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BBC: Come riciclare i tuoi prodotti per la casa

Il riciclaggio dei prodotti per la casa può aiutare l'ambiente, ma non è sempre semplice. Ecco un elenco della BBC per aiutarti a capire quanto potrebbe essere difficile riciclare alcuni prodotti.
Dentifricio e tubetti spremibili
Secondo la BBC, i tubetti di dentifricio possono spesso contenere un sottile strato di alluminio ed essere realizzati con diversi tipi di plastica, il che rende difficile per gli impianti di riciclaggio separarli ed elaborarli. Tuttavia, alcuni marchi come Colgate lavorano in collaborazione con Terracycle , che modella gli articoli in nuovi prodotti (ad esempio panchine), per offrire uno schema di riciclaggio gratuito per tubetti di dentifricio, spazzolini da denti, imballaggi esterni e testine per spazzolini elettrici ea batteria.
Pentole e piatti in Pyrex
“A differenza delle bottiglie e dei barattoli di vetro, i bicchieri e le pentole in vetro, come il Pyrex, non sono riciclabili. Questo perché sono trattati termicamente, quindi non si sciolgono alla stessa temperatura degli altri oggetti in vetro ” , afferma l'articolo della BBC.
Ricevute
Le ricevute cartacee stampate su carta termica lucida, non sono riciclabili, poiché rivestite con bisfenolo A (BPA) o bisfenolo S (BPS). Tali sostanze chimiche possono essere dannose se vengono rilasciate nell'ambiente o ingerite in grandi quantità. Invece, alcuni negozi inviano un'e-mail o una ricevuta digitale o ti danno la possibilità di scegliere se prendere una ricevuta stampata.
Pacchetti di patatine / patatine
I pacchetti croccanti e altri prodotti in film plastico metallizzato non possono essere riciclati a causa del grasso e dei residui croccanti. I pacchetti croccanti potrebbero essere riciclati se i contaminanti vengono separati attraverso processi diversi, riferisce la BBC, ad esempio attraverso il test di scrunch, che verifica se qualcosa è riciclabile.
D'altra parte, secondo la BBC, si dice che i tubi Pringles siano un `` incubo '' da riciclare perché combinano cinque materiali diversi, tra cui una base in metallo, una parte superiore in lamina a strappo, un coperchio di plastica, un rivestimento interno in lamina d'argento e una custodia esterna in cartone.
Cotone idrofilo e dischetti struccanti
Anche il batuffolo di cotone e i dischetti struccanti non possono essere riciclati, ma in alcune circostanze possono essere compostati con i rifiuti di cucina. La lana potrebbe essere aggiunta al bidone del compost, ma solo se non è stata utilizzata per rimuovere il trucco con sostanze chimiche come disinfettanti , poiché potrebbero contaminare il cumulo di compost. Alcuni batuffoli di cotone sono anche mescolati con materiali sintetici, come il poliestere, quindi è improbabile che si decompongano. In caso di dubbio, lasciarlo fuori e metterlo nel cestino dei rifiuti.
fonte: www.nonsoloambiente.it
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Ecolamp: raccolte 3.446 tonnellate di RAEE nel 2020

Sono 3.446 le tonnellate di RAEE raccolte e trattate dal consorzio Ecolamp nel 2020. Di queste il 47% sono sorgenti luminose esauste (R5) mentre il 53% appartiene alla categoria dei piccoli elettrodomestici, elettronica di consumo e apparecchi di illuminazione giunti a fine vita (R4). Il tasso di recupero tra materia ed energia che supera il 95%.
Sebbene l’emergenza Coronavirus abbia portato a un rallentamento della raccolta differenziata, anche nel periodo del primo lockdown totale Ecolamp ha continuato a garantire i propri servizi senza interruzioni. Dopo l’entrata in vigore delle misure di contenimento, lo scorso mese di marzo, si è assistito a una flessione della raccolta fino all’80%. Tuttavia, già dal mese di maggio è intervenuta una forte ripresa grazie alla riapertura della maggior parte delle attività e dei centri di raccolta.
Raccolta sorgenti luminose
Per quanto riguarda le lampadine (R5), il principale raggruppamento in cui opera Ecolamp, nell’ultimo anno il consorzio ne ha avviato agli impianti di trattamento specializzati 1.611 tonnellate. Di queste, il 41% è stato conferito da installatori e manutentori, attraverso i servizi volontari di raccolta che da sempre Ecolamp mette a disposizione del canale professionale. Il 59% arriva, invece, dai centri di raccolta comunali e dai luoghi di raggruppamento della distribuzione dedicati alla raccolta dei privati cittadini.
Raccolta piccoli elettrodomestici
Nel 2020 piccoli elettrodomestici, elettronica di consumo e apparecchi di illuminazione giunti a fine vita hanno costituito il 53% della raccolta del consorzio. Si tratta di 1.835 tonnellate di RAEE raccolte e trattate.
L’andamento sul territorio
Sono cinque le regioni italiane a trainare il 65% della raccolta di lampadine, per un totale di 1.042 tonnellate gestite dal consorzio. Al primo posto si conferma, anche per il 2020, la Lombardia con 372 tonnellate. E’ seguita da Veneto (206), Lazio (172), Emilia Romagna (164) e Piemonte (128).
Per quanto riguarda le province, il podio va quest’anno a Milano con 99 tonnellate. Seguono Roma (93) e Bergamo (71). Queste prime tre province totalizzano il 16% della raccolta complessiva di lampadine del consorzio. Dati positivi per Latina, che entra quest’anno nella top ten delle province con 69tonnellate, e per Napoli (30 ton), che si conferma prima tra le province del Sud Italia.
“La flessione della raccolta Ecolamp registrata nei primi mesi dell’anno a causa della pandemia non ha influito significativamente sulla raccolta complessiva. La forte ripresa registrata già prima dell’estate, infatti, ha consentito ad Ecolamp di chiudere il 2020 in linea con i numeri dello scorso anno – dichiara Fabrizio D’Amico, Direttore Generale del consorzio Ecolamp – Per il 2021 ci aspettiamo che le restrizioni per il contenimento della pandemia non influiscano eccessivamente sulla raccolta differenziata dei RAEE, alimentata anche dal costante incremento delle vendite di prodotti elettrici ed elettronici. Auspichiamo inoltre che, la crescente sensibilità verso le buone pratiche a tutela dell’ambiente e a sostegno di un’economia più circolare e sostenibile, portino ad un aumento del numero di chi smaltisce correttamente questi rifiuti“.
fonte: www.recoverweb.it
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Il cartone per bevande non è così riciclabile come si pensava
Un recente rapporto di Zero Waste Europe mostra come alcune delle maggiori economie europee riciclino meno cartone per bevande di quanto si pensasse. Le nuove norme dell'UE per il calcolo dei tassi di riciclaggio degli imballaggi rivelano come i Paesi membri e le industrie siano in ritardo nel rendere i cartoni per bevande più eco-sostenibili. È necessario intensificare gli sforzi per raggiungere le ambizioni europee in materia di economia circolare.
