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Crimini ambientali: così il riciclaggio di denaro distrugge ambiente e comunità
La prevenzione nel diritto per l’ambiente
L’evoluzione della normativa ambientale è un approfondimento nel numero 5/2020 della rivista Ecoscienza.
La rivista Ecoscienza, edita da Arpae, per i suoi 10 anni, propone un approfondimento sulla normativa ambientale. Il diritto dell’ambiente è uno strumento fondamentale per la tutela ambientale. Deve tenere conto sia della regolazione che del controllo, con un orientamento che privilegi gli strumenti di prevenzione per evitare che gli illeciti vengano commessi.
Un focus particolare sulle numerose modifiche al testo unico dell’ambiente, Dlgs n. 152/2006 e la legge sugli ecoreati.
Leggi gli articoli
La prevenzione al centro del diritto per l’ambiente
Giuseppe Battarino, magistrato collaboratore della Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo illecito dei rifiuti e illeciti ambientali
La problematica evoluzione della normativa ambientale
Gianfranco Amendola, ex magistrato, docente di diritto penale ambientale, Università La Sapienza, Roma
Vai a Ecoscienza 5/2020
Vai a Ecoscienza homepage
fonte: https://www.snpambiente.it
La rivista Ecoscienza, edita da Arpae, per i suoi 10 anni, propone un approfondimento sulla normativa ambientale. Il diritto dell’ambiente è uno strumento fondamentale per la tutela ambientale. Deve tenere conto sia della regolazione che del controllo, con un orientamento che privilegi gli strumenti di prevenzione per evitare che gli illeciti vengano commessi.
Un focus particolare sulle numerose modifiche al testo unico dell’ambiente, Dlgs n. 152/2006 e la legge sugli ecoreati.
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La prevenzione al centro del diritto per l’ambiente
Giuseppe Battarino, magistrato collaboratore della Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo illecito dei rifiuti e illeciti ambientali
La problematica evoluzione della normativa ambientale
Gianfranco Amendola, ex magistrato, docente di diritto penale ambientale, Università La Sapienza, Roma
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La bulimia normativa non frena l’ecomafia. Legambiente: +23,1% reati nell’ultimo anno
Sempre più urgente un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre che delle pene
Dopo un piccolo e inconsueto calo registrato nel 2018, continua la corsa dei reati contro l’ambiente censiti nel rapporto legambientino Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia (in libreria con Edizioni Ambiente). Nel 2019 sono 34.648 quelli messi in evidenza dall’associazione ambientalista, con un incremento del +23.1% rispetto all’anno precedente.
In particolare preoccupa il boom degli illeciti nel ciclo del cemento, al primo posto della graduatoria per tipologia di attività ecocriminali, con ben 11.484 (+74,6% rispetto al 2018), che superano nel 2019 quelli contestati nel ciclo di rifiuti che ammontano a 9.527 (+10,9% rispetto al 2018). Da segnalare anche l’impennata dei reati contro la fauna, 8.088, (+10,9% rispetto al 2018) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018). La Campania è, come sempre, in testa alle classifiche, seguita nel 2019 da Puglia, Sicilia e Calabria, anche se la Lombardia da sola – con 88 ordinanze di custodia cautelare – colleziona più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme, che si fermano a 86. Da capogiro il business potenziale complessivo dell’ecomafia, stimato da Legambiente in 19,9 miliardi di euro per il solo 2019.
«Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, è fondamentale completare il quadro normativo».
Questo per Legambiente significa partire dall’approvazione dei seguenti provvedimenti legislativi: il ddl Terra Mia, che introduce nuove e più adeguate sanzioni in materia di gestione illecita dei rifiuti; i regolamenti di attuazione della legge 132/2016 sul Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente; il disegno di legge contro le agromafie, licenziato dal governo nel febbraio di quest’anno e ancora fermo alla Camera; il disegno di legge contro chi saccheggia il patrimonio culturale, archeologico e artistico del nostro paese, approvato dalla Camera nell’ottobre del 2018 e ancora fermo al Senato, l’approvazione dei delitti contro la fauna per fermare bracconieri e trafficanti di animali, promessa che si rinnova da oltre venti anni ed ancora in attesa che Governo e Parlamento legiferino.
L’esperienza empirica mostra però che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia, limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.
Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.
Basti guardare al trend degli ecoreati messo in fila proprio da Legambiente: gli illeciti ambientali documentati nel 2015 erano 27.745, poi nonostante l’approvazione in corso d’anno della legge 68 sugli ecoreati sono continuati a crescere di anno in anno fino ai 34.648 messi in fila oggi. Ma quella della legge 68 è solo una pietra di paragone tra le tante. Come documenta il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure, già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).
