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Il Salvagente, la rivista segnala la presenza di Pfas nei piatti e nei bicchieri usati nelle scuole

 














Le stoviglie compostabili con cui sono serviti i pasti nelle mense scolastiche sono piene di Pfas? E possono cedere questi composti tossici alle pietanze? Sono gli interrogativi che pone il mensile Il Salvagente nell’ultima indagine di copertina. La questione è iniziata a febbraio con l’invio all’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare), di 11 campioni di stoviglie compostabili (sette piatti, due bicchieri, due coperchi/coperture dei lunch box usati per i pranzi a scuola). A titolo di confronto la redazione ha inviato anche un piatto acquistato in negozio romano. La rivista voleva stabilire se contenessero fluoro, possibile indicatore della presenza di Pfas. I campioni provenivano da diverse scuole, da Roma a Milano. I risultati delle analisi non sono stati tranquillizzanti. Dei 2 bicchieri analizzati, uno aveva quantità di fluoro paria 470 ppm (parti per milione) e il secondo un livello non rilevabile (sotto i 200 ppm). Per i piatti il risultato è stato ben peggiore: in tutti è stato rilevato fluoro, anche quattro volte più alto. Il livello massimo è stato di 2.030 ppm (parti per milione).

Questa concentrazione riferisce la rivista “è complessa da ritenere puramente incidentale” spiega Alberto Ritieni, docente di Chimica degli alimenti alla facoltà di Farmacia dell’Università Federico II. Una delle ipotesi è che i piatti possano essere stati fabbricati con sostanze compatibili con i Pfas (per-fluoro-alchili) per conferirgli una forte capacità di impermeabilizzazione da oli e grassi, tanto più necessaria per stoviglie compostabili e non in plastica, che altrimenti non sarebbero in grado di resistere ai liquidi e alle pietanze umide e calde. Il rischio per la salute di questa presenza, però, è oramai chiaro e innegabile: la Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha definito i Pfas come potenziali cancerogeni (Pfoa, Gruppo 2B), e interferenti endocrini (ormonali). E c’è chi è già intervenuto: la Danimarca, per esempio, ne ha proibito l’uso in imballaggi e nei materiali a contatto con gli alimenti in carta e cartone.


Un prodotto “compostabile 100%” potrebbe contenere sostanze chimiche indistruttibili che trasformate in compost-terriccio tornerebbero nella catena alimentare attraverso l’agricoltura

L’Italia invece ancora non ha fatto alcun passo. C’è da sperare che dopo i sospetti sollevati dal test del Salvagente, le aziende e le nostre autorità sanitarie intervengano, tanto per verificare se si tratta della presenza di Pfas e se c’è il rischio di cessione agli alimenti, quanto per seguire la via danese di un divieto che sembra urgente, visti i pericoli per la fascia più debole della popolazione. L’alternativa, come dimostrano le nostre analisi, c’è già oggi se è vero che in un bicchiere non sono state trovate tracce sospette. “Gli effetti sull’ambiente per la presenza di fluoro in un contenitore compostabile devono essere compresi non solo per quanto riguarda la salute, attraverso il contatto con il cibo e le bevande ingerite, ma anche per quanto concerne l’ambiente”.

Il destino di questi piatti “usa e getta” è lo stesso in tutto il Belpaese: vengono conferiti nei siti di compostaggio. Basti pensare che solo a Roma su 150mila pranzi scolastici al giorno oltre 40mila sono fatti con “usa e getta”. Eco allora che un prodotto simbolo dell’economia circolare, il “compostabile 100%” potrebbe contenere sostanze chimiche indistruttibili che trasformate in compost-terriccio tornerebbero nella catena alimentare attraverso l’agricoltura. Pietro Paris è il responsabile sezione Sostanze pericolose dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che dichiara: “Posso ipotizzare a livello teorico, che composti per-fluoro-alchilici possano essere usati in tali piatti per conferire alla superficie proprietà quali l’idrorepellenza. In questo caso – che andrebbe approfondito con ulteriori test – troverei tuttavia una forte contraddizione tra la dichiarata biodegradabilità degli articoli e l’uso di sostanze altamente persistenti, che seppure in concentrazioni basse, sarebbero chiaramente incompatibili in prodotti biodegradabili”.