Cartoni multistrato: cosa c’è dentroEntrando in un supermercato è difficile non vederli: i cartoni per bevande sono dappertutto. Contengono latte fresco e a lunga conservazione, latte vegetale, succhi, salse e talvolta zuppe.
La combinazione di materiali stratificati li rende leggeri ma resistenti, previene le perdite e protegge gli alimenti dalla contaminazione, prolungando al contempo la shelf-life dei prodotti. La forma a blocchi dei cartoni li rende facili da immagazzinare e trasportare.
Il cartone per bevande medio è un composito, un materiale multistrato contenente circa il 75% di cartone (cioè carta), il 21% di plastica (o altro polimero sintetico) e il 4% di alluminio; le cifre variano, con un contenuto di carta compreso tra il 53% e l'80%, a seconda della funzione, delle dimensioni e del mercato della confezione. Poiché la materia prima principale proviene perlopiù da legno certificato, il cartone per bevande è considerato un materiale a più basse emissioni rispetto a PET, HDPE, bottiglie di vetro, lattine di metallo e buste stand-up. Ma gli standard di riciclaggio emergenti mettono in discussione le sue prestazioni ambientali.
Le nuove regole UE e il crollo dei tassi di riciclo del cartone per bevande
Nel 2019 e nel 2020, secondo l'Alliance for Beverage Cartons and the Environment (ACE), in media poco più della metà di tutti i cartoni per bevande (51%) immessi sul mercato dell'UE sono stati riciclati. Se ne deduce che il resto finisce nell’indifferenziato con altri rifiuti o incenerito, come afferma il rapporto Zero Waste Europe. Ma anche il tasso del 51% potrebbe essere sovrastimato se i tassi di riciclaggio fossero rivisti in base alle nuove regole dell'UE sugli imballaggi, afferma lo studio. Dal 2022, il tasso di riciclaggio per gli imballaggi compositi sarà calcolato in base alla riciclabilità di ciascuno dei materiali che li compongono, a meno che la loro proporzione non sia significativa (inferiore al 5%).
Lo studio si concentra sui casi di Germania, Spagna, Svezia e Regno Unito (che non è più membro dell'UE, ma è impegnato lo scorso anno a recepirne le norme post-Brexit sugli imballaggi), le cui prestazioni di riciclaggio per il cartone per bevande diminuiscono drasticamente con la nuova regolamentazione: il tasso di riciclaggio del 75% della Germania diventa 47,8%; la Spagna scende dall'80% al 21,4%; la Svezia dal 33% al 21,9%; il Regno Unito dal 36% al 29,5%.
"I quattro paesi sono ampiamente rappresentativi dell’intera Europa e dei suoi diversi tassi di riciclaggio: alti, bassi e medi", spiega Vera Lahme, consulente e coautrice del rapporto commissionato da Zero Waste Europe, interpellata da Materia Rinnovabile. “Si prevede che tutti i tassi di riciclaggio attualmente riportati nell'UE diminuiranno probabilmente in modo significativo quando i nuovi metodi di comunicazione diventeranno obbligatori. ACE attualmente contiene i dati sugli attuali tassi di riciclaggio, ma questi non vengono calcolati utilizzando il nuovo metodo di calcolo e non siamo sicuri di come questi vengano calcolati. Abbiamo scoperto che questi tassi sovrastimano ciò che sta realmente accadendo nel mercato per i nostri 4 casi di studio e ci aspettiamo che questo avvenga anche per gli altri paesi dell'UE. Questo significa che il tasso medio di riciclaggio in Europa potrebbe essere significativamente inferiore rispetto a quello dichiarato dall’industria del cartone per bevande."
Inoltre, secondo Zero Waste Europe, i numeri ufficiali per le quantità di cartoni per bevande effettivamente riciclati potrebbero essere ancora inferiori. Il calcolo del tasso di riciclaggio fatto utilizzando il peso originale della confezione, ovvero il peso "immesso sul mercato", può infatti falsare i risultati, poiché i cartoni per bevande smaltiti contengono materiali non di imballaggio, inclusi residui di prodotti, sporco o altri contaminanti, che ne fanno aumentare il carico.
Il cartone per bevande ha un problema con la circolarità
Sono diversi i fattori critici che rendono difficile per il cartone per bevande conformarsi ai principi dell'economia circolare. La raccolta è uno dei problemi. I tassi di raccolta del cartone per bevande variano ampiamente tra i paesi, dal primato della Germania (87,4%), alla Spagna (51,2%), al Regno Unito (48%) e alla Svezia (40,1%), con tassi di raccolta inferiori che aumentano il rischio di avere cartoni inceneriti anziché riciclati.
Poi c'è la natura composita del cartone. La carta è riciclabile, ma la plastica e l'alluminio contenuti in questo tipo di packaging non lo sono. Lo smistamento del cartone per bevande richiede quindi una selezione manuale o una tecnologia più avanzata per individuare elementi non cartacei. Alcuni paesi raccolgono il cartone multistrato separatamente dalla carta e dal cartone normale (ad esempio la Germania), mentre altri raccolgono tutto insieme (ad esempio la Svezia), il che può portare a errori di smistamento. Inoltre, le cartiere regolari non possono elaborare e riciclare facilmente il contenuto di carta nei cartoni per bevande, che richiedono operazioni specializzate. Ma l'Europa conta solo 20 impianti di questo tipo, che non riescono a tenere il passo con l'intera quantità di rifiuti di cartone raccolti e selezionati. Ad esempio, nel Regno Unito, circa 60.000 tonnellate di materiale vengono immesse sul mercato, ma il suo unico stabilimento specializzato può lavorare solo 25.000 tonnellate, mentre i tre stabilimenti specializzati della Germania devono fornire la copertura per l'intero paese. Le cartiere specializzate nei quattro paesi studiati utilizzano il cosiddetto "metodo di separazione singola", che separa le fibre di cartone dagli strati di alluminio e polietilene utilizzando acqua in quello che assomiglia al cestello di una lavatrice.
