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La bulimia normativa non frena l’ecomafia. Legambiente: +23,1% reati nell’ultimo anno

Sempre più urgente un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre che delle pene














Dopo un piccolo e inconsueto calo registrato nel 2018, continua la corsa dei reati contro l’ambiente censiti nel rapporto legambientino Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia (in libreria con Edizioni Ambiente). Nel 2019 sono 34.648 quelli messi in evidenza dall’associazione ambientalista, con un incremento del +23.1% rispetto all’anno precedente.

In particolare preoccupa il boom degli illeciti nel ciclo del cemento, al primo posto della graduatoria per tipologia di attività ecocriminali, con ben 11.484 (+74,6% rispetto al 2018), che superano nel 2019 quelli contestati nel ciclo di rifiuti che ammontano a 9.527 (+10,9% rispetto al 2018). Da segnalare anche l’impennata dei reati contro la fauna, 8.088, (+10,9% rispetto al 2018) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018). La Campania è, come sempre, in testa alle classifiche, seguita nel 2019 da Puglia, Sicilia e Calabria, anche se la Lombardia da sola – con 88 ordinanze di custodia cautelare – colleziona più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme, che si fermano a 86. Da capogiro il business potenziale complessivo dell’ecomafia, stimato da Legambiente in 19,9 miliardi di euro per il solo 2019.

«Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, è fondamentale completare il quadro normativo».

Questo per Legambiente significa partire dall’approvazione dei seguenti provvedimenti legislativi: il ddl Terra Mia, che introduce nuove e più adeguate sanzioni in materia di gestione illecita dei rifiuti; i regolamenti di attuazione della legge 132/2016 sul Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente; il disegno di legge contro le agromafie, licenziato dal governo nel febbraio di quest’anno e ancora fermo alla Camera; il disegno di legge contro chi saccheggia il patrimonio culturale, archeologico e artistico del nostro paese, approvato dalla Camera nell’ottobre del 2018 e ancora fermo al Senato, l’approvazione dei delitti contro la fauna per fermare bracconieri e trafficanti di animali, promessa che si rinnova da oltre venti anni ed ancora in attesa che Governo e Parlamento legiferino.

L’esperienza empirica mostra però che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia, limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.

Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.

Basti guardare al trend degli ecoreati messo in fila proprio da Legambiente: gli illeciti ambientali documentati nel 2015 erano 27.745, poi nonostante l’approvazione in corso d’anno della legge 68 sugli ecoreati sono continuati a crescere di anno in anno fino ai 34.648 messi in fila oggi. Ma quella della legge 68 è solo una pietra di paragone tra le tante. Come documenta il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure, già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).

Nel 2019 la legge sugli ecoreati ha portato all’avvio di 3.753 procedimenti penali (quelli archiviati sono stati 623), con 10.419 persone denunciate e 3.165 ordinanze di custodia cautelare emesse, ma i problemi restano. Lapalissiano il caso dei rifiuti.

«Anche nel 2019 – snocciola Legambiente – il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale. Sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili per 27 inchieste), pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna».

Come affrontare davvero il fenomeno, dato che mentre si affastellano nuove leggi gli ecoreati veri o ancora da dimostrare continuano a crescere? Un’indicazione chiara la dà la Direzione investigativa antimafia (Dia): «La cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali». Più in particolare «la perdurante emergenza che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti vede tra le sue cause certamente l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbe consentire l’autosufficienza a livello regionale». Con la Dia che reputa «significativa, ad esempio, la mancata realizzazione di termovalorizzatori». Meno leggi ma più chiare dunque, e più impianti, potrebbe essere una via da tentare per ripulire l’economia circolare dalle mele marce e dare gambe all’imprenditoria onesta.

Più chiara invece la situazione per quanto riguarda un altro grande male del Paese. Come documenta ancora Legambiente, oltre ai reati legati al ciclo del cemento, resta diffusa la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni (ampliamenti compresi): si tratta di qualcosa come il 17,7% sul totale delle nuove costruzioni e degli ampliamenti significativi.