fonte: www.ilsalvagente.it


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Le stoviglie in bambù e canna da zucchero, resistenti e che si decompongono in soli 60 giorni

Un gruppo di scienziati della Northeastern University di Boston ha progettato un set di stoviglie “green” realizzate con il bambù e gli scarti della canna da zucchero. Pratiche, funzionali ed economiche potrebbero diventare un’ottima alternativa alla plastica usa e getta.










Considerato che il nostro pianeta è invaso dai rifiuti di plastica e che l’utilizzo di questo materiale è sempre più insostenibile, sono in tanti a cercare e sperimentare delle valide alternative. A differenza della plastica tradizionale, che richiede centinaia di anni per degradarsi, l’invenzione di questo team di ricercatori si compone di un materiale non tossico ed ecologico che impiega solo 60 giorni per decomporsi completamente.

Il nuovo set di stoviglie, opera del team guidato da Hongli Julie Zhu della Northeastern University e presentato in un articolo apparso sulla rivista Matter, è realizzato in bambù insieme ad uno dei più grandi prodotti di scarto dell’industria alimentare: la bagassa, nota anche come polpa di canna da zucchero.


“È difficile vietare alle persone di utilizzare contenitori monouso perché sono economici e convenienti. Ma credo che una delle buone soluzioni sia utilizzare materiali più sostenibili, materiali biodegradabili per realizzare questi contenitori monouso” ha dichiarato Hongli Julie Zhu.

Ed era proprio questo l’obiettivo della ricerca. Avvolgendo insieme fibre di bambù lunghe e sottili con fibre di bagassa corte e spesse così da formare una rete fitta, il team è riuscito a modellare diversi tipi di contenitori che sono abbastanza resistenti da contenere liquidi come fa la plastica ma in maniera decisamente più sostenibile. Questi infatti iniziano a decomporsi dopo essere stati nel terreno per 30-45 giorni e perdono completamente la loro forma dopo due mesi.



@ Matter


@ Ruby Wallau/Northeastern University

Per aumentare la resistenza all’olio e all’acqua delle stoviglie, garantendone anche la robustezza da bagnate, i ricercatori hanno aggiunto ai materiali anche l’alchil chetene dimero (AKD), una sostanza chimica ecologica ampiamente utilizzata nell’industria. Con l’aggiunta di questo ingrediente, le nuove stoviglie hanno superato i contenitori commerciali biodegradabili per alimenti, come altre stoviglie a base di bagassa e cartoni per uova, in termini di resistenza meccanica, resistenza ai grassi e non tossicità.


Le stoviglie così realizzate hanno anche un altro vantaggio: il processo di produzione emette il 97% in meno di CO2 rispetto ai contenitori di plastica disponibili in commercio e il 65% in meno di CO2 rispetto ai prodotti in carta e plastica biodegradabile.

Il prossimo passo per il team è rendere il processo di produzione più efficiente dal punto di vista energetico in modo da ridurre ulteriormente i costi così da poter competere in tutto e per tutto con la plastica.

Fonti: Matter


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Quali stoviglie negli eventi?

Uno studio commissionato dal Canton Ticino analizza l’impatto ambientale di diverse alternative per il catering di fiere o sagre.










Il cantone svizzero del Ticino ha pubblicato una analisi sugli impatti ambientali delle stoviglie utilizzate nel corso di eventi come fiere o sagre, ovviamente ’tagliato' sul sistema di gestione rifiuti presente nella regione. La ricerca ha messo a confronto le principali opzioni disponibili, quali stoviglie monouso in plastica e in bioplastica, stoviglie riutilizzabili in plastica (polipropilene e melammina) e in altri materiali (ceramica, vetro e metallo).