Nel 2019 la legge sugli ecoreati ha portato all’avvio di 3.753 procedimenti penali (quelli archiviati sono stati 623), con 10.419 persone denunciate e 3.165 ordinanze di custodia cautelare emesse, ma i problemi restano. Lapalissiano il caso dei rifiuti.
«Anche nel 2019 – snocciola Legambiente – il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale. Sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili per 27 inchieste), pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna».
Come affrontare davvero il fenomeno, dato che mentre si affastellano nuove leggi gli ecoreati veri o ancora da dimostrare continuano a crescere? Un’indicazione chiara la dà la Direzione investigativa antimafia (Dia): «La cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali». Più in particolare «la perdurante emergenza che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti vede tra le sue cause certamente l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbe consentire l’autosufficienza a livello regionale». Con la Dia che reputa «significativa, ad esempio, la mancata realizzazione di termovalorizzatori». Meno leggi ma più chiare dunque, e più impianti, potrebbe essere una via da tentare per ripulire l’economia circolare dalle mele marce e dare gambe all’imprenditoria onesta.
Più chiara invece la situazione per quanto riguarda un altro grande male del Paese. Come documenta ancora Legambiente, oltre ai reati legati al ciclo del cemento, resta diffusa la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni (ampliamenti compresi): si tratta di qualcosa come il 17,7% sul totale delle nuove costruzioni e degli ampliamenti significativi.
«La causa di questa persistenza dell’abusivismo edilizio in Italia – spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – è duplice: le mancate demolizioni da parte dei Comuni e i continui tentativi di riproporre condoni edilizi da parte di Regioni, ultima in ordine di tempo la Sicilia, leader e forze politiche. Per questo diventa indispensabile, oggi più che mai, lanciare una grande stagione di lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo in particolare un adeguato supporto alle Prefetture nelle attività di demolizione, in caso di inerzia dei Comuni, previste dalla legge 120/2020; la chiusura delle pratiche di condono ancora giacenti presso i Comuni; l’emersione degli immobili non accatastati, censiti dall’Agenzia delle entrate, per avviare la verifica della loro regolarità edilizia e sottoporre quelli abusivi all’iter di demolizione».
Dopo un piccolo e inconsueto calo registrato nel 2018, continua la corsa dei reati contro l’ambiente censiti nel rapporto legambientino Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia (in libreria con Edizioni Ambiente). Nel 2019 sono 34.648 quelli messi in evidenza dall’associazione ambientalista, con un incremento del +23.1% rispetto all’anno precedente.
In particolare preoccupa il boom degli illeciti nel ciclo del cemento, al primo posto della graduatoria per tipologia di attività ecocriminali, con ben 11.484 (+74,6% rispetto al 2018), che superano nel 2019 quelli contestati nel ciclo di rifiuti che ammontano a 9.527 (+10,9% rispetto al 2018). Da segnalare anche l’impennata dei reati contro la fauna, 8.088, (+10,9% rispetto al 2018) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018). La Campania è, come sempre, in testa alle classifiche, seguita nel 2019 da Puglia, Sicilia e Calabria, anche se la Lombardia da sola – con 88 ordinanze di custodia cautelare – colleziona più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme, che si fermano a 86. Da capogiro il business potenziale complessivo dell’ecomafia, stimato da Legambiente in 19,9 miliardi di euro per il solo 2019.
«Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, è fondamentale completare il quadro normativo».
Questo per Legambiente significa partire dall’approvazione dei seguenti provvedimenti legislativi: il ddl Terra Mia, che introduce nuove e più adeguate sanzioni in materia di gestione illecita dei rifiuti; i regolamenti di attuazione della legge 132/2016 sul Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente; il disegno di legge contro le agromafie, licenziato dal governo nel febbraio di quest’anno e ancora fermo alla Camera; il disegno di legge contro chi saccheggia il patrimonio culturale, archeologico e artistico del nostro paese, approvato dalla Camera nell’ottobre del 2018 e ancora fermo al Senato, l’approvazione dei delitti contro la fauna per fermare bracconieri e trafficanti di animali, promessa che si rinnova da oltre venti anni ed ancora in attesa che Governo e Parlamento legiferino.
L’esperienza empirica mostra però che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia, limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.
Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.
Basti guardare al trend degli ecoreati messo in fila proprio da Legambiente: gli illeciti ambientali documentati nel 2015 erano 27.745, poi nonostante l’approvazione in corso d’anno della legge 68 sugli ecoreati sono continuati a crescere di anno in anno fino ai 34.648 messi in fila oggi. Ma quella della legge 68 è solo una pietra di paragone tra le tante. Come documenta il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure, già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).
