presenti sul bicchiere sono personalizzabili, e significano quindi pubblicità per l’avvenimento; se a questo si aggiunge che esse vengono sovente conservate dagli utenti e portate a casa, l’impatto della mossa di marketing può durare anche molti anni.
E l’Italia in tutto questo? Facendo una ricerca su Internet non risultano aziende con un prodotto analogo, ergo, le rare volte che se ne utilizzano, le ecocups sono importate. Chi è stato in Francia (ma non solo) può testimoniare che ormai questi bicchieri sono la norma per qualsiasi tipo di evento, dal più o meno grande, e andando in una qualsiasi casa (soprattutto di studenti) non potranno sfuggire le ecocups accumulate nei mesi. Ma quindi, a noi mancano solo le aziende che le distribuiscano? No, siamo lontani anni luce; a parte rare eccezioni, manca ancora nel nostro paese la sensibilità che permetterebbe di riconoscere lo spreco enorme costituito da tutto ciò che utilizziamo una volta, 1 minuto, 20 secondi e che poi gettiamo nella spazzatura…
il video della campagna pubblicitaria
fonte: http://www.menorifiuti.org
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Ischia dice no alla plastica, stoviglie ecocompatibili e solidarietà alle famiglie in difficoltà
La Catena Alimentare Casamicciola e la Ekoe promuovono "Vivaischia per un futuro migliore"
Un'isola deve essere difesa e preservata. Un'isola ha bisogno di piccole attenzioni. Ed ecco che Ischia sceglie di dire no alla plastica. Scegliere aiuta a difendere.
La Catena Alimentare Casamicciola ha siglato un accordo con la Ekoe, società cooperativa che commercializza stoviglie eco compostabili.
Fino a dicembre 2018, chi acquisterà piatti, bicchieri e altre stoviglie sul sito della Ekoe utilizzando il codice promozionale VIVAISCHIA devolverà la somma in euro del 10% dell'importo imponibile dell'acquisto totale di stoviglie compostabili, per le famgile di Ischia in difficoltà.
L'acquisto merce, valido su tutto il territorio nazionale, sarà gestito dalla Cooperativa Ekoe che non è nuova a queste iniziative, mentre la donazione sarà versata direttamente sul conto corrente dell'Associazione Catena Alimentare tramite bonifico bancario.
Sostenibilità per l'ambiente e solidarietà vanno di pari passo, dicendo no ai monouso, scegliendo solo stoviglie compostabili e aiutando così anche la catena alimentare che, da diversi anni, dona generi alimentari alle famiglie ischitane in difficoltà
"Grazie a Giuseppe Sarua Cinquegrana, responsabile funzione organizzazione presso Ekoe e a Luciana Morgera della Borsa Verde 3.0 - ha commentato il presidente Francesco Di Noto Morgera - l'opera iniziata da Nunzia Mattera continua a far del bene al prossimo e questa volta anche all'ambiente".
fonte: http://napoli.repubblica.it/
Un'isola deve essere difesa e preservata. Un'isola ha bisogno di piccole attenzioni. Ed ecco che Ischia sceglie di dire no alla plastica. Scegliere aiuta a difendere.
La Catena Alimentare Casamicciola ha siglato un accordo con la Ekoe, società cooperativa che commercializza stoviglie eco compostabili.
L'acquisto merce, valido su tutto il territorio nazionale, sarà gestito dalla Cooperativa Ekoe che non è nuova a queste iniziative, mentre la donazione sarà versata direttamente sul conto corrente dell'Associazione Catena Alimentare tramite bonifico bancario.
Sostenibilità per l'ambiente e solidarietà vanno di pari passo, dicendo no ai monouso, scegliendo solo stoviglie compostabili e aiutando così anche la catena alimentare che, da diversi anni, dona generi alimentari alle famiglie ischitane in difficoltà
"Grazie a Giuseppe Sarua Cinquegrana, responsabile funzione organizzazione presso Ekoe e a Luciana Morgera della Borsa Verde 3.0 - ha commentato il presidente Francesco Di Noto Morgera - l'opera iniziata da Nunzia Mattera continua a far del bene al prossimo e questa volta anche all'ambiente".
