No, in Italia non sta tornando il vuoto a rendere. E vi spieghiamo perché
Allo studio la cauzione per gli imballaggi ...
“Pronti a gestire il vuoto a rendere di qualsiasi oggetto”. Parla Lorenzo Pisoni di Pcup

Gli Stati Uniti non sono famosi per le buone abitudini alimentari e la dieta dell’americano medio è costituita in buona parte da cibo altamente processato e preconfezionato. Secondo un articolo di The New York Times del 2014, la quantità di cibi confezionati che gli americani consumano è del 31 per cento maggiore rispetto a quella di cibo fresco. Oltreoceano, poi, si mangia più spesso in giro e senza sedersi a tavola: si stima che gli americani consumino il 20% dei propri pasti in auto. Spesso si tratta di cibo da asporto preso dal ristorante di quartiere o, come accade sempre più di frequente per via del recente boom delle app di food delivery, di cibo consegnato a domicilio.
È una delle cose che più sorprende noi italiani quando ci ritroviamo a vivere o viaggiare negli Usa: l’onnipresenza del cibo da asporto. Anche la più classica delle cene in famiglia spesso consiste nell’ordinare piatti preparati al ristorante e consegnati a casa dei consumatori in una varietà di contenitori di materiali diversi, dalla plastica al polistirolo, dalla carta all’alluminio.
Pandemia di rifiuti
La pandemia ha peggiorato le cose: The International Solid Waste Association stima che l’emergenza sanitaria abbia fatto aumentare del 250-300% l’utilizzo di plastica monouso e uno dei motivi principali di questo aumento sarebbe la dipendenza dai contenitori usa e getta per alimenti da parte dei ristoranti che, costretti a chiudere al pubblico, potevano offrire solamente asporto o consegna a domicilio.
Tutto ciò produce grossi quantitativi di rifiuti, in particolare rifiuti plastici: secondo National Geographic, gli Stati Uniti usano circa 36 miliardi di utensili usa e getta all’anno. Insomma, ordinare pasti a domicilio equivale a ordinare spazzatura a domicilio. Lo scorso settembre, dopo 6 mesi di pandemia, il critico gastronomico di The Washington Post, Tom Sietsema, ha scritto un articolo in proposito, spiegando di aver conservato tutti i contenitori in cui gli era stato consegnato il cibo nei mesi precedenti e averne accumulati tanti da riempire un bidone da quasi 400 litri.
E, se è vero che molte città stanno progressivamente mettendo fuori legge i contenitori in materiali impossibili da riciclare, come quelli in polistirolo, è anche vero che le percentuali di riciclo sono ancora basse, oltre al fatto che il processo consuma energia. Meglio, quindi, sarebbe eliminare del tutto i contenitori usa e getta. Alcune aziende stanno iniziando ad affrontare il problema proponendo alternative al contenitore monouso, senza dover rinunciare alla comodità del pasto da asporto o consegnato alla porta di casa. Le idee sono tante e diversi sono gli approcci possibili.
Consegne senza peccato
A New York, una città che usa 200 milioni di chili di utensili usa e getta per ristoranti ogni anno, dopo qualche tentativo di programma pilota organizzato da agenzie della città, è nato di recente Deliverzero, un servizio di consegne a domicilio che mette a disposizione dei ristoranti contenitori riutilizzabili che poi lo stesso servizio ritira dalle case dei consumatori all’ordine successivo. In alternativa i clienti possono riportare i contenitori direttamente all’attività commerciale. È il ristorante che si occupa poi di lavare e sanificare i contenitori forniti da Deliverzero, come farebbe con piatti e altri utensili utilizzati all’interno del locale. Questa soluzione è pensata specificamente per New York, una città dove il ricorso alle app di food delivery è enorme e dove nessuno rinuncia facilmente alle comodità.
Con Deliverzero il consumatore usa la app come utilizzerebbe qualsiasi altra app per le consegne e i ristoranti possono scegliere di essere presenti su Deliverzero come su altre app. Il costo del servizio è molto contenuto (considerando anche che fa risparmiare al ristorante il costo dei contenitori usa e getta) e viene calcolato in base all’uso dei contenitori.
Vuoto a rendere
Diverso l’approccio di un’azienda della West Coast: a Portland, GoBox offre la possibilità di prendere in prestito contenitori riutilizzabili, in specifici punti vendita o ristoranti dove il consumatore acquista cibo, per poi restituirli. È poi il servizio stesso ad occuparsi di lavare e sanificare i contenitori che vengono poi distribuiti nuovamente a ristoranti e negozi. L’utente va sulla app solo per prenotare i contenitori, non per ordinare il cibo. Sarà poi il ristoratore che, alla consegna, confezionerà il cibo nei contenitori GoBox anziché in quelli usa e getta. Il servizio funziona con una sottoscrizione mensile che offre diverse opzioni a seconda delle necessità dell’utente.
Ha punti vendita in diverse zone del paese, invece, Just Salad, un’azienda che offre un approccio ancora diverso. Si tratta di una catena di fast food salutari dove il cibo da asporto e quello in consegna viaggiano all’interno di contenitori riutilizzabili. I consumatori ordinano online e poi riconsegnano i contenitori in uno dei punti vendita della catena che si occupa di lavarli e rimetterli in circolo. In questo caso, la possibilità per il consumatore di “fare la cosa giusta” è legata alla scelta di un marchio e di prodotti specifici. Il concetto è lo stesso anche nel caso di Fresh Bowl, che però non è una catena di ristoranti bensì di distributori automatici da cui il consumatore può acquistare insalate e altri cibi freschi in contenitori che poi possono essere restituiti al distributore stesso, guadagnando credito per acquisti successivi. Durante la pandemia, tuttavia, l’azienda ha sospeso il servizio e non è chiaro se riprenderà.
Mercato e regole
Altre aziende stanno sperimentando, a livello locale, soluzioni simili, ma quelli che abbiamo selezionato sono esempi che offrono una panoramica sui diversi possibili approcci al problema. Per evitare che una comodità si trasformi in disastro ambientale, le idee sono tante e diverse, ma per il momento le opzioni a disposizione del pubblico sono ancora limitate, si affidano all’iniziativa privata e lasciano al consumatore la responsabilità di fare la scelta più etica.
Sarà il mercato a decretare quali di questi modelli si diffonderanno, ma una spinta legislativa in questo senso potrebbe fare la differenza. In questo l’Europa sembrerebbe andare in una direzione diversa rispetto all’America, tradizionalmente più portata a farsi influenzare dal mercato che non da regolamentazioni dall’alto. Ma se è vero che nel vecchio continente tendiamo a prendere tutte le cattive abitudini del nuovo, dovremo esplorare anche le soluzioni ai problemi che quelle cattive abitudini generano.
fonte: economiacircolare.com
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Ricarica o riconsegna, in casa o in negozio… Ecco i 4 modelli di sistemi di riuso

Startup, progetti pilota, joint-venture tra piccole realtà innovative e grandi marchi interessati a sperimentare nuovi sistemi. A livello mondiale negli ultimi anni i progetti di riuso del packaging si sono moltiplicati e continuano ad aumentare ed evolversi in direzioni a volte molto diverse. Per mettere ordine tra le diverse opzioni disponibili, la Fondazione Ellen MacArthur (EMAF) ha ideato una classificazione che divide i sistemi di riuso dei contenitori in quattro tipologie, in base a dove si svolge la ricarica o a dove avviene la riconsegna dell’imballaggio vuoto.
Alcuni esempi non certamente esaustivi rispetto alla varietà di iniziative che crescono di settimana in settimana si possono trovare nel rapporto Upstream Innovation: a guide to packaging solutions della Emaf, un database di casi studio consultabile anche online. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le caratteristiche delle quattro diverse tipologie di sistemi.