Il documento (scaricabile QUI) si inquadra negli obiettivi sanciti dalla Confederazione nel piano di attuazione dell’Agenda 2030, nell’ottica di uno sviluppo più sostenibile e rispettoso delle risorse, ma va visto anche alla luce della decisione presa dalle autorità ticinesi il 22 giugno scorso che vieta l'utilizzo di stoviglie di plastica monouso (non biodegradabili o riciclabili) a partire dal 1° gennaio 2023.




Secondo lo studio, il passaggio dalle stoviglie monouso a quelle riutilizzabili (la soglia per rientrare in questa categoria è di almeno 20 volte) può rappresentare un vantaggio ambientale in termini di impronta di carbonio, dalla produzione al fine vita, a condizione che venga massimizzato il numero di riutilizzi, minimizzato il peso delle stoviglie e selezionato il materiale che presenta un minore impatto ambientale.
Considerando 20 utilizzi, l’adozione di stoviglie riutilizzabili in polipropilene (PP) risulta più vantaggiosa rispetto alle stoviglie monouso e di quelle in melammina.
Con un basso numero di riutilizzi, ad esempio 5, non risulta invece conveniente dal punto di vista ambientale passare dalle stoviglie monouso a quelle riutilizzabili, mentre a partire da un numero molto alto (ad esempio 100) il beneficio ambientale offerto dalle riutilizzabili diventa indipendente dal peso e dal materiale.

L’utilizzo di stoviglie in materiali non plastici (ceramica, vetro e metallo) si colloca come impronta di carbonio a metà strada tra le stoviglie riutilizzabili in polipropilene e quelle in melamina, senza dimenticare che l’uso di stoviglie in vetro o ceramica potrebbe comportare criticità in termini di sicurezza, rotture o danneggiamenti.


Se non è possibile adottare un sistema di stoviglie riutilizzabili - rileva lo studio elvetico - è preferibile adottare stoviglie in bioplastica o in legno, indipendentemente dal fine vita che può essere - nel caso del cantone svizzero - la metanizzazione o la termovalorizzazione. Considerando anche l’impronta idrica (che svantaggia i polimeri da biomassa), le stoviglie in PLA risultano meno vantaggiose rispetto alle alternative in plastiche convenzionali, anche se una soluzione intermedia - con bicchieri in PLA e piatti e posate in legno - torna ad essere più sostenibile.

Infine, le dimensioni dell’evento non sembrano essere un fattore determinante dal punto di vista ambientale nella scelta o meno di adottare le stoviglie riutilizzabili.

Scarica lo studio: Analisi degli impatti ambientali delle stoviglie monouso e riutilizzabili usate negli eventi in Ticino

fonte: www.polimerica.it


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Altroconsumo no alle stoviglie in bambù: non sono green e rappresentano rischio per la salute




















Stoviglie in bambù: leggere, pratiche, colorate, ideali per essere utilizzate dai bambini. Prodotti accattivanti che sono solo apparentemente alternative ecologiche alla plastica: è infatti impossibile realizzare piatti, posate o bicchieri utilizzando esclusivamente farina o fibra di legno ma occorre sempre una resina sintetica per tenere insieme ingredienti di questo tipo.A fronte del successo di questa tipologia di stoviglie, Altroconsumo ha analizzato 14 prodotti acquistati nei negozi e online, scoprendo gravi carenze nelle informazioni fornite o, in alcuni casi, informazioni ingannevoli.

Dai risultati pubblicati sulla rivista Altroconsumo Inchieste di febbraio 2020 emerge innanzitutto che circa la metà dei campioni si è definita eco-friendly e biodegradabile. Questa dicitura però non può essere veritiera in quanto tutti i prodotti contengono una resina sintetica a base melaminica che non è biodegradabile né riciclabile e, visto che è impossibile separarla dalla parte in bambù, il prodotto finirà comunque in discarica o nell’inceneritore. Eppure solo 3 dei prodotti analizzati indicano in etichetta la presenza di materiali diversi dal bambù mentre gli altri prodotti non presentano informazioni specifiche lasciando credere agli acquirenti di essere realizzate interamente in bambù.

