Secondo diversi studi, le attività di
estrazione dei materiali sotto i fondali marini possono compromettere
in modo irreversibile la biodiversità oceanica e la salute del nostro
Pianeta.
Una nuova minaccia rischia di intaccare l’ecosistema delle nostre acque: si tratta della raccolta dei depositi minerari che giacciono sotto il livello del mare che, a quanto pare, sembrano essere di inestimabile valore.
Dal manganese al nichel, dal ferro al
cobalto, le risorse presenti nelle profondità marine possono avere un
peso specifico rilevante per le industrie tecnologiche che, grazie alle
estrazioni, avrebbero più materie prime da trasformare in prodotti
innovativi.
I nuovi mezzi di controllo e
monitoraggio dei fondali hanno portato alla luce dei veri e propri
tesori nascosti: ad esempio, nella Clarion Clipperton Zone (CCZ), sita a
circa mille chilometri ad ovest della costa messicana, sono stati
trovati circa 34 miliardi di tonnellate di noduli di manganese sparsi su
una superficie di 9 milioni di kmq.
Ma qual è il costo, in termini ambientali, di questa manovra? Il Deep Sea Mining, incoraggiato anche dalla Commissione Europea nel piano “Blue Growth” per lo sviluppo industriale degli oceani, può avere un impatto devastante sulla biodiversità oceanica.
A dirlo, diversi studi a cura di
oceanografi ed esperti di conservazione, che mettono in evidenza, nei
loro rapporti, tutti i rischi derivanti dall’estrazione di minerali sui
fondali marini.
L’International Seabed Authority
(ISA), ente intergovernativo con sede in Giamaica nato nel 1994 sulla
scorta della Convenzione sui diritti del mare (UNCLOS) del 1982, sta
elaborando un regolamento che, almeno in teoria, dovrebbe scongiurare il
problema.
Secondo il parere degli esperti, però,
nessun tipo di regolamento è in grado di tutelare la biodiversità
oceanica e le specie che popolano i nostri mari. In un articolo su Nature,
infatti, ricercatori e scienziati mettono in evidenza il fatto che
molte specie che popolano i fondali sono ancora sconosciute e che le
attività di recupero dei minerali genererebbero chilometri e chilometri
di fondali ricoperti e soffocati.
Inoltre, sottolineano gli scienziati, è praticamente impossibile portare avanti pratiche di remediation, ossia di bonifica dei fondali sfruttati per riportarli allo stato originario.
I fattori da considerare quando si parla
di conseguenze dell’estrazione mineraria nei fondali sono molteplici.
Bisogna considerare l’inquinamento acustico, luminoso, le vibrazioni e
l’innalzamento di nubi di sedimenti capaci di viaggiare per chilometri
prima di depositarsi di nuovo.
Gli accumuli sedimentari potrebbero
alterare irreversibilmente l’ecosistema marino, soffocando i
microrganismi filtratori che vivono ad alte profondità. Ma non è tutto:
con l’azione dei fenomeni di upwelling (la risalita delle acque
profonde in superficie grazie alle correnti) potrebbero crearsi colonne
di inerti potenzialmente dannosi per i grandi mammiferi come capodogli,
squali e balene.
Il parere degli esperti sembra essere concorde quando si parla dell’impatto delle miniere oceaniche sull’ecosistema.
Nella ricerca “Biological responses to disturbance from simulated deep-sea polymetallic nodule mining”,
realizzata da Daniel Jones del Noc e il suo team, viene evidenziato
come, con ogni probabilità, molte creature marine sarebbero in grado di
ripristinare la loro densità entro un anno, anche dopo l’esaurimento di
una miniera sottomarina. Tuttavia, però, “pochissimi gruppi faunali ritornano alla base o alle condizioni di controllo dopo due decenni”.
Proprio come le miniere in superficie,
che spesso portano alla distruzione di interi villaggi ed ettari di
alberi, anche le miniere sottomarine generano gravi conseguenze
sull’ecosistema, anche se sembrano lontane dal nostro sguardo.
I ricercatori e gli esperti hanno già
lanciato un appello all’International Seabed Authority, nella speranza
che ripensi più attentamente ai rischi e alle implicazioni delle miniere
nei fondali dei nostri mari.
fonte: http://nonsoloambiente.it