Nel 2019 la legge sugli ecoreati ha portato all’avvio di 3.753 procedimenti penali (quelli archiviati sono stati 623), con 10.419 persone denunciate e 3.165 ordinanze di custodia cautelare emesse, ma i problemi restano. Lapalissiano il caso dei rifiuti.
«Anche nel 2019 – snocciola Legambiente – il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale. Sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili per 27 inchieste), pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna».
Come affrontare davvero il fenomeno, dato che mentre si affastellano nuove leggi gli ecoreati veri o ancora da dimostrare continuano a crescere? Un’indicazione chiara la dà la Direzione investigativa antimafia (Dia): «La cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali». Più in particolare «la perdurante emergenza che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti vede tra le sue cause certamente l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbe consentire l’autosufficienza a livello regionale». Con la Dia che reputa «significativa, ad esempio, la mancata realizzazione di termovalorizzatori». Meno leggi ma più chiare dunque, e più impianti, potrebbe essere una via da tentare per ripulire l’economia circolare dalle mele marce e dare gambe all’imprenditoria onesta.
Più chiara invece la situazione per quanto riguarda un altro grande male del Paese. Come documenta ancora Legambiente, oltre ai reati legati al ciclo del cemento, resta diffusa la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni (ampliamenti compresi): si tratta di qualcosa come il 17,7% sul totale delle nuove costruzioni e degli ampliamenti significativi.
«La causa di questa persistenza dell’abusivismo edilizio in Italia – spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – è duplice: le mancate demolizioni da parte dei Comuni e i continui tentativi di riproporre condoni edilizi da parte di Regioni, ultima in ordine di tempo la Sicilia, leader e forze politiche. Per questo diventa indispensabile, oggi più che mai, lanciare una grande stagione di lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo in particolare un adeguato supporto alle Prefetture nelle attività di demolizione, in caso di inerzia dei Comuni, previste dalla legge 120/2020; la chiusura delle pratiche di condono ancora giacenti presso i Comuni; l’emersione degli immobili non accatastati, censiti dall’Agenzia delle entrate, per avviare la verifica della loro regolarità edilizia e sottoporre quelli abusivi all’iter di demolizione».
fonte: www.greenreport.it
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Rapporto Interpol segnala un forte aumento dei crimini sui rifiuti di plastica
Un nuovo rapporto Interpol sulla gestione globale dei rifiuti di plastica ha rilevato un aumento allarmante del commercio illegale e di inquinamento da plastica in tutto il mondo dal 2018


Il rapporto, intitolato Analisi strategica dell’INTERPOL sulle tendenze criminali emergenti nel mercato globale dei rifiuti di plastica dal gennaio 2018, indica che c’è stato un aumento considerevole negli ultimi due anni nelle spedizioni illegali di rifiuti, principalmente dirottate verso il Sud-est asiatico attraverso più paesi di transito per camuffare l’origine della spedizione dei rifiuti.
Altri risultati chiave includono un aumento degli incendi di rifiuti illegali e delle discariche in Europa e in Asia, un aumento significativo dell’uso di documenti contraffatti e registrazioni fraudolente di rifiuti, con studi di casi di ciascuno dei paesi contributori che illustrano l’entità e la complessità del problema.

Basato su fonti aperte e di intelligence criminale di 40 paesi, il rapporto fornisce un quadro globale completo delle rotte emergenti del traffico e delle minacce di criminalità nel mercato dei rifiuti di plastica e raccomanda risposte mirate per l’applicazione delle norme.
Il rapporto sottolinea il legame tra le reti criminali e le attività legittime di gestione dell’inquinamento che vengono utilizzate come copertura per operazioni illegali, con i criminali che spesso ricorrono alla criminalità finanziaria e alla falsificazione di documenti per svolgere le loro operazioni globali.
Uno dei casi di studio del rapporto descrive come il sindaco di una piccola città francese è stato assassinato per aver tentato di impedire lo scarico illegale di rifiuti nella sua zona, mostrando la posta in gioco e indicando il tipo di violenza solitamente associato alla criminalità organizzata.

Le difficoltà nel trattamento e nel monitoraggio del surplus di rifiuti di plastica hanno aperto le porte alla criminalità nel settore dei rifiuti di plastica, sia nel commercio illegale che nel trattamento illegale dei rifiuti.
Lo scorso maggio, le autorità malesi hanno avviato il processo di restituzione di quasi 4.000 tonnellate di rifiuti di plastica in 13 paesi, segno della determinazione del paese ad affrontare il commercio illegale di rifiuti di plastica.
