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Plastica usa e getta: votato in Consiglio dei ministri il recepimento della Direttiva SUP

Nel Consiglio dei Ministri di giovedì 5 agosto 2021, è stato votato il recepimento della cosiddetta “Direttiva SUP” (Single Use Plastics). Lo rende noto il Ministero della Transizione Ecologica






















Nel Consiglio dei Ministri di giovedì 5 agosto 2021, è “stato votato il recepimento della cosiddetta “Direttiva SUP” (Single Use Plastics), volta a prevenire e ridurre l’impatto sull’ambiente di determinati prodotti in plastica e a promuovere una transizione verso un’economia circolare introducendo un insieme di misure specifiche, compreso un divieto a livello europeo sui prodotti in plastica monouso ogniqualvolta siano disponibili alternative”. E’ quanto annuncia il Ministero della Transizione Ecologica. “La direttiva, che si basa sul principio chi inquina paga, prevede una riduzione quantitativa ambiziosa e duratura del consumo di questi prodotti entro il 2026. Alcuni prodotti in plastica monouso immessi sul mercato devono recare una marcatura chiaramente leggibile e indelebile sull’imballaggio o sul prodotto stesso”.


fonte: www.ecodallecitta.it


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Discarica di Bussi, sentenza storica: chi inquina paga

Il Consiglio di Stato condanna Edison alla bonifica, ora deve muoversi il ministero dell'ambiente. Guarda tutti i commenti




PESCARA. Chi inquina paga. Il Consiglio di Stato ha definitivamente sancito che la multinazionale dell'energia Edison, in quanto responsabile dell'inquinamento ambientale, deve provvedere alla bonifica dei due siti più inquinati della cosiddetta discarica dei veleni di Bussi sul Tirino . Si chiarisce così il contenzioso più importante che ha visto la Edison contro Provincia di Pescara (difesa dall'avvocato Matteo Di Tonno del Foro di Bologna)), Comune di Bussi, il Ministero dell'Ambiente e la Regione Abruzzo, questi ultimi due difesi dall'avvocatura di Stato, rappresentata da Cristina Gerardis, ex direttore generale dell'ente regionale abruzzese.

La sentenza è stata pubblicata oggi e prevede un intervento milionario, in particolare nelle aree 2A e 2B: dalla partita rimane fuori la discarica Tremonti che si trova sotto i viadotti autostradali. Ora i circa 50 milioni relativi al bando pubblico per la bonifica dei siti 2A e 2B e della stessa Tremonti assegnato dall'allora commissario per emergenza, il compianto Adriano Goio, fermo da anni, possono essere utilizzati per altre aree inquinate.

I COMMENTI.

CRISTINA GERARDIS (avvocato dello Stato): «Spero che dopo questa sentenza, che ha definito con mirabile chiarezza ogni questione, non si debba più sentire, in alcuna sede giudiziaria, come "scusa" per non intervenire sulle aree contaminate di Bussi, che all'epoca dei fatti era lecito seppellire rifiuti pericolosi sotto terra o buttarli a tonnellate nei fiumi; o che la Montedison (oggi Edison) non è responsabile per avere negli anni ceduto ad altri l'azienda, con complesse operazioni societarie».

MATTEO DI TONNO (legale della Provincia di Pescara): «La sentenza, credo storica, riconosce in maniera cristallina la responsabilità della Edison che ora è chiamata ad un intervento di risanamento integrale, come difensore dell'ente provinciale pescarese sottolineo la piena soddisfazione nell'aver visto riconosciuta la bontà del poderoso lavoro amministrativo che ha reso giustizia al territorio e all'intera regione Abruzzo».

STEFANIA PEZZOPANE (Gruppo Pd alla Camera): «E' una sentenza storica, che pone fine a qualunque dubbio. Le responsabilità sono state finalmente accertate, Edison ha purtroppo inquinato quelle zone, ed Edison deve provvedere a bonificarle, pulirle, ripristinarle com erano precedentemente. Una sentenza attesa da tanti abruzzesi, che ci auguriamo possa servire da esempio per tutti coloro che non rispettano il territorio e la natura. Dobbiamo avere cura di queste nostre terre, il miglioramento e la salvezza della Terra passano anche da queste battaglie».

SALVATORE LAGATTA (sindaco di Bussi): «Ora il Ministero firmi subito il contratto con la società che si è aggiudicata la gara per la bonifica delle due discariche della Montedison: se prima poteva esserci il pericolo di una rivalsa della Edison, ora con questa sentenza tutto viene a cadere. Quindi il Ministero dell'Ambiente faccia il contratto e si parta con i lavori».

FILOMENA RICCI (delegato Wwf Abruzzo): «Adesso almeno la zona 2A e 2B sarà risanata senza incidere sui fondi pubblici, cioè di tutti i cittadini, e lo Stato potrà impegnare in altro modo, sempre a favore di questo territorio martoriato, quel che rimane dei 50 milioni a suo tempo stanziati. Cogliamo l’occasione per rimarcare, ancora una volta, come sia necessaria anche una indagine epidemiologica più approfondita, come richiesto dallo stesso studio Sentieri: i cittadini hanno diritto di conoscere la realtà sino in fondo e senza aspettare altre decine di anni».

MAURIZIO ACERBO (segretario nazionale Rifondazione Comunista - Sinistra Europea) e CORRADO DI SANTE (segretario Federazione di Pescara): «La sentenza del Consiglio di Stato è un fatto storico. Ora il Ministero non ha più scuse per tergiversare rispetto alla firma del contratto con la ditta che deve effettuare la bonifica. Sono due anni che il Ministero rinvia con la scusa del contenzioso di Edison. Siano subito affidati i lavori e poi si mandi il conto a Edison. Ora evitiamo trucchi a favore di Edison da parte della politica: è noto che la società vorrebbe fare un suo piano di tombamento per ridurre costi. Il territorio ha pagato un prezzo già salatissimo all'irresponsabilità sociale delle imprese e all'ignavia della politica.