In ogni caso, circa il 25% di un cartone per bevande viene comunque incenerito. Dal momento che le nuove regole guardano alla riciclabilità di ogni materia prima che compone l'imballaggio, lasciar fuori dal processo di riciclo la plastica e l'alluminio mina gravemente le prestazioni di riciclabilità, già influenzate dalle perdite di raccolta, smistamento e rifiuti di lavorazione. Finora gli sforzi per riciclare i componenti non cartacei del cartone multistrato sono stati finanziariamente non convenienti. "Le cartiere specializzate hanno una produzione di materiale inferiore rispetto alle normali cartiere”, spiega Lahme. “Inoltre, il processo è più dispendioso in termini di energia e tempo e produce più rifiuti, sebbene produca anche prodotti di carta di alta qualità. Ma nel complesso raggiungere delle economia di scala sembra essere più difficile rispetto agli stabilimenti convenzionali ".
Una maggiore attenzione alla riciclabilità di ciascun componente del cartone riporta inoltre l'attenzione sulla longevità della loro vita utile e sulla circolarità complessiva del materiale. Il Circular Economy Action Plan 2020 della Commissione europea vede la circolarità come "una parte essenziale di una più ampia trasformazione dell'industria verso la neutralità climatica e la competitività a lungo termine" e la riduzione dei rifiuti degli imballaggi è una priorità assoluta. Ma in un'economia circolare, prodotti e materiali dovrebbero essere mantenuti il più a lungo possibile, afferma l'ONG Food Packaging Forum: una sfida particolarmente difficile per i cartoni per bevande.
Alimentare la deforestazione
La produzione di cartoni per bevande richiede fibre di legno lunghe e di alta qualità che si trovano principalmente nelle foreste di conifere a crescita lenta alle latitudini settentrionali. Le fibre riciclate sono troppo corte per essere materia prima per i cartoni da bevande e questo li rende dipendenti dalla fornitura di fibre vergini. Mentre l'Europa si impegna per un'economia a zero emissioni di carbonio, i cartoni per bevande sollevano preoccupazione per il loro ruolo nell'alimentare la deforestazione di boschi ricchi di carbonio e per i maggiori impatti ambientali rispetto al cartone da imballaggio medio, sottolinea Zero Waste Europe. Ma questo solleva anche preoccupazioni sulla loro circolarità. Anche quando si ricorra a impianti specializzati nel riciclare i cartoni multistrato, le fibre di carta recuperate saranno più corte della materia prima originale. Non possono quindi essere reimmesse nel ciclo di produzione del cartone per bevande e vengono invece riciclate in prodotti di qualità inferiore (downcycling), il che rende impossibile chiudere davvero il cerchio.
Preoccupazioni per la sicurezza dei materiali riciclati negli imballaggi alimentari
L'innovazione del design del cartone per bevande potrebbe essere un punto di svolta per la circolarità degli imballaggi, afferma il rapporto. Tetra Pak, la più grande azienda di imballaggi alimentari a livello globale, mira ad aumentare la dipendenza del cartone da materiali rinnovabili e riciclati utilizzando alternative di origine vegetale alla plastica prodotta da combustibili fossili e utilizzando più polimeri e carta riciclati. Ma l'utilizzo di materiali riciclati per gli imballaggi alimentari solleva preoccupazioni per la sicurezza, poiché sostanze chimiche non sicure potrebbero migrare verso alimenti e bevande, ha avvertito Jane Muncke, amministratore delegato del Food Packaging Forum, in un recente evento ACE sulla sostenibilità degli imballaggi nell'UE. Un collo di bottiglia per i produttori di cartone. "Ci siamo impegnati a utilizzare plastica riciclabile nei nostri imballaggi, se è sicura e disponibile", ha affermato Heike Schiffler, vicepresidente di Tetra Pak per la sostenibilità per l'Europa e l'Asia centrale nello stesso evento. “Ma non possiamo scendere a compromessi sulla sicurezza. Anche laddove siano disponibili materiali riciclabili, le applicazioni del mercato finale non sono così facili da trovare per questi materiali, c'è molta resistenza ". Rimangono ulteriori domande su come l'innovazione possa affrontare la dipendenza del cartone dalle fibre lunghe e il suo inevitabile downcycling dopo l'uso.
Raccolta e sistemi di deposito cauzionale
Anche la ricerca di soluzioni per problemi cronici di raccolta e smistamento è fondamentale per aumentare la circolarità del cartone. I sistemi di deposito cauzionale o Deposit Refund Schemes (DRS), che chiedono alle persone piccole somme di denaro restituite quando riportano i loro cartoni da riciclare, potrebbero essere la soluzione più efficace per massimizzare i tassi di raccolta, afferma il rapporto, poiché aiutano a raccogliere tra l'80 e il 99% degli imballaggi per bevande. La raccolta differenziata dei cartoni ridurrebbe anche le complessità e gli errori nello smistamento e nella lavorazione. Anche la definizione di obiettivi di riciclaggio è fondamentale. Nei quattro paesi studiati, solo la Germania ha un obiettivo di riciclaggio del 75% dedicato ai cartoni per bevande.
"La priorità risiede in un migliore sistema di raccolta e smistamento in quanto questo costituisce la base per un riciclaggio efficace", afferma Lahme. “Un design migliorato produrrebbe solo miglioramenti minimi nel riciclaggio se i cartoni non vengono catturati in primo luogo o vengono persi nei processi di smistamento. Ma anche l'infrastruttura di riciclaggio (cartiere specializzate) deve essere presente per riciclare quanto più materiale raccolto possibile ".
fonte: www.renewablematter.eu
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Bioplastiche: Nuovi modelli di produzione e consumo
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La bulimia normativa non frena l’ecomafia. Legambiente: +23,1% reati nell’ultimo anno
Dopo un piccolo e inconsueto calo registrato nel 2018, continua la corsa dei reati contro l’ambiente censiti nel rapporto legambientino Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia (in libreria con Edizioni Ambiente). Nel 2019 sono 34.648 quelli messi in evidenza dall’associazione ambientalista, con un incremento del +23.1% rispetto all’anno precedente.
