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A Berlino si sperimenta il department store del futuro: è dedicato tutto all’usato

Un intero piano di uno storico negozio della capitale offre abbigliamento, arredi ed elettronica recuperati. Lo shopping d’avanguardia oggi si ispira a sostenibilità, responsabilità e condivisione










Comprare il vecchio per soddisfare il desiderio di nuovo: può sembrare un paradosso, ma c’è molta verità, e grandi numeri, nello shopping del “second hand”, più prosaicamente l’usato. La dimostrazione più recente del grande successo di questo segmento è il risultato della quotazione a Wall Street, il 15 gennaio, di Poshmark, piattaforma di reselling di abbigliamento con sede in California: fondata nel 2011, con un fatturato di 192 milioni di dollari e con alle spalle una crescita di quasi il 28% medio all’anno, ha raccolto 277,2 milioni di dollari, una cifra enorme e persino superiore di 20 milioni a quanto sperato.

Numeri in linea con le previsioni di GlobalData, per cui il mercato globale del resale passerà da 28 miliardi del 2019 a 64 miliardi nel 2024, con una crescita annua media del 39%. Alle spalle di questo incremento c’è anche quello del desiderio di sostenibilità da parte dei consumatori, soprattutto dei più giovani, che spesso si rivolgono alle piattaforme online come Poshmark, ma anche Vestiarie Collective o The RealReal, perché i negozi fisici di reselling scarseggiano, per non dire che non esistono.




Le previsioni di crescita del mercato del Second Hand fra 2019 e 2024 (GlobalData)

Se questa mancanza nel prossimo futuro verrà colmata, dovremo ringraziare non un marchio, ma un'amministrazione pubblica: lo scorso settembre quella di Berlino ha inaugurato uno spazio totalmente dedicato all’usato al terzo piano dello storico department store Karstadt, parte della catena Galeria Karstadt Kaufhof, sulla bella Herrmannplatz, luogo iconico dello shopping della capitale tedesca. Si chiama B-Wa(h)renhaus (che in tedesco crea un gioco di parole, poiché unisce il termine department store a quello di luogo per preservare, conservare), si estende su 650 metri quadri e vende merce usata, soprattutto abbigliamento, arredi, telefoni e altra elettronica di consumo.

Presentando il progetto, un pop-up prolungato visto che sarà aperto fino a tutto il mese di febbraio (Covid permettendo), l’amministrazione della città ha sottolineato di aver scelto appositamente quella location, cuore del quartiere nevralgico e multiculturale di Kreuzburg, per darle risalto. L’obiettivo è aprire anche altri store come quello, uno per ogni quartiere della città.

Molti degli oggetti in vendita sono stati recuperati dal sistema di riciclo dei rifiuti urbani e nel caso dell’abbigliamento anche dall’invenduto delle piattaforme, spesso anche resi che non possono essere rimessi in commercio. Un aspetto ancor più interessante del progetto è che trascende la mera attività di shopping per elevarsi a hub aperto alla città e alle sue esigenze: sul tetto dell’edificio si organizzano eventi e laboratori dedicati al riciclo e al riuso, e due volte al mese apre un “repair café” dove si può trovare aiuto per riparare un oggetto o dargli un nuova vita. Da settembre a oggi oltre 10mila persone hanno visitato il nuovo spazio.



Karstadt negli anni Trenta

Il complesso di Karstadt, infatti, è al centro di un ambizioso progetto che vuole trasformarlo nel department store, sviluppato secondo nuovi principi, più politici che commerciali: la sostenibilità, la condivisione, il senso di appartenenza a una comunità. il progetto della riqualificazione dell’edificio (costruito nel 1929 e che ospitava uno dei più grandi negozi del suo tempo, distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale e ricostruito nel 1950) non prevede un aumento dello spazio commerciale, oggi di circa 30mila metri quadri, anche per non recare danno ai piccoli negozi del quartiere. Molto spazio sarà riservato a centri per i bambini, studi per artista, aree per lo sport e per le associazioni locali, i servizi sociali ed educativi. E ci sarà anche un parcheggio per 600 biciclette.


Uno store in store di ThredUp da Jc Penney

Il nuovo modello di Berlino potrebbe fare da apriprista anche per altri department store, alle prese con una profonda crisi d’identità (e di vendite). In realtà c’è già chi lo sta sperimentando: nel 2019 Macy’s e JC Penney hanno firmato un accordo con la piattaforma di resale ThredUp, che li ha portati ad aprire dei pop up dedicati all’usato in alcuni dei loro negozi. Neiman Marcus ha rilevato una quota di Fashionphile, piattaforma di reselling di accessori griffati, e ha aperto degli spazi in alcuni negozi dove i clienti possono vendere, ma non acquistare, accessoti usati a Fashionphile. L'anno scorso si è unito anche Nordstrom, con gli spazi “See You Tomorrow”, dove si possono trovare creazioni di Burberry, Thom Browne, Isabel Marant, Off-White e Adidas.


Il progetto di riqualificazione di Karstadt

In ogni caso, e questo accade anche a Berlino, il salto evolutivo dell’usato è chiaro anche nel design degli spazi di vendita, che si allontanando drasticamente dalle logiche da mercato delle pulci, dall’aroma un po’ muffoso, che era legato al concetto di usato. Gli spazi per il second hand sono pensati ad hoc, con design piacevoli e totalmente coerenti con il resto degli spazi di vendita, che propongono ai clienti allestimenti innovativi e interessanti. Proprio quello che serve per riportare le persone in negozio, insieme alla consapevolezza di dare un concreto contributo alla sostenibilità mentre si fanno acquisti. Una visione ben interpretata dalla scritta che accoglie i visitatori della B-Wa(h)renhaus: «Fare shopping e salvare il mondo».

fonte: www.ilsole24ore.com


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I movimenti per pace e disarmo si danno appuntamento a Berlino

La riduzione delle spese militari potrebbe garantire ai Paesi risorse da destinare alla lotta ