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Ricarica o riconsegna, in casa o in negozio… Ecco i 4 modelli di sistemi di riuso

Dai singoli prodotti venduti senza imballaggi – riso, pasta, cereali, frutta secca, detersivi ma anche dentifrici e cosmetici – ai sistemi di riuso che si diffondono in Europa, Usa, Giappone. Dal coinvolgimento della grande distribuzione fino alle start up. I sistemi di riuso, per ridurre gli imballaggi e riutilizzare quelli necessari, non sono più esperienze di nicchia ma avanguardie di un modo diverso di pensare i prodotti, i modelli di business e di consumo



Startup, progetti pilota, joint-venture tra piccole realtà innovative e grandi marchi interessati a sperimentare nuovi sistemi. A livello mondiale negli ultimi anni i progetti di riuso del packaging si sono moltiplicati e continuano ad aumentare ed evolversi in direzioni a volte molto diverse. Per mettere ordine tra le diverse opzioni disponibili, la Fondazione Ellen MacArthur (EMAF) ha ideato una classificazione che divide i sistemi di riuso dei contenitori in quattro tipologie, in base a dove si svolge la ricarica o a dove avviene la riconsegna dell’imballaggio vuoto.

Alcuni esempi non certamente esaustivi rispetto alla varietà di iniziative che crescono di settimana in settimana si possono trovare nel rapporto Upstream Innovation: a guide to packaging solutions della Emaf, un database di casi studio consultabile anche online. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le caratteristiche delle quattro diverse tipologie di sistemi.



1. Refill at home: la ricarica a casa tua

Si parla di sistemi “refill at home” quando il riempimento avviene a casa, usando ricariche spesso in formula concentrata confezionate da quello che viene definito “parent packaging” (letteralmente un ‘imballaggio genitore’) che si può acquistare online o in negozi fisici. In questo modello, il contenitore è di proprietà dell’utente: è lui a occuparsi del lavaggio e della eventuale igienizzazione. Sono un esempio di questa modalità i diversi prodotti del settore della detergenza per la casa e la cura del corpo che sono stati sviluppati da diverse startup negli ultimi 3-4 anni e più recentemente da multinazionali, come nel caso della linea Cif Refill di Unilever che impiega capsule di prodotto concentrato da sciogliere poi in acqua, oppure ricariche come nel caso dei deodoranti solidi della linea di Humankind. Per l’igiene dei denti ci sono gli esempi della statunitense Bite Toothpaste Bits e della britannica PÄRLA che hanno sviluppato delle pastiglie da usare al posto del dentifricio che possono essere acquistate online come sottoscrizione. In entrambi i casi si riceve un primo vasetto in vetro con la quantità di tavolette che coprono quattro mesi e successivamente le sole tavolette in confezione compostabile tramite servizio postale. Tra le diverse aziende che commercializzano detergenti concentrati con il servizio in abbonamento e con vendita online abbiamo tra le altre: Everdrop, Splosh e Blueland. Quest’ultima, ad esempio, vende contenitori riutilizzabili e tablet da sciogliere in acqua per ottenere detersivi e sapone per le mani: ogni compressa pesa due grammi e permette di ottenere più di mezzo litro di detergente. Lo stesso modello è adottato anche da Replenish, che però ha optato per una formula di concentrato liquido con ricariche che pesano poco più di 100 grammi sufficienti per realizzare sei flaconi di prodotto che vengono agganciate al flacone riutilizzabile con spruzzatore.
Alcuni dei grandi marchi che hanno sviluppato questi prodotti aderiscono anche ad altri modelli di riuso (li vedremo a seguire), che rendono gli stessi prodotti disponibili in negozi fisici (refill on the go) e/o distribuiti da piattaforme online come Loop. Questa piattaforma ha infatti come modello preponderante il “return from home”, ma ha integrato il business con i negozi fisici dei suoi partner del settore retail.

Questo dato fa capire quanto ampio sia il potenziale dei sistemi di riuso nello stimolare la collaborazione tra il mondo produttivo e distributivo tradizionale, nel liberare innovazione in nuovi modelli più circolari di erogazione dei prodotti, e nel contaminare positivamente tutti gli stakeholder per diventare parte del cambiamento verso una maggiore sostenibilità dei consumi.

2. Refill on the go: la ricarica la fai “in trasferta”

Con il sistema “refill on the go” è sempre l’utente a occuparsi del riempimento dei suoi contenitori, ma la ricarica avviene fuori casa, per esempio attraverso erogatori installati nei punti vendita. Qui gli esempi ispirati dalla filosofia Zero Waste sono molti anche in Italia, trattasi di negozi di prodotti sfusi legati sia a catene come Negozio leggero, sia negozi indipendenti che fanno capo alla rete dello sfuso o che sono mappati da Sfusitalia.it. Ma è in Francia che si registra un grande fermento con associazioni multi-stakeholder come la storica Réseau Consigne e Réseau Vrac che da un lustro promuove i modelli di vendita sfusa che sono entrati a pieno titolo nella legislazione francese in quanto tutti gli emendamenti proposti da Réseau Vrac sono stati adottati dall’Assemblea nazionale come parte del disegno di legge sul clima e la resilienza.

Nella grande distribuzione generalista, esperienze molto interessanti si trovano principalmente in Gran Bretagna. Il marchio della grande distribuzione Waitrose ha avviato nel 2019 la sperimentazione Unpacked affiancando ai prodotti confezionati alternative sfuse, sia nel caso di freschi e gastronomia da asporto, sia per vino, birra e detergenti, con prezzi inferiori del 15%. Il progetto è iniziato in un supermercato di Oxford e, secondo quanto riportato sul sito web di Waitrose, coinvolge altri tre punti vendita. I risultati sono stati definiti da subito “fenomenali” dall’insegna: le performance di vendita dei prodotti sfusi registrate nei primi mesi di avvio del progetto sono state maggiori del 68% rispetto agli stessi prodotti confezionati. Dati più aggiornati vedono le vendite di prodotti ricaricabili cresciute in media del 9% in quattro dei suoi negozi Unpacked negli ultimi sei mesi, con le vendite relative a ortofrutta surgelata aumentate di oltre il 50%, le vendite di detergenti cresciuti del 24% mentre per legumi, pasta e cereali la crescita arriva a quasi l’8%.