AUGUSTO DE SANCTIS (Forum H2O): «Da anni, prima con lettere inviate a tutti gli enti e poi con dichiarazioni messe a verbale ad ogni conferenza dei servizi al ministero, avevamo evidenziato la necessità di procedere dal punto di vista amministrativo, affiancando il procedimento penale che purtroppo ha scontato l'esistenza di termini di prescrizioni troppo brevi, attuando quanto peraltro previsto dal testo Unico dell'Ambiente. Chiedevamo, cioè, l'emanazione dell'ordinanza da parte della provincia per l'individuazione del responsabile della contaminazione e della doverosa bonifica in ossequio al principio comunitario "chi inquina paga"».

ANTONIO BLASIOLI (presidente della Commissione regionale d'Inchiesta sulla discarica dei veleni): «Una sentenza storica per l'Abruzzo e per quei territori che finalmente dopo anni di attesa possono sperare nel futuro».

SARA MARCOZZI (componente commisione d'inchiesta): «Adesso che non esistono più incertezze, non c'è più nessun motivo per aspettare. Chi ha sbagliato deve pagare fino in fondo, a cominciare dall'urgenza di dare il via alle bonifiche il più in fretta possibile. I cittadini di Bussi e dell'intera Val Pescara aspettano giustizia. Hanno già pagato un prezzo troppo alto in questi anni, e il ripristino dello stato naturale dell'ambiente, adesso che sappiamo con chiarezza chi ha la responsabilità dei lavori, non ha più motivo di essere ulteriormente rimandato per rimpalli di responsabilità».

ANTONIO DI MARCO (ex presidente della Provincia di Pescara): «La pronuncia del Consiglio di Stato è un’immensa soddisfazione perché va a certificare l’ottimo lavoro condotto grazie alla consulenza legale strategica dell'avvocato Matteo Di Tonno, alle responsabilità assunte con la firma dell'ordinanza da parte dell'avvocato Carlo Pirozzolo, già segretario generale della Provincia di Pescara con specifica funzione per quanto riguardava l'ambiente, alle indagini condotte dalla Polizia Provinciale guidata dal comandante Giulio Honorati, che hanno portato all’individuazione di Edison quale soggetto inquinatore. E questa sentenza sarà fondamentale anche per le sorti del sito ex Montecatini di Piano d'Orta, perché anche questo sito è stato oggetto di una specifica ordinanza della Provincia di Pescara».

fonte: https://www.ilcentro.it

Rifiuti, la Toscana del sud diventa avanguardia europea per la tariffa puntuale

Parte un percorso all’interno dell’Urban agenda Ue per definire un modello che sia replicabile in tutta Europa, nell’ottica di “chi inquina paga”



















Parte dalla Toscana del sud una vera e propria rivoluzione di respiro europeo, nell’ottica di un’economia circolare dove “chi inquina paga”: un percorso per giungere a definire una tariffa puntuale dei rifiuti che i cittadini pagheranno in base alla quantità di rifiuti indifferenziati effettivamente conferiti, andando così oltre agli attuali criteri sui quali è parametrata la Tari (che è un tributo, non una tariffa), ovvero i metri quadri dell’abitazione di riferimento e l’ampiezza del nucleo familiare. Sei Toscana – il gestore unico dei servizi di igiene urbana nei 104 Comuni dell’Ato Toscana sud – è infatti la prima azienda italiana di raccolta integrata dei rifiuti ad entrare nel programma europeo Urban agenda per l’economia circolare, con un apposito protocollo presentato oggi alla Casa dell’ambiente di Siena.
«È un accordo molto importante perché la sperimentazione interessa uno dei territori più belli della nostra Europa – dichiara Håkon Jentoft, coordinatore di Urban Agenda per l’economia circolare a nome della città di Oslo – Puntiamo a mettere a punto un modello per applicare la tariffa puntuale che sia replicabile in tutta la comunità europea». Un percorso che sul territorio si concretizzerà grazie alla collaborazione tra Sei Toscana, l’Ato Toscana sud e Operate – l’Osservatorio nazionale dedicato alla tariffazione rifiuti –, che nell’ambito dell’Urban agenda ha collaborato alla realizzazione di un toolkit a disposizione di tutti quegli enti locali interessati a implementare la tariffa puntuale. Una “cassetta degli attrezzi” che verrà messa a disposizione e ritagliata su misura dei Comuni dell’Ato Toscana sud.
«È un principio di equità – spiega il presidente di Sei Toscana Leonardo Masi – nella fruizione di altri servizi pubblici, si pensi all’acqua, il cittadino paga per quanto consuma, mentre nell’ambito dei rifiuti finora questo non accade. Inoltre non viene premiato chi contribuisce al raggiungimento di performance di raccolta differenziata, e dunque di obiettivi ambientali importanti per il territorio dove abita. Sei Toscana è l’unica azienda italiana che è stata scelta per questa sperimentazione: gestisce i servizi nell’Ato più grande d’Italia, molto variegato e su un territorio tra i più belli d’Europa. Chi ha l’onore di vivere in cotanta bellezza deve anche farsi carico dell’onere di migliorare l’ambiente in cui vive».
La parola chiave di questo percorso è, appunto, sperimentazione. La tariffa puntuale è infatti generalmente associata a più alte percentuali di raccolta differenziata, ma cosa assicura che tra i motivi di questo slancio non ci siano comportamenti disonesti da parte dei cittadini, desiderosi di ottenere sconti sulla tariffa? Non è facile controllare che parte dell’indifferenziato non venga indebitamente “smistato” nei sacchetti della differenziata, o ancor peggio impedire che vada ad alimentare discariche abusive sul territorio. Il tutto a detrimento della qualità dei materiali raccolti, e dunque delle successive fasi di riciclo e recupero (che rappresentano il vero fine della raccolta differenziata). Per trarre il meglio dalla tariffa puntuale è dunque indispensabile individuare la – o le – modalità migliore per le caratteristiche del territorio dove si cala e le rispettive esigenze dei cittadini: che si tratti di porta a porta o cassonetti intelligenti, ad esempio, alla base «c’è un metodo di misurazione puntuale dei rifiuti conferiti dai singoli cittadini, che presuppone l’identificazione del singolo cittadino e a sua volta comporta l’attuazione di un’infrastruttura molto importante. Non si passa alla tariffa puntuale con una delibera comunale: servono anni di investimenti per garantire al cittadino gli strumenti evoluti», come spiega il direttore di Ato Toscana Sud, Paolo Diprima, che non a caso sottolinea la necessità di instaurare un rapporto di fiducia tra cittadini, Comune e soggetto gestore.