Questo caso di studio evidenzia un’ondata di rifiuti di plastica inviati in Malesia, principalmente dall’Europa e dal Nord America, dal 2018, quando la Cina ha chiuso i battenti al riciclaggio delle importazioni nel tentativo di proteggere il proprio ambiente dall’inquinamento da plastica.
“Il governo cinese è impegnato nella lotta alla criminalità relativa ai rifiuti di plastica. Negli ultimi anni abbiamo modificato la legislazione per affrontarla, stabilendo procedure amministrative più rigorose e lanciando campagne nazionali per affrontarla, in particolare per quanto riguarda il contrabbando transfrontaliero”, ha affermato Daqi Duan, Capo dell’ufficio centrale nazionale (BCN) dell’INTERPOL e vicedirettore generale del dipartimento per la cooperazione internazionale (ministero della pubblica sicurezza).
“Chiediamo alla comunità globale di lavorare insieme oltre i confini e di sfruttare al meglio le piattaforme internazionali come INTERPOL nell’affrontare le nostre responsabilità collettive e raggiungere il nostro obiettivo comune di lasciare un pianeta pulito e bello alle spalle per le generazioni future”, ha aggiunto il capo della BCN Pechino.
Una cattiva gestione dei rifiuti di plastica danneggia l’ambiente, lasciando depositi di plastica e microplastiche sulla terra, nei fiumi e negli oceani di tutto il mondo. La plastica contribuisce anche al cambiamento climatico attraverso le emissioni di gas serra dalla produzione alla gestione dei rifiuti.
“L’inquinamento globale da plastica è una delle minacce ambientali più pervasive per il pianeta oggi e la sua corretta regolamentazione e gestione è di fondamentale importanza per la sicurezza ambientale globale”, ha affermato il presidente del comitato consultivo per la conformità e l’applicazione dell’ambiente di INTERPOL, Calum MacDonald, che è anche il direttore esecutivo della Scottish Environment Protection Agency (SEPA).

“Il rapporto dell’INTERPOL sottolinea l’urgente necessità di identificare e valutare in che modo i criminali stanno sfruttando le vulnerabilità del mercato nuove e preesistenti, con un invito a rafforzare l’azione delle forze dell’ordine sia a livello di esportazione che di importazione”, ha aggiunto MacDonald.
“La criminalità relativa ai rifiuti è una minaccia crescente con radici in un problema più fondamentale: l’incapacità di gestire il nostro uso e la nostra produzione di plastica. Conosciamo gli impatti dell’inquinamento da plastica sugli ecosistemimarini; i potenziali collegamenti con la salute umana e ora, le sue implicazioni penali “, ha affermato Eirik Lindebjerg, responsabile delle politiche globali sulla plastica del Fondo mondiale per la natura.
Il team di tutela dell’inquinamento globale di INTERPOL lavora con agenzie di esperti in 194 paesi per rilevare e interrompere il crimine di inquinamento e smantellare i gruppi dietro di esso. Le operazioni, la formazione e il rafforzamento delle capacità guidati da INTERPOL aiutano le forze dell’ordine a ridurre gli inquinatori criminali.
https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/09/INTERPOL-Report-_criminal-trends-plastic-waste.pdf
Per approfondimenti leggi il rapporto Emerging criminal trendsin the global plastic waste market since January 2018 fonte: https://www.snpambiente.it/
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Chi inquina ripara: Ispra fa il punto sul danno ambientale in Italia
Negli ultimi due anni, Ispra e le Agenzie ambientali hanno seguito le istruttorie di 217 casi di danno ambientale distribuiti su tutto il territorio nazionale. Un tema complesso, sul quale Ispra ha deciso di aprire un confronto con istituzioni, mondo accademico, giuristi, magistratura e associazioni, promuovendo un convegno alla Camera dei deputati il 27 novembre dal titolo “Il danno ambientale: prevenzione e riparazione in un Sistema a rete” per fare il punto sulla situazione attuale, mettere sul tavolo le questioni aperte e ipotizzare sviluppi futuri.
“Come Commissione di inchiesta sulle attività illecite dedicheremo molto spazio al tema del danno ambientale – ha affermato il neo eletto presidente della Commissione Stefano Vignaroli aprendo il convegno – in particolare vogliamo affrontare il nodo delle fideiussioni”. Per chi svolge attività che potrebbero causare un danno ambientale si pone, infatti, la questione di sottoscrivere una forma di copertura finanziaria per premunirsi in caso di oneri da versare.