Si parla di sistemi “refill at home” quando il riempimento avviene a casa, usando ricariche spesso in formula concentrata confezionate da quello che viene definito “parent packaging” (letteralmente un ‘imballaggio genitore’) che si può acquistare online o in negozi fisici. In questo modello, il contenitore è di proprietà dell’utente: è lui a occuparsi del lavaggio e della eventuale igienizzazione. Sono un esempio di questa modalità i diversi prodotti del settore della detergenza per la casa e la cura del corpo che sono stati sviluppati da diverse startup negli ultimi 3-4 anni e più recentemente da multinazionali, come nel caso della linea Cif Refill di Unilever che impiega capsule di prodotto concentrato da sciogliere poi in acqua, oppure ricariche come nel caso dei deodoranti solidi della linea di Humankind. Per l’igiene dei denti ci sono gli esempi della statunitense Bite Toothpaste Bits e della britannica PÄRLA che hanno sviluppato delle pastiglie da usare al posto del dentifricio che possono essere acquistate online come sottoscrizione. In entrambi i casi si riceve un primo vasetto in vetro con la quantità di tavolette che coprono quattro mesi e successivamente le sole tavolette in confezione compostabile tramite servizio postale. Tra le diverse aziende che commercializzano detergenti concentrati con il servizio in abbonamento e con vendita online abbiamo tra le altre: Everdrop, Splosh e Blueland. Quest’ultima, ad esempio, vende contenitori riutilizzabili e tablet da sciogliere in acqua per ottenere detersivi e sapone per le mani: ogni compressa pesa due grammi e permette di ottenere più di mezzo litro di detergente. Lo stesso modello è adottato anche da Replenish, che però ha optato per una formula di concentrato liquido con ricariche che pesano poco più di 100 grammi sufficienti per realizzare sei flaconi di prodotto che vengono agganciate al flacone riutilizzabile con spruzzatore.
Alcuni dei grandi marchi che hanno sviluppato questi prodotti aderiscono anche ad altri modelli di riuso (li vedremo a seguire), che rendono gli stessi prodotti disponibili in negozi fisici (refill on the go) e/o distribuiti da piattaforme online come Loop. Questa piattaforma ha infatti come modello preponderante il “return from home”, ma ha integrato il business con i negozi fisici dei suoi partner del settore retail.
Questo dato fa capire quanto ampio sia il potenziale dei sistemi di riuso nello stimolare la collaborazione tra il mondo produttivo e distributivo tradizionale, nel liberare innovazione in nuovi modelli più circolari di erogazione dei prodotti, e nel contaminare positivamente tutti gli stakeholder per diventare parte del cambiamento verso una maggiore sostenibilità dei consumi.
2. Refill on the go: la ricarica la fai “in trasferta”
Con il sistema “refill on the go” è sempre l’utente a occuparsi del riempimento dei suoi contenitori, ma la ricarica avviene fuori casa, per esempio attraverso erogatori installati nei punti vendita. Qui gli esempi ispirati dalla filosofia Zero Waste sono molti anche in Italia, trattasi di negozi di prodotti sfusi legati sia a catene come Negozio leggero, sia negozi indipendenti che fanno capo alla rete dello sfuso o che sono mappati da Sfusitalia.it. Ma è in Francia che si registra un grande fermento con associazioni multi-stakeholder come la storica Réseau Consigne e Réseau Vrac che da un lustro promuove i modelli di vendita sfusa che sono entrati a pieno titolo nella legislazione francese in quanto tutti gli emendamenti proposti da Réseau Vrac sono stati adottati dall’Assemblea nazionale come parte del disegno di legge sul clima e la resilienza.
Nella grande distribuzione generalista, esperienze molto interessanti si trovano principalmente in Gran Bretagna. Il marchio della grande distribuzione Waitrose ha avviato nel 2019 la sperimentazione Unpacked affiancando ai prodotti confezionati alternative sfuse, sia nel caso di freschi e gastronomia da asporto, sia per vino, birra e detergenti, con prezzi inferiori del 15%. Il progetto è iniziato in un supermercato di Oxford e, secondo quanto riportato sul sito web di Waitrose, coinvolge altri tre punti vendita. I risultati sono stati definiti da subito “fenomenali” dall’insegna: le performance di vendita dei prodotti sfusi registrate nei primi mesi di avvio del progetto sono state maggiori del 68% rispetto agli stessi prodotti confezionati. Dati più aggiornati vedono le vendite di prodotti ricaricabili cresciute in media del 9% in quattro dei suoi negozi Unpacked negli ultimi sei mesi, con le vendite relative a ortofrutta surgelata aumentate di oltre il 50%, le vendite di detergenti cresciuti del 24% mentre per legumi, pasta e cereali la crescita arriva a quasi l’8%.

Nel 2019 anche un’altra insegna britannica, Marks and Spencer, ha avviato il servizio Fill Your Own nel supermercato Hedge End e lo ha poi esteso ad altri due punti vendita. A un anno dall’avvio del progetto, l’azienda ha reso noto che oltre il 30% dei prodotti offerti in versione sfusa stavano vendendo più di quelli imballati. M&S ha appena annunciato l’intenzione di estendere l’iniziativa ad altri otto punti vendita sparsi nel Regno Unito visto il successo del pilota che consentirà ai clienti di acquistare sfuse più di 60 referenze di generi alimentari tra cui pasta, riso, cereali, noci, prodotti da forno e frutta congelata. La mossa supporta l’obiettivo dell’insegna di evitare l’impiego di oltre 300.000 unità di imballaggi monouso nei prossimi 12 mesi.
A questi si aggiunge un terzo progetto in ambito GDO, quello di Asda, che ha avviato una sperimentazione a Leeds a ottobre 2020 con l’obiettivo di capire meglio le tendenze di acquisto di prodotti sfusi ed estendere poi la nuova offerta ad altri punti vendita. Allo scopo di coinvolgere il maggior numero possibile di clienti Asda sta collaborando con diversi marchi che commercializza per trovare più opzioni di acquisto da implementare allo stesso tempo sempre basate sul concetto di ricarica e riuso, interagendo con i suoi clienti in diverse parti del Regno Unito. Sono quattro le nuove aperture previste di negozi che offrono le stesse opportunità di acquisto sfuso del punto vendita di Leeds nei prossimi mesi. In particolare aprirà a York in ottobre con 18 postazioni che offriranno oltre 70 prodotti di marca e a marchio proprio acquistabili con contenitori ricaricabili sia nel settore alimentare che della detergenza. Da quest’anno Asda ha inserito in tutti i suoi punti vendita sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta.
Sempre il modello “refill on the go” comprende progetti di refill avviati anche da insegne di profumerie, come The Body Shop o L’Occitane. Interessanti sono i modelli di joint-venture tra multinazionali e marchi della grande distribuzione, che ospitano erogatori per la ricarica di prodotti sfusi. È il caso degli shampoo Unilever venduti alla spina nei supermercati Walmart in Messico, dei detersivi Henkel nei supermercati Rossmann in Repubblica Ceca oppure dei detergenti We love Nature (Henkel) nei supermercati Kaufland in Germania.
In Francia l’azienda cosmetica CoZie (Cosmétique Objectif Zéro Impact Environnemental ) ha sviluppato un sistema specifico denominato la Dozeuse per erogare prodotti cosmetici sfusi come creme, detergenti e altri prodotti per il viso che consente di acquistare piccole quantità di prodotto.
I diversi prodotti all’interno della macchina erogatrice sono contenuti in sacche sottovuoto che garantiscono una conservazione ottimale impedendo che il prodotto entri in contatto con la macchina, nel rispetto dei più rigorosi standard igienici e di tracciabilità per i prodotti cosmetici.
Con il primo acquisto viene aggiunto al prezzo del prodotto 1,5 euro che corrisponde al prezzo del flaconcino in vetro. Lo stesso importo viene detratto dall’acquisto successivo quando si riporta il contenitore vuoto nei negozi che vendono cosmetici CoZie. I contenitori vengono recuperati e lavati centralmente da CoZie che provvede a ridistribuirli ai punti vendita. Fino ad ora CoZie ha utilizzato le sue macchine solamente per i propri prodotti ma sta integrando la sua offerta con marchi esterni per altri prodotti come shampoo e gel doccia.
Indubbiamente CoZie ha il merito di avere aperto la strada alla vendita sfusa nel settore della cosmetica ed è probabile che altri marchi e prodotti del settore introducano prossimamente una tecnologia simile all’interno dei punti vendita.