Nel 2019 anche un’altra insegna britannica, Marks and Spencer, ha avviato il servizio Fill Your Own nel supermercato Hedge End e lo ha poi esteso ad altri due punti vendita. A un anno dall’avvio del progetto, l’azienda ha reso noto che oltre il 30% dei prodotti offerti in versione sfusa stavano vendendo più di quelli imballati. M&S ha appena annunciato l’intenzione di estendere l’iniziativa ad altri otto punti vendita sparsi nel Regno Unito visto il successo del pilota che consentirà ai clienti di acquistare sfuse più di 60 referenze di generi alimentari tra cui pasta, riso, cereali, noci, prodotti da forno e frutta congelata. La mossa supporta l’obiettivo dell’insegna di evitare l’impiego di oltre 300.000 unità di imballaggi monouso nei prossimi 12 mesi.

A questi si aggiunge un terzo progetto in ambito GDO, quello di Asda, che ha avviato una sperimentazione a Leeds a ottobre 2020 con l’obiettivo di capire meglio le tendenze di acquisto di prodotti sfusi ed estendere poi la nuova offerta ad altri punti vendita. Allo scopo di coinvolgere il maggior numero possibile di clienti Asda sta collaborando con diversi marchi che commercializza per trovare più opzioni di acquisto da implementare allo stesso tempo sempre basate sul concetto di ricarica e riuso, interagendo con i suoi clienti in diverse parti del Regno Unito. Sono quattro le nuove aperture previste di negozi che offrono le stesse opportunità di acquisto sfuso del punto vendita di Leeds nei prossimi mesi. In particolare aprirà a York in ottobre con 18 postazioni che offriranno oltre 70 prodotti di marca e a marchio proprio acquistabili con contenitori ricaricabili sia nel settore alimentare che della detergenza. Da quest’anno Asda ha inserito in tutti i suoi punti vendita sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta.

Sempre il modello “refill on the go” comprende progetti di refill avviati anche da insegne di profumerie, come The Body Shop o L’Occitane. Interessanti sono i modelli di joint-venture tra multinazionali e marchi della grande distribuzione, che ospitano erogatori per la ricarica di prodotti sfusi. È il caso degli shampoo Unilever venduti alla spina nei supermercati Walmart in Messico, dei detersivi Henkel nei supermercati Rossmann in Repubblica Ceca oppure dei detergenti We love Nature (Henkel) nei supermercati Kaufland in Germania.

In Francia l’azienda cosmetica CoZie (Cosmétique Objectif Zéro Impact Environnemental ) ha sviluppato un sistema specifico denominato la Dozeuse per erogare prodotti cosmetici sfusi come creme, detergenti e altri prodotti per il viso che consente di acquistare piccole quantità di prodotto.

I diversi prodotti all’interno della macchina erogatrice sono contenuti in sacche sottovuoto che garantiscono una conservazione ottimale impedendo che il prodotto entri in contatto con la macchina, nel rispetto dei più rigorosi standard igienici e di tracciabilità per i prodotti cosmetici.

Con il primo acquisto viene aggiunto al prezzo del prodotto 1,5 euro che corrisponde al prezzo del flaconcino in vetro. Lo stesso importo viene detratto dall’acquisto successivo quando si riporta il contenitore vuoto nei negozi che vendono cosmetici CoZie. I contenitori vengono recuperati e lavati centralmente da CoZie che provvede a ridistribuirli ai punti vendita. Fino ad ora CoZie ha utilizzato le sue macchine solamente per i propri prodotti ma sta integrando la sua offerta con marchi esterni per altri prodotti come shampoo e gel doccia.

Indubbiamente CoZie ha il merito di avere aperto la strada alla vendita sfusa nel settore della cosmetica ed è probabile che altri marchi e prodotti del settore introducano prossimamente una tecnologia simile all’interno dei punti vendita.



Tra le joint venture che hanno coinvolto start up e grandi marchi di prodotti di consumo non si può non citare in termini di innovazione i casi studio delle start up Algramo e Miwa che continuano a perfezionare e implementare il proprio modello di business.

Algramo

Algramo è stata fondata nel 2013 in Cile da José Manuel Moller, con l’obiettivo di abbattere la cosiddetta “tassa sulla povertà” generata dall’alta incidenza del costo degli imballaggi sul prezzo dei prodotti. In alcuni anni erogatori di prodotti di vario tipo, dal riso ai detersivi, sono stati installati in oltre 2000 piccoli supermercati di quartiere. Nel 2018 ha preso il via la partnership con Unilever: accanto agli erogatori alla spina presenti nei negozi fisici, è nato anche un servizio di ricarica a domicilio che avviene prenotando tramite app il passaggio di stazioni di refill itineranti montate su un furgoncino e tre ruote. Ricarica e pagamento avvengono entrambi tramite l’app Algramo che si interfaccia con l’etichetta Rfid di cui il flacone è provvisto. Nel tempo la gamma dei prodotti e le partnership si sono ampliate e oggi tra le collaborazioni ci sono anche quelle con i marchi Colgate e Nestlè.