E’ questa solo una delle numerose e diverse questioni aperte. Si è in attesa di due decreti attuativi che stabiliscano i criteri con cui definire procedure amministrative, copertura assicurativa del danno, nonché i criteri di accertamento e quelli di riparazione. “Aspettando le norme migliori, iniziamo a lavorare insieme con tutti gli attori coinvolti per trovare percorsi operativi il più possibile pragmatici – ha detto il Direttore generale dell’Ispra Alessandro Bratti – Con questo convegno abbiamo fotografato una situazione: Ispra e il Sistema Snpa ci sono e hanno un buon bagaglio di competenze tecnico-scientifiche. Partiamo dalla casistica esistente, capiamo se l’approccio adottato sino ad oggi sul danno può essere allargato e guardiamo all’obiettivo finale: ripristinare lo stato ambientale di un’area nel modo più vicino possibile a quello originario”.
Tornando un passo indietro, cosa si intende per danno ambientale? Le norme indicano come tale qualsiasi deterioramento, significativo e misurabile, provocato a specie e habitat protetti, a fiumi e laghi o al suolo. Per fare qualche esempio, si va dall’incidente della Costa Concordia alle discariche di Giugliano in Campania o quella di Bellolampo a Palermo, dalla Valle del Sacco nel Lazio allo sversamento di idrocarburi nel fiume Polcevera. La maggior parte delle istruttorie per danno ambientale è oggi associata a illeciti compiuti nella gestione dei rifiuti (41%), violazioni in materia di edilizia e paesaggio (19%) e scarichi fuori norma (5%). Un 8% è legato ai cosiddetti ‘ecoreati’ individuati della recente legge n. 68/2015 (disastro ambientale, inquinamento, omessa bonifica), nonché a illeciti relativi alle emissioni in atmosfera, in materia di bonifiche o di AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Gli oltre 200 casi di danno relativi a 2017-2018 vedono la Sicilia in testa tra le regioni dove risultano più istruttorie aperte (38), seguita da Campania e Puglia (25), Toscana (18).
Non tutte le segnalazioni di danno finiscono nei tribunali: dei 217 casi seguiti da Ispra, 184 si inseriscono in procedimenti giudiziari per reati ambientali ovvero casi di illeciti che finiscono davanti ai tribunali e per i quali il Ministero può richiedere la riparazione del danno; gli altri 33 sono, invece, casi extra-giudiziali che si avviano quando enti pubblici, cittadini, comitati o associazioni ambientaliste richiedono, attraverso le prefetture, l’intervento del Ministero denunciando potenziali danni all’ambiente.
Non tutte le segnalazioni di danno finiscono nei tribunali: dei 217 casi seguiti da Ispra, 184 si inseriscono in procedimenti giudiziari per reati ambientali ovvero casi di illeciti che finiscono davanti ai tribunali e per i quali il Ministero può richiedere la riparazione del danno; gli altri 33 sono, invece, casi extra-giudiziali che si avviano quando enti pubblici, cittadini, comitati o associazioni ambientaliste richiedono, attraverso le prefetture, l’intervento del Ministero denunciando potenziali danni all’ambiente.
All’interno dell’iter che verifica quanto danneggiato in un’area, il ruolo di Ispra è quello di seguire, per conto del Ministero dell’ambiente, l’istruttoria dei casi di potenziale danno. Un compito per il quale l’Istituto si avvale della collaborazione delle Arpa sul territorio: dallo scorso anno è stata attivata la “Rete operativa per il danno ambientale” del Sistema nazionale per la protezione ambientale, per far sì che la fase istruttoria venga elaborata in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale valutando le azioni per la riparazione e la prevenzione.
Eppure sono ancora molteplici le questioni aperte sul ruolo che Snpa debba avere su questo fronte. Aspetto che meriterebbe un approfondimento normativo, come sottolineato dal magistrato Giuseppe Bettarino, consigliere della Commissione parlamentare per la lotta alle ecomafie: “Da appassionato della Legge 132, che ha istituito Snpa, rilevo che la norma parla di coinvolgimento del Sistema nei procedimenti penali e civili. In che senso? Come periti o consulenti tecnici? E in quale fase del procedimento?”. L’organizzazione di Ispra e Snpa va aldilà della matrice classica, secondo il magistrato, per cui il Sistema deve ragionare qui e subito sul modello da adottare. “Hic Rhodus ic salta” ha spronato Bettarino. Di sicuro nella valutazione del danno c’è bisogno di autorevolezza e terzietà: “Lo strumento riparatorio richiede un soggetto tecnico autorevole e attendibile – ha sottolineato Franco Anelli, giurista e rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – perchè bisogna capire quali azioni servono realmente, trovare soluzioni ragionevolmente compromissorie, mediando spesso con le richieste locali. E’ la via per arrivare alle riparazioni specifiche, altrimenti non si sa chi dovrebbe deciderle”.