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Riciclo, basta plastica usa e getta!
“Avrei una proposta…”. Una
mano alzata e tanti occhi al cielo. Alle riunioni per l’organizzazione
delle feste scolastiche ho spesso proposto di sostituire l’usa e getta
in plastica con stoviglie lavabili o al limite biodegradabili. Finora con poco successo. “Impossibile, troppo scomodo, troppo costoso”, mi dicono.
Quest’anno ci riproverò, e chissà che la recente legge francese non mi dia una mano a far breccia sul fatalismo nostrano.
Già dallo scorso luglio la Francia ha messo al bando le buste in plastica, anche quelle trasparenti, che in Italia sono ancora permesse (e infatti inondano i reparti e i mercati ortofrutticoli), adesso ha deciso di mettere al bando anche coltelli, forchette, bicchieri, tazze e piatti di plastica usa e getta.
Ricordiamo l’impatto ambientale e sociale della produzione della plastica: per
produrre 1 kg di plastica si consumano 4 litri di petrolio (1 litro
come materia prima e 3 come fonte energetica), 200 litri di acqua, e si
producono 5 kg di gas serra e altre scorie tossiche (dati del Wuppertal
Institute). Quotidianamente vediamo gli effetti della nostra
dipendenza dal petrolio: la guerra in Siria, così come tante altre
guerre, è una “oil war”. Il
traffico di armi verso le “petromonarchie” come l’Arabia Saudita, da
parte dell’Italia come di altri paesi occidentali, è all’ordine del
giorno.
Alcuni obiettano: “Ma se la plastica si ricicla, perché si dovrebbe estrarre nuovo petrolio?”.
Perché non tutta la plastica si ricicla, non conviene. Alla favola del Riciclandino non ci crede più nessuno, anche se Hera continua a raccontarlo ai bambini a scuola. Nella Regione Emilia Romagna
solo il 19% della plastica buttata viene riciclata. Solo il 47% della
plastica raccolta in maniera differenziata viene riciclata, il resto
va in inceneritore o discarica, perché conviene di più economicamente.
Le ripercussioni ambientali e sulla salute dell’incenerimento dei rifiuti sono gravissime.
Usare e gettare un materiale che
può durare 100 anni è follia. Non farlo una volta per sbaglio, ma tante
tante volte in modo compulsivo, per ogni sorso d’acqua, per ogni
porzione di pasta, avrebbe fatto inorridire ogni uomo dotato di buon senso 50 anni fa. Oggi ci sembra normale. Il buon senso è stato perso, negli ultimi anni, usato e gettato insieme alla plastica.
Piatti usa e getta, bottiglie
usa e getta, bicchieri usa e getta, stoviglie usa e getta, sporte usa e
getta, imballaggi usa e getta, fazzoletti usa e getta, pannoli usa e
getta… Quand’è che la pubblicità ci propinerà mutande e vestiti usa e
getta, pentole usa e getta? Quand’è che non riusciremo più a farne a
meno?
La normativa entrata in vigore
lo scorso mese in Francia obbliga i produttori a produrre soltanto
posate e piatti biodegradabili con materie prime vegetali e compostabili. L’industria francese avrà tempo fino al 2020 per adeguarsi alla normativa.
Purtroppo le lobby dell’imballaggio, come la Pack2Go Europe,
un’associazione che tutela l’industria europea del packaging, teme
l’adozione delle nuove norme restrittive anche in altri Stati membri
ed ha annunciato un ricorso contro la legge.
Sicuramente anche il
compostabile ha il suo impatto ambientale, si tratta sempre di materie
prime che vengono consumate e sottratte all’ambiente (e
all’alimentazione umana): mais, cellulosa, patate, girasole. L’usa e
getta biodegradabile è un modo per risolvere il problema dei rifiuti, ma
la vera alternativa, la più sostenibile, è il riuso. Piatti,
bicchieri e stoviglie lavabili con detersivi ecologici, dovrebbero
essere la norma in ogni sagra paesana e festa scolastica, con la
collaborazione dei Comuni.