«La causa di questa persistenza dell’abusivismo edilizio in Italia – spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – è duplice: le mancate demolizioni da parte dei Comuni e i continui tentativi di riproporre condoni edilizi da parte di Regioni, ultima in ordine di tempo la Sicilia, leader e forze politiche. Per questo diventa indispensabile, oggi più che mai, lanciare una grande stagione di lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo in particolare un adeguato supporto alle Prefetture nelle attività di demolizione, in caso di inerzia dei Comuni, previste dalla legge 120/2020; la chiusura delle pratiche di condono ancora giacenti presso i Comuni; l’emersione degli immobili non accatastati, censiti dall’Agenzia delle entrate, per avviare la verifica della loro regolarità edilizia e sottoporre quelli abusivi all’iter di demolizione».

fonte: www.greenreport.it


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Covid-19 e ciclo dei rifiuti: crisi, ecomafie e rischio ambientale


















Covid-19 e ciclo dei rifiuti: gli impianti hanno retto, anche perché la mole di rifiuti è tornata a cifre di vent’anni fa. Ma le deroghe alla normativa applicate in emergenza, unite a una crisi che deve ancora manifestarsi in tutta la sua portata, espongono le imprese alla lunga mano delle ecomafie e l’impatto dei rifiuti speciali sull’ambiente rischia di essere pesante.

È quanto emerge dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) sul tema “Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti”.

Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa annuncia un tavolo di lavoro con Ispra, Istituto superiore di Sanità e operatori del settore rifiuti, esprime apprezzamento per l’emendamento 229-bis del decreto rilancio sui Criteri ambientali minimi di mascherine, dispositivi di protezione individuale e medici, e annuncia l’inizio dell’iter parlamentare sul prossimo decreto “Terra mia”.

“Le prime bozze del Decreto Semplificazioni in discussione sembrano apportare, al contrario, alcune complicazioni nelle materie di Valutazione impatto ambientale (VIA) e bonifiche” lancia l’allarme Alessandro Bratti, direttore generale di Ispra.
La relazione della Commissione Ecomafie su Covid-19 e ciclo dei rifiuti

La relazione – illustrata dal presidente Stefano Vignaroli, dal senatore Massimo Berutti e dall’onorevole Giovanni Vianello e approvata all’unanimità – ha avuto per oggetto il ciclo dei rifiuti nel periodo dell’emergenza. Non solo dal punto di vista dell’operatività, ma anche rispetto ai provvedimenti normativi statali e regionali messi in atto durante l’emergenza stessa. Il documento è stato presentato in conferenza stampa e analizzato in un incontro in diretta streaming con i vertici Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) disponibile su webtv.camera.it.

“Il sistema impiantistico italiano ha tenuto e non si sono registrati picchi di contagio tra gli operatori della raccolta, né interruzioni del servizio – da dichiarato il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli – In questi mesi si è assistito anche a un aumento di particolari rifiuti come guanti, mascherine, stoviglie e imballaggi monouso. Adesso che la fase più acuta dell’emergenza è alle spalle, è necessario usare in maniera più razionale questi prodotti, puntando sulla sensibilizzazione di cittadini e imprese. Nella vita quotidiana, infatti, l’uso dei guanti non garantisce maggiore sicurezza e le mascherine di comunità riutilizzabili consentono una protezione adeguata. Nei locali pubblici, le stoviglie usa e getta non garantiscono più sicurezza e sono quindi da evitare in favore di quelle riutilizzabili. Sul fronte dell’illegalità ambientale, sono preoccupato per le molte aziende in situazione di difficoltà e per questo più permeabili a interessi illeciti. Proprio per non alimentare rischi di gestioni dei rifiuti illegali o irregolari, la Commissione raccomanda fortemente di superare i numerosi provvedimenti derogatori messi in campo a livello statale e regionale: c’è già un percorso avviato in questo senso a livello parlamentare. La Commissione continuerà a monitorare le criticità del settore dei rifiuti e i rischi di illegalità e di infiltrazioni illecite in aziende in difficoltà”.