Miwa

Anche Miwa basa il suo funzionamento sull’internet delle cose: è un sistema di dispenser modulari da cui è possibili rifornirsi attraverso appositi contenitori riutilizzabili provvisti di un’etichetta Rfid che comunica con l’erogatore e la cassa del negozio: non c’è pertanto bisogno di pesare il contenuto o scansionare ulteriormente l’etichetta. L’app consente di pagare, ma fornisce anche informazioni sui prodotti acquistati. Creato nel 2014 nella Repubblica ceca, il sistema oggi è operativo a Praga e in diverse località della Svizzera. A maggio 2020 ha infatti preso il via la partnership con Nestlé, per la commercializzazione di cibo per animali e caffè solubile nei suoi punti vendita elvetici attraverso i dispenser del sistema Miwa. Partito come progetto pilota da tre negozi Nestlè, oggi è attivo in 15 punti vendita. Nestlé sta ora valutando la fattibilità di sfruttare la tecnologia degli erogatori per altre categorie di prodotti, oltre a testare la fattibilità operativa delle soluzioni nei supermercati più grandi lungo la sua catena di approvvigionamento. Miwa fornisce ai produttori (offerta B2B) i suoi contenitori intelligenti riutilizzabili che vengono riempiti per erogare merci sfuse come riso o detersivo per bucato e i moduli o scaffali intelligenti dotati di valvole di rilevamento a controllo elettronico con interfaccia utente. Ai clienti B2C viene offerto un imballaggio riutilizzabile e app corrispondente che collega tutti i moduli del sistema consentendo un riutilizzo in autonomia. Secondo la start up sulla base di una valutazione del ciclo di vita (LCA), la loro soluzione è progettata per ridurre l’impronta ambientale fino al 71% rispetto ai modelli di consumo lineare, utilizzando solo il 10% di materiali di imballaggio rispetto all’impiego monouso e con un 62% in meno di impronta di carbonio.



Tazze e bicchieri da passeggio

Abbiamo poi tutto il settore dei contenitori riutilizzabili dai bicchieri, alle tazze ai contenitori di varie forme e dimensioni che all’estero stanno vivendo un proprio boom negli ultimi 3 anni a partire dai sistemi di tazze riutilizzabili da passeggio (on the go). Ecco qualche iniziativa per rendere l’idea tra quelle attive in Europa che rendono possibile a singoli, aziende e istituzione varie l’utilizzo di tazze riutilizzabili anche in occasioni di eventi. Alcune sono partite con il sistema refill on the go in cui la proprietà del contenitore appartiene al cliente ma integrando anche altre formule a seconda dei clienti se singoli, aziende e istituzioni o organizzatori di eventi.

La catena indipendente di caffetterie Boston Tea Party è stata l’unica nel suo genere a interrompere definitivamente nel 2018 l’utilizzo di monouso e a servire le sue bevande calde e fredde in contenitori riutilizzabili nelle sue 23 caffetterie. I clienti portando la loro tazza ricevono 25 pence di sconto sul prezzo della bevanda e quando la dimenticano possono prenderne una a fronte di una cauzione che recuperano riportandola.

Segue menzione di alcune tra le iniziative in corso che possono includere sia il modello “refill on the go” in cui l’utente rimane proprietario del contenitore che il “return on the go” anche nella modalità del PaaS (Product as a service) dove una società terza gestisce le tazze per conto del rivenditore di bevande che paga una fee per ogni utilizzo della tazza. Nel Regno Unito: CupClub; in Germania: Freiburg Cup, ReCup, CupforCup, FairCup. Seguono altri esempi come : BillieCup (Belgio), Muuse (Singapore), Vessel (California).

Sempre in UK la piattaforma Loop che viene descritta nella sezione dedicata al modello “return from home” ha lanciato un progetto pilota in collaborazione con McDonald per testare l’impiego di tazze riutilizzabili in 6 punti vendita selezionati del Regno Unito allo scopo di ridurre i 2,5 miliardi di tazze di caffè monouso che finiscono in discarica ogni anno. I sei esercizi sono stati selezionati per la loro vicinanza al centro di lavaggio che serve la piattaforma Loop ma l’idea è quella di estenderlo a tutti i 1.300 ristoranti del gruppo del Regno Unito, e si spera anche ai 36.000 a livello globale. Per ovviare al fatto che i clienti dimenticano la propria tazza o non vogliono portarla in borsa dopo l’uso presso i caffè partecipanti della catena si otterrà uno sconto di 20 centesimi su ogni caffè, tè o cioccolata calda chiedendo una tazza riutilizzabile.

I clienti pagano un deposito di 1 sterlina che ricevono indietro, in contanti o come credito su un’app quando restituiscono la tazza. Quest’ultima può essere restituita immediatamente dopo la consumazione oppure in un momento successivo. I punti di consegna che verranno presto implementati includono anche postazioni ospitate nei supermercati della catena Tesco il partner della Gdo di Loop nel Regno Unito.

In Italia

Nel settore dei contenitori intelligenti l’apripista per l’Italia è stato Pcup, un bicchiere termico in silicone praticamente indistruttibile che è stato adottato in diversi eventi sparsi nella penisola. Il bicchiere realizzato in Italia contiene un chip sul fondo che consente di associare il bicchiere all’account dell’applicazione appoggiandolo sul telefono. Una volta che il bicchiere viene interfacciato con l’account è possibile ordinare le bevande da consumare per sé e altri utilizzando il credito caricato sull’app senza code alla cassa e ad accedere ad altre funzioni personalizzabili. I dati raccolti attraverso il bicchiere permettono di quantificare l’usa e getta risparmiato all’ambiente ma anche di acquisire informazioni interessanti per pianificare e progettare servizi mirati alle diverse tipologie di utilizzo tra eventi e applicazioni a locali della movida, ad esempio, ottimizzando i costi e prevenendo sprechi di ogni tipo.