Sul piatto ci sono 50 milioni di euro stanziati per potenziare i sistemi di raccolta differenziata nell’arco di un quadriennio, e una sperimentazione della tariffa puntuale che inizierà entro la fine dell’anno con l’individuazione dei Comuni interessati e adeguati (ovvero con l’infrastruttura necessaria già completata sul proprio territorio) a iniziare questo percorso innovativo. La tabella di marcia rimane da dettagliare, ma l’ipotesi è di concentrare la sperimentazione in una manciata di Comuni all’avanguardia per tutto il 2020, per poi valutare ed eventualmente estendere il percorso nel resto dell’Ato Toscana sud nei 2-3 anni successi. Una strategia di lungo periodo e scientificamente fondata dunque, l’unica possibile per far sì che l’economia circolare non si limiti ad essere uno slogan di moda ma un concreto strumento di sviluppo sostenibile per il territorio.

fonte: www.greenreport.it

Stiglitz: “Perché Europa e Cina dovrebbero allearsi sul clima contro gli Usa”

Un ricorso al WTO contro gli States: l’idea è dell’economista americano e premio Nobel Joseph Stiglitz, già sostenitore di una carbon tax globale per ridurre le emissioni inquinanti dei combustibili fossili.
















Europa e Cina alleate contro gli Stati Uniti sui cambiamenti climatici: idea folle?
Può darsi, ma a proporla è un economista americano di fama mondiale, premio Nobel nel 2001, Joseph Stiglitz, tra i maggiori critici di molti aspetti della globalizzazione economica e dei suoi impatti anche in termini ambientali.
Proprio Stiglitz, infatti, è un forte sostenitore della necessità di correggere alcune storture, per esempio applicando su vasta scala il principio “chi inquina paga” con una carbon tax a livello internazionale.
Già nel 2017, Stiglitz e l’ex capo economista della Banca mondiale, Nicholas Stern, raccomandavano di adottare una politica di carbon pricing che consentisse di far pagare sempre di più ogni tonnellata emessa di anidride carbonica nei vari settori industriali, in modo da penalizzare le attività più inquinanti (vedi qui).
Tuttavia, imporre una tassa globale su carbone, gas e petrolio sembra irrealizzabile al momento, per una serie di ragioni: la principale è che una misura di questo genere andrebbe a sovvertire l’equilibrio economico planetario, colpendo soprattutto quei paesi che producono, esportano, utilizzano ingenti quantità di combustibili fossili, tra cui Stati Uniti, Cina, India, Russia (vedi l’approfondimento di QualEnergia.it).
Stiglitz, in questi giorni, è stato a Bruxelles per promuovere il suo nuovo libro, Rewriting the rules of the European economy (scaricabile gratuitamente da questo link); tra le sue dichiarazioni, riportate dall’agenzia EurActiv, spicca l’idea che l’Europa e la Cina dovrebbero promuovere un’azione legale presso il WTO (World Trade Organization, l’organizzazione mondiale del commercio) contro gli Stati Uniti.
In pratica, si tratta di considerare la possibilità di varare sanzioni commerciali contro gli Usa motivandole con il mancato impegno, da parte americana, di rispettare gli accordi internazionali di Parigi sul clima (si parla, infatti, di “climate-related trade sanctions”).
Ricordiamo che la Casa Bianca, con la presidenza di Donald Trump, ha sempre rifiutato di aumentare gli sforzi volti a limitare il surriscaldamento terrestre, come raccomandato dall’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organo scientifico delle Nazioni Unite che studia il cambiamento climatico).
Di recente, la parte più agguerrita dell’opposizione democratica ha proposto di lanciare un Green New Deal per investire massicciamente in tecnologie pulite, in modo da azzerare o quasi le emissioni inquinanti entro la metà del secolo.
Tornando a Stiglitz, la sua idea potrebbe fondarsi sul precedente legale dello Shrimp-Turtle Case del 1998, quando il WTO stabilì che era lecito, come aveva deciso il governo Usa, vietare le importazioni di gamberetti da tutti quei paesi (Thailandia e Malesia ad esempio) che utilizzavano metodi di pesca contrari alla convenzione CITES sulla protezione delle specie a rischio; in quel caso, erano delle trappole per gamberetti che rischiavano di uccidere anche le tartarughe marine.
E ora, proprio il rapporto dell’IPCC con le sue evidenze scientifiche del cambiamento climatico antropogenico (cioè causato dalle attività umane, soprattutto l’utilizzo di carbone, gas e petrolio), potrebbe diventare la base su cui costruire dei procedimenti legali contro chi non si sta impegnando a sufficienza per proteggere la salute dei cittadini, salvaguardare gli ecosistemi, ridurre le emissioni di gas-serra e così via.
Uno scenario, quest’ultimo, che secondo Stiglitz potrebbe vedere Europa e Cina in stretta collaborazione per spingere anche gli Stati Uniti a perseguire gli obiettivi climatici internazionali.
fonte: www.qualenergia.it

Ecoreati, ministro Costa: daspo per chi inquina l’ambiente














Un Daspo ambientale per coloro che inquinano, nonché la confisca per chi commette illeciti ambientali, utilizzando lo stesso principio applicato per i sequestri alla mafia. È quanto propone il ministro dell’Ambiente Sergio Costa in occasione della presentazione del rapporto Ecomafia 2018 di Legambiente.