“L’emergenza Covid rappresenta una sorta di lente di ingrandimento per dinamiche e aspetti presenti strutturalmente e dei quali sarà necessario tener conto in futuro – ha osservato il senatore Massimo Berutti – Quello che è emerso dall’inchiesta in termini di livelli e modalità di intervento di Stato e Regioni e di caratteristiche e carenze dell’impiantistica e delle strategie nazionali della gestione dei rifiuti non è qualcosa di nuovo. Alla luce di questa consapevolezza, sarà necessario tra l’altro considerare l’impatto economico dell’emergenza sulle tariffe e sugli introiti delle imprese e degli enti pubblici; affrontare il tema dell’end of waste in modo rapido e sistematico e intervenire in modo strutturale su impianti e strategia nazionale”.
Meno rifiuti urbani, più rifiuti speciali

Nella fase più intensa del contenimento, è crollata la produzione dei rifiuti speciali di origine industriale e sono aumentati rifiuti domestici e organico. Una variazione causata soprattutto dalla chiusura di commercio, turismo e terziario, che – in linea con le previsione sul crollo del Pil – potrebbe portare la quantità totale a fine pandemia ai livelli di venti anni fa e cioè a 28,7 milioni di tonnellate.

Al tempo stesso sono praticamente raddoppiati i rifiuti sanitari, anche se ancora non è possibile fare una valutazione corretta, i dati mostrano una capacità degli impianti pari a 340mila tonnellate, a fronte delle 144mila trattate nel 2018.

L’auspicio è che tali rifiuti si riducano prima di diventare un’emergenza, anche perché, suggerisce la Commissione, nella vita quotidiana “l’uso dei guanti non garantisce maggiore sicurezza e le mascherine riutilizzabili consentono una protezione adeguata. Nei locali pubblici le stoviglie usa e getta non garantiscono più sicurezza e sono, quindi, da evitare in favore di quelle riutilizzabili”.
Normativa e illegalità

La relazione ha analizzato il contesto normativo di gestione dell’emergenza, i suoi effetti immediati e conseguenze future. A livello statale sono state messe in atto norme derogatorie di portata generale, in particolare sul regime dei rifiuti sanitari. Ma gli interventi effettivi sul ciclo dei rifiuti sono, in buona parte, derivati da ordinanze delle singole Regioni, a loro volta in deroga rispetto alle regole generali, sulla base di una circolare del ministero dell’Ambiente che ha suggerito alle Regioni stesse l’uso di tali strumenti di deroga. “Il risultato – spiega la relazione – è una normativa non più uniforme su tutto il territorio nazionale che ha suscitato perplessità sin dalla fase iniziale e qualche incertezza negli operatori”.

Come approfondito da Il Fatto Quotidiano, Vignaroli non nasconde la sua preoccupazione, sul fronte dell’illegalità ambientale “per le molte aziende in situazione di difficoltà e per questo più permeabili a interessi illeciti”. Proprio per non alimentare rischi di gestioni dei rifiuti illegali o irregolari, la Commissione raccomanda fortemente di superare i provvedimenti derogatori messi in campo a livello statale e regionale.
L’impatto sull’ambiente

Infine sono state prese in esame questioni correlate ma altrettanto fondamentali: l’impatto ambientale di forme di sanificazione diffusa, il trattamento delle acque reflue e le correlazioni con l’epidemia COVID-19, il possibile rapporto tra inquinamento atmosferico e contagio.

In tal senso la relazione si conclude con una serie di raccomandazioni alle istituzioni per una ripresa rispettosa degli obiettivi di economia circolare e recupero della materia, di efficientamento del sistema dei controlli ambientali e di contrasto all’illegalità.
Tavolo di lavoro, Cam mascherine e decreto Terra mia

Oltre che ai presidenti dei due rami del Parlamento, e, come da prassi, a tutti gli interlocutori dell’inchiesta, la Commissione ha inviato la relazione anche ai presidenti delle Regioni, per il ruolo che le Regioni hanno avuto nell’emergenza e che dovrà essere costruito per il futuro.