Tra le joint venture che hanno coinvolto start up e grandi marchi di prodotti di consumo non si può non citare in termini di innovazione i casi studio delle start up Algramo e Miwa che continuano a perfezionare e implementare il proprio modello di business.
Algramo
Algramo è stata fondata nel 2013 in Cile da José Manuel Moller, con l’obiettivo di abbattere la cosiddetta “tassa sulla povertà” generata dall’alta incidenza del costo degli imballaggi sul prezzo dei prodotti. In alcuni anni erogatori di prodotti di vario tipo, dal riso ai detersivi, sono stati installati in oltre 2000 piccoli supermercati di quartiere. Nel 2018 ha preso il via la partnership con Unilever: accanto agli erogatori alla spina presenti nei negozi fisici, è nato anche un servizio di ricarica a domicilio che avviene prenotando tramite app il passaggio di stazioni di refill itineranti montate su un furgoncino e tre ruote. Ricarica e pagamento avvengono entrambi tramite l’app Algramo che si interfaccia con l’etichetta Rfid di cui il flacone è provvisto. Nel tempo la gamma dei prodotti e le partnership si sono ampliate e oggi tra le collaborazioni ci sono anche quelle con i marchi Colgate e Nestlè.

Miwa
Anche Miwa basa il suo funzionamento sull’internet delle cose: è un sistema di dispenser modulari da cui è possibili rifornirsi attraverso appositi contenitori riutilizzabili provvisti di un’etichetta Rfid che comunica con l’erogatore e la cassa del negozio: non c’è pertanto bisogno di pesare il contenuto o scansionare ulteriormente l’etichetta. L’app consente di pagare, ma fornisce anche informazioni sui prodotti acquistati. Creato nel 2014 nella Repubblica ceca, il sistema oggi è operativo a Praga e in diverse località della Svizzera. A maggio 2020 ha infatti preso il via la partnership con Nestlé, per la commercializzazione di cibo per animali e caffè solubile nei suoi punti vendita elvetici attraverso i dispenser del sistema Miwa. Partito come progetto pilota da tre negozi Nestlè, oggi è attivo in 15 punti vendita. Nestlé sta ora valutando la fattibilità di sfruttare la tecnologia degli erogatori per altre categorie di prodotti, oltre a testare la fattibilità operativa delle soluzioni nei supermercati più grandi lungo la sua catena di approvvigionamento. Miwa fornisce ai produttori (offerta B2B) i suoi contenitori intelligenti riutilizzabili che vengono riempiti per erogare merci sfuse come riso o detersivo per bucato e i moduli o scaffali intelligenti dotati di valvole di rilevamento a controllo elettronico con interfaccia utente. Ai clienti B2C viene offerto un imballaggio riutilizzabile e app corrispondente che collega tutti i moduli del sistema consentendo un riutilizzo in autonomia. Secondo la start up sulla base di una valutazione del ciclo di vita (LCA), la loro soluzione è progettata per ridurre l’impronta ambientale fino al 71% rispetto ai modelli di consumo lineare, utilizzando solo il 10% di materiali di imballaggio rispetto all’impiego monouso e con un 62% in meno di impronta di carbonio.