Contenitori da asporto

Nel settore dei contenitori per cibo da asporto – non ancora affollato come il settore delle tazze – ci sono operatori della ristorazione pionieri come Just Salad che iniziò già nel 2006 a mettere a disposizione dei clienti un’alternativa riutilizzabile per l’asporto nei suoi ristoranti a New York. Recentemente ha sviluppato un programma di ordinazione online che prevede un servizio di consegna con ciotole riutilizzabili sia nella formula “return from home” che “return on the go”, che viene spiegata nella seconda parte dell’articolo.

Nella formula “Return on the go” il cliente è tenuto a riportare la ciotola entro due settimane dall’ordine per non incorrere nell’addebito di una piccola fee per ogni giorno in più che passa dal 14° giorno.

Tra le new entry che meritano una speciale menzione abbiamo ShareWare una piattaforma appena lanciata a Vancouver che offre a singoli e aziende la possibilità di aderire tramite un’app per potere usufruire di un servizio di noleggio di contenitori riutilizzabili – sia per cibo che bevande da asporto – che vengono poi recuperati, igienizzati e rimessi in circolazione. L’aspetto interessante del modello di ShareWare sta nel servizio di wash-as-a-service che mettono a disposizione di altre aziende con sede a Vancouver che sono alla ricerca di un partner di lavaggio su scala commerciale per i loro contenitori.

ReCIRCLE è nata nel 2016 in Svizzera come prima impresa sociale specializzata nella fornitura di contenitori riutilizzabili per piatti e bevande da asporto a ristoranti, campus universitari, aziende ed altri soggetti. Al momento è operativa e consolidata in Svizzera e Germania ma con l’ambizione di esportare il modello in altri paesi con alcune iniziative in fase di definizione o in partenza in Estonia, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Italia.

Il sistema basato sul modello product as a service vede gli utilizzatori del servizio pagare una commissione sull’utilizzo dei contenitori scegliendo la tipologia di contratto più congeniale alla loro attività. Anche ReCIRCLE sta passando per una parte dei suoi contenitori a una gestione digitale del deposito tramite la ReCIRCLE APP che permette altre funzioni come accedere alla lista di locali che aderiscono al sistema o aderire a programmi di fidelizzazione.

Per quanto riguarda l’Italia l’iniziativa in collaborazione con ReCIRCLE prevede la creazione di circuiti di riutilizzo dei contenitori in alcune attività di ristorazione (NoPla Take Away) e nei bar (NoPla Drink). Il progetto parte a Milano dove coinvolgerà una quarantina di ristoratori e una ventina di bar.

Per citare qualche caso studio europeo – partendo dalla Germania e Olanda dove c’è particolare fermento – non c’è che l’imbarazzo della scelta. In Germania opera Rebowl, in Olanda abbiamo Ozarka ora in partnership con Deliverzero, PackBack, Swap-box in fase di lancio ad Amsterdam e Deliveroo operativo anche in Belgio.

Come nel caso delle tazze da passeggio queste iniziative che coinvolgono i contenitori da asporto possono operare sia nella formula “refill on the go” che “return from home” .

3. Return from home: il vuoto si ritira a domicilio

Nel caso in cui la ricarica dei contenitori non venga effettuata direttamente dagli utenti, ma siano le aziende a riempirli (soprattutto se serve l’igienizzazione), le alternative sono due, e qui arriviamo al terzo e al quarto modello applicabile ai sistemi di riuso e ricarica degli imballaggi: “return from home” e “return on the go”. In entrambi i casi i contenitori non sono di proprietà degli utenti e vengono caricati di una cauzione che viene riaccreditata ad avvenuta restituzione dei contenitori. Nei sistemi che seguono il modello “return from home”, il contenitore vuoto viene ritirato a domicilio da un’impresa incaricata, per esempio in occasione della consegna di nuovi prodotti, e in molti casi attraverso servizi in abbonamento che consentono una fidelizzazione del cliente e un’ottimizzazione delle operazioni di ritiro e sanificazione degli imballaggi.




Il progetto Loop basa il suo funzionamento su entrambi i modelli dal momento che i clienti della piattaforma possono non muoversi da casa (return from home) oppure rendere i contenitori vuoti presso i punti vendita che fanno parte della rete attraverso apposite reverse vending machine posizionate allo scopo (return on the go). Nonostante sia passato poco più di un anno dal suo lancio nei primi Paesi il sistema, che coinvolge grandi marchi leader dei prodotti di largo consumo, ha già fatto scuola nel suo genere. Si tratta di una piattaforma che permette di acquistare sul proprio shop online più di 500 prodotti dei marchi più noti a livello globale: quando il prodotto è finito, l’imballaggio viene ritirato a casa dell’utente, può essere portato in un punto UPS oppure presso negozi fisici. I contenitori vengono successivamente igienizzati, ricaricato e messi nuovamente in commercio.

Una parte importante del progetto ha riguardato la completa riprogettazione degli imballaggi avvenuta in collaborazione con i diversi marchi. Se l’imballaggio primario dei prodotti è stato ripensato per poter essere sottoposto a numerosi cicli di riuso anche l’imballaggio secondario che contiene i prodotti acquistati ha cambiato pelle: a casa dei destinatari non arriva più una scatola in cartone da smaltire ma una box riutilizzabile, da usare per la restituzione dei contenitori vuoti. L’utente paga una quota di deposito per i contenitori che viene riaccreditata quando vengono restituiti: il credito può essere gestito facilmente tramite app e utilizzato per nuovi acquisti.

Creato dalla società di riciclo Terracycle, Loop ha avviato i primi progetti pilota di commercializzazione di prodotti in imballaggi riutilizzabili nel periodo dello scoppio della pandemia, tra marzo e aprile 2020, a Parigi e New York. Ad oggi sono attive partnership con più di 30 marchi, sia di prodotti di largo consumo come Pantene, Purina, Tide, sia di insegne della grande distribuzione tra cui Tesco in UK, Kroger e Walgreens in USA , Aeon in Giappone e Carrefour in alcune aree della Francia. Il lancio in Canada, Germania e Australia è previsto a metà del 2021, mentre già da ottobre 2020 è stato avviato, a partire dalla Francia, lo sviluppo del progetto con postazioni Loop nei negozi fisici. Anche in Giappone sono 19 i punti vendita dell’insegna Aeon ad ospitare una postazione Loop.