Nel 2017 si è verificato un boom di arresti per crimini contro l’ambiente e di inchieste sui traffici illegali di rifiuti, e mai nella storia dell’Italia si erano verificate così tante situazioni illecite come queste. Come ha dichiarato il ministro dell’Ambiente: "Credo nel Daspo ambientale: chi inquina, a mio parere, è il caso che lasci il suo territorio, perché vuol dire che non lo ama. Se vogliamo salvare il pianeta, imitazioni anche da queste piccole cose."

Il ministro Costa ha poi precisato che, prima di lasciare il territorio, chi inquina dovrà anche pagare. La corruzione rimane il nemico numero uno dell’ambiente e dei cittadini, che nello sfruttamento illegale delle risorse ambientali riesce a dare il peggio di sé. Per tentare di porre un rimedio alla problematica, Costa propone anche il sequestro ai fini di confisca per chi commette illeciti ambientali:

Chi commette un reato di natura ambientale e non sa giustificare i proventi della sua attività rientra nello stesso principio utilizzato per i sequestri alla mafia.

La sempre più diffusa applicazione della legge 68 e l’impennata delle inchieste sui traffici illegali di rifiuti sono anche all’origine dell’incremento registrato nel 2017 degli illeciti ambientali, segnala Legambiente, che sono 30.692 (+18,6% per cento rispetto all’anno precedente, per una media di 84 al giorno). Secondo Sergio Costa, una soluzione è utilizzare i proventi della lotta agli ecocrimini: "Bisogna sistemare i passaggi per istituire un fondo unico ambientale, perché i soldi che provengono dall’applicazione della legge 68 del 2015 vengano utilizzati per la tutela dell’ambiente."



fonte: www.greenstyle.it

Vuoto a rendere: una sperimentazione sbagliata non può fermare il processo

Stefano Ciafani, Presidente Nazionale di Legambiente: “Scarsa applicazione da parte del Ministero e boicottaggio da parte dei produttori di bevande. La sperimentazione fallirà, ma il vuoto a rendere va ripreso e ristabilito: è un tassello imprescindibile di un piano più generale per la riduzione dei rifiuti
















Di Attilio Tornavacca, direttore generale ESPER e Sergio Capelli, tecnico ESPER
Oltre i confini Italiani è prassi ormai da anni: in Germania, Danimarca, Estonia, Finlandia, Croazia, Norvegia, Svezia, Svizzera, Ungheria e Repubblica Ceca, non solo il vuoto a rendere è obbligatorio, ma tutti gli esercizi che vendono una determinata bevanda sono costretti ad accettarne i vuoti, anche se la specifica bottiglia non è stata acquistata nel loro negozio. Si tratta di quel Nord Europa virtuoso che altro non ha fatto che implementare ed eventualmente migliorare e sistematizzare pratiche che in Italia conoscevamo molto bene fino alla metà degli anni ’80, quando la filosofia del “Usa e getta” ha preso il sopravvento.
La declinazione più comune del vuoto a rendere è quella tedesca, gestita direttamente dai produttori (in Germania il costo della raccolta differenziata degli imballaggi è completamente e direttamente in carico ai produttori), in cui sono i consumatori a pagare una cauzione che viene loro resa solo in caso di restituzione della bottiglia. Gli imballi così raccolti se riutilizzabili vengono indirizzati alla catena del riuso, se riciclabili a quella del riciclo, con un incremento della raccolta differenziata e un decremento sensibile della produzione di rifiuti. A breve anche la Gran Bretagna, uno dei maggiori consumatori di plastica monouso metterà in campo un sistema di vuoto a rendere, ma di 13 miliardi di bottiglie di plastica all’anno e più di 3 miliardi non vengono riciclati[1]. Il governo scozzese ha già annunciato l’avvio di un sistema di vuoto a rendere e anche in Galles il governo autonomo ha dichiarato di voler contribuire a realizzare un sistema esteso a tutto il Regno Unito. In totale sono una quarantina i Paesi nel mondo, compresi 21 Stati Usa, che hanno implementato una qualche forma di vuoto a rendere per le bottiglie di plastica e vetro.
In Italia il vuoto a rendere è tornato nell’agenda politica grazie all’impegno dell’Onorevole Stefano Vignaroli che ha portato all’approvazione di una specifica norma integrata nel Collegato Ambientale del 2015 (12/2015 art. 219). A distanza di quasi due anni il Ministero dell’Ambiente pubblica il decreto attuativo (DL 3 luglio 2017, n. 142[2]) in cui identifica una sperimentazione che lascia perplessi ambientalisti e addetti ai lavori. Due le principali ragioni di perplessità: la prima è che la sperimentazione è su base squisitamente volontaria (il Ministero dell’Ambiente non ha previsto alcuna premialità economica che possa incentivare lo sviluppo del sistema); la seconda è che la sperimentazione coinvolge solo produttori, distributori ed esercenti (vendita al dettaglio), escludendo completamente i consumatori, ovvero i cittadini. Pecche sottolineate da Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente: “È fondamentale coinvolgere tutti gli attori della filiera, nessuno si deve sentire escluso, ed è necessario instaurare una premialità economica che riguardi anche il cittadino, il consumatore finale, oggi è completamente tagliato fuori dalla sperimentazione. Così come è stata pensata, la sperimentazione non può funzionare”. Ma le modalità scelte per la sperimentazione non sono gli unici ostacoli al buon funzionamento della stessa: “Se il collegato ambientale, ovvero la legge da cui la sperimentazione prende il via è positivo – continua Ciafani – il decreto ministeriale che ne dà attuazione è stato un gran pasticcio, a partire da una campagna comunicativa pressoché inesistente. L’informazione agli operatori per promuovere questa sperimentazione è stato un fallimento totale. Il ministero dell’Ambiente non ci ha minimamente lavorato. Tanto è vero che i risultati della sperimentazione saranno assolutamente negativi”. Risultati che saranno monitorati da una commissione, che certificherà un risultato negativo: a quattro mesi dalla data d’inizio (febbraio 2018) solo 20 aziende risultano registrate al registro degli aderenti alla sperimentazione[3]. “Questa sperimentazione va presa per quello che è – ribadisce Ciafani – la sperimentazione è stata negativa per come l’ha gestita il Ministero dell’Ambiente. Anzi per come non l’ha gestita. Credo che sia necessario tornare a lavorare sul tema, che l’inizio della nuova legislatura sia l’occasione giusta per cambiare il decreto ministeriale dove è necessario”.
Ma i problemi non sono solo legati alla cattiva organizzazione dell’iniziativa: il vuoto a rendere si deve scontrare con interessi economici enormi, che portano ad incontrare ostacoli non da poco. Dall’approvazione del Collegato Ambientale al decreto attuativo sono passati due anni, tempi larghissimi. “C’è stato un forte ostracismo da parte dei produttori di bevande – conclude il Presidente di Legambiente –  È stata un’operazione dalla gestazione lunga e sofferta. Il ministero dell’Ambiente non ha mostrato coraggio e si è deciso di seguire una strada che non è quella corretta. Il vuoto a rendere va ripreso e ristabilito: è un tassello imprescindibile di un piano più generale per la riduzione dei rifiuti. Non è l’unica leva: serve la tariffazione puntuale, serve un’applicazione reale del principio “chi inquina paga” che permetta una tassazione maggiore sugli imballaggi meno riciclabili, serve un lavoro per contrastare, e perché no bandire, l’utilizzo di alcuni prodotti usa e getta. Si possono implementare una serie di azioni volte a contenere la produzione di rifiuti. È un mosaico con molte tessere. Una di queste tessere, imprescindibile, è il vuoto a rendere”.