Tazze e bicchieri da passeggio
Abbiamo poi tutto il settore dei contenitori riutilizzabili dai bicchieri, alle tazze ai contenitori di varie forme e dimensioni che all’estero stanno vivendo un proprio boom negli ultimi 3 anni a partire dai sistemi di tazze riutilizzabili da passeggio (on the go). Ecco qualche iniziativa per rendere l’idea tra quelle attive in Europa che rendono possibile a singoli, aziende e istituzione varie l’utilizzo di tazze riutilizzabili anche in occasioni di eventi. Alcune sono partite con il sistema refill on the go in cui la proprietà del contenitore appartiene al cliente ma integrando anche altre formule a seconda dei clienti se singoli, aziende e istituzioni o organizzatori di eventi.
La catena indipendente di caffetterie Boston Tea Party è stata l’unica nel suo genere a interrompere definitivamente nel 2018 l’utilizzo di monouso e a servire le sue bevande calde e fredde in contenitori riutilizzabili nelle sue 23 caffetterie. I clienti portando la loro tazza ricevono 25 pence di sconto sul prezzo della bevanda e quando la dimenticano possono prenderne una a fronte di una cauzione che recuperano riportandola.
Segue menzione di alcune tra le iniziative in corso che possono includere sia il modello “refill on the go” in cui l’utente rimane proprietario del contenitore che il “return on the go” anche nella modalità del PaaS (Product as a service) dove una società terza gestisce le tazze per conto del rivenditore di bevande che paga una fee per ogni utilizzo della tazza. Nel Regno Unito: CupClub; in Germania: Freiburg Cup, ReCup, CupforCup, FairCup. Seguono altri esempi come : BillieCup (Belgio), Muuse (Singapore), Vessel (California).
Sempre in UK la piattaforma Loop che viene descritta nella sezione dedicata al modello “return from home” ha lanciato un progetto pilota in collaborazione con McDonald per testare l’impiego di tazze riutilizzabili in 6 punti vendita selezionati del Regno Unito allo scopo di ridurre i 2,5 miliardi di tazze di caffè monouso che finiscono in discarica ogni anno. I sei esercizi sono stati selezionati per la loro vicinanza al centro di lavaggio che serve la piattaforma Loop ma l’idea è quella di estenderlo a tutti i 1.300 ristoranti del gruppo del Regno Unito, e si spera anche ai 36.000 a livello globale. Per ovviare al fatto che i clienti dimenticano la propria tazza o non vogliono portarla in borsa dopo l’uso presso i caffè partecipanti della catena si otterrà uno sconto di 20 centesimi su ogni caffè, tè o cioccolata calda chiedendo una tazza riutilizzabile.
I clienti pagano un deposito di 1 sterlina che ricevono indietro, in contanti o come credito su un’app quando restituiscono la tazza. Quest’ultima può essere restituita immediatamente dopo la consumazione oppure in un momento successivo. I punti di consegna che verranno presto implementati includono anche postazioni ospitate nei supermercati della catena Tesco il partner della Gdo di Loop nel Regno Unito.
In Italia
Nel settore dei contenitori intelligenti l’apripista per l’Italia è stato Pcup, un bicchiere termico in silicone praticamente indistruttibile che è stato adottato in diversi eventi sparsi nella penisola. Il bicchiere realizzato in Italia contiene un chip sul fondo che consente di associare il bicchiere all’account dell’applicazione appoggiandolo sul telefono. Una volta che il bicchiere viene interfacciato con l’account è possibile ordinare le bevande da consumare per sé e altri utilizzando il credito caricato sull’app senza code alla cassa e ad accedere ad altre funzioni personalizzabili. I dati raccolti attraverso il bicchiere permettono di quantificare l’usa e getta risparmiato all’ambiente ma anche di acquisire informazioni interessanti per pianificare e progettare servizi mirati alle diverse tipologie di utilizzo tra eventi e applicazioni a locali della movida, ad esempio, ottimizzando i costi e prevenendo sprechi di ogni tipo.
Contenitori da asporto
Nel settore dei contenitori per cibo da asporto – non ancora affollato come il settore delle tazze – ci sono operatori della ristorazione pionieri come Just Salad che iniziò già nel 2006 a mettere a disposizione dei clienti un’alternativa riutilizzabile per l’asporto nei suoi ristoranti a New York. Recentemente ha sviluppato un programma di ordinazione online che prevede un servizio di consegna con ciotole riutilizzabili sia nella formula “return from home” che “return on the go”, che viene spiegata nella seconda parte dell’articolo.
Nella formula “Return on the go” il cliente è tenuto a riportare la ciotola entro due settimane dall’ordine per non incorrere nell’addebito di una piccola fee per ogni giorno in più che passa dal 14° giorno.
Tra le new entry che meritano una speciale menzione abbiamo ShareWare una piattaforma appena lanciata a Vancouver che offre a singoli e aziende la possibilità di aderire tramite un’app per potere usufruire di un servizio di noleggio di contenitori riutilizzabili – sia per cibo che bevande da asporto – che vengono poi recuperati, igienizzati e rimessi in circolazione. L’aspetto interessante del modello di ShareWare sta nel servizio di wash-as-a-service che mettono a disposizione di altre aziende con sede a Vancouver che sono alla ricerca di un partner di lavaggio su scala commerciale per i loro contenitori.
ReCIRCLE è nata nel 2016 in Svizzera come prima impresa sociale specializzata nella fornitura di contenitori riutilizzabili per piatti e bevande da asporto a ristoranti, campus universitari, aziende ed altri soggetti. Al momento è operativa e consolidata in Svizzera e Germania ma con l’ambizione di esportare il modello in altri paesi con alcune iniziative in fase di definizione o in partenza in Estonia, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Italia.
Il sistema basato sul modello product as a service vede gli utilizzatori del servizio pagare una commissione sull’utilizzo dei contenitori scegliendo la tipologia di contratto più congeniale alla loro attività. Anche ReCIRCLE sta passando per una parte dei suoi contenitori a una gestione digitale del deposito tramite la ReCIRCLE APP che permette altre funzioni come accedere alla lista di locali che aderiscono al sistema o aderire a programmi di fidelizzazione.
Per quanto riguarda l’Italia l’iniziativa in collaborazione con ReCIRCLE prevede la creazione di circuiti di riutilizzo dei contenitori in alcune attività di ristorazione (NoPla Take Away) e nei bar (NoPla Drink). Il progetto parte a Milano dove coinvolgerà una quarantina di ristoratori e una ventina di bar.
Per citare qualche caso studio europeo – partendo dalla Germania e Olanda dove c’è particolare fermento – non c’è che l’imbarazzo della scelta. In Germania opera Rebowl, in Olanda abbiamo Ozarka ora in partnership con Deliverzero, PackBack, Swap-box in fase di lancio ad Amsterdam e Deliveroo operativo anche in Belgio.
Come nel caso delle tazze da passeggio queste iniziative che coinvolgono i contenitori da asporto possono operare sia nella formula “refill on the go” che “return from home” .
3. Return from home: il vuoto si ritira a domicilio
Nel caso in cui la ricarica dei contenitori non venga effettuata direttamente dagli utenti, ma siano le aziende a riempirli (soprattutto se serve l’igienizzazione), le alternative sono due, e qui arriviamo al terzo e al quarto modello applicabile ai sistemi di riuso e ricarica degli imballaggi: “return from home” e “return on the go”. In entrambi i casi i contenitori non sono di proprietà degli utenti e vengono caricati di una cauzione che viene riaccreditata ad avvenuta restituzione dei contenitori. Nei sistemi che seguono il modello “return from home”, il contenitore vuoto viene ritirato a domicilio da un’impresa incaricata, per esempio in occasione della consegna di nuovi prodotti, e in molti casi attraverso servizi in abbonamento che consentono una fidelizzazione del cliente e un’ottimizzazione delle operazioni di ritiro e sanificazione degli imballaggi.

Il progetto Loop basa il suo funzionamento su entrambi i modelli dal momento che i clienti della piattaforma possono non muoversi da casa (return from home) oppure rendere i contenitori vuoti presso i punti vendita che fanno parte della rete attraverso apposite reverse vending machine posizionate allo scopo (return on the go). Nonostante sia passato poco più di un anno dal suo lancio nei primi Paesi il sistema, che coinvolge grandi marchi leader dei prodotti di largo consumo, ha già fatto scuola nel suo genere. Si tratta di una piattaforma che permette di acquistare sul proprio shop online più di 500 prodotti dei marchi più noti a livello globale: quando il prodotto è finito, l’imballaggio viene ritirato a casa dell’utente, può essere portato in un punto UPS oppure presso negozi fisici. I contenitori vengono successivamente igienizzati, ricaricato e messi nuovamente in commercio.
Una parte importante del progetto ha riguardato la completa riprogettazione degli imballaggi avvenuta in collaborazione con i diversi marchi. Se l’imballaggio primario dei prodotti è stato ripensato per poter essere sottoposto a numerosi cicli di riuso anche l’imballaggio secondario che contiene i prodotti acquistati ha cambiato pelle: a casa dei destinatari non arriva più una scatola in cartone da smaltire ma una box riutilizzabile, da usare per la restituzione dei contenitori vuoti. L’utente paga una quota di deposito per i contenitori che viene riaccreditata quando vengono restituiti: il credito può essere gestito facilmente tramite app e utilizzato per nuovi acquisti.
Creato dalla società di riciclo Terracycle, Loop ha avviato i primi progetti pilota di commercializzazione di prodotti in imballaggi riutilizzabili nel periodo dello scoppio della pandemia, tra marzo e aprile 2020, a Parigi e New York. Ad oggi sono attive partnership con più di 30 marchi, sia di prodotti di largo consumo come Pantene, Purina, Tide, sia di insegne della grande distribuzione tra cui Tesco in UK, Kroger e Walgreens in USA , Aeon in Giappone e Carrefour in alcune aree della Francia. Il lancio in Canada, Germania e Australia è previsto a metà del 2021, mentre già da ottobre 2020 è stato avviato, a partire dalla Francia, lo sviluppo del progetto con postazioni Loop nei negozi fisici. Anche in Giappone sono 19 i punti vendita dell’insegna Aeon ad ospitare una postazione Loop.