“Questo è il momento di strutturare il ciclo dei rifiuti per fare in modo che una situazione emergenziale non rimanga tale anche in futuro – ha annunciato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa in una nota di commento alla presentazione della relazione della Commissione – Per questo abbiamo aperto presso il ministero un tavolo sull’analisi del flusso dei rifiuti con Ispra, Iss e operatori del settore per comprendere come il sistema abbia tenuto prima durante la fase emergenziale e come si sta orientando adesso”.

Il ministro ha poi dichiarato di aver apprezzato molto l’emendamento 229-bis del decreto rilancio che spinge anche il Ministero ad andare verso i Cam (Criteri ambientali minimi) delle mascherine e dei dispositivi di protezione individuale e dei dispositivi medici.

“Il decreto Terra Mia – ha concluso il ministro – che è praticamente pronto ed è in diramazione ai ministeri competenti, secondo me è un luogo dove aprire un dibattito parlamentare e raccogliere la massima disponibilità di tutti i gruppi parlamentari indipendentemente dalle appartenenze politiche”.

Un richiesta di attenzione particolare al Decreto Semplificazioni in corso di discussione arriva infine da Alessandro Bratti, direttore generale di Ispra: “In materia di Valutazione impatto ambientale (VIA) e bonifiche, eccessive semplificazioni rischiano di portare enti come il nostro a giocare troppi ruoli nel processo, quando invece va mantenuta salva l’integrità di alcuni passaggi tecnici indispensabili al corretto funzionamento di processi complessi”.

fonte: http://www.recoverweb.it


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Mafia & rifiuti

Il focus della relazione semestrale gennaio-giugno 2019 della Direzione Investigativa Antimafia nazionale

























E’ stata da poco pubblicata la consueta relazione semestrale relativa alla prima parte del 2019, della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) nazionale.
Nell’articolato documento prodotto dalla DIA è contenuto un interessantissimo focus sul tema “mafia e rifiuti”. Nel focus si evidenzia come già da alcuni decenni le organizzazioni criminali hanno compreso la reale portata del business derivante dalla loro infiltrazione nel ciclo dei rifiuti a fronte di un ampio margine di impunità rispetto ad altri settori criminali.
Questa consapevolezza è sinteticamente espressa nella frase “Trasi munnizza e n’iesci oro” tratta da una intercettazione telefonica di tre decenni fa. Il senso di quella frase – declinata, nel tempo, non solo in siciliano e in altri dialetti, dal nord al sud del Paese, ma anche in perfetto italiano e in diverse lingue straniere – viene ancora oggi rinvenuto, nelle attività tecniche quotidianamente svolte in tema di criminalità ambientale.