Informazioni carenti anche per quanto riguarda la sicurezza d’uso di queste stoviglie: solo 6 prodotti su 14 riportano indicazioni relative alle temperature di utilizzo dei prodotti con l’avvertenza di mantenersi entro certi limiti. Non tutti i prodotti specificano in etichetta che queste stoviglie non devono essere utilizzate nel microonde: un punto particolarmente importante visto che il caldo favorisce il rilascio di sostanze nocive. L’Organizzazione ha anche verificato se le stoviglie rilasciassero sostanze indesiderate una volta a contatto con alimenti caldi.

Formaldeide e melamina – le due sostanze ricercate potenzialmente cancerogene – sono state riscontrate in quantità inferiori ai limiti di legge tranne nel caso del kit pappa Biubu, che ha rilasciato sostanze in quantità pari ai limiti massimi previsti dal Regolamento europeo e per questo si trova all’ultimo posto della classifica.Il massimo punteggio, ovvero 5 stelle, è stato assegnato solo a due tazze (Casa Collection e Heyholi) e a un kit pappa (Lesser & Pavey) che si sono dimostrati sicuri, non mostrando alcun rilascio di formaldeide e melamina.

A partire dai risultati dei test, Altroconsumo ha segnalato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato queste pratiche volte ad influenzare in maniera scorretta gli acquisti dei consumatori, chiedendo di aprire una istruttoria e procedere con eventuali sanzioni ed interventi.

A confermare le conclusioni di Altroconsumo c’è anche un recente studio dell’istituto tedesco che si occupa di sicurezza alimentare (BfR), che analizzando i dati di migrazione di centinaia di stoviglie a base di resina melaminica − con e senza bambù – ha concluso che non sono adatte a ripetuti contatti con sostanze calde. Addirittura l’ente tedesco ha evidenziato che le stoviglie contenenti bambù possono rilasciare una quantità di formaldeide e melamina negli alimenti caldi maggiore rispetto alle classiche stoviglie in sola resina melaminica.

La criticità di questi prodotti è confermata anche dai dati del sistema di allerta rapido europeo (Rasff) che solo nel 2019 ha ricevuto circa 40 segnalazioni relative a prodotti in bambù nei quali è stata riscontrata una migrazione di formaldeide e/o melamina che superava i limiti previsti dalla legge europea (Regolamento Ue n.10 del 2011). La formaldeide è classificata dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) come «cancerogeno certo» mentre la melamina è presente nel novero dei cancerogeni possibili.


fonte: www.greencity.it

Dalla Finlandia le prime cannucce compostabili

Messe a punto da Stora Enso e Sulapac con un biocomposito a base cellulosica. Si pensa alla produzione industriale.












Arrivano dalla Finlandia le prime cannucce compostabili proposte come alternativa a quelle in plastica, che l’Italia e l’Europa si apprestano a bandire nell’ambito delle crescenti restrizioni all’utilizzo di articoli monouso in materiale plastico.
Allo sviluppo hanno contribuito due aziende nordeuropee, Stora Enso e Sulapac, attive nella formulazione di materiali biobased e biodegradabili a base cellulosica. Le cannucce, non ancora prodotte a livello industriale, sono state presentate alla manifestazione Slush 2018, dedicata alla nuova imprenditorialità, in programma in questi giorni a Helsinki.
Le cannucce sono realizzate con un biocomposito cellulosico, tenuto insieme da un legante naturale, sviluppato da Susapac, che oltre ad essere compostabile in impianti industriali è - a detta dell’azienda finlandese - anche biodegradabile in ambiente marino.
Materiale e tecnologia sono forniti su licenza da Stora Enso grazie ad un accordo di joint-venture siglato a maggio con Sulapac. L’intenzione è ora di passare dal prototipo allo sviluppo industriale.
fonte: www.polimerica.it

La ricetta tedesca per ridurre i rifiuti plastici

Il Ministero dell’Ambiente ha lanciato un piano in cinque punti per ridurre la produzione di rifiuti plastici e favorirne il riciclo.