Alcuni dati
Ma un’attuazione corretta del vuoto a rendere cosa comporterebbe?
Innanzitutto un risparmio economico considerevole: il prezzo di una bottiglia riutilizzata per 20 volte sarebbe pari a 0.007€ a fronte dei 0.069€ del monouso. Unendo i costi del refill, si arriva ad un risparmio di quasi 15 volte
 

Prezzo medio di una bottiglia in PET in Europa (riutilizzabile VS Monouso)[4]
riutilizzabile riempito 2 volte riutilizzabile riempito 20 volte
costo del contenitore costo del contenitore a riempimento costo del contenitore a riempimento
Bottiglia usa e getta 0,069 0,069 0,069
Bottiglia riutilizzabile 0,133 0,067 0,007
Risparmio ottenuto scegliento il riutilizzabile -0,064 0,003 0,062



Impatto delle tasse sul prezzo di una bottiglia in PET da 500ml in Europa (€)4
Prezzo del contenitore a rempimento Tasse sul riempimento Prezzo totale a riempimento
Bottiglia monouso 0,069 0,11 0,179
Bottiglia riutilizzabile riempita 20 volte 0,007 0,006 0,012
Risparmio ottenuto scegliendo il riutilizzabile 0,167


Quanto il riutilizzabile è più conveniente del monouso
1470%



La Germania è senza dubbio una nazione che ha fatto del vuoto a rendere un suo tratto distintivo. Quasi il 90% (88% nel 2009) delle bottiglie di birra rientrano nel circuito del cauzionamento, con una percentuale su tutte le bottiglie immesse al consumo superiore al 50%. Se quest’ultima percentuale arrivasse al 100% il risparmio in termini ambientali si stima elevatissimo: si eviterebbero oltre 1.250.000 tonnellate di gas climalteranti.[5]
Non solo: in caso di cancellazione del vuoto a rendere la Germania perderebbe circa 57.000 posti di lavoro. Posti di lavoro che crescerebbero di 27.000 unità a fronte di un sistema di vuoto a rendere che raggiunga il 100%.

[1] Fonte: Green Report “In Gran Bretagna presto vuoto a rendere e deposito per bottiglie di plastica e lattine”
[3] Fonte: la Repubblica “Vuoto a rendere, quel tesoro che l’Italia butta via”
[5] Fonte: Ifeu/GDB (2008)

fonte: esper.it

Roma, diminuisce tassa su rifiuti


















Diminuisce la tariffa sui rifiuti (Ta.Ri.) per l’anno 2018, che produrrà un gettito previsto di 771 milioni di euro con una riduzione che andrà a vantaggio sia delle utenze non domestiche, imprese ed esercizi commerciali (-0,93%), che a beneficio delle utenze domestiche (-0,73%). È quanto stabilisce una delibera della giunta capitolina, che ha anche approvato il nuovo Regolamento per la disciplina della Ta.Ri. e altre due delibere per l’internalizzazione e la gestione diretta del tributo e della riscossione anche coattiva.
“Per il secondo anno consecutivo – sottolinea la sindaca di Roma Virginia Raggi – riusciamo a ridurre le tariffe sui rifiuti per famiglie e imprese. È un risultato frutto dell’opera di contrasto all’evasione che stiamo portando avanti insieme ad Ama. Questa azione si rafforzerà mediante i censimenti preliminari all’introduzione della raccolta differenziata ‘porta a porta’ in diverse zone della città, che ci hanno già condotto a individuare 50.000 utenze fantasma".
"Inoltre, grazie al nuovo regolamento - aggiunge - eliminiamo una serie di privilegi concessi in passato dalla politica e, per la prima volta, cominciamo a introdurre il principio del ‘chi inquina paga’: vengono previste agevolazioni per chi riduce i rifiuti prodotti e incrementa la differenziata, gettando le basi per l’applicazione futura della tariffa puntuale commisurata alla effettiva produzione di rifiuti”.
Proprio sulla scorta del principio del “chi inquina paga”, il nuovo Regolamento Ta.Ri. elimina o diminuisce tutte le agevolazioni cosiddette “politiche”, cioè non legate alla capacità di produrre rifiuti: per esempio, vengono cancellate le riduzioni tariffarie per le scuole private e diminuite le percentuali forfettarie di riduzione per le attività nei cui locali non è possibile determinare le aree produttive di rifiuti speciali.
Viene introdotto il pagamento anche sugli immobili vuoti e ribadita la riscossione del tributo per gli immobili dello Stato e degli enti pubblici, degli stati esteri e delle rappresentanze diplomatiche degli organismi internazionali.
Resta invece invariata l’esenzione per reddito (fino a un valore Isee di 6.500 euro) e vengono inserite alcune agevolazioni “ambientali”: si prevedono premialità per la riduzione dello spreco alimentare nella ristorazione e nella distribuzione, per la riduzione di rifiuti prodotti e per l’incremento della raccolta differenziata.
Con altre due delibere si avvia il processo di internalizzazione della gestione del tributo. Il Dipartimento Risorse economiche del Campidoglio avrà il supporto di Aequa Roma per le attività di accertamento, liquidazione e riscossione anche coattiva del tributo, mentre rimarranno in capo ad Ama le attività di bollettazione.
“Nel nuovo Regolamento Ta.Ri. vengono eliminate le agevolazioni non rispondenti a necessità di tutela delle fasce deboli o a ragioni tecnico-economiche - spiega l’assessore al Bilancio Gianni Lemmetti - La gestione diretta del tributo avvia invece una riforma delle riscossioni di Roma Capitale che in futuro riguarderà anche altre entrate, a partire dal contributo di soggiorno. Progressivamente ritireremo tutti gli affidamenti ad Agenzia Entrate Riscossione (ex Equitalia) per governare le entrate in maniera più equa ed efficace, in modo da favorire lo spontaneo adempimento dei contribuenti e un maggiore beneficio per la casse comunali”.