Un esempio che arriva dal Regno Unito è il servizio Club Zero sviluppato dal rivenditore online Abel & Cole che permette ai suoi clienti di acquistare alimenti secchi come cereali, legumi, cioccolato, riso e pasta in semplici contenitori riutilizzabili low cost senza addebito di deposito. I contenitori sono stati disegnati con in mente la funzionalità nel trasporto evitando così che i clienti siano tentati di trattenerli. I contenitori vuoti vengono riconsegnati all’interno di una box riutilizzabile quando ricevono una nuova consegna.

Anche il progetto olandese Pieter Pot, ricalca il modello “return from home”. Si tratta di un circuito che commercializza prodotti alimentari secchi in barattoli e bottiglie di vetro, permettendo agli utenti di riconsegnare quelli vuoti alla consegna dell’ordine successivo: il consumatore paga un deposito che viene riaccreditato una volta che restituisce i vuoti. Al momento il sistema, attivo in alcune zone dei Paesi Bassi, ha 3.000 utenti sta riscuotendo parecchio interesse al punto che conta una lista di attesa di altri 30.000.

4. Return on the go: usa il contenuto e riporta il contenitore

Nel modello “return on the go”, come accennato, i consumatori acquistano un prodotto in un contenitore riutilizzabile che non rimane in loro proprietà ma va restituito presso punti vendita (possono essere più di uno e parte di una rete) o altri luoghi di raccolta anche tramite reverse vending machine (RVM) o distributori automatici inversi.

Qualora assoggettati ad una cauzione, la medesima viene riaccreditata una volta che i contenitori vengono restituiti. I contenitori usati vengono raccolti igienizzati e redistribuiti nei punti vendita al dettaglio o dove avviene la somministrazione dei prodotti che veicolano.

Sono comunque diverse le iniziative “ibride” anche tra quelle accennate in precedenza che non possono essere inserite in una sola categoria in quando permettono più modalità nella resa e gestione dei contenitori che può essere decisa dall’operatore. È sicuramente il caso delle tazze da passeggio che per comodità sono state raccolte nella sezione “refill on the go”.

Esempi nel servizio ristorazione sono Dabbadrop nel Regno Unito e Belgio, Reusabol a Barcellona, Relevo e Vytal che sono attivi in diverse città della in Germania. Quest’ultimo non offre solamente tazze e contenitori nei formati classici per piatti pronti e prodotti di gastronomia ma anche contenitori adatti per l’asporto di pizze e sushi.

Al sistema esistente prima della pandemia si è affiancato un nuovo servizio che prevede anche la consegna e ritiro dei contenitori: Vytal, Reusable Packaging-as-a-Service. Dalla scorsa estate è in essere una collaborazione con Rewe (seconda catena della GDO tedesca per fatturato) per rendere disponibile il riutilizzo dei contenitori nelle postazioni salad bar a libero servizio dell’insegna. Vytal ha posizionato allo scopo delle reverse vending machine (RVM) nei sei punti vendita che partecipano al pilota per ritirare i contenitori puliti e rendere quelli usati da igienizzare con una procedura digitale gestita tramite un’App e la scannerizzazione del QR code che include il pagamento alla cassa. Un’ultima collaborazione raggiunta con Gorillas, un servizio consegna spesa a casa in bici, permette l’impiego dei contenitori riutilizzabili per alcune referenze vendute sfuse dal rivenditore nel negozio fisico.

Un altro esempio per questo modello ancora nella ristorazione è il sistema statunitense OZZI, pensato per garantire un ciclo chiuso per i contenitori per i pasti fuori casa, con macchine per il deposito dei contenitori vuoti e un sistema per il riaccredito della cauzione pagata dal consumatore. Il sistema è pensato sia per ristoranti con pasti da asporto, sia per luoghi pubblici come college, università, mense aziendali, ospedali.



Altri esempi di riutilizzo dei contenitori che ricalcano il vecchio vuoto a rendere delle bottiglie del latte arrivano dalla Germania dove tradizionalmente esiste un sistema di vuoto a rendere di vasetti in vetro utilizzati per gli yogurt da alcune importanti aziende lattiero-casearie in Germania. Recentemente alcune aziende come Bananeira, Unverpackt für Alle e Fairfood hanno aderito al sistema (e all’infrastruttura esistente di recupero e riutilizzo di questi contenitori) impiegandoli per loro prodotti che non richiedono refrigerazione, venduti principalmente nei negozi biologici. I consumatori possono restituire i contenitori vuoti grazie a una rete di distributori automatici inversi (reverse vending machine) presenti nei supermercati, in modo che possano essere riconsegnati ai produttori che li utilizzano e che sono responsabili dell’igienizzazione prima della ricarica.




fonte: economiacircolare.com


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Ecco come la Tari può aiutare la lotta al food waste

 

Cosa succederebbe se ai supermercati che si impegnano a contrastare lo spreco alimentare venissero garantite riduzioni sulla tariffa rifiuti? Se lo sono chiesti i ricercatori dell'Università della Tuscia, autori di una ricerca pubblicata nei giorni scorsi dalla rivista Waste Management. “In una città come Roma – dicono - si riuscirebbero a recuperare tra le mille e le duemila tonnellate di cibo all'anno da destinare al circuito della solidarietà”.


fonte: www.ricicla.tv


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Tesco elimina un miliardo di pack in plastica

Raggiunto l'anno scorso l'obiettivo di ridurre la quantità di imballaggi, articoli monouso e gadget dai propri punti vendita.