Il Ministro dell’Ambiente tedesco Svenja Schulze (nella foto) ha illustrato ieri un piano in cinque punti per ridurre i rifiuti plastici e favorirne il riciclo, puntando in parte su norme restrittive o incentivanti, in parte su impegni volontari, il tutto accompagnato da una campagna di sensibilizzazione all’insegna del "No ad una società usa e getta”.
Il primo punto del piano è evitare la produzione di articoli e imballaggi non strettamente necessari, anche sostenendo - a livello governativo - il divieto che la UE sta introducendo all’utilizzo di alcuni articoli monouso in plastica, come le stoviglie, attraverso una proposta di direttiva; questo perché - ha spiegato il ministro - l’introduzione di restrizioni o divieti deve essere decisa a livello europeo, e non da un singolo paese. A livello nazionale, invece, saranno avviati con esercenti e grande distribuzione progetti su base volontaria per la riduzione degli imballaggi monouso, come già fatto in passato per i sacchetti della spesa, che ha portato ad un taglio di un terzo in due anni.
Il secondo punto riguarda la la progettazione sostenibile di imballaggi e prodotti in plastica, il cosiddetto eco-design. Dal 1° gennaio 2019 - ha dichiarato Schulze - i contributi versati dai produttori al sistema duale per la raccolta e riciclo degli imballaggi dovranno tener conto dei criteri ambientali: pagheranno quindi meno gli imballaggi più facili da riciclare o realizzati con plastiche rigenerate.
Sarà anche favorito il riciclo di materie plastiche, con i target sugli imballaggi che dal 1° gennaio dell’anno prossimo passeranno dal 36% al 58,5%, per salire ulteriormente al 63% a partire dal 1° gennaio 2022. Saranno anche varate iniziative per favorire la domanda di plastica riciclata coinvolgendo l’intera filiera (produttori, distributori e riciclatori) al fine di aumentare la qualità dei materiali; il settore pubblico sarà chiamato a dare il buon esempio con gli appalti verdi (GPP).
Il quarto elemento del piano riguarda il trattamento dei rifiuti organici, evitando la contaminazione con plastiche non pienamente compostabili, attraverso campagne di educazione rivolte ai cittadini e requisiti più severi in materia di qualità del compost.
Infine, l'ultimo punto riguarda l’inquinamento degli oceani (marine litter), attraverso un maggior impegno del Ministero dell’Ambiente per evitare la dispersione di rifiuti plastici e finanziare - con una dote di 50 milioni di euro a partire dal prossimo anno - progetti internazionali e l’esportazione di tecnologie per la pulizia dei mari dai rifiuti plastici.
fonte: www.polimerica.it

Nel Regno Unito tassati imballaggi senza riciclato

La misura, soggetta a consultazione pubblica, potrebbe entrare in vigore nell’aprile del 2022. Marcia indietro sull’imposta da 25 pence sulle tazze monouso.

















Il Governo britannico sta mettendo a punto una tassa che colpirà tutti gli imballaggi in plastica, prodotti o importati nel paese, con un contenuto di materiale riciclato inferiore al 30%, misura volta ad incentivare lo sviluppo di un’economia circolare attraverso una maggiore domanda di plastiche rigenerate e una minore dipendenza dalle materie prime vergini.
La nuova imposta, annunciata dal Cancelliere dello Scacchiere (equivalente al nostro ministro delle finanze) Philip Hammond (nella  foto) durante la presentazione della legge di bilancio, potrebbe entrare in vigore nell’aprile del 2022, soggetta a consultazione pubblica.
Philip HammondContestualmente, sono stati annunciati un fondo di 20 milioni di sterline per ridurre l’inquinamento da plastiche e potenziare le attività di riciclo, uno da 10 milioni di sterline per attività di ricerca e sviluppo e ulteriori 10 milioni per finanziare approcci innovativi alla gestione dei rifiuti, come i cassonetti elettronici.
Dovrebbe invece saltare la tassa di 25 pence, pari a circa 30 centesimi di euro, sulle tazze monouso per caffè (e altre bevande calde) allo scopo di scoraggiane l’impiego e finanziare con i proventi la raccolta e il riciclo di questi contenitori, misura proposta all’inizio dell’anno dalla Commissione ambiente del Parlamento britannico (leggi articolo).
Secondo Hammond, infatti, questa misura non avrebbe indotto un “cambiamento decisivo” nel comportamento dei consumatori, anche se la ragione sembra legata più al desiderio di non penalizzare gli esercizi commerciali.
fonte: www.polimerica.it

Stoviglie monouso: il divieto europeo è davvero la soluzione all'inquinamento marino?


