Tanti i temi aperti e le questioni da approfondire. Di sicuro è emerso un apprezzamento per il lavoro svolto sino ad oggi. “Snpa è squadra forte e può farcela – ha affermato Paola Ficco, giurista ambientale – a vantaggio del Sistema Italia”.
La registrazione video della giornata
fonte: http://www.snpambiente.it
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Mafie: De Raho, tutte hanno usato rifiuti per trarne profitto
In Sicilia, Calabria e Campania molte patologie tumorali
Roma. "Il clan dei Casalesi utilizzava il trattamento del rifiuto come uno dei primi strumenti di arricchimento, tanto che si diceva che non trattava eroina o cocaina ma il rifiuto perché era l'oro di quella criminalità". Federico Cafiero de Raho, Procuratore Nazionale Antimafia, interviene ai microfoni di '6 su Radio 1' per parlare di Terra dei Fuochi e di reati ambientali e spiega l'importanza che il traffico illecito di rifiuti ha avuto per le organizzazioni criminali. "Quello che è stato negli anni si è rivelato successivamente - ha aggiunto De Raho - un continuo occultamento di rifiuti solidi urbani ma soprattutto rifiuti tossici nocivi, a volte particolarmente pericolosi, come amianto e altre sostanze, sono state occultate nel terreno. Le mafie hanno un po' tutte utilizzato i rifiuti per trarne profitto; l'ha fatto la 'Ndrangheta, l'ha fatto Cosa Nostra e tutto parte da imprese che operando legalmente, per ridurre i costi, passano il rifiuto a società intermedie che a loro volta lo trasmettono a imprese che operano illegalmente e finiscono per smaltirlo e occultarlo in forme illegali. Tutta la criminalità ha guadagnato sotto questo profilo. Vi sono interi territori, non solo in Sicilia ma anche in Calabria, in Campania, e altre parti, dove le patologie tumorali sono concentrate in aree particolarmente individuate”.
fonte: http://www.antimafiaduemila.com
Ricicla.tv - Presentata a Montecitorio la relazione sull'attività della Commissione Ecomafie
fonte: Ricicla.tv
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Legge Ecoreati: presentata la prima relazione sull’attuazione
La Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta dall’on. Alessandro Bratti, ha presentato il 23 febbraio la relazione sulla verifica dell’attuazione della legge in materia di reati ambientali (L 68/2015). Luca Marchesi, come presidente di AssoArpa e vicepresidente Snpa, ha portato il suo contributo.
Sono stati presentati i dati relativi all’applicazione della legge, a un anno dalla sua entrata in vigore, raccolti dalla Commissione con l’ausilio del Servizio per il controllo parlamentare della Camera dei deputati e il contributo di numerose procure italiane.
Nel video messo a disposizione su YouTube sono presenti il saluto del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, e le testimonianze del presidente della Commissione, l’on. Alessandro Bratti, del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, del presidente di Assoarpa, Luca Marchesi, e di uno dei magistrati collaboratori della Commissione, Giuseppe Battarino.
Segue
fonte: http://ambienteinforma-snpa.it
Commissione d'inchiesta Ecoreati: 'distribuzione uniforme sul territorio ma frequenza più accentuata nelle Isole e Sud'
Secondo la Commissione il delitto di inquinamento ambientale è il reato
più contestato con almeno 47 occorrenze in 26 diverse Procure e
Tribunali, solo 5 le contestazioni del reato di disastro ambientale
È stata approvata il giovedì 23 febbraio la Relazione sull'attuazione della legge n. 68/2015 in materia di delitti contro l’ambiente. Il perimetro della verifica è stato delimitato dalla Commissione grazie all'acquisizione e all'esame di provvedimenti giudiziari e all'ascolto delle autorità giudiziarie stesse. Si tratta di una valutazione inusuale per la nostra cultura perché sulla base dei dati e delle informazioni raccolte propone il tema dell’efficacia della legge e offre un’ipotesi di metodo per la raccolta ed analisi di elementi informativi in questo campo. Nonostante la mancanza di esperienze parlamentari di valutazione di efficacia di leggi penali, attraverso uno scambio costante di informazioni e competenze è stato possibile ricostruire l’esistenza e la natura dei fenomeni illeciti, il rischio dell’emergenza di questi fenomeni e loro strutturazione in alcuni territori.
Da un esame della Relazione si segnalano alcuni dati sui reati contestati. Si evince in generale “una distribuzione abbastanza uniforme delle contestazioni dei nuovi reati sul territorio nazionale, con una frequenza tuttavia più accentuata dal punto di vista quantitativo nelle Isole e nel Sud.” Mentre, scendendo nel dettaglio, il delitto di inquinamento ambientale (Art. 452-bis del codice penale), introdotto proprio dalla legge in esame “risulta essere, tra i nuovi “ecoreati”, la fattispecie più numerosamente e più diffusamente contestata, con almeno 47 occorrenze in 26 diverse Procure della Repubblica presso Tribunali”.