La catena britannica di supermercati Tesco ha annunciato di aver raggiunto l'obiettivo di eliminare dai propri punti punti vendita un miliardo di imballi in plastica nel corso del 2020, parte del programma per la sostenibilità ambientale articolato sulle 4R: "rimuovere dove possibile, ridurre dove non si può, riutilizzare di più e riciclare ciò che resta", che ha già portato alla riduzione di 3.480 tonnellate annue di plastica monouso dal suo lancio nel 2019.

In particolare, fa sapere il colosso della GDO inglese, sono stati tolti dagli scaffali: film termoretrabili per confezioni multiple (multipack) per un totale di 66 milioni di unità; chiusure supplementari di vasetti di yogurt e panna fresca, confezioni di insalate da asporto e salviette per neonati (100 milioni di pezzi); involucri di plastica di biglietti di auguri (44 milioni); sacchetti per prodotti sfusi quali ortofrutta e prodotti da forno; vassoi di plastica per affettati (24 milioni); ornamenti natalizi e relativi imballaggi (20 milioni), oltre ad alcuni gadget abbinati a prodotti da forno.

Il programma proseguirà anche quest'anno e riguarderà non solo prodotti a proprio marchio, ma anche di marca, coinvolgendo nel progetto l'intera filiera. L'anno scorso Tesco ha incontrato 1.500 fornitori per spiegare loro che gli imballaggi sono una parte fondamentale del processo decisionale nella scelta dei prodotti destinati ai punti vendita, chiarendo che si riserva il diritto di non tenere più a scaffale quelli che utilizzano una quantità eccessiva di imballo o materiali difficili da riciclare (leggi articolo).


fonte: www.polimerica.it


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In Francia monouso venduti come riutilizzabili

La pratica denunciata dall’associazione Zero Waste France riguarda stoviglie di plastica distribuite da catene della GDO.















Nei giorni scorsi, l’associazione ambientalista Zero Waste France ha criticato la catena della grande distribuzione Carrefour per aver messo in commercio, a proprio marchio, stoviglie monouso in plastica - vietate nel paese a partire dal 1°gennaio scorso - etichettate come "riutilizzabili, lavabili fino 20 volte in lavastoviglie". A seguito della segnalazione, Carrefour ha annunciato a stretto giro di social la decisione di togliere i prodotti dagli scaffali in tutti i suoi punti vendita.
Prima di denunciare l’accaduto, Zero Waste France ha provato a lavare i piatti e le posate in lavastoviglie, con risultati facilmente intuibili. Come afferma l'associazione: “Già dal primo lavaggio i piatti sono usciti leggermente deformati e ammaccati. Dopo meno di 10 utilizzi, la maggior parte era lacerata o aveva assorbito il colore o tracce di grasso degli alimenti contenuti”.
I venti cicli in lavastoviglie sono quanto una circolare del Ministero dell’Ambiente francese pone come discriminante tra stoviglie monouso e riutilizzabili più volte.
Se Carrefour proponeva questi prodotti a proprio marchio, altre catene - secondo Zero Waste France - stanno ancora vendendo stoviglie di plastica usa e getta, spesso presentate come riutilizzabili.
fonte: www.polimerica.it

Sacchetti ultraleggeri: scelte giuste, modalità sbagliate. Il Ministro dell’Ambiente può superare le polemiche di questi giorni in poche ore