Spero che quest’anno io non sia la sola ad alzare la mano.
Linda Maggiori
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it
Torino: "La ristorazione scolastica ecologica? Una follia ma funziona". Parola di chi l'ha messa in atto
Da circa tre anni la città di Torino ha riorganizzato il proprio servizio di ristorazione scolastica cercando di renderlo maggiormente ecosostenibile. Il capitolato d’appalto approvato dall’assessorato alle Politiche Educative, considerato uno dei più avanzati d’Italia, prevede tra le altre cose la filiera corta per i prodotti alimentari e l'abolizione delle stoviglie di plastica a favore di quelle lavabili e quindi riutillizabili.
Come ha documentato il Politecnico di Torino, i risultati sono stati di grande rilievo: la scelta dell'uso di stoviglie lavabili, l'uso di acqua di rete e i prodotti a filiera corta hanno determinato una riduzione di CO2 prodotta complessivamente dal servizio di risotorazione di 587,76 tCO2 eq/anno (pari a 1/3 del totale), corrispondente alle emissioni di 6274 viaggi Torino-Roma in utilitaria. Sempre su questo fronte, lo sforzo di razionalizzare i percorsi per la distribuzione in città dei pasti ha portato a una riduzione del 12% delle distanze percorse (392 km/giorno in meno, corrispondenti a più di 80.500 chilometri risparmiati in un anno scolastico) e un minor impatto sul traffico delle ore mattutine. La sostituzione del parco autoveicoli da mezzi a gasolio a quelli a metano ha comportato inoltre una contrazione nell'emissione di polveri sottili.
Per andare oltre i risultati e capire come è avvenuto il cambiamento dalla prospettiva di chi l’ha messo in atto, Eco dalla Città ha incontrato Claudio Marsili, direttore della sezione Piemonte e Liguria di Camst, l’azienda che ha in appalto il servizio di ristorazione.
Cosa avete pensato quando avete letto la gara indetta dalla Città?
"Torino ha organizzato un capitolato d’appalto che per uno che fa il mio mestiere era una follia: spreco zero, tutto riutilizzabile, prodotti alimentari da filiera corta. Per un anno abbiamo fatto molti tentativi, ma le soddisfazioni vere sono arrivate solo dal secondo. Oggi, al terzo, non mi rendo neppure conto del mostro che abbiamo creato. Eroghiamo 27 mila coperti giorno di piatti in melammina, bicchieri in bicarbonato e posate in acciaio. Siamo arrivati a questa scelta lavorando con il comune per capire quale fosse il materiale più adatto per fornire un servizio di stoviglie lavabili di questa portata, che sviluppa una grossa mole e che implica grossi pesi da movimentare per gli operatori. Bisognava inoltre garantire il fatto che le stoviglie durassero nel tempo e soprattutto che non fossero pericolose per i bambini e fossero quindi lavabili moltissime volte.
La nostra attività inizia alle 5 del mattino. Non ho niente di pronto. Cuciniamo tutto entro le 10. Trasportiamo tutto tra le 10 e le 12. Il consumo avviene dalle 12 alle 13. Dalle 13 alle 20 rilaviamo, risistemiamo e sterilizziamo tutto. Se lei immagina tutto questo immagina pure che non si può sbagliare mai: non si può tardare mai, non posso avere inceppi né alcun tipo di anomalia. Se si rompe la lavastoviglie la devo riparare mentre sto lavorando perché non posso averne quattro di scorta.
È chiaro che un progetto di questo tipo va pensato prima della gara d’appalto. Servono investimenti importanti soprattutto alla luce del fatto che non esisteva niente del genere, sia in termini di mezzi, che in termini di oggetti, che di impianti di lavaggio. Dopo di che bisogna metterlo in pratica: tra pensare un cosa ed efficientarla c'è un mondo".