In particolare preoccupa il boom degli illeciti nel ciclo del cemento, al primo posto della graduatoria per tipologia di attività ecocriminali, con ben 11.484 (+74,6% rispetto al 2018), che superano nel 2019 quelli contestati nel ciclo di rifiuti che ammontano a 9.527 (+10,9% rispetto al 2018). Da segnalare anche l’impennata dei reati contro la fauna, 8.088, (+10,9% rispetto al 2018) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018). La Campania è, come sempre, in testa alle classifiche, seguita nel 2019 da Puglia, Sicilia e Calabria, anche se la Lombardia da sola – con 88 ordinanze di custodia cautelare – colleziona più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme, che si fermano a 86. Da capogiro il business potenziale complessivo dell’ecomafia, stimato da Legambiente in 19,9 miliardi di euro per il solo 2019.
«Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, è fondamentale completare il quadro normativo».
Questo per Legambiente significa partire dall’approvazione dei seguenti provvedimenti legislativi: il ddl Terra Mia, che introduce nuove e più adeguate sanzioni in materia di gestione illecita dei rifiuti; i regolamenti di attuazione della legge 132/2016 sul Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente; il disegno di legge contro le agromafie, licenziato dal governo nel febbraio di quest’anno e ancora fermo alla Camera; il disegno di legge contro chi saccheggia il patrimonio culturale, archeologico e artistico del nostro paese, approvato dalla Camera nell’ottobre del 2018 e ancora fermo al Senato, l’approvazione dei delitti contro la fauna per fermare bracconieri e trafficanti di animali, promessa che si rinnova da oltre venti anni ed ancora in attesa che Governo e Parlamento legiferino.
L’esperienza empirica mostra però che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia, limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.
Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.
Basti guardare al trend degli ecoreati messo in fila proprio da Legambiente: gli illeciti ambientali documentati nel 2015 erano 27.745, poi nonostante l’approvazione in corso d’anno della legge 68 sugli ecoreati sono continuati a crescere di anno in anno fino ai 34.648 messi in fila oggi. Ma quella della legge 68 è solo una pietra di paragone tra le tante. Come documenta il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure, già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).
Nel 2019 la legge sugli ecoreati ha portato all’avvio di 3.753 procedimenti penali (quelli archiviati sono stati 623), con 10.419 persone denunciate e 3.165 ordinanze di custodia cautelare emesse, ma i problemi restano. Lapalissiano il caso dei rifiuti.
«Anche nel 2019 – snocciola Legambiente – il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale. Sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili per 27 inchieste), pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna».
Come affrontare davvero il fenomeno, dato che mentre si affastellano nuove leggi gli ecoreati veri o ancora da dimostrare continuano a crescere? Un’indicazione chiara la dà la Direzione investigativa antimafia (Dia): «La cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali». Più in particolare «la perdurante emergenza che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti vede tra le sue cause certamente l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbe consentire l’autosufficienza a livello regionale». Con la Dia che reputa «significativa, ad esempio, la mancata realizzazione di termovalorizzatori». Meno leggi ma più chiare dunque, e più impianti, potrebbe essere una via da tentare per ripulire l’economia circolare dalle mele marce e dare gambe all’imprenditoria onesta.
Più chiara invece la situazione per quanto riguarda un altro grande male del Paese. Come documenta ancora Legambiente, oltre ai reati legati al ciclo del cemento, resta diffusa la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni (ampliamenti compresi): si tratta di qualcosa come il 17,7% sul totale delle nuove costruzioni e degli ampliamenti significativi.
«La causa di questa persistenza dell’abusivismo edilizio in Italia – spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – è duplice: le mancate demolizioni da parte dei Comuni e i continui tentativi di riproporre condoni edilizi da parte di Regioni, ultima in ordine di tempo la Sicilia, leader e forze politiche. Per questo diventa indispensabile, oggi più che mai, lanciare una grande stagione di lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo in particolare un adeguato supporto alle Prefetture nelle attività di demolizione, in caso di inerzia dei Comuni, previste dalla legge 120/2020; la chiusura delle pratiche di condono ancora giacenti presso i Comuni; l’emersione degli immobili non accatastati, censiti dall’Agenzia delle entrate, per avviare la verifica della loro regolarità edilizia e sottoporre quelli abusivi all’iter di demolizione».
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Mezzogiorno, i “viaggi dei rifiuti” costano 75 milioni di euro l’anno di Tari
“La carenza e la non equilibrata dislocazione degli impianti – spiega il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola. Il paradosso è che i cittadini dei territori nei quali non ci sono sufficienti impianti sono costretti a pagare le tariffe dei rifiuti più alte ed hanno una qualità ambientale più bassa. E’ un classico caso di servizio inefficiente a fronte di tariffe più alte per la cittadinanza, e al contempo un esempio di quali siano i costi del non fare: al contrario gli impianti sono investimenti in grado di produrre ricchezza negli stessi territori che attualmente spendono risorse in maniera improduttiva”.
Si chiamano “viaggi dei rifiuti” e comportano gravi costi economici e ambientali, nonché un eccessivo ricorso alla discarica: nel Mezzogiorno il 41% dei rifiuti viene ancora smaltito in questo modo (mentre l’UE impone di scendere al di sotto del 10% entro il 2035), e al contempo la vita residua delle discariche in esercizio si stima che arrivi solo fino al 2022.
Gli impianti di trattamento sono infrastrutture essenziali e non più differibili, la cui realizzazione porterebbe notevoli vantaggi economici, ambientali e sociali: investimenti in grado di produrre ricchezza in quegli stessi territori che attualmente spendono risorse in maniera improduttiva. Sono questi alcuni degli elementi che emergono dalla ricerca “I fabbisogni di trattamento dei rifiuti urbani nel Sud” realizzata da Utilitalia e presentata in occasione del Green Symposium di Napoli; nello studio viene scattata una fotografia della situazione attuale e allo stesso tempo disegnato lo scenario al 2035.
Se si pensa che la questione sia solo del Sud, però, ci si sbaglia di grosso: l’economia dei rifiuti al Nord risulta maggiormente integrata in un mercato più ampio, anche sovranazionale, in linea con l’ampia disponibilità e varietà impiantistica che caratterizza la macroarea, ma il minore grado di autosufficienza si riscontra anche nel Centro Italia, da dove quasi 5 Mt nel 2016, corrispondenti al 14% del totale movimentato, vengono trasferiti verso altre macro-aree.