COMUNICATO STAMPA
Rileviamo anzitutto con soddisfazione come il tema abbia scalato le classifiche degli interessi dell’opinione pubblica. Anche se il dibattito ha sofferto di alcune distorsioni sul merito della Legge e sui suoi effetti, l’attenzione generatasi ha consentito, per una volta, di mettere il tema ambientale e quelli collegati in cima all’agenda politica, stimolando riflessioni da parte dell’opinione pubblica sul problema della plastica, dei danni da essa provocati, della sua prevenzione e delle alternative. Riconosciamo che la Legge intendesse costituire una estensione ai sacchetti ultraleggeri delle previsioni già a suo tempo adottate, e con successo, per gli shopper, allo scopo di:
  • estendere i principi di riduzione del ricorso alla plastica tradizionale ad altri ambiti, contigui, di intervento;
  • evitare fenomeni di elusione delle precedenti disposizioni, quali l’uso come shopper dei sacchetti in plastica tradizionale, codificati come “per uso interno”, allo scopo di aggirare il divieto sugli shopper od eluderne il costo;
  • conseguire uniformità di approccio su tutti i sacchetti, ed evitare la contaminazione dei flussi avviati a compostaggio, fenomeno determinato proprio dalla confusione spesso ingenerata nell’utente, tra shopper e sacchetti ultraleggeri.
Come tale, l’intenzione di partenza della Legge, ossia superare l’uso della plastica tradizionale nei sacchetti ultraleggeri per asporto dei generi alimentari, è condivisa e va nella direzione di mettere anche in questo caso (come nel caso degli shopper, in cui l’iniziativa italiana ha poi stimolato l’adozione di disposizioni analoghe da altri Paesi e della Direttiva europea in merito) l’Italia alla testa di un fronte di eliminazione progressiva delle buste in plastica. Ricordiamo che gli shopper di plastica costituiscono uno degli elementi più soggetti a dispersione nell’ambiente con conseguenti danni agli ecosistemi e alle catene alimentari.
Nell’ambito di questa strategia, siamo a favore del rendere evidente il prezzo dell’ultraleggero, cosi come già nel caso degli shopper, proprio per disincentivarne il prelievo, ma è altrettanto evidente, e per noi fondamentale, che una strategia di disincentivazione deve mettere a disposizione l’alternativa, che sia ambientalmente preferibile e dunque economicamente incentivata: anche in questo caso, l’alternativa è la borsa (“sporta”) riutilizzabile. Una alternativa pratica, conveniente, ambientalmente sostenibile, che rispetta la gerarchia del riuso come opzione preferibile ed immediatamente adottabile, almeno nel caso di generi alimentari (come è il caso in genere per l’ortofrutta) che non creano, a differenza di carni, pesci, e prodotti caseari molli, problemi di imbrattamento e sgocciolamento.
È qui che è intervenuto l’errore (fondamentale, a nostro avviso) commesso dal Ministero, ossia la lettera alla Grande Distribuzione (GDO) in cui si dichiara che le borse riutilizzabili non possono essere impiegate; rileviamo per inciso che nella Legge, di questo divieto non vi è traccia.
Purtroppo, ed inevitabilmente, questo errore, oltre a determinare un allontanamento dalle finalità stesse della Legge, ha fatto avvertire l’uso del sacchetto biodegradabile come imposizione e balzello, distorcendo il dibattito e deviandolo dal merito ambientale della strategia (superamento della plastica tradizionale) a quello economico: l’imposizione del prezzo esplicito del sacchetto, che doveva funzionare da incentivo all’adozione della alternativa ambientalmente preferibile, nel momento in cui viene impedita tale alternativa, è stato percepito come una vessazione.
Sono a nostro avviso irricevibili le motivazioni di carattere sanitario addotte nella comunicazione del Ministero alla GDO, e nella più recente nota del Ministero della Sanità, di cui abbiamo avuto notizia dai media, se solo si pensa a tutta la filiera di produzione, raccolta, trasporto, distribuzione della ortofrutta: una filiera in cui non è certo il prelievo finale dallo scaffale il momento più delicato. Né possono essere additati come irresponsabili tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea (Paesi certo non meno attenti del nostro ai temi della sicurezza alimentare) in cui le borse riutilizzabili sono consentite, ed addirittura promosse, senza incorrere in procedure di infrazione.
Chiediamo dunque al Ministro di tornare, in forma coordinata con gli altri Ministeri, alle previsioni della Legge, revocando la lettera alla GDO. Se, si procederà in questo modo sarà possibile garantire un vantaggio ambientale, economico e sociale per tutti, consumatori ed esercenti.
Chiediamo contestualmente al Ministero e agli altri soggetti interessati di sviluppare una campagna di informazione sul destino preferenziale dei sacchetti ultraleggeri, laddove acquistati dal consumatore al posto della borsa riutilizzabile. Tale campagna dovrebbe superare molta della confusione che avvertiamo nel dibattito in corso ed andrebbe focalizzata sui comportamenti virtuosi (es. apposizione delle etichette adesive sui manici, onde poterle asportare senza danno al resto del sacchetto) finalizzati a fare reimpiegare successivamente i sacchetti per la raccolta differenziata dell’organico.
Zero Waste Italy
http://www.zerowasteitaly.org

Perché i rifiuti non calano? Lo abbiamo chiesto alla GDO (Coop) e a CONAI

Rifiuti urbani stabili a livello nazionale, se non addirittura in aumento. Quanto incidono le politiche delle aziende, quelle della GDO e le scelte dei consumatori, nella mancata riduzione dei rifiuti? 















Dai dati che Eco dalle Città ha raccolto dall'inizio dell'anno sembra che in Italia i rifiuti urbani non tendano a diminuire. In certi casi, anche se di poco, sono addirittura aumentati. Milano ne è un esempio, con i dati AMSA che parlano di un + 0,5% di produzione dei rifiuti totali urbani (circa 3mila tonn), 2016 su 2015.
Come mai? Parlando di rifiuti urbani, ci si aspetterebbe che possano diminuire, anche se di poco, viste le tante iniziative in corso ogni anno per "educare" alla riduzione dei rifiuti; prima fra tutte, la specifica settimana europea dedicata (la SERR). Sono davvero aumentati i consumi? E' un problema specifico degli imballaggi, che aumentano invece di diminuire, o magari aumentano di peso? La GDO organizzata non attua politiche efficaci in questo senso?
Secondo Valter Molinaro, Responsabile innovazione e gestione servizi di Coop Lombardia, la risposta non sta certo nell'aumento dei consumi. “Dai nostri dati di vendita il 2016 è rimasto un anno di stagnazione. Soltanto nei primi 2 mesi del 2017 stiamo vedendo una piccola ripresa”. Realtà come Coop hanno lo specifico obiettivo della riduzione dei rifiuti? “Eccome se ce l'abbiamo. Il dentifricio che vendiamo senza l'astuccio di cartone; la confezione da 2 pacchi di caffè macinato, uniti dall'adesivo, eliminando il secondo imballo di cellophane; la diffusione dei detersivi ricaricabili alla spina. Sono tutte operazioni di riduzione degli imballaggi, per ridurre il rifiuto”. Certo la GDO non può “imporre” anche ad una Barilla di ridurre i propri imballaggi, ma secondo Molinaro tale tendenza da parte delle aziende c'è. Anche se, su altro fronte, c'è l'aumento delle monoporzioni, soprattutto nel fresco, e quindi dei relativi imballaggi, ma "perchè lo richiede il mercato".
Riguardo città come Milano, aggiunge il manager Coop, una risposta del non calo dei rifiuti, 2016 su 2015, potrebbe essere il costante aumento degli city-user e dei turisti, in una città che dopo EXPO ha visto un ulteriore forte sviluppo. Così come il conseguente aumento dei rifiuti prodotti dai tanti esercizi della ristorazione (bar, ristoranti, locali serali), in costante aumento nella città.
Sul fronte imballaggi, abbiamo sentito anche l'ufficio studi di CONAI. I dati del Consorzio Nazionale Imballaggi confermano innanzitutto un aumento a monte della produzione, quella dell'immesso al consumo. Nel confronto 2014-2015 è stato del 2,6%; non c'è ancora il dato finale 2015-2016, ma la stima è simile, ossia del 2,4%. Insomma, da 2 anni il trend dell'immesso al consumo degli imballaggi vede un aumento. Ricordando sempre – precisa Simona Fontana del Centro Studi CONAI – che gli imballaggi sono solo una fetta dei rifiuti a livello nazionale; circa un quarto del totale dei rifiuti urbani (vedi tabella CONAI-dati ISPRA in foto).
Sull'aumento degli imballaggi è fortissimo il legame con il cambio degli stili di vita dei consumatori. CONAI registra, ad esempio, un orientamento alle monoporzioni sempre più forte; un cambiamento in cui le aziende seguono le abitudini del consumatore. Nei detersivi, invece, le aziende cercano di ridurre gli imballaggi, sia come dimensione che peso, perchè attira meno rispetto al passato il grosso flacone (stile “vintage”) e il prodotto è sempre più concentrato. E' anche vero, aggiunge CONAI, che l'avvento delle monodosi e lo sviluppo tecnologico degli imballaggi per i prodotti di 4° gamma (gli ortofrutticoli freschi, “a elevato contenuto di servizio”, confezionati e pronti per il consumo), hanno contribuito molto a ridurre lo spreco alimentare, incidendo quindi positivamente sulla riduzione del rifiuto umido.
Ma è soprattutto lo sviluppo del settore e-commerce, un fattore che potrebbe incidere sul non calo dei rifiuti urbani, che magari diminuiscono su altri fronti. Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano, registra Natali sempre più “digitali”, con forti incrementi di vendite online (Netcomm, +80% per le vendite online a Natale 2016). L’aumento degli acquisti online, con migliaia di prodotti (soprattutto hi-tech), che ci arrivano a casa in duplici e triplici pacchi e confezioni, portano inevitabilmente ad un aumento della carta, cartone e plastica che buttiamo nei rifiuti condominiali (pur differenziandola).
Però la produzione nazionale di rifiuti urbani si è stabilizzata da tempo, osservano ancora in CONAI (29,8 milioni di tonnellate la stima 2016; 29,5 il dato 2015). Conclusione: è vero che c'è una maggiore attenzione al rifiuto prodotto da parte del consumatore, che cerca di fare meno rifiuti. Ma il consumatore è anche "figlio dei tempi in cui vive": monoporzioni pronte al consumo al supermercato e continuo aumento degli acquisti on-line lo dimostrano. 