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estratto del focus “Mafia & rifiuti” dalla Relazione della DIA
Il Focus si pone l’obiettivo di analizzare l’intera filiera di gestione dei rifiuti, mettendola in relazione (grazie a dati di fatto emersi in indagini ed operazioni di servizio) con l’infiltrazione della criminalità organizzata, per cercare di individuare gli snodi più a rischio, affinché le Autorità preposte possano eventualmente intervenire sul ciclo dei rifiuti. Il rapporto sottolinea come oggi si registra, nel profilo criminale, un modus operandi quasi sempre sovrapponibile, indipendentemente dal contesto territoriale in cui si opera, caratterizzato da una tale specializzazione da consentire, in caso di necessità, l’immediata rimodulazione delle condotte e delle rotte dei rifiuti.
La lunghissima filiera dei rifiuti (produzione – assegnazione dei servizi – raccolta – trasporto – trattamento – smaltimento) vede la contestuale presenza di diversi “attori” – gli enti pubblici che assegnano i servizi di raccolta, i produttori dei rifiuti, gli intermediari, i trasportatori, gli impianti di stoccaggio e di trattamento dei rifiuti, i laboratori di analisi e gli smaltitori.
Un ruolo fondamentale viene svolto dalla figura del produttore del rifiuto, cioè l’imprenditore che ha la necessità di disfarsi dei quantitativi prodotti dalla propria azienda. Non di rado la scelta d’impresa, tesa ad economizzare sui costi e ad imporsi sul mercato, coincide con la volontà di liberarsi illegalmente dei rifiuti per abbattere i costi di produzione e acquisire, così, una posizione di vantaggio rispetto ad altre aziende che, con trasparenza ed onestà, affrontano tutti gli oneri previsti dalle disposizioni di legge. Ma tutti gli altri attori coinvolti nel ciclo dei rifiuti presentano criticità analizzate in dettaglio dal rapporto.
Il focus approfondisce nella prima parte gli aspetti criminogeni della complessa filiera dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi – compresi i recenti casi che hanno visto, a macchia di leopardo sul territorio nazionale, numerosi incendi presso aree periferiche e capannoni – tenendo presenti le criticità registrate, negli ultimi decenni, in primo luogo in Campania, punto nodale delle problematiche connesse ai reati ambientali.
Successivamente l’analisi si estende alle altre regioni, a cominciare da quelle a tradizionale presenza mafiosa, basandosi sulle inchieste concluse, nel tempo, dalla DIA e dalle Forze di polizia, sui provvedimenti di scioglimento degli enti locali e sulle interdittive antimafia, che danno conto della complessa azione di contrasto, nel
profilo preventivo e repressivo, sviluppata in tale settore negli ultimi anni.
Già nel dicembre 1994, Legambiente e l’Arma dei carabinieri, con l’Istituto di ricerca “Eurispes”, presentarono il primo Rapporto sulla criminalità ambientale in Italia. In quell’occasione, venne coniato il termine “ecomafia” che entrò cinque anni più tardi nei dizionari della lingua italiana.
La DIA osserva che “il crimine ambientale è un fenomeno in preoccupante estensione proprio perché coinvolge, trasversalmente, interessi diversificati. Il prodotto di tali comportamenti illeciti interferisce sull’ambiente e sull’integrità fisica e psichica delle persone, ledendone la qualità della vita, con conseguenti rilevanti costi sociali.”
Già da quella ricerca emergeva uno scenario preoccupante sull’illegalità ambientale nel nostro Paese e sul ruolo che giocava in questo settore la criminalità organizzata
di tipo mafioso, soprattutto nel meridione d’Italia. Era un quadro che raccontava di rifiuti speciali pericolosi che, dal nord, finivano smaltiti illegalmente nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), in quei territori cioè dove maggiore era il controllo da parte delle organizzazioni criminali.
fonte: https://www.snpambiente.it

Dal sole alle rottamazioni: ecocriminali senza confini

COLLETTI BIANCHI - ORMAI LA DELINQUENZA ECONOMICA SI AFFIDA A GRANDI GRUPPI IMPRENDITORIALI E FIGURE DI ELEVATA PROFESSIONALITÀ





Il mondo del crimine ambientale si rinnova e amplia il tradizionale campo d’azione, specie nel settore dei rifiuti. Non solo la criminalità organizzata, che accaparra con corruzione e intimidazione lucrosi appalti per la raccolta di rifiuti solidi urbani, specula sullo smaltimento illecito di rifiuti, sull’abusivismo edilizio e sull’esportazione illegale di rifiuti; ma soprattutto la nuova criminalità economica che “fa capo a gruppi imprenditoriali di spessore, con interessi commerciali diversificati, i quali si avvalgono della competenza e delle prestazioni di figure di elevata professionalità, evitando contatti diretti con criminalità organizzata ed esponenti mafiosi”.

L’hanno detto, il 6 marzo, alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati, due persone che di queste cose se ne intendono: il generale Angelo Agovino, comandante dei Carabinieri Unità forestali, ambientali e agroalimentari, e il generale Maurizio Ferla, comandante dei Carabinieri per la tutela ambientale (Noe).