Per quanto riguarda invece le 8 regioni del Sud, nel 2018 erano operativi 69 impianti di trattamento del rifiuto organico, 51 impianti di trattamento meccanico biologico (TMB), 6 inceneritori, 2 co-inceneritori e 46 discariche. Il Mezzogiorno ha esportato verso le regioni del Centro-Nord 420mila tonnellate di organico (il 30% della produzione), mentre altre 80mila sono state movimentate all’interno del Sud stesso; per quanto riguarda il rifiuto indifferenziato e trattato nei TMB ai fini del recupero energetico, sono state esportate 190mila tonnellate (il 18% di quanto è stato trattato nei termovalorizzatori del Mezzogiorno), mentre altre 70mila tonnellate si sono mosse all’interno della macroregione.
Secondo l’analisi di Utilitalia – che tiene conto dei target fissati dal Pacchetto Ue sull’economia circolare al 2035, e in particolare del raggiungimento del 65% di riciclaggio e dell’uso della discarica per una quota al massimo del 10% – considerando la capacità attualmente installata, se si vuole annullare entro quella data l’export dei rifiuti, servono investimenti pari a 2,2 miliardi di euro, oltre a quelli per lo sviluppo delle raccolte differenziate e dell’applicazione della tariffa puntuale: ciò per soddisfare il fabbisogno di trattamento della frazione organica per ulteriori 2 milioni di tonnellate, e di incenerimento con recupero di energia per ulteriori 1,3 milioni di tonnellate.
L’economia circolare infatti non gira da sé, e senza una politica industriale a supporto e senza la dotazione impiantistica necessaria sul territorio, gli unici a girare sono i rifiuti in cerca di una destinazione (legale, quando va bene) dove essere smaltiti.
Nello specifico, nel Mezzogiorno la realizzazione degli impianti di trattamento del rifiuto organico, oltre a chiudere il cerchio dei rifiuti a livello macro-regionale, permetterebbe di produrre 140 milioni di metri cubi l’anno di biometano: un quantitativo in grado di soddisfare la necessità di riscaldamento di 140mila famiglie, con un risparmio di 260mila tonnellate di CO2 l’anno.
fonte: www.greenreport.it
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Nuovi prodotti dal trattamento dei rifiuti organici
È presumibile che nel futuro i rifiuti organici aumenteranno, infatti, la nuova direttiva sui rifiuti, non ancora recepita, ha introdotto alcuni cambiamenti per quanto riguarda la loro gestione, prevedendo anche l’obbligo per tutti gli Stati membri di raccogliere separatamente i rifiuti organici o assicurare il riciclo a partire dalla fine del 2023 nuovi targets per la preparazione per il riuso e il riciclaggio dei rifiuti urbani, che, in accordo con la direttiva sulle discariche, necessita di individuare una corretta gestione dei rifiuti organici.
ISPRA ci conferma che è già in aumento, infatti, dai dati pubblicati emerge che il trattamento della frazione organica della raccolta differenziata (umido + verde) passa da 5,9 milioni di tonnellate a 6,3 milioni di tonnellate, evidenziando una crescita di 431 mila tonnellate, pari al 7,3%.
Il pro capite nazionale di trattamento biologico dei rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata, nel 2018, è pari a 105 kg/abitante con valori molto diversi nelle singole aree geografiche:
155 kg/abitante al Nord
57 kg/abitante al Centro
65 kg/abitante al Sud.
In considerazione del fatto che non tutte le regioni sono dotate di una sufficiente impiantistica che rende possibile “chiudere il cerchio” della gestione di questa particolare tipologia di rifiuti, l’organico subisce una movimentazione all’interno del Paese.
Il quantitativo complessivo dei flussi movimentati nell’anno 2018 risulta pari a circa 1,7 milioni di tonnellate.
Nel grafico sottostante si evidenzia l’andamento dei quantitativi di rifiuti gestiti nel periodo dal 2009 al 2018, con il dettaglio riferito alla frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata (umido + verde).
L’analisi dei dati mostra un’evoluzione del settore sia riguardo alle quantità complessive (+79,5% tra il 2009 ed il 2018), che alla frazione organica, i cui quantitativi aumentano anche in percentuale maggiore.
Per quanto riguarda la composizione della frazione proveniente dalla raccolta differenziata, ISPRA riporta che, nell’anno 2018, questa è costituita, in prevalenza, da
“rifiuti biodegradabili di cucine e mense” (codice EER 200108), con un quantitativo di circa 4,6 milioni di tonnellate, pari al 72,4% del totale
“rifiuti biodegradabili” di giardini e parchi (codice EER 200201), con circa 1,7 milioni di tonnellate, rappresentano il 26,8% del totale
rifiuti dei mercati” (codice EER 200302), con 48 mila tonnellate, costituiscono una quota residuale dello 0,8%.
Per quanto riguarda le tecnologie di trattamento adottate a livello nazionale, l’analisi dei dati mostra che circa 3,3 milioni di tonnellate (il 51,6% del totale trattato) di frazione organica da raccolta differenziata viene gestito in impianti di compostaggio circa 2,8 milioni di tonnellate, che rappresentano il 43,6% del totale complessivo, viene avviata al trattamento integrato (anaerobico/aerobico), affermando un significativo trend positivo che interessa negli ultimi anni il recupero dei rifiuti organici circa 304 mila tonnellate (circa il 4,8%) viene trattato in impianti di digestione anaerobica, modalità di gestione in incremento, sia dal punto di vista impiantistico, con 23 impianti che di quantitativi gestiti, con aumento di 16 mila tonnellate, corrispondenti ad un più 5,7% (+37,9% rispetto al 2015).
La digestione anaerobica assume una funzione sempre più importante nel trattamento delle frazioni organiche selezionate, proprio per la possibilità di abbinare al recupero di materia quello di energia. Infatti, oltre alla produzione del digestato da utilizzare in campo agricolo attraverso il processo di compostaggio, tale tipologia di gestione comporta la formazione di biogas che può essere utilizzato direttamente ai fini energetici per la cogenerazione di energia elettrica e termica, oppure, negli impianti di ultima generazione, sottoposto ad un processo di rimozione della CO2, che ne permette la trasformazione in biometano e la successiva immissione in rete al posto del gas naturale o per l’autotrazione. Secondo le informazioni messe a disposizione da ISPRA, nel 2018, sono 5 gli impianti di trattamento integrato anaerobico/aerobico che effettuano la produzione di biometano, ubicati
uno in Piemonte nella provincia di Torino,
due in Lombardia, nelle province di Bergamo e Lodi,
uno in Emilia Romagna, in provincia di Bologna
uno in Calabria, nella provincia di Cosenza.