fonte: http://www.adnkronos.com

VII Rapporto Anci-CONAI: nel 2016 la raccolta differenziata ha interessato il 97,7% dei comuni italiani

Presentato a Roma il nuovo rapporto nato dall'accordo quadro tra Anci e Conai. La raccolta differenziata è presente ormai su quasi tutto il territorio nazionale




















La raccolta differenziata in Italia si svolge con il contributo fondamentale dell'accordo quadro Anci- Conai. Lo confermano i dati del settimo rapporto sulla banca dati Anci-Conai, presentati oggi nella sede dell'Anci a Roma.

Il rapporto conferma la capillarità dell'accordo Anci-Conai, basato su convenzioni per la raccolta e l'avvio a riciclo dei rifiuti di imballaggio che interessano nel 2016 il 97,7% dei Comuni italiani (7.813) e il 99,5% della popolazione (60.314.369), con un aumento in quest'ultimo caso del 2% rispetto al 2015; inoltre, il 51% dei Comuni italiani ha almeno cinque convenzioni.

Il rapporto evidenzia poi che i Comuni stipulano soprattutto convenzioni per il riciclo della plastica (consorzio Corepla) e del vetro (consorzio CoReVe), con rispettivamente il 99% e 91% della popolazione nazionale coinvolta; minore è la diffusione territoriale delle convenzioni per il recupero di alluminio (consorzio CiAl) e legno (consorzio Rilegno), che interessano circa il 64-65% della popolazione.

Il Nord si conferma la macro area con le più elevate performance di raccolta: qui si intercetta il 54% di tutta la raccolta conferita al Conai e si concentra il 56% degli importi totali riconosciuti dai consorzi. Anche il Centro e il Sud peraltro, con una resa media pro capite tra gli 86 e i 77 chili per abitante all'anno, fanno registrare dati confortanti. Nelle regioni delle isole si registra il contributo minore alle raccolte conferite al Conai (6,2% del totale) e la resa media pro capite più bassa (50 chili per abitante all'anno.

VII Rapporto Anci-CONAI: nel 2016 la raccolta differenziata ha interessato il 97,7% dei comuni italiani Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), nel 2016 sono stati ritirate nei punti di raccolta 283.075 tonnellate, con una riduzione dello 0,4% rispetto al 2015. Anche per questa categoria di rifiuti i risultati della raccolta variano sensibilmente sul territorio, sia dal punto di vista dei quantitativi che della composizione: le regioni del Nord-Ovest intercettano il 30% del totale nazionale (la Lombardia, da sola, quasi il 19%).

"Il rapporto - sostiene il delegato Anci ai rifiuti Ivan Stomeo - conferma gli importanti risultati raggiunti, ma ci dà anche la fotografia di un'Italia a due velocità. Un Nord sempre più veloce ed un Sud, invece, molto meno. Da questo quadro bisogna ripartire nello scrivere il nuovo accordo con il Conai. Dobbiamo sforzarci tutti quanti a portare tutte le regioni d'Italia allo stesso livello. Altro tema è il costo del servizio: è necessario potenziare il principio del "chi inquina paga", perché attualmente il costo di gestione degli imballaggi non viene pagato da chi li produce ma dalla collettività, con la Tari. Abbiamo di fronte una bella sfida nello scrivere il nuovo accordo: una sfida in cui le nostre comunità dovranno essere protagoniste".

"La banca dati Anci-Conai - afferma il presidente del Conai Giorgio Quagliuolo - è ormai diventata un punto di riferimento per quanto riguarda i dati di gestione dei rifiuti urbani, in particolare di imballaggio. I dati sulla raccolta differenziata presentati quest'anno confermano la centralità dell'accordo quadro Anci-Conai per i Comuni italiani, in un'ottica di sussidiarietà rispetto al mercato. Per il futuro, consolideremo la nostra collaborazione con Anci, concentrandoci sulle aree con maggiori margini di crescita e dialogando in maniera più diretta con i Comuni".