Sono almeno 5, invece, le contestazioni, in 5 diverse Procure della Repubblica, del reato di disastro ambientale. Per quanto riguarda i delitti colposi contro l’ambiente (Art. 452-quinquies codice penale) le contestazioni sarebbero 6 in 5 diverse Procure della Repubblica. Le contestazioni per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (Art. 452-sexies codice penale) sono 3 in 2 Procure.
Nell'insieme, il quadro delineato nel lavoro della Commissione, mette in evidenza la complessità tecnico-giuridica delle fattispecie penali esaminate e questo ha indubbiamente conseguenze sulla durata dei procedimenti dato che sono richiesti accertamenti adeguati per poter correttamente configurare le fattispecie delittuose. Lo dimostrerebbero, si legge nella Relazione, anche i numeri contenuti delle contestazione dei delitti introdotti dalla L. n. 68/2015 (complessivamente almeno 102 indagini preliminari in corso) che presuppongono “un’applicazione ragionata della norma e l’effetto di prevenzione generale, a fronte della previsione di sanzioni più gravi”.
Nella Relazione emergono anche difficoltà e problematiche per rendere più efficace ed efficiente l’attuazione degli strumenti penali e processuali introdotti dalla legge n. 68/2015. Tra queste “l’adeguata disponibilità di personale di polizia giudiziaria specializzato, in grado cioè di affrontare con maggiore preparazione ed efficacia le problematiche di ordine tecnico-scientifico che emergono nel corso delle attività di indagine relative agli "ecoreati'' …”
fonte: www.ecodallecitta.it
È stata approvata il giovedì 23 febbraio la Relazione sull'attuazione della legge n. 68/2015 in materia di delitti contro l’ambiente. Il perimetro della verifica è stato delimitato dalla Commissione grazie all'acquisizione e all'esame di provvedimenti giudiziari e all'ascolto delle autorità giudiziarie stesse. Si tratta di una valutazione inusuale per la nostra cultura perché sulla base dei dati e delle informazioni raccolte propone il tema dell’efficacia della legge e offre un’ipotesi di metodo per la raccolta ed analisi di elementi informativi in questo campo. Nonostante la mancanza di esperienze parlamentari di valutazione di efficacia di leggi penali, attraverso uno scambio costante di informazioni e competenze è stato possibile ricostruire l’esistenza e la natura dei fenomeni illeciti, il rischio dell’emergenza di questi fenomeni e loro strutturazione in alcuni territori.
Da un esame della Relazione si segnalano alcuni dati sui reati contestati. Si evince in generale “una distribuzione abbastanza uniforme delle contestazioni dei nuovi reati sul territorio nazionale, con una frequenza tuttavia più accentuata dal punto di vista quantitativo nelle Isole e nel Sud.” Mentre, scendendo nel dettaglio, il delitto di inquinamento ambientale (Art. 452-bis del codice penale), introdotto proprio dalla legge in esame “risulta essere, tra i nuovi “ecoreati”, la fattispecie più numerosamente e più diffusamente contestata, con almeno 47 occorrenze in 26 diverse Procure della Repubblica presso Tribunali”.
Sono almeno 5, invece, le contestazioni, in 5 diverse Procure della Repubblica, del reato di disastro ambientale. Per quanto riguarda i delitti colposi contro l’ambiente (Art. 452-quinquies codice penale) le contestazioni sarebbero 6 in 5 diverse Procure della Repubblica. Le contestazioni per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (Art. 452-sexies codice penale) sono 3 in 2 Procure.
Nell'insieme, il quadro delineato nel lavoro della Commissione, mette in evidenza la complessità tecnico-giuridica delle fattispecie penali esaminate e questo ha indubbiamente conseguenze sulla durata dei procedimenti dato che sono richiesti accertamenti adeguati per poter correttamente configurare le fattispecie delittuose. Lo dimostrerebbero, si legge nella Relazione, anche i numeri contenuti delle contestazione dei delitti introdotti dalla L. n. 68/2015 (complessivamente almeno 102 indagini preliminari in corso) che presuppongono “un’applicazione ragionata della norma e l’effetto di prevenzione generale, a fronte della previsione di sanzioni più gravi”.