Plastica monouso. L'Europa è pronta a mettere al bando una serie di prodotti, considerati responsabili di inquinare e di danneggiare l'ambiente e, soprattutto, il mare. Ma cosa accadrà davvero quando la direttiva Ue vieterà l'utilizzo di queste e altre tipologie di prodotti in plastica? E' davvero questa la corretta soluzione per combattere l'inquinamento marino?
Se n'è parlato ieri a Palermo, in occasione del convegno "Innovazione tecnologia delle materie plastiche nell'economia circolare in Sicilia", organizzato da Corepla.
Un tema caldo, all'indomani dell'approvazione da parte dei deputati europei della relazione di Frédérique Ries (ALDE, BE), adottata con 51 voti favorevoli, 10 contrari e 3 astensioni, con la quale i deputati europei hanno aggiunto altri oggetti a quelli giù inseriti nell'elenco da bandire entro il 2021.
A maggio, la Commissione Europea aveva infatti reso note una serie di novità per ridurre i rifiuti marini, soprattutto legati alla plastica. Cotton fioc, posate, piatti, cannucce, bastoncini per cocktail e aste per palloncini e molti altri prodotti saranno banditi dall'Ue sulla base dei piani approvati dal Comitato per l'ambiente e la salute pubblica e in attesa di ulteriore approvazione. Potranno essere commercializzati solo se fabbricati con materiali sostenibili.
Noi per primi abbiamo accolto con soddisfazione la nuova misura. Ma non tutti ritengono che bandire le stoviglie in plastica monouso possa essere la vera soluzione al problema del marine littering. Questi ultimi, sostengono gli addetti ai lavori, sono in realtà completamente riciclabili e quindi, se differenziati, potrebbero tornare a nuova vita, attraverso la creazione di altri prodotti dai materiali riciclati. Il vero problema non sarebbe la stoviglia monouso di per sè, ma la sua dispersione nell'ambiente per colpa di cattive abitudini e di una raccolta differenziata scorretta.

Perché vietare le stoviglie "monouso" non sarebbe una soluzione all'inquinamento?