Non solo “ecomafia”, dunque, ma colletti bianchi, anche se spesso tutto finisce nel fumo degli incendi “liberatori” di rifiuti. E così diminuiscono i “roghi tossici” ma aumentano gli incendi di rifiuti regolarmente stoccati. Per dirla con il generale Agovino, “le criminali imprese di settore per il perseguimento dell’illecito profitto acquisiscono ingenti quantitativi di rifiuti anche a prezzi fuori mercato, omettono di sottoporli ai necessari trattamenti e li avviano a smaltimento e/o a riciclo, assegnando codici fasulli attraverso la tecnica del giro bolla o altre questioni che noi conosciamo. L’illecita esasperazione di simili condotte comporta alla fine l’eliminazione con il fuoco dei materiali giacenti”.

E ormai l’illegalità investe sempre più spesso anche la filiera dei rifiuti urbani il cui flusso cresce specie nel Nord. Con il coinvolgimento diretto di imprenditori titolari di impianti autorizzati, utilizzati come specchietto per le allodole, al fine di acquisire commercialmente le commesse sui rifiuti, per poi smaltirli abusivamente tal quali in capannoni dismessi, dislocati soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto, “di fatto delle discariche abusive che diventano poi bombe ecologiche” dove, spesso, il ciclo si chiude con il fuoco che cancella tutto. Perciò, s’assiste ormai a una ricerca “spasmodica” di capannoni in disuso.

Questo, a volte, con l’aiuto involontario di qualche legge, come lo Sblocca Italia: se prima i rifiuti solidi urbani potevano esser trattati solo all’interno del bacino di produzione, ora il decreto “ha aperto tali confini per supportare i bacini in situazioni d’emergenza nelle aree del Centro e del Sud e ha consentito l’esportazione in altre regioni, dove vengono stoccati in hangar dispersi sul territorio in quantità e modalità che non rispettano le norme”. Invertendo così il flusso dei rifiuti che prima andava dal Nord al Sud.

E l’illegalità aumenta, giungendo a lambire il settore delle energie alternative: il fotovoltaico, soprattutto, dove spesso gli ecocriminali, quando un pannello giunge a fine vita, “fanno una dichiarazione fasulla di sottoperformanza e quindi non è più un rifiuto, ma è un pannello che si può vendere come usato in altre parti del mondo, per cui si sono aperte rotte commerciali verso Paesi del terzo mondo”.

Anche nel settore della rottamazione auto dove, alle illegalità esistenti, s’è aggiunto il “canale di demolizione illegale” per la “cannibalizzazione” di veicoli a fine vita, quando parti di veicoli illegalmente demoliti vengono dichiarate materiale usato, nascoste in container sotto pezzi di ricambio veri e mandate in Paesi terzi insieme a “rifiuti elettronici, batterie, oli usati, etc”.

Così vengono al pettine anche le carenze della nostra legge sugli ecoreati quando punisce l’inquinamento e il disastro ambientale solo se vengono provocati “abusivamente”. Delitti che, come dice il generale Ferla, “restano lettera morta o quasi, perché formulati con un preliminare ‘abusivamente’ che sta bloccando molte Procure, autorità e polizia giudiziarie…”.

Gianfranco Amendola

magistrato, esponente dei Verdi

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Bioshopper, le difficoltà di un mercato tra criminalità e gap normativi

Italia in ritardo sulla definizione delle caratteristiche di biodegradabilità dei sacchetti. E il compostaggio continua a non essere classificato come riciclo

















L’Italia era partita bene: è stata la prima in Europa a mettere al bando le tradizionali buste di plastica normando il passaggio ai nuovi bioshopper. Oggi, però, sembra essersi persa per strada. Nel giro di pochissimo tempo il mercato ci è sfuggito di mano, tra ritardi legislativi e contraffazioni. Circa la metà dei sacchetti in circolazione risulta essere illegale: shopper taroccati che di “bio” non hanno assolutamente nulla, ma che ingrassano le casse della criminalità organizzata.