Un esempio che arriva dal Regno Unito è il servizio Club Zero sviluppato dal rivenditore online Abel & Cole che permette ai suoi clienti di acquistare alimenti secchi come cereali, legumi, cioccolato, riso e pasta in semplici contenitori riutilizzabili low cost senza addebito di deposito. I contenitori sono stati disegnati con in mente la funzionalità nel trasporto evitando così che i clienti siano tentati di trattenerli. I contenitori vuoti vengono riconsegnati all’interno di una box riutilizzabile quando ricevono una nuova consegna.
Anche il progetto olandese Pieter Pot, ricalca il modello “return from home”. Si tratta di un circuito che commercializza prodotti alimentari secchi in barattoli e bottiglie di vetro, permettendo agli utenti di riconsegnare quelli vuoti alla consegna dell’ordine successivo: il consumatore paga un deposito che viene riaccreditato una volta che restituisce i vuoti. Al momento il sistema, attivo in alcune zone dei Paesi Bassi, ha 3.000 utenti sta riscuotendo parecchio interesse al punto che conta una lista di attesa di altri 30.000.
4. Return on the go: usa il contenuto e riporta il contenitore
Nel modello “return on the go”, come accennato, i consumatori acquistano un prodotto in un contenitore riutilizzabile che non rimane in loro proprietà ma va restituito presso punti vendita (possono essere più di uno e parte di una rete) o altri luoghi di raccolta anche tramite reverse vending machine (RVM) o distributori automatici inversi.
Qualora assoggettati ad una cauzione, la medesima viene riaccreditata una volta che i contenitori vengono restituiti. I contenitori usati vengono raccolti igienizzati e redistribuiti nei punti vendita al dettaglio o dove avviene la somministrazione dei prodotti che veicolano.
Sono comunque diverse le iniziative “ibride” anche tra quelle accennate in precedenza che non possono essere inserite in una sola categoria in quando permettono più modalità nella resa e gestione dei contenitori che può essere decisa dall’operatore. È sicuramente il caso delle tazze da passeggio che per comodità sono state raccolte nella sezione “refill on the go”.
Esempi nel servizio ristorazione sono Dabbadrop nel Regno Unito e Belgio, Reusabol a Barcellona, Relevo e Vytal che sono attivi in diverse città della in Germania. Quest’ultimo non offre solamente tazze e contenitori nei formati classici per piatti pronti e prodotti di gastronomia ma anche contenitori adatti per l’asporto di pizze e sushi.
Al sistema esistente prima della pandemia si è affiancato un nuovo servizio che prevede anche la consegna e ritiro dei contenitori: Vytal, Reusable Packaging-as-a-Service. Dalla scorsa estate è in essere una collaborazione con Rewe (seconda catena della GDO tedesca per fatturato) per rendere disponibile il riutilizzo dei contenitori nelle postazioni salad bar a libero servizio dell’insegna. Vytal ha posizionato allo scopo delle reverse vending machine (RVM) nei sei punti vendita che partecipano al pilota per ritirare i contenitori puliti e rendere quelli usati da igienizzare con una procedura digitale gestita tramite un’App e la scannerizzazione del QR code che include il pagamento alla cassa. Un’ultima collaborazione raggiunta con Gorillas, un servizio consegna spesa a casa in bici, permette l’impiego dei contenitori riutilizzabili per alcune referenze vendute sfuse dal rivenditore nel negozio fisico.
Un altro esempio per questo modello ancora nella ristorazione è il sistema statunitense OZZI, pensato per garantire un ciclo chiuso per i contenitori per i pasti fuori casa, con macchine per il deposito dei contenitori vuoti e un sistema per il riaccredito della cauzione pagata dal consumatore. Il sistema è pensato sia per ristoranti con pasti da asporto, sia per luoghi pubblici come college, università, mense aziendali, ospedali.

Altri esempi di riutilizzo dei contenitori che ricalcano il vecchio vuoto a rendere delle bottiglie del latte arrivano dalla Germania dove tradizionalmente esiste un sistema di vuoto a rendere di vasetti in vetro utilizzati per gli yogurt da alcune importanti aziende lattiero-casearie in Germania. Recentemente alcune aziende come Bananeira, Unverpackt für Alle e Fairfood hanno aderito al sistema (e all’infrastruttura esistente di recupero e riutilizzo di questi contenitori) impiegandoli per loro prodotti che non richiedono refrigerazione, venduti principalmente nei negozi biologici. I consumatori possono restituire i contenitori vuoti grazie a una rete di distributori automatici inversi (reverse vending machine) presenti nei supermercati, in modo che possano essere riconsegnati ai produttori che li utilizzano e che sono responsabili dell’igienizzazione prima della ricarica.

fonte: economiacircolare.com
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In Cile stop alla plastica monouso, approvata all’unanimità l’ambiziosa e storica legge che vieta polistirolo e usa e getta
Nella prima fase, entro sei mesi dalla pubblicazione ufficiale della legge, sarà vietata la consegna di posate, cannucce, palette e qualsiasi oggetto in polistirolo nei locali.
La lotta alla plastica fa passi in avanti anche in Sudamerica. La legislatura cilena ha approvato all’unanimità una legge sulla regolamentazione della plastica monouso nell’industria alimentare che, secondo i sostenitori, ridurrà i rifiuti di plastica del paese, generati ogni anno da locali come ristoranti, bar, servizio delivery o altri luoghi simili che vendono cibo preparato, di oltre 23.000 tonnellate.L’obiettivo principale del progetto è quello di proteggere l’ambiente e ridurre la generazione di rifiuti di plastica, limitando la consegna di prodotti monouso nei punti vendita alimentari e promuovendo il riutilizzo. La nuova legge introdurrà anche una certificazione per la plastica compostabile, in modo da evitare che questa, senza un’adeguata regolamentazione, finisca per sostituire le normali plastiche nelle discariche e nell’ambiente, comportandosi allo stesso modo e senza biodegradarsi efficacemente.
L’approvazione di questo progetto, sostenuto a tutti i livelli dai parlamentari e dalla società civile, è una pietra miliare nella cura e nella protezione dell’ambiente del Cile”, ha detto la ministra dell’Ambiente cilena Carolina Schmidt.
Il ritorno al vuoto a rendere
Questa legge obbligherà anche i supermercati, i minimarket e i magazzini sia ad offrire opzioni di bevande in contenitori adatti al vuoto a rendere, che a ricevere l’imballaggio del consumatore. Inoltre, per quanto riguarda le bottiglie usa e getta, sarà richiesto di includere nell’etichetta le percentuali di plastica riciclata in Cile.
Non solo, il progetto si concentra anche sull’educazione e sulla trasparenza e chiarezza delle informazioni che devono essere fornite a chi compra. Gli stessi venditori di bevande dovranno sensibilizzare i consumatori sull’importanza della restituzione delle bottiglie, mentre il Ministero dell’Ambiente promuoverà e attuerà programmi di educazione ambientale.
Attivismo e sensibilizzazione
La nuova legge è stata sviluppata con l’aiuto delle organizzazioni no profit Oceana Cile e Plastic Oceans Cile, senza le quali, questa legge probabilmente sarebbe ancora lontana. Nel 2019, i due gruppi hanno presentato un rapporto al parlamento cileno in cui si descriveva nel dettaglio sia il problema dell’inquinamento da plastica che i divieti governativi esistenti. Questo rapporto ha costituito la base per il disegno di legge introdotto nel maggio dello stesso anno.
Dopo più di due anni di lavoro, possiamo celebrare una grande vittoria per l’ambiente, credo fermamente che questa legge sia ambiziosa, ma allo stesso tempo realistica per il Cile in termini di produzione di rifiuti e capacità tecniche per apportare questi cambiamenti”, ha dichiarato Mark Minneboo, direttore esecutivo di Plastic Oceans Cile.
Celebriamo questa grande vittoria grazie alla quale il Cile inizia un percorso per mettersi alle spalle la cultura usa e getta, e dare il passo a un’economia circolare e un pianeta più pulito, con la speranza che il suo esempio contagi presto anche i paesi vicini.
FONTE: Plastic Oceans Cile / Ministero dell’Ambiente Cile / Oceana
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Sistemi di deposito su cauzione: la via obbligata che conviene anche all’Italia