Nella Relazione emergono anche difficoltà e problematiche per rendere più efficace ed efficiente l’attuazione degli strumenti penali e processuali introdotti dalla legge n. 68/2015. Tra queste “l’adeguata disponibilità di personale di polizia giudiziaria specializzato, in grado cioè di affrontare con maggiore preparazione ed efficacia le problematiche di ordine tecnico-scientifico che emergono nel corso delle attività di indagine relative agli "ecoreati'' …”
fonte: www.ecodallecitta.it
Ecoreati, il primo compleanno della legge può essere un'occasione per censire il tanto ancora da fare
Tra circa due mesi (29 maggio), la nuova legge sui delitti ambientali (68/2015) compirà un anno. Il meccanismo di estinzione agevolata delle contravvenzioni previste dal "Codice ambientale" e oggetto della sua nuova parte VI-bis rappresenta uno dei numerosi punti nodali della nuova disciplina.
Scritto sulla scorta di quanto avviene, da anni, in materia di sicurezza sul lavoro, il nuovo sistema deflattivo del contenzioso penale avrebbe potuto, però, essere più preciso. Infatti, non puntualizza alcune cose che banali non sono e che quindi, inevitabilmente, saranno decise dal Giudice.
Penso, tra tutte, alla indicazione della natura della prescrizione. La norma, infatti, non precisa se si tratta di un atto di polizia giudiziaria o di un atto amministrativo. Le conseguenze: nel primo caso la sede per contestare la prescrizione è il procedimento penale (dove il Giudice può sempre disapplicarla se la ritiene illegittima) nel secondo è il giudizio amministrativo. In materia di sicurezza sul lavoro la giurisprudenza non manca, ma – anche lì – non è pacifica.
Sarebbe stato inoltre interessante prevedere che il reato si estingue anche quando il trasgressore ha provveduto in via autonoma, senza aspettare l’intervento della prescrizione. Le cose sarebbero molte e, forse, questo imminente compleanno può essere il momento per un censimento teso a calibrare meglio il meccanismo premiale da un lato, e quello afflittivo dall'altro.
Insomma, nonostante gli sforzi, il Legislatore ambientale si distrae spesso e volentieri. Che dire, infatti, delle "nuove" sanzioni amministrative per l’abbandono dei piccolissimi rifiuti e dei mozziconi? Un tripudio creativo! L'articolo 40 del cd. “Collegato ambientale” punisce l’abbandono di scontrini, fazzoletti di carta e gomme da masticare sul suolo, nelle acque, nelle caditorie e negli scarichi, con la sanzione amministrativa da 30 a 150 euro. La sanzione si raddoppia per i mozziconi di prodotti da fumo. Tuttavia, da sempre l’articolo 255 del "Codice ambientale", senza distinguere tra rifiuti piccoli e grandi, già dal 2006 punisce con una sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3.000 euro "chiunque" abbandoni o depositi rifiuti o li immetta in acque superficiali o sotterranee.
È solo un problema di controlli che non ci sono e non di sanzioni. Anzi, anche se i "media" generalisti non l’hanno colto, la nuova legge introduce un affievolimento sanzionatorio. Un'operazione di maquillage in piena regola, amplificata dal messaggio radiotelevisivo.
Nel frattempo, altre carte si mescolano e altri piani si falsano. È correttissimo prevenire la formazione dei rifiuti, basti pensare alle tante iniziative che rigenerano gli elettrodomestici o che li smontano per alimentare il mercato dei ricambi.
Tutto giusto. Ma come la mettiamo con la legislazione sui Raee e la definizione di rifiuto? Cosa accade per quegli impianti che hanno pagato fior di fideiussioni e che subiscono asfissianti controlli perché smontano e trattano un elettrodomestico che potrebbe, a questo punto, anche non essere rifiuto? Il mercato esiste e sta crescendo, allora, ci si chiede perché l’Europa non cambi la "monolitica" definizione di rifiuto.
Quello che colpisce quando si leggono i comunicati ufficiali di cotante "riforme" è la totale rinuncia alla ricerca della verità, che abdica al messaggio politico che si vuole trasferire. Di qui vaghezza e contraddizioni che eludono ogni possibilità di verifica, somigliando più a "gossip" che a norme, muovendosi in direzione incerta, dove tutto si confonde e dove è difficile tracciare i confini.
Nel frattempo il "Milleproroghe" assegna alla Selex Se.Ma. concessionaria del Sistri, a titolo di anticipo delle somme da versare per l'indennizzo dei costi di produzione e salvo conguaglio, 10 milioni di euro per l’anno 2015 e 10 milioni per il 2016 da corrispondersi entro il 31 marzo 2016.
Questa la risposta dello Stato a quella creatura stralunata che, sempre sopra le righe, è incapace di passare inosservata.
Paola Ficco
fonte: http://www.reteambiente.it
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