L’impianto umbro (nella provincia di Perugia) dotato di tale tecnologia è operativo dal 2018 ma ha iniziato la produzione di biometano nel 2019.
A questi, si aggiungeranno nei prossimi anni, sette impianti, attualmente in fase di riconversione da trattamento aerobico a trattamento integrato, localizzati in Piemonte, Lazio, Puglia e Calabria e 6 nuove unità in corso di realizzazione in Piemonte, Lombardia, Liguria, Lazio e un’ulteriore riconversione da trattamento aerobico a trattamento integrato è stata inoltre autorizzata per un impianto in Abruzzo. Questi impianti dovrebbero entrare in esercizio entro il 2021.
Se, da molti anni, il compostaggio si presenta come il primo metodo per gestire questa particolare tipologia di rifiuti, vediamo che cominciano a presentarsi nuovi scenari, come ci conferma anche l’Agenzia Europea per l’Ambiente; grazie alle tecnologie più innovative, infatti, si è in grado di gestire i rifiuti organici trasformandoli in nuovi prodotti, come i biocarburanti.
Le bioraffinerie, ve ne sono più di 800 in tutta Europa, utilizzano questi particolari rifiuti per produrre biocarburanti, come l’etanolo, il metanolo e l’idrogeno, sfruttando principalmente rifiuti di tipo omogeneo provenienti dall’agricoltura, dalla lavorazione degli alimenti, compresi i mangimi e una quota parte anche di rifiuti di tipo urbano, in particolare quelli organici.
Secondo il report dell’ Agenzia Europea dell’Ambiente, “Bio Waste in Europe”, oggetto di una notizia su Arpatnews, svariati sono i nuovi prodotti ricavabili dall’utiizzo dei rifiuti organici, tra questi anche la produzione di acidi grassi volatili utilizzati nei bio-carburanti o nella creazione di plastiche “bio-based”. Negli anni è cresciuta l’attenzione sulla possibilità di ottenerli dai rifiuti organici, in particolare da quelli alimentari, che contengono materia organica in elevate quantità, con alte concentrazioni di idrogeno e fosforo. Si tratta di creare un’alternativa più sostenibile, evitando che questi acidi vengano estratti dai carburanti fossili attraverso operazioni di sintesi. La produzione di acidi grassi volativi attraverso la digestione anaerobica è in incremento ma la sua produzione su larga scala è stata testata solo con uno spettro ristretto di rifiuti organici, sono pertanto richiesti maggiori sviluppi, per rendere la produzione su larga scala sostenibile e fattibile economicamente.
Un altro interessante impiego è quello del recupero di nutrienti dai rifiuti organici. La possibilità di recupare fosforo trattando i rifiuti organici sta riscuotendo molta attenzione, in quanto siamo di fronte ad una risorsa non rinnovabile, in via di esaurimento ma di cui c’è molta domanda soprattutto da parte dell’agricoltura, dove i nutrienti, come questo, sono molto richiesti. Con questo tipo di recupero si ridurrebbe sia la dipendenza da risorse non rinnovabili che l’eutrofizzazione dell’acqua. I processi impiegati per recuperare il fosforo dai rifiuti organici necessitano ancora di qualche miglioramento per ottenere un prodotto finito di maggiore qualità e per abbattere alcuni costi di produzione ancora piuttosto elevati. L’utilizzo della membrana vibrante per il recupero del fosforo è molto innovativa ma la sua applicabilità tecnica è ancora tutta da dimostrare.
L’estrazione di idrogeno, considerato come una fonte di energia pulita, dai rifiuti organici è un’altra possibile alternativa, molto innovativa ma che mostra ancora molti limiti e il suo utilizzo su larga scale è molto lontano.
A queste forme di recupero si aggiungono una serie di sistemi per convertire i rifiuti organici in energia, che comprendono la pirolisi, la carbonizzazione e la gassificazione.
Per approfondire: Rapporto ISPRA Rifiuti Urbani – 2019 e Rapporto EEA Bio-waste in Europe
fonte: https://www.snpambiente.it
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Plastica biodegradabile o riciclata? Ecco quali sono i pro e i contro
Plastica biodegradabile o plastica riciclata? Quale delle due opzioni è migliore per l’ambiente? Il gruppo di ricerca IDTechEx ha cercato di rispondere a questa domanda, nel tentativo di far fronte alla sempre maggiore produzione di plastica che, con l’attuale tasso di crescita, potrebbe raggiungere le 600 milioni di tonnellate entro il 2030.
Le nuove materie plastiche biodegradabili, insieme alle più avanzate tecniche di riciclaggio, sono due approcci promettenti per aiutare il mondo a ridurre i rifiuti di plastica. Attualmente, la maggior parte della plastica prodotta non è biodegradabile, con il 30-50% impiegata per applicazioni monouso.
Generalmente, si è pensato che un maggiore investimento sulla produzione di plastica biodegradabile avrebbe potuto rappresentare una potenziale soluzione al problema dei rifiuti. Non a caso, negli ultimi dieci anni c’è stata una sempre maggiore attenzione nei confronti delle cosiddette bioplastiche, polimeri prodotti da materie prime biologiche come l’acido polilattico (PLA) e i poliidrossialcanoati (PHA).
La plastica biodegradabile ha fatto dunque sperare che il mondo potesse continuare a produrre grandi quantità di materie plastiche, senza doversi preoccupare del loro fine vita. Tuttavia, la realtà è molto diversa da quello che appare. Infatti, la provenienza biologica non garantisce che la plastica si possa realmente degradare in tempi accettabili, e molte bioplastiche pubblicizzate come tali in realtà non lo sono.
La questione, infatti, riguarda cosa si intende per “plastica biodegradabile”. Il PLA, ad esempio, è comunemente etichettato come biodegradabile, ma si degrada solo in impianti di compostaggio industriali, a temperature sufficientemente elevate affinché i microbi possano abbatterlo ad una certa velocità. Di conseguenza, se una bottiglia di PLA venisse buttata nell’oceano, ci vorrebbero centinaia di anni prima di degradarsi.