Troppi imballaggi dispersi nell’ambiente e la preoccupazione per l’inquinamento ormai pervasivo da plastica hanno riacceso l’interesse per i sistemi di deposito su cauzione, nei quali chi compra una bevanda in bottiglia o in lattina paga un piccolo extra che gli sarà restituito quando avrà riportato indietro il contenitore. Questa tipologia di raccolta selettiva nota come DRS (Deposit Return System o Scheme) consente di recuperare i contenitori di bevande monouso, ma si può anche applicare ai modelli di riuso e consente in maniera semplice ed efficace di ridurre i rifiuti da imballaggio dispersi nell’ambiente, il cosiddetto littering, e al tempo stesso di immettere i materiali così “salvati” nel ciclo produttivo.
La piccola cauzione, tipicamente tra i 5 e i 25 centesimi di euro, che si applica al prezzo di vendita delle bevande serve a impegnare il consumatore a riportare il contenitore vuoto presso un punto vendita per consentirne il riciclaggio. Una pratica che le persone più grandi d’età ricordano bene: fino agli anni Sessanta del secolo scorso, infatti, anche nel nostro Paese era molto diffuso il vuoto a rendere, applicato alle bottiglie di vetro per latte, acqua minerale ed altre bevande.

Il passaggio al monouso? È a carico della collettività
Questa modalità di commercializzazione a “ciclo chiuso” e senza produzione di rifiuti ha subito un lento e inesorabile declino con l’avvento della bottiglia in PET, il polietilene tereftalato prodotto interamente da petrolio o gas metano, e anche della lattina in alluminio. Con il loro avvento, i produttori di bevande si sono liberati dei costi di gestione del vuoto a rendere. Per recuperare il vetro e gestire tutta la filiera su scala locale, infatti, servivano importanti investimenti finanziari: i magazzini per lo stoccaggio, gli impianti di lavaggio e sanificazione dei vuoti, la rete logistica, i concessionari che producevano per i vari marchi e via dicendo.
È accaduto così che, ricorrendo a imballaggi in plastica o alluminio monouso, i produttori abbiano potuto ampliare il mercato di riferimento (non dovendo più gestire la raccolta localmente) riducendo sia i costi per le infrastrutture appena citate, sia quelli di gestione del fine vita dei propri prodotti. Oneri e onori sono così passati ai governi locali e ai contribuenti dei Paesi in cui le bevande venivano immesse al consumo: da quel momento il costo di ciò che accadeva alla bottiglia o al flacone monouso dopo l’utilizzo non è più stato un problema di chi ne produceva il contenuto, ma è finito a carico della collettività.
Tempo di soluzioni: la responsabilità estesa del produttore
Parallelamente all’allarme legato al cambiamento climatico e all’eccessivo sfruttamento di risorse, si è via via affermato, soprattutto a livello comunitario, il principio della responsabilità estesa del produttore (in sigla inglese Epr, Extended producer responsability), in virtù del quale chi produce e commercializza un bene deve farsi carico dei costi del suo avvio a riciclo. Questo importante cambiamento ha riportato l’attenzione sulle potenzialità dei sistemi cauzionali e non a caso tanti Paesi, in Europa e non solo, hanno iniziato a introdurli.