Di queste criticità si è discusso ieri al Parlamento, dove la Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha audito due delle associazioni italiane rappresentati il settore della plastica. “L’Italia – commenta la senatrice Laura Puppato capogruppo del Pd nella Commissione Ecomafie – è stato il primo Paese europeo ad aver messo al bando le buste di plastica per gli acquisti, causa di gravi danni alla flora e alla fauna di fiumi, laghi e mari, ma rischia di mettere in discussione questo primato virtuoso per il ritardo accumulato sulla normativa in materia di bioshopper”.

Bioshopper, le difficoltà del settore

Cosa manca? La ratifica della direttiva UE 720 del 2015 e in particolare l’articolo 16 relativo alla norma EN13432 sui requisiti che devono possedere i sacchetti sostitutivi per essere davvero biodegradibili, per compostaggio o biodegradazione. “Nelle more di questa lacuna legislativa, il settore dei bioshopper, che potenzialmente in Italia potrebbe valere 1 miliardo di euro, è oggi lasciato in gran parte alle industrie più spregiudicate, che rilasciano a prezzi inferiori prodotti non marchiati oppure veri e propri falsi, e alla criminalità organizzata”, spiega la senatrice.

Se compostaggio non fa rima con riciclo

A questa preoccupazione se ne aggiunge un’altra: dal momento che in Italia il compostaggio non viene considerato a tutti gli effetti come una pratica di riciclo, a partire da prossimo anno i bioshopper potrebbero esser classificati come “non riciclabili” dal settore. In realtà la confusione riguarderebbe tutte le plastiche bio, penalizzando di fatto i produttori con il pagamento dell’eco-contributo più alto. “Secondo le nuove tabelle, come abbiamo appreso in Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti audendo Assoplastica, le plastiche compostabili sono inserite nella fascia tariffaria più alta”, denuncia la senatrice M5S Paola Nugnes. “Un danno economico e all’ambiente poiché secondo queste nuove tabelle, che partiranno in via sperimentale il primo luglio e definitivamente dal primo gennaio 2018, il compostaggio non viene valutato come riciclo[…] Si passerà dagli attuali 188 euro a tonnellata di contributo a un aggravio di circa 200 euro”.

fonte: www.rinnovabili.it

In Italia tre reati ambientali ogni ora


27.745 è il numero simbolo del rapporto Ecomafia 2016, da tenere a mente, la sintesi estrema del numero di reati ambientali accertati da tutte le forze dell’ordine nell’anno 2015. Un numero che assomiglia molto a quello dell’anno prima, con quei 76 reati al giorno, più di 3 ogni ora. Sono invece gli arresti, 188, in netta crescita (+18% rispetto all’anno prima), a segnare un cambio di passo qualitativo dell’azione repressiva, anche grazie ai nuovi delitti messi in campo dalla legge 68/2015, sempre più capace di incidere con il bisturi dove il cancro ecocriminale si staglia con prepotenza. Completano il quadro generale le 24.623 persone denunciate e i 7.055 sequestri. Da sottolineare soprattutto la crescita dell’incidenza dei reati nelle regioni a tradizionale insediamento mafioso, dove si è registrato più del 48% delle infrazioni: percentuale che conferma il controllo del territorio delle famiglie mafiose sulle risorse ambientali.
 
La regione con il maggior numero di illeciti ambientali è, ancora una volta, la Campania con 4.277 reati, più del 15% sul dato complessivo nazionale, seguita da Sicilia (4.001), Calabria (2.673), Puglia (2.437) e Lazio (2.431). Anche su base provinciale la Campania detiene un primato tutt’altro che lusinghiero, potendo annoverare le province di Napoli e Salerno tra le due più colpite, rispettivamente con 1.579 e 1.303 reati, seguite da Roma (1.161), Catania (1.027) e Sassari (861). Il business stimato nel 2015 è di 19,1 miliardi, in leggera flessione rispetto all’anno precedente, quando aveva sfiorato i 22 miliardi. Un calo dovuto principalmente alla netta contrazione degli investimenti a rischio nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, che hanno visto nell’ultimo anno prosciugare la spesa per opere pubbliche e per la gestione dei rifiuti urbani sotto la soglia dei 7 miliardi (l’anno prima era stata di 13 miliardi).
 