In un report dal titolo Bioplastics 2020-2025, IDTechEx sottolinea che molte regioni del mondo non hanno accesso a queste strutture di compostaggio industriale, il che significa che una diffusione di materie plastiche in PLA probabilmente non comporterebbe alcun beneficio ambientale. Questo, però, non è il caso di tutte le bioplastiche. I PHA, ad esempio, si decompongono nell’ambiente naturale nel corso di alcuni mesi, così come le miscele di amido e le nanocellulose.
Anche il riciclaggio della plastica è un’altra potenziale strada per superare il problema mondiale dei rifiuti di plastica. Le tecnologie di riciclaggio esistenti si sono affidate allo smistamento meccanico e alla fusione dei rifiuti di plastica, strategie che spesso comportano elevati livelli di contaminazione. Tuttavia, esiste una gamma di tecnologie di riciclaggio alternative che potrebbero portare a ulteriori opportunità nella catena del valore dei polimeri.
Ad esempio, l’estrazione con solvente è un metodo di riciclaggio che può produrre un polimero puro con proprietà meccaniche simili o potenzialmente identiche al materiale vergine. Tecniche come la pirolisi possono essere utilizzate per creare carburanti e materie prime chimiche da rifiuti di plastica, contribuendo a un’economia più circolare.
Dunque, sia una maggiore attenzione alla plastica biodegradabile, sia un miglioramento delle strategie di riciclaggio dei polimeri potrebbero rappresentare, congiuntamente, un buono modo per superare il problema dei rifiuti in plastica. Tuttavia, secondo IDTechEx, i due sistemi rischiano di essere in concorrenza tra loro: ad esempio, una maggiore attenzione al riciclaggio potrebbe portare ad un depotenziamento del mercato delle bioplastiche, aggravando le sfide economiche che il campo deve affrontare.
fonte: www.rinnovabili.it
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Il nuovo piano industriale porta cermec nell’economia circolare

Ad un anno dalla nomina come amministratore unico , Alessio Ciacci, assieme ai soci di Cermec spa(il Comune di Carrara ed il Comune di Massa) presenta una svolta epocale per l’azienda:il nuovo Piano Industriale. Mentre si avvicina la chiusura degli impegni economici legati alla fase del concordato, iniziato nel 2011, l’azienda guarda al futuro cambiando pelle e preparandosi alle sfide di sostenibilità che l’economia circolare ed i cambiamenti climatici oggi richiedono.
«È stato un anno intenso quello che ho condiviso con i soci ed i lavoratori di Cermec – affermaAlessio Ciacci – e voglio ringraziare tutti per l’impegno collettivo che ha assicurato la stabilità all’azienda, la garanzia di trattamento dei rifiuti del territorio, tariffe sempre più competitive, trasparenza e partecipazione.Ora vogliamo fare uno scatto per costruire il Cermec del domani, orientato solo al riciclo di materia, alla produzione di compost di qualità, al ricavo di biometano dall’organico, alla valorizzazione di tutti i materiali delle raccolte differenziate a cui assicurare una nuova vita. Questa è la principale sfida che ci attende e che potrà contribuire a migliorare il servizio a questo territorio».
Il Cermec del domani, che questo Piano Industriale disegna con precisione negli aspetti tecnici ed economici, sarà un impianto in grado di trattare maggiori quantità di materiale organico, di verde, di carta, di plastiche, di legno e altri materiali oggi non trattati come vetroi fanghi da depurazione civile, o le terre da spazzamento. La nuova concezione impiantistica, legata alla digestione anaerobica della frazione organica, permetterà di produrre energia (biometano) oltre che recuperare materia (compost). Questo migliorerà significativamente sia i bilanci ambientali siai bilanci economici. Questo investimento permetterà di trattare tutto il materiale completamente al chiuso, in locali pressurizzati, abbattendo definitivamente anche l’impatto odorigeno. L’investimento permetterà inoltre di offrire al territorio la possibilità di trattare materiali che oggi finiscono nell’indifferenziato (come le terre da spazzamento), che vanno a privati (come il vetro) o che devono essere trasportati in impianti molto distanti (come i fanghi da depurazione civile).
«Questa nuova visione impiantistica – sottolinea Ciacci – si sposa con le normativa ambientali nazionali ed europee, quali il Pacchetto sull’Economia Circolare, nonché con la nuova normativa regionale di settore,che spingono sempre più in alto l’asticella della sostenibilità e obbligano i territori a fare sempre più riciclo di materia, marginalizzando a percentuali irrisorie ciò che va ancora a smaltimento. L’impianto disegnato da questo nuovo piano industriale si inserisce anche nella pianificatone di ambito (Ato Costa) che prevede la dismissione, per Cermec, dell’impianto TMB (trattamento meccanico-biologico) mauna valorizzazione dell’impianto esistente come trattamento dei materiali da riciclo. Questa nuova prospettiva impiantistica oltre a migliorare notevolmente la sostenibilità ambientale dell’azienda e del territorio, permetterà di migliorare notevolmente la redditività dell’impianto, così come permetterà la creazione di nuovi posti di lavoro».
Alla conferenza stampa, per il Comune di Massa ha partecipato il Sindaco Francesco Persiani e per il Comune di Carrara, il vicesindaco e delegato alle Partecipate, Matteo Martinelli, e l’assessore all’Ambiente, Sarah Scaletti.
«Avere una gestione moderna e sostenibile dal punto di vista ambientale – sottolinea il Vicesindaco di Carrara Matteo Martinelli – è sempre stato uno dei nostri principali obiettivi a livello comunale: da anni, ancor prima di entrare in consiglio comunale, come Movimento5Stelle abbiamo lottato per una gestione ispirata a modelli esistenti e sviluppati in altre città come Capannori, da cui proviene il nostro amministratore unico. Per noi è una grandissima soddisfazione essere qua oggi e essere impegnati nell’ampliamento del servizio porta a porta sul Comune di Carrara, in collaborazione con la nostra partecipata Nausicaa. In questi giorni anche con Cermec sistemiamo un altro tassello che per quanto oggi nella fase embrionale servirà una volta realizzato ad avere una gestione virtuosa dei rifiuti sul territorio comunale».
“Con soddisfazione registriamo l’andamento della società che con l’approvazione del bilancio 2019 chiude un periodo difficile- dichiara il Sindaco di Massa Francesco Persiani. Fatta eccezione per alcune vertenze ancora in essere, possiamo affermare che l’obiettivo è stato raggiunto. Questo importante dato assume una maggiore valenza con l’opportunità di avviare il percorso che, a seguito dell’approvazione del piano industriale, porti alla realizzazione di un impianto di digestione anaerobica e compostaggio aerobico. Il nuovo sistema permetterà non soltanto di avere un assetto moderno e tecnologico e maggiormente rispondente alle esigenze del territorio nel rispetto della salute della popolazione e degli abitati circostanti, ma anche la possibilità di un rilancio economico ed occupazionale”.