Come vi siete organizzati dunque per rispondere alla richiesta?
Abbiamo fatto delle ipotesi contabili per capire cosa fosse meglio e siamo giunti ad un conclusione che oggi funziona: 54 mezzi che girano per Torino con cui vengono effettuate consegne e ritiri, tutti a metano di nuova generazione, tutti equipaggiati con sponda idraulica che permette di sollevare pesi molto grandi altrimenti incompatibili con la manualità. I mezzi li abbiamo comprati apposta per questo appalto e richiesti con determinate caratteristiche perché così come ci servivano, cioè con cassone termico e sponda idraulica, non erano presenti sul mercato. Sono costati 36 mila euro l’uno. Inoltre sono stati adattati alla città di Torino. Un solo esempio: il serbatoio del metano è allocato nella parte bassa, di fianco a quello del gasolio, così in basso che nei dossi toccava. Al terzo serbatoio distrutto abbiamo dovuto far rialzare tutti gli ammortizzatori dei mezzi.
In secondo luogo abbiamo ragionato sul lavaggio: il piatto nuovo doveva essere identico a quello di plastica usa e getta e questo ha creato dei problemi, perché il piatto della città di Torino è rettangolare, con lo scomparto per i secondi. La curvatura necessaria alla divisione di questi due spazi nei sistemi moderni è un’angoscia. Ad oggi però siamo riusciti ad organizzare tutto in un unico sistema di lavaggio, con un’unica squadra che si alterna a multipli di 4 ore, perché l’attività è talmente ripetitiva che alla quinta i lavoratori alzerebbero la mano giustamente. Vengono lavati 27 mila coperti al giorno, confezionati in scatole asetticamente sterilizzatequotidianamente in multipli da 20 (400 coperti), con all’interno 20 piatti scodella per i primi, 20 piatti a bis per i secondi, 20 bicchieri incastellati e il set per 20 persone di posate in acciaio. Tutto questo viene messo su pedane e incellofanato per evitare qualsiasi contaminazione e spedito coi mezzi. Dalla forchetta alla cappa della cucina, tutto viene sanitizzato ogni singolo giorno. Quando qualche tempo fa è nata una discussione sull’asetticità di piatti e posate, abbiamo instaurato un sistema di analisi che ci permette di fare il tampone all’arrivo a scuola. I risultati hanno detto che sono più asettici della plastica.
Per quanto riguarda il trasporto?
C’è un’organizzazione folle, calcolata al minuto e al metro: al mattino l’autista carica i piatti, le derrate crude delle materne, il pane e la frutta di elementari e medie e inizia in una zona x, calcolando il percorso in base alle consegne. Finite queste torna al centro di cottura per caricare i pasti i caldi e inizia un altro giro analogo. Il tutto seguendo un percorso lineare, senza avanti e indietro, sennò altro che risparmio di Co2. È un lavoro estremamente complicato.
Si può dire che è stato creato un mondo quindi. In questo momento è un sistema funziona e secondo noi è pienamente efficiente.
Meglio adesso o meglio prima?
Per noi era cento volte meglio prima. La plastica permetteva una manualità che con i materiali attuali è impensabile. Per la collettività invece è molto meglio adesso, ma visto che della collettività facciamo parte anche noi… col sistema attuale io nel rifiuto organico butto tutto quello che non è stato consumato, senza perdere nulla e posso riutilizzare le stoviglie all’infinito.
Prospettive per il futuro?
Un impianto del genere sta in piedi se ha i numeri. Se avessi sette centri di lavaggio invece che uno solo, sarebbe insostenibile sia in termini di efficienza che in termini economici. Se mai la città di Torino dovesse organizzare appalti in maniera diversa, spezzettando tra tanti partner, bisogna tenere conto che un servizio del genere diventerebbe assolutamente antieconomico, perché le persone bisogna pagarle, le lavastoviglie bisogna comprarle, l’impianto deve funzionare ed è energivoro.
fonte: www.ecodallecitta.it
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