Monitorando i singoli settori, se nel ciclo illegale del cemento e in quello dei rifiuti si registra la contrazione del numero di illeciti, rispettivamente del 16,7% e del 29,4%, crescono invece in maniera esponenziale i reati contro gli animali, +6%, e soprattutto gli incendi, addirittura con un’impennata che sfiora il 49%. Rispetto a quest’ultimo dato colpiscono soprattutto gli ettari di superficie andati in fumo, più di 37.000, e la loro collocazione geografica: più del 56% si è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso, a riprova che le decisioni sulla vita e sulla morte delle nostre montagne in questi territori troppe volte dipendono dalla presenza delle famiglie di mafia.
 
Inseguendo la cronaca e l’analisi investigativa, quest’anno il rapporto ha affondato la lama sul ruolo delle mafie nel controllo dei boschi, delle aree agricole e delle zone interne, andando alla radice della forza mafiosa, che è forza devastante per gli ecosistemi e potente idrovora dei finanziamenti pubblici pensati ed elargiti a sostegno di agricoltori e contadini. Vecchio e nuovo qui si mischiano e si confondono. Solo all’interno del Parco dei Nebrodi (tra le province di Enna, Catania e Messina) negli ultimi anni sarebbero finiti in mano delle famiglie mafiose qualcosa come 5 miliardi di euro. Soldi acchiappati senza una goccia di sudore. L’Ue paga a particelle, loro esibiscono i documenti messi a posto e intascano i soldi. Qualcuno se ne vanta anche al telefono, senza sospettare minimamente di essere intercettato dagli inquirenti: “Compare, non vale la pena ormai fare le estorsioni ai commercianti, con i contributi dell’Unione Europea si campa alla grande senza rischi”. Per tentare di rompere questo meccanismo micidiale il Presidente del Parco dei Nebordi Giuseppe Antoci, insieme al sindaco di Troina, ha messo in discussione il vecchio sistema di assegnazione dirette delle terre demaniali: puntuali sono arrivate le pallottole all’indirizzo di Antoci, vivo per miracolo, grazie agli uomini della polizia giunti in tempo per mettere in fuga gli assassini. Portare la legalità nel regno dei Barcellonesi , dei Batanesi , dei Mazzarroti , dei Tortoriciani è un affronto da lavare col sangue, dicono quelle pallottole sparate per uccidere.
 
Così mentre le mafie urbane catturavano negli anni recenti l’attenzione degli inquirenti e dell’opinione pubblica, quelle rurali dettavano indisturbate la loro legge sulle terre demaniale, usate solo per intercettare i soldi europei della Pac (Politica agricola comune), si davano ai pascoli abusivi, agli incendi a fini speculativi, all’abigeato e ai furti di attrezzature, alla ricettazione, al racket dei prodotti agricoli e al controllo delle tratte dove fa transitare e commercializzare i prodotti. Con sempre più ricorrenti casi di terre private rubate, prese con la forza, come a Carlentini, in provincia di Siracusa, dove i legittimi proprietari si sono visti letteralmente scippare le terre. Forme di enclosures in stile mafioso, con lo stesso obiettivo della borghesia inglese del XVII secolo: creare monopoli e rendite di posizione sulla carne del resto della popolazione. Per questo il riscatto di queste terre passa soprattutto dalla lotta a questa ecomafia antica (che sa essere moderna quando serve) e fortemente radicata nei propri territori, che è la peggiore iattura del Sud, la sua stessa negazione. 

Andrea Bertaglio

fonte: http://www.lastampa.it