«Sì, questo progetto – prosegue l’assessore di Carrara Sarah Scaletti – è davvero un tassello importante nella nostra strategia di gestione dei rifiuti. L’impianto attuale, oltre a essere obsoleto per concezione, è figlio di un momento storico in cui le raccolte differenziate erano agli esordi e ancora non si parlava di economia circolare. Oggi inoltre soffre degli anni pesanti del concordato. Fino a oggi ha risposto alle necessità di un territorio che è rimasto fermo su percentuali di differenziata certo non vicine a quelle dei comuni più virtuosi. Il percorso che come amministrazione abbiamo intrapreso è quello di incrementare la differenziata e di portare il nostro comune a percentuali decisamente più alte rispetto a quelle attuali. Lo stiamo facendo estendendo in maniera massiccia la raccolta porta a porta. Ed è chiaro quindi che in un’ottica strategica di questo tipo e guardando anche alle realtà limitrofe, occorreva ripensare radicalmente la funzione di questo impianto salvaguardando però tutte le sue potenzialità legate al servizio che viene dato al territorio per il quale è, e rimane, un fondamentale punto di riferimento».
“Il comune di Massa- prosegue l’assessore di Massa Pierlio Baratta- esprime soddisfazione per l’operato dell’amministratore unico ed auspica un percorso volto alla riduzione delle tariffe che sino ad oggi hanno gravato i contribuenti di costi eccessivi dovuti al ripiano del debito concorsuale. L’amministrazione massese evidenzia il lavoro svolto all’interno di Ato per addivenire alla modifica del piano straordinario di ambito che prevedeva la parziale dismissione dell’impianto di via Gotara. A tal fine l’amministrazione si è battuta affinche ato adottasse la determina che consente ad oggi a Cermec di poter guardare oltre per ricoprire un ruolo logistico strategico nel contesto dell’ambito di costa.”
fonte: www.ciaccimagazine.org
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#Micropolis: Rifiuti, una proposta indecente? di Anna Rita Guarducci
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L’inceneritore non si farà più, al suo posto un impianto di riciclo

Il rendering di come sarebbe stato l'inceneritore
Firenze. Inceneritore addio. Dopo anni di tira e molla, guerre a suon di carte bollate, tensioni fra enti locali, proteste di piazza, comitati, ricorsi e controricorsi, ora l’addio all’impianto di Case Passerini, a Sesto Fiorentino, è stato messo nero su bianco. Lo sancisce un protocollo d’intesa fra Regione Toscana, Ato Toscana Centro e Alia Servizi Ambientali firmato nelle scorse settimane e recepito anche in una delibera regionale. Un atto cruciale, ma passato sotto silenzio in questi giorni di attenzione totale all’emergenza Coronavirus. Nel documento, le parti dichiarano di aver "preso atto che l’impianto di Case Passerini non è stato realizzato nella tempistica prevista dal Piano regionale rifiuti e bonifiche, lasciando insoddisfatte le esigenze di interesse pubblico sottese alla pianificazione e localizzazione dell’impianto, quali la realizzazione di un sistema impiantistico d’ambito efficiente e adeguato all’autosufficienza dell’Ato nella gestione dei rifiuti urbani non pericolosi; l’efficienza economica; il rispetto delle condizioni del conferimento in discarica". Alla luce di questi presupposti, prosegue la delibera "Regione, Ato Centro ed Alia Spa, sono tutti chiamati a soluzioni industriali e tecnologiche alternative allo smaltimento in termovalorizzazione, riducendo i quantitativi di Rsu da trattare tali e quali".
Cosa significa in concreto? In parole più semplici, al posto dell’inceneritore dovrebbe nascere un impianto di trattamento e recupero dei rifiuti, i cui dettagli sono in via di definizione, ma che si inserirebbe nell’ottica dell’economia circolare, recentemente sancita anche da una legge ad hoc approvata dal consiglio regionale toscano. L’obbiettivo è fare in modo che un numero sempre maggiore di scarti torni a essere materia prima inseribile all’interno delle filiere produttive. Non a caso, il progetto sottoscritto tra Regione, Ato Centro ed Alia Spa parla di "sviluppo di progetti di economia circolare per la valorizzazione e il recupero/riciclo dei rifiuti". Insomma si passerebbe da un inceneritore che doveva bruciare gli scarti per creare energia, a una "fabbrica di materiali", in grado di ricavarli dagli scarti. Le conseguenze pratiche sul futuro dell’area, ma anche sugli assetti di Q.Thermo (la società nata per costruire il termovalorizzatore) sono importanti.
«La Regione – si legge nel documento - si impegna a adottare tutti i provvedimenti necessari a portare a compimento le procedure di modifica degli atti di pianificazione di settore o territoriali, per individuare le alternative industriali e di filiera alla realizzazione del termovalorizzatore" ma anche a "individuare interventi di sostegno finanziario ed economico da riconoscere ad Ato, finalizzati a investimenti pubblici". Ato, da parte sua, deve "effettuare un’analisi dei costi/benefici conseguenti alle strategie alternative allo scopo di assicurare che queste non determinino costi aggiuntivi" ma dovrà anche "indicare la possibilità di procedere al superamento della convenzione 17 ottobre 2016 per la realizzazione del termovalorizzatore, destinando ad Alia i contributi finalizzati a investimenti pubblici". Alia infine dovrà "rilevare con oneri a proprio carico la partecipazione societaria del privato Q.Thermo e valutarne la riconversione produttiva". Q.Thermo, società pubblico-privata creata per costruire e gestire l’inceneritore, è infatti partecipata al 60% da Alia e al 40% dal Gruppo Hera, società a partecipazione pubblica quotata in borsa, che gestisce impianti di termovalorizzazione in tutta Italia.
fonte: https://www.lanazione.it
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Il virus ‘colpisce' i riciclatori


L'industria del riciclo di materie plastiche invita quindi Bruxelles e gli Stati membri a inserire il riciclo tra i settori sostenuti dai piani di incentivazione, proseguendo nell’adozione di misure nell'ambito dell'economia circolare.
fonte: www.polimerica.it
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