fonte: www.ecodallecitta.it

Dalla terra al carrello: in Brasile arrivano gli orti nei supermercati

La catena brasiliana di supermercati Zona Sul ha ricreato l’esperienza dell’orto nel punto vendita, dove i consumatori possono scegliere le verdure direttamente dalla terra. La strategia ha portato a un aumento delle vendite di ortaggi del 18%.shutterstock_92894509
Altro che scaffali o banchi frigo, all’interno dei punti vendita di una catena brasiliana di supermercati è possibile scegliere la verdura per cena direttamente dalla terra. Dall’orto al carrello: il cliente, trasformatosi in un istante in attento contadino, può aggirarsi tra insalata, cipolle e aromi e chinarsi a raccogliere ciò che gli serve dal terreno. L’esperimento, realizzato dal marchio Zona Sul in collaborazione con l’agenzia creativa WMcCann, si chiama “Orto del Fresco” e ha come scopo dichiarato quello di comunicare la necessità di introdurre una maggiore quantità di ortaggi nella propria dieta, prediligendo alimenti freschi, locali e coltivati in modo sostenibile.
Messaggio ricevuto, stando ai risultati raggiunti finora durante la sperimentazione: i dati rivelano infatti un aumento del 30% di preferenze da parte dei consumatori nei confronti del reparto verdura, e un 18% di incremento nelle vendite di questi prodotti. L’illusione dell’esperienza-orto paga, dunque, per quanto molto ci sarebbe ancora da fare per trasformare quello che al momento è un ben riuscito concept comunicativo in realtà. “Non potevamo far crescere i prodotti nel supermercato perché così non saremmo riusciti a garantirne la qualità” ha dichiarato Nicolás Romanó, direttore creativo della WMcCann. “Il processo di posizionamento in terra è molto delicato. Per questo ci siamo ingegnati nel realizzare un buon sistema di logistica e mostrare ogni giorno prodotti freschi al pubblico”.
Alcuni orti, questa volta verticali, si trovano anche in appositi corner di un supermercato di Berlino (Metro) grazie a una sperimentazione condotta dalla start-up Infarm. In questo caso, l’esperienza è meno tradizionale: le piante sono posizionate all’interno di un futuristico cubo trasparente, coltivate con acqua e lampade a LED, mentre micro-sensori monitorano la crescita delle piante, elaborando in tempo reale dati sul loro stato di salute.
Quali dunque i prossimi passi per trasformare il supermercato, da molti considerato come luogo privilegiato per le spese quotidiane, in uno spazio che non escluda la riflessione e all’educazione alimentare? Quanto pagherebbe, in termini di credibilità e vendite, investire in esperti o tecnologie che siano in grado di garantire la qualità di prodotti coltivati in sede e informare correttamente i consumatori sugli alimenti freschi che riempiono il loro carrello?
Alle catene sedicenti green e smart la sfida di risolvere il quesito, forti di dati che mostrano come la sostenibilità sia ormai un requisito irrinunciabile per molti consumatori interessati ad abbattere il più possibile la filiera per ottenere prodotti tracciabili e sicuri. Con un ulteriore risvolto tutt’altro che trascurabile: la possibilità di tagliare su emissioni, consumi e costi ambientali ed economici, riducendo drasticamente il trasporto su gomma della grande distribuzione.

fonte: http://nonsoloambiente.it/