D’altro canto, non si intravedono all’orizzonte altre soluzioni e strumenti di efficacia comparabile. Dove sono stati adottati, infatti, i DRS hanno dimostrato di riuscire a ridurre, se non prevenire, la dispersione di contenitori di bevande nell’ambiente, a reimmettere in nuovi cicli economici i recipienti senza perdita di risorse preziose e valore economico, creando al contempo occupazione verde. Questi sistemi consentono di raggiungere percentuali di differenziata altrimenti impossibili, dal momento che persino in Paesi con i sistemi di raccolta differenziata più performanti – come nel caso del Giappone e della Svizzera – si superi di poco un tasso di raccolta e riciclo dell’80% per i contenitori di bevande.
Come dicevamo, in Europa sono state le ultime legislazioni europee sui rifiuti a portare alla ribalta i sistemi di deposito su cauzione, e a stemperare, quando non neutralizzare, la storica opposizione da parte dell’industria delle bevande e di altri gruppi di interesse ai sistemi cauzionali. Di fatto sia le direttive sui rifiuti del pacchetto Economia Circolare recentemente recepite dagli Stati membri – in Italia con il decreto legislativo 116 del 2020 – sia quelle in via di recepimento come la direttiva Single-use plastics (nota come direttiva Sup) hanno il potenziale per produrre cambiamenti epocali.
I fattori che favoriscono il passaggio ai sistemi cauzionali
Sono diverse le misure in grado di imprimere una forte spinta verso l’adozione di un DRS anche nel nostro Paese: di seguito elenchiamo quelle più rilevanti.
La novità introdotta nel nostro Paese dal decreto legislativo 116/2020, che riforma i sistemi EPR con lo scopo di rendere i produttori responsabili dal punto di vista finanziario (e a volte anche operativo) del fine vita degli imballaggi. In modo che gli utilizzatori e produttori di imballaggi siano obbligati a coprire i costi di avvio a riciclo dei propri imballaggi nella misura di almeno l’80%. Attualmente invece, con il vigente regime di Responsabilità Condivisa del Produttore che regola l’accordo quadro Anci-Conai, questi costi ricadono per la maggior parte sugli enti locali che si occupano della raccolta differenziata;
L’obbligo di raggiungere obiettivi di riciclaggio più elevati entro il 2030 (il 60% per l’alluminio, l’80% per l’acciaio, il 75% per il vetro e il 55% per gli imballaggi in plastica) con una metodologia di calcolo dei tassi di riciclaggio molto più rigorosa che renderà più difficile gonfiare artificialmente tali numeri;
L’obbligo di una percentuale minima di contenuto riciclato dei contenitori: per le bottiglie in PET il 25% entro il 2025 e per tutti gli imballaggi per bevande in plastica il 30% entro il 2030. In realtà, alcuni marchi già superano queste percentuali di contenuto riciclato ed è presumibile che la possibilità di utilizzare il 100% di PET riciclato, il cosiddetto rPET, nelle bottiglie di plastica a partire da quest’anno contribuisca ad aumentare la richiesta di rPET da parte del mercato;
Il raggiungimento degli obiettivi di raccolta e riciclo per le bottiglie in PET imposti dalla direttiva Sup: il 77% al 2025 e il 90% al 2029 rispetto all’immesso al consumo.
Obiettivo 77% ancora lontano
Le elaborazioni di alcuni addetti del settore visionate da EconomiaCircolare.com indicano un tasso di intercettazione e riciclo nazionale delle bottiglie in PET del 58,29% nel 2019, dato che rende piuttosto improbabile raggiungere il 77%, obiettivo intermedio della direttiva Sup, entro il 2025.
Va detto che questa difficoltà, che accomuna tutti i Paesi europei privi di un sistema di deposito, sarà messa a dura prova dal nuovo metodo di calcolo dei tassi di riciclaggio, che sulla base di stime effettuate in altri Paesi potrebbe ridurre le attuali performance di riciclo in modo significativo. Anche per le bottiglie in PET la stima è di una una riduzione del 10-15%. Un rischio su cui ha acceso i riflettori anche la Corte dei Conti Europea in una sua analisi dello scorso ottobre, stimando una sensibile riduzione del tasso di riciclo medio europeo, dal 42% attuale al 30%.
I vantaggi emersi dalle oltre 40 esperienze esistenti
I sistemi cauzionali per i contenitori di bevande già in vigore da tempo in oltre 40 giurisdizioni a livello internazionale, hanno dimostrato di poter raggiungere maggiori prestazioni a vari livelli rispetto ad altri sistemi di raccolta, completando di fatto i programmi di raccolta domiciliare. Il primo vantaggio per importanza, soprattutto in relazione agli obiettivi di riciclo introdotti dalla SUP per le bottiglie di plastica, è l’alto tasso di intercettazione degli imballaggi, che arriva facilmente a superare il 90% dell’immesso al consumo. In Europa, secondo l’ultimo rapporto della piattaforma Reloop, Global Deposit Book 2020, la media si aggira intorno al 91%.
Tra gli altri vantaggi, è importante rilevare che questo sistema consente di produrre materia riciclata di qualità per realizzare altri contenitori ad uso alimentare, il cosiddetto riciclo bottle to bottle, possibile solo quando i contenitori sono puliti perché raccolti separatamente da altri imballaggi non food-grade (cioè non per beni commestibili). A questo si aggiunge che i sistemi di deposito su cauzione vedono ridurre sensibilmente i costi di gestione dei rifiuti a carico degli enti locali.
Il modo più performante di intercettare i contenitori
I sistemi di deposito su cauzione più performanti operano con il modello Return to Retail, il più diffuso, in cui la restituzione dei contenitori vuoti e il recupero della cauzione avviene presso i rivenditori abitualmente frequentati per fare la spesa. I contenitori vuoti vengono in genere restituiti attraverso dispositivi automatici chiamati Reverse Vending Machines (Rvm) installati presso i supermercati, oppure al personale dei punti di vendita, quando la raccolta è manuale e avviene nei negozi di prossimità con superfici di vendita più ridotte.
Oltre al conferimento del singolo imballaggio, le Rvm più moderne permettono anche restituzioni multiple con sacchi contenenti più imballaggi. I sistemi automatizzati moderni garantiscono standard di convenienza per i consumatori e un’affidabilità elevata, grazie a modalità di riconoscimento ottiche integrate che verificano la tipologia, la forma e il peso dell’imballaggio da ritirare, e ne determinano in tempo reale l’appartenenza o meno al programma di deposito.
I consumatori possono poi recuperare le somme derivanti dalla restituzione delle cauzioni in diverse forme: ricevono indietro i contanti, deducono la cifra dall’importo dello scontrino quando fanno la spesa oppure la possono devolvere a una causa benefica.
Silvia Ricci
fonte: economiacircolare.com
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Vuoto a rendere. come funzionano i sistemi di deposito cauzionale nel mondo
I sistemi di deposito cauzionale o Deposit Return Systems – DRS sono da molti esperti indicati come una soluzione necessaria per tagliare la produzione di rifiuti da packaging monouso, soprattutto nel settore cibo e bevande. Il meccanismo è semplice: si incoraggia il consumatore a riportare la bottiglia o il contenitore vuoti chiedendogli una piccola somma di denaro, che verrà restituita appunto alla riconsegna del packaging. Una soluzione in cui guadagnano tutti, eppure non così semplice da applicare. Ecco dove, nel mondo, sta funzionando.
I sistemi di deposito cauzionale dal 1970 ad oggiNel 1970 nella Colombia Britannica, in Canada, è stato introdotto il primo sistema al mondo di deposito cauzionale obbligatorio per legge per i contenitori monouso di bevande. Al momento dell’acquisto di una bottiglia o lattina, il consumatore paga una cauzione che gli viene resa integralmente quando riporta il contenitore vuoto presso un punto di raccolta. Dopo 50 anni, i Deposit Return Systems (detti anche Deposit Refund schemes, DRS) sono presenti in 46 giurisdizioni, incluse diverse province canadesi, stati australiani, 10 stati federali negli Stati Uniti, 10 paesi europei, Israele e alcuni stati dei Caraibi e includono contenitori monouso in plastica, vetro, metallo. Altri 15 paesi hanno annunciato l’intenzione di introdurli nelle loro giurisdizioni entro il 2023.
Secondo il rapporto Global Deposit Book pubblicato a dicembre 2020 dal think tank di Bruxelles Reloop Platform, quando i DRS saranno attivi anche in questi paesi, circa mezzo miliardo di persone nei paesi più sviluppati del mondo avrà accesso al sistema di deposito con cauzione per contenitori per bevande in plastica, vetro o metallo.
Europa: il primato della Lituania e il ritardo dell’Italia
In Europa, il primo sistema di deposito cauzionale è stato introdotto in Svezia nel 1984, mentre il sistema adottato dalla Lituania nel 2016, è considerato uno dei migliori al mondo, avendo consentito di recuperare il 70% dei contenitori di bevande nel primo anno di attività e il 90% nel secondo. Oltre ai 10 paesi dove il sistema di deposito cauzionale è già attivo, in 12 paesi sono già state votate delle leggi per introdurre il deposito nel 2022 o 2023, e in 9 paesi sono in corso discussioni per decidere quale tipo di sistema di deposito adottare e come organizzarlo. Solo la Repubblica Ceca, la Bulgaria e l’Italia non hanno ancora cominciato una discussione riguardo all’introduzione dei sistemi di deposito nel loro territorio.
Più caro è il deposito, maggiore il tasso di ritorno
Confrontando i vari sistemi di deposito attivi, il Global Deposit Book indica che più caro è il deposito, maggiore sono i tassi di raccolta: con un deposito di meno di 7 centesimi di dollaro americano per contenitore il tasso medio di ritorno è del 68%, che sale all’81% con deposito tra 7 e 9, 9 centesimi di dollaro, e all’88% con deposito minimo tra 10 e 15 centesimi di dollaro. In Europa ci sono alcuni dei programmi più virtuosi al mondo, con 94% di tasso di ritorno con un deposito di 15 centesimi di dollaro americano o più.
Il sistema di raccolta dei contenitori usati è un altro fattore decisivo per il successo dei sistemi DRS. In Europa quasi tutti i sistemi di raccolta sono sistemi con ritorno al venditore (return-to-retail). In questo modello i venditori di bevande sono legalmente responsabili per il recupero dei contenitori vuoti, che saranno poi inviati a riciclo o riutilizzati. Il sistema alternativo è quello del return- to-depot, più diffuso negli Stati Uniti e in Canada e presente in Europa solo in Islanda, che prevede che i contenitori vuoti siano portati dai consumatori presso un centro di raccolta.
L’analisi di Reloop Platform mostra che il tasso medio di raccolta per il sistema return-to-retail è dell’89%, mentre quello del sistema return-to-depot dell’81%. Secondo gli autori, il sistema con ritorno al venditore funziona meglio perché più comodo per i consumatori e più vantaggioso per i venditori. Questi ultimi vedono un incremento delle visite dei consumatori presso il loro il punto vendita al momento della restituzione dei contenitori, ricevono una commissione di gestione dei contenitori vuoti restituiti (handling fee), e inoltre la partecipazione al sistema di deposito li aiuta a costruire una migliore immagine aziendale.
Tutti gli attori del sistema di deposito cauzionale
Oltre alla differenza tra il modello return-to-retail e return-to-depot, i sistemi di deposito possono differire per molti altri aspetti organizzativi, tra cui anche i costi sostenuti dai vari attori del sistema e il coinvolgimento o meno delle municipalità nella gestione del sistema stesso, come indicato nel rapporto Extended Producer Responsability for Packaging and Paper Products pubblicato nel marzo 2020 dal Product Stewardship Institute.
Secondo Reloop Platform il modello che funziona meglio è quello di un sistema di deposito amministrato centralmente con ritorno al venditore, dove l’operatore (o amministratore) del sistema è un’organizzazione senza scopo di lucro composta da vari stakeholders. Questo amministratore è responsabile della gestione del deposito e non ci sono costi per le municipalità.
In questo modello ci sono quattro attori principali: il consumatore, il venditore, il produttore di bevande, e l’operatore di sistema. Ci sono inoltre quattro flussi di denaro principali: il flusso del deposito, che passa di mano in mano tra i vari attori e che è sempre rimborsabile integralmente; il contributo EPR pagato dal produttore all’operatore di sistema, che poi lo versa al venditore come commissione di gestione dei contenitori vuoti; il denaro ricavato dalla vendita delle materie raccolte che l’operatore di sistema vende sul mercato e che usa sostenere i costi di amministrazione; i depositi non riscattati, che sono disponibili quando il consumatore non riporta indietro i vuoti e che sono utilizzati dall’operatore di sistema per azioni di sensibilizzazione (l’operatore del sistema può conoscere il numero dei depositi non restituiti, anche senza conoscere il numero dei contenitori venduti, grazie al codice a barre presente sui contenitori e che contiene informazioni sulla marca, il volume della bottiglia, la composizione del materiale e il valore del deposito).
Il recupero automatico dei vuoti: le Reverse Vending Machine
I consumatori riportano i vuoti al venditore, che può raccoglierli manualmente alla cassa, oppure può installare delle macchine per il recupero automatico dei vuoti (Reverse Vending Machines, RVM). Le RVM consentono di automatizzare la raccolta e la suddivisione degli imballaggi secondo i materiali di cui sono composti. Alcune di esse possono anche compattare il materiale per fargli occupare meno spazio. TOMRA, fondata in un piccolo paese della Norvegia nel 1972, è leader mondiale delle RVM, essendo presente con 82mila macchine per il recupero automatico dei vuoti in 50mila negozi di 40 paesi. “Le nostre macchine sono presenti in tutti i paesi con i risultati migliori in termini di raccolta” spiega a Materia Rinnovabile Filippo Montalbetti, vice presidente dell’ufficio rapporti governativi di TOMRA in Europa Centrale.