 "Il rapporto presentato dimostra - afferma il vice presidente di Utilitalia Filippo Brandolini - che quando c'è la volontà si possono raggiungere risultati importanti in materia di raccolta differenziata e di riciclo rifiuti. Questi risultati sono il presupposto migliore per la sfida che ci pone il pacchetto per l'economia circolare. La filiera tra comuni, consorzi e aziende di gestione è un punto di partenza per lo sviluppo industriale del comparto. Sono questi stessi soggetti a poter testimoniare l'effettivo bisogno di impianti industriali e a poter valutare insieme i processi che possono portare alla loro realizzazione"


fonte: www.ecodallecitta.it

Rifiuti, dossier Senato su sussidi dannosi da tagliare

















Il settore dei rifiuti è da considerarsi ad alta priorità nella ipotesi di una della riforma della fiscalità ambientale: riceve infatti alti sussidi dannosi per l'ambiente e ha costi esterni alti (ossia danni che ricadono sull'ambiente)
Il Senato ha pubblicato, nel dicembre 2017, un dossier "Chi inquina, paga? Tasse ambientali e sussidi dannosi per l'ambiente. Ipotesi di riforma alla luce dei costi esterni delle attività economiche in Italia"
Lo studio analizza un progetto di riforma legato alla fiscalità ambientale, ed in particolare viene sottolineato come il Catalogo dei sussidi ambientali dannosi esistono oltre 50 forme di sussidio dannoso per l'ambiente (dove i sussidi sono intesi come incentivi diretti che come sconti o esenzioni fiscali).
La proposta contenuta nello studio è volta a ridurre i sussidi dannosi per l'ambiente, e tra gli altri, il settore dei rifiuti è ad alta priorità, poiche' ha valori medi alti sia per l'intensià di sussidio che di costo esterno (sono quei danni da attività economica o sociale, che ricadono su terzi o sull'ambiente, e che non sono già pagati dalla stessa attività)



fonte: http://www.reteambiente.it

Rifiuti elettronici, tra pochi mesi i Raee da gestire in Italia raddoppieranno?

Cambia la normativa di riferimento: oltre ai grandi e piccoli elettrodomestici, elettronica di consumo, sorgenti luminose e schermi, andranno gestiti – ad esempio – fusibili, chiavette usb, spine, morsettiere e prolunghe

























Basta un tratto di penna per cambiare intere filiere produttive e di gestione post-consumo, cambiamento che rischia di diventare però drammatico in mancanza della necessaria chiarezza da parte del legislatore. La dimostrazione plastica arriva dal cosiddetto “open scope”, una novità introdotta dal Decreto legislativo 49 del 2014 che diventerà però operativa dal 15 agosto 2018: si tratta dell’estensione della normativa Raee – i rifiuti elettrici ed elettronici – ad una serie di altri prodotti prima non inseriti. Di fatto, l’open scope atteso tra pochi mesi estende la definizione di Aee (apparecchiature elettriche ed elettroniche) ad una serie di altri oggetti che finora non erano considerati. Accanto ai grandi e piccoli elettrodomestici, elettronica di consumo, sorgenti luminose e schermi, andranno così ad affiancarsi – ad esempio – fusibili, chiavette usb, spine, morsettiere e prolunghe.
«Parliamo di tutte le apparecchiature elettriche per le quali la legge non prevede una specifica esclusione – spiega Giancarlo Dezio, direttore generale di Ecolight, uno dei maggiori consorzi nazionali per la gestione dei rifiuti elettronici – secondo le prime stime si dovrebbe andare verso un raddoppio dei quantitativi di Aee immessi sul mercato. Il che porterà ad un raddoppio anche dei Raee da gestire. Questo, tenendo presente anche che siamo davanti ad una tipologia di rifiuti che cresce con un tasso maggiore rispetto a tutte le altre».
Più in dettaglio, il campo di applicazione della normativa Raee viene esteso andando a interessare oltre 6.000 nuove aziende, che andrebbero ad aggiungersi alle circa 7.000 già oggi interessate dalla normativa Raee. Il principio alla base è sempre lo stesso: chi inquina paga. Ovvero, produttori, importatori e i distributori di apparecchiature elettriche ed elettroniche sono chiamati a organizzare e finanziare il sistema di raccolta e recupero dei Raee – attraverso i consorzi nazionali dedicati – che derivano dai prodotti immessi sul mercato.
Questo, mentre è necessario tener di conto che l’introduzione dell’open scope si inserisce in un contesto più ampio di novità. «Il nuovo obiettivo europeo per la raccolta dei Raee che prevede entro il 2019 un tasso minimo del 65% del peso medio delle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nei tre anni precedenti, o in alternativa l’85% dei rifiuti elettronici generati, è un traguardo che attende il sistema Italia. Attualmente ci attestiamo poco sopra il 40%: gli sforzi da parte delle imprese, dei consorzi e dei cittadini dovranno quindi essere intensificati per dare un contributo fattivo alla costruzione di una vera economia circolare, come del resto l’Europa ci indica. Sono nuovi impegni che possono trasformarsi anche in opportunità». Per cogliere le quali servono però norme chiare e, è evidente, disponibilità di impianti sul territorio dedicati a concretizzare l’economia circolare.
Il problema è che, tre anni dopo la pubblicazione del Decreto legislativo 49 del 2014, ancora è in corso un dibattito acceso tra le imprese per comprendere chi e cosa sarà interessato dalla normativa. Eppure non si tratta di un cambiamento da poco. «Con l’open scope – aggiunge Dezio – molti altri prodotti una volta giunti a fine vita dovranno seguire un processo di raccolta differenziata e specifiche operazioni di trattamento come previsto per i Raee. Questo comporta per le imprese produttrici di farsi carico della gestione dei rifiuti che ne deriveranno», ma all’interno della norma «ci sono ancora alcuni punti che necessitano dei chiarimenti. Come serve una più dettagliata definizione delle apparecchiature che rientrano nel campo di applicazione. Sono passaggi indispensabili – conclude Dezio – per dare delle risposte alle moltissime aziende che, in vista del prossimo 15 agosto, necessitano di adeguarsi alla normativa».

fonte: www.greenreport.it

Come uscire dal carbone: strumenti e possibili impatti secondo WWF Italia

Misure fiscali come il carbon floor price, la programmazione della chiusura delle centrali, nuove regole per la finanza, sono i tre possibili strumenti indicati da WWF Italia in un suo recente rapporto per l’uscita dall’uso del carbone nel settore elettrico in Italia e in Europa.
