Lo abbiamo chiesto ad Antonio Protopapa, Direttore R&D di Corepla:
"Il polistirolo delle stoviglie monouso è riciclabile tanto quanto tutti gli altri materiali. Esse vengono conferite nella raccolta differenziata e avviate a recupero. Il problema è che col polistirolo si è partiti un po' più tardi con l'attività di selezione e di avvio a recupero rispetto ad altri materiali perché è più complesso, soprattutto con piatti e bicchieri perché sono fatti di un materiale molto leggero e difficilmente selezionabile, però una volta inviato agli impianti di riciclo, il prodotto è completamente riciclabile. Non condivido l'idea di abbandonare le stoviglie monouso perché esse sono riciclabili e riciclate, solo che oggi la maggior parte viene recuperata sotto forma di recupero energetico quindi viene avviata a termovalorizzazione. Tuttavia, stiamo sviluppando sempre di più nuove tecnologie per fare un vero e proprio riciclo, riutilizzando questi prodotti facendo un nuovo granulo, che diventa una materia prima destinata a nuove applicazione. L'industria non ha bisogno di adattarsi ma deve mettere a disposizione le strutture, promuovere l'avvio della raccolta differenziata a riciclo un materiale che per natura lo è già. È quello su cui stiamo lavorando".
Dello stesso avviso anche il Presidente di Corepla, Antonello Ciotti:
"La direttiva europea ci sorprende. Nel monouso, quando si fa il bando di un prodotto bisogna fare bene attenzione a quello con cui viene sostituito. Ad oggi dal punto di vista di igienicità, di costo del prodotto stesso e di sostenibilità, tenendo presente l'intero ciclo di vita, dobbiamo valutare qual è l'alternativa. Quando è iniziata questa grande campagna, l'obiettivo era quello di ridurre il riscaldamento del pianeta e le emissioni C02. Allora quando diciamo no al monouso, dobbiamo provare che la CO2 prodotta è minore. Se il monouso viene raccolto correttamente noi siamo in grado di riciclarlo e di chiudere il cerchio dell'economia circolare, riutilizzandolo al 100%. La chiave sta nel corretto conferimento e nella raccolta differenziata, col supporto dei cittadini e delle istituzioni".
Secondo Francesco Paolo La Mantia, Pro Rettore alle Politiche di sviluppo dell'Università di Palermo, non ci sono materiali buoni e cattivi, ma occorre ripensare criticamente la cultura della produzione, superando quella della dissipazione, dello scarto e dell'usa e getta. Come? Con la progettazione di oggetti che si possono riciclare, sia creando nuova materia che energia.
"Non esistono materiali buoni e materiali cattivi ma esistono materiali adatti per ciascuna applicazione, che vanno trattati in modo diverso a fine vita, in modo da garantire il massimo recupero di materia ed energia e il minimo impatto ambientalesostiene.
Nel settore della plastica, esistono tre tipi di riciclo: meccanico, chimico ed energetico. Il riciclo meccanico ad oggi è più problematico per via della presenza di diversi polimeri, anche se è quello che permetterebbe il totale riutilizzo dei materiali.

Cosa stanno facendo intanto le aziende?

Secondo Giuseppe Riva, di PlasticsEurope Italia, è in corso un nuovo programma di ricerca per trovare nuove soluzioni, ma è importante anche avviare dei programmi di educazione ambientale.
"L'attuale riciclo energetico in Italia è ancora poco efficiente in particolare se paragonato a quello dei paesi più evoluti del Nord Europa. È necessario valutare l'opzione per la messa a punto di tecnologie industriali per impianti di riciclo chimico per decomporre la plastica nelle sue materie prime".
A quel punto potrà essere completamente riutilizzata, ma è fondamentale raggiungere il 100% di raccolta differenziata della plastica a fine vita.

Cosa accadrà ai produttori di stoviglie monouso dopo il divieto europeo?

Secondo i dati forniti da pro.mo.it, il gruppo produttori stoviglie monouso in plastica, parte della Federazione Gomma Plastica di Confindustria, la messa al bando non servirà a risolvere il problema della plastica nei mari, perché il 90% di essa proviene da 10 fiumi extraeuropei. Inoltre, solo lo 0,6% delle plastica utilizzata in Europa finisce in mare.

E le stoviglie compostabili?

Pro.mo ha promosso uno studio sul ciclo di vita comparativo sulle stoviglie, dimostrando che l'impatto ambientale dell'intero ciclo di vita di quelle monouso in plastica (polipropilene e polistirene) risulti mediamente inferiore a quello delle stoviglie in bioplastica (acido polilattico) e in colpa di cellulosa.
Di conseguenza, la scelta dei materiali dovrebbe essere fatta tenendo conto dell'intero ciclo di vita.
Insomma, una questione tutt'altro che semplice e affatto chiusa. Non sappiamo come andrà davvero a finire con il divieto europeo. Quel che è certo è che, alla luce di questi dati, l'importanza della corretta differenziata e del riciclo è più pressante che mai, per fare in modo che un materiale "infinito" come la plastica possa essere una risorsa dalle mille vite. E non un problema per i nostri mari. Sì, è vero, piatti e stoviglie di plastica sono sotto l’occhio del ciclone. Ma se opportunamente raccolti, siamo in grado di riciclarli e rimetterli nel circuito virtuoso dell’economia circolare.
fonte: www.greenme.it