Una reverse vending machine di TOMRA
“TOMRA è presente in Europa, Usa, Canada e Australia, ma non siamo presenti in paesi in sviluppo o in transizione - spiega Montalbetti - Al fine di raggiungere un sistema di deposito efficiente, è fondamentale che ci sia una una legge che impone il deposito, degli obiettivi di raccolta precisi, e delle sanzioni in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi”. I sistemi incentivanti – aggiunge - come i buoni sconto o i buoni spesa funzionano solo nel breve periodo, ma non consentono di costruire un businness plan sul lungo periodo.
TOMRA, quindi, guarda con interesse ai paesi che implementano una legge che impone il deposito. In quel caso i distributori di bevande, cioè i supermercati, comprano la tecnologia per le RVM. TOMRA propone vari tipi di macchine, che variano nelle dimensioni, nella capacità di separare materiali diversi, e nella possibilità di compattarli o meno. Secondo le dimensioni del negozio e il tipo di attività svolta, il venditore può scegliere se acquistare le RVM, oppure prenderle a noleggio e in quel caso TOMRA trattiene una piccola somma per ogni imballaggio raccolto. Montalbetti spiega che con la tecnologia attuale è possibile raccogliere tutti i tipi di materiali, anche il tetrapak per il quale oggi non esiste in Europa nessun paese che ne obblighi il ritiro per legge tramite un sistema di deposito. Le RVM possono rendere il deposito al consumatore che riporta i vuoti anche in maniera digitale, un’opzione utile per limitare i contatti durante la pandemia COVID-19.
Servono sistemi di deposito cauzionale non solo per le bevande
Un’analisi della Corte dei Conti Europea indica che l’introduzione, obbligatoria per legge, di depositi cauzionali per contenitori di bevande in PET in ogni paese europeo potrebbe essere uno strumento indispensabile per raggiungere gli obiettivi minimi di raccolta (77% al 2025 e 90% entro il 2029) previsti dalla direttiva sulle plastiche monouso (SUP).
Secondo l’associazione Zero Waste Europe, i sistemi di deposito cauzionale obbligatori per legge dovrebbero essere applicati a tutti i tipi di materiali (plastica, vetro, alluminio, etc.) e non limitarsi ai contenitori per bevande, ma includere anche le tazze per il caffè e i contenitori per il cibo.
Nel maggio 2020 la Corea del Sud ha introdotto un sistema di deposito per tazze da caffè e contenitori per cibo da asporto. Secondo quanto riportato in un articolo del Korea Herald, il deposito cauzionale dovrebbe entrare in vigore nel 2022, e per il ministero dell’ambiente coreano la nuova legge aiuterà anche a ridurre le emissioni di CO2 del 66%, rappresentando dunque un contributo importante alla mitigazione al cambiamento climatico. Sempre quanto riportato da Korea Herald, il piano dovrebbe corrispondere a 36 milioni di dollari l’anno, e gli inconvenienti per i consumatori sarebbero ridotti perché il ministero parlerà con produttori e distributori per far sì che le tazze possano essere riconsegnate in tutto il paese.
Buon senso: quando il riuso dei contenitori funziona senza leggi
In India non esiste una legge sul deposito cauzionale, ma esiste il Dabbawala: un sistema di consegna e restituzione di pranzi da asporto che offre pranzi caldi da case e ristoranti alle persone che lavorano. Il Dabbawala è diffuso soprattutto a Mumbai, dove ogni giorno più 200mila pasti da asporto sono serviti nei tipici portavivande di acciaio o alluminio detti tiffin boxes o dabba che sono poi raccolti, lavati e riconsegnati alla sera alle case e ristoranti che li riutilizzano il giorno seguente. Secondo uno studio della Harvard University l’organizzazione Dabbawala raggiunge prestazioni di servizio molto elevate con un sistema operativo a basso costo e molto semplice. Un sistema che funziona così bene che anche FedEx, una delle principali società di logistica internazionale, sarebbe andata a Mumbai per studiare il sistema Dabbawala.
Ma il Dabbawala funziona perché i dabba non sono fatti di materiali di scarso valore progettati come usa-e-getta. I dabba sono concepiti con buonsenso, nell’ottica dell’economia circolare.
fonte: www.renewablematter.eu
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