Per ogni kWh di energia elettrica generata con il carbone l’emissione di CO2 è pari a 870 grammi contro i 370 grammi del gas naturale e le “zero emissioni” delle fonti rinnovabili.
Per questo l’utilizzo del carbone non è compatibile con gli obiettivi di contenimento del surriscaldamento globale. Serve allora una uscita a breve da questa fonte a partire dai paesi industrializzati.
È quanto viene affermato in un rapporto presentato nel corso della Cop22 a Marrakech da WWF Italia, dal titolo “Politiche e misure per accelerare la transazione energetica e l’uscita dall’uso del carbone nel settore elettrico”. A dicembre inoltre, sempre a cura di WWF Italia, è stato aggiornato il dossier “Carbone: un ritorno al passato inutile e pericoloso” (entrambi i documenti a fondo pagina).
In particolare il primo studio citato evidenzia come l’utilizzo del carbone in Italia e in Europa sia ancora principalmente determinato dall’andamento dei prezzi dei combustibili fossili e non dalle politiche ambientali europee: il meccanismo dell’Emission Trading non garantisce continuità nella riforma dei sistemi energetici.
A livello continentale oggi si discutono alcuni provvedimenti nazionali da affiancare alla normativa europea per garantire un progressivo abbandono del carbone. Il dibattito ruota intorno a tre possibili strumenti tra loro non alternativi, ma complementari:
  1. L’introduzione di strumenti fiscali per garantire il principio del “chi inquina paga” almeno fino a quando la direttiva ETS non tornerà a dare segnali di prezzo significativi sui mercati.
  2. La programmazione della chiusura delle centrali, il phase out, con le diverse parti sociali, in maniera tale da porre tempi certi per l’uscita dalla generazione a carbone, comunque inevitabile, e garantire un’equa transizione anche per i lavoratori impiegati nelle centrali.
  3. L’introduzione di nuove regole per la finanza.
Lo studio del WWF ha calcolato l’impatto di questi strumenti nel mercato italiano, riservando una particolare attenzione all’introduzione del meccanismo fiscale con un livello minimo di costo delle emissioni di CO2 per gli operatori termoelettrici ed un programma di uscita dalla generazione di energia a carbone entro il 2025.
Analizzando il primo strumento, secondo il rapporto dell’associazione ambientalista, l’introduzione di un meccanismo fiscale con un costo minimo delle emissioni di CO2 (carbon floor price – CFP) di 20 euro a tonnellata di CO2, fino a 30 euro nel 2022, permetterebbe di contenere le emissioni del settore termoelettrico al 2020 dell’8% rispetto ad uno scenario di business as usual e di assicurare maggiori entrate per lo Stato pari in media a 800 milioni di euro l’anno, bilanciando le mancate entrate previste dalla vendita dei diritti di emissioni nell’ambito del meccanismo europeo di Emission Trading.
L’adozione di un meccanismo di tipo carbon floor price, indipendentemente dall’andamento dei valori delle EUA sul mercato europeo, permetterebbe di internalizzare un costo minimo delle emissioni. Inoltre garantirebbe di recuperare risorse economiche nell’ordine dei 6,3 miliardi di euro nello scenario centrale da indirizzare a finanziare la ripresa economica nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica e a sostenere interventi a salvaguardia dei lavoratori nei settori esposti a chiusura per incompatibilità con le politiche ambientali.

Il CFP ha dunque il vantaggio di accumulare le risorse nel breve periodo compensando la perdita di entrate dovuto al crollo del valore delle EUA nel mercato ETS. Nei primi anni il provvedimento avrebbe un impatto paragonabile a circa lo 0,25% delle entrate tributarie nazionali.
Programmare un phase-out dal carbone al 2025 permetterebbe inoltre di consolidare gli obiettivi ambientali nel lungo periodo garantendo un maggiore taglio delle emissioni del 9% al 2030 rispetto allo scenario di business as usual, pur non assicurando da solo i tagli alle emissioni richieste dagli accordi internazionali.
Ci sarebbe così il vantaggio di poter impostare un’equa transizione per i 2500 lavoratori oggi impegnati nelle centrali.
La legislazione nazionale dovrebbe comunque adottare , sul modello della proposta inglese e francese, un provvedimento legislativo per scongiurare l’apertura di nuove centrali. La legislazione italiana permette ancora di richiedere la concessione per la realizzazione di nuove centrali a carbone nonostante l’incompatibilità con gli impegni di mantenere i cambiamenti climatici. L’adozione di un EPS di 450 g CO2/kWh come suggerito in UK, rappresenta la soluzione più efficace e di facile adozione.
Ricordiamo che in Italia, malgrado la crescita nell’ultimo decennio, il carbone ha un peso marginale nella generazione elettrica (poco meno del 14%, dato 2015) e questo è un motivo in più – secondo WWF - per chiudere al più presto questo capitolo e porre con forza la questione della decarbonizzazione in Europa.

Peraltro va sottolineato ancora una volta che in Italia abbiamo una potenza elettrica installata di quasi 117 GW (dato Terna – 2015), ma la punta massima storica della domanda è stata di 60,5 GW (ore 15 del 22 luglio 2015).
Infine, l'ultima proposta inserita nel documento: servirebbe una legislazione al passo con gli impegni di Parigi nella previsione che negli anni prossimi il settore della finanza dovrà affiancare i settori produttivi negli impegni a ridurre le emissioni. L’accordo di Parigi chiede di “rendere i flussi finanziari consistenti con il percorso di riduzione dei gas serra e uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici”.
Il primo passo è quindi l’adozione di una legislazione per la trasparenza nella comunicazione dei dati degli investitori pubblici e privati in merito agli investimenti nei settori maggiormente esposti alle responsabilità di cambiamenti climatici.
Report WWF Italia su carbone:
fonte: www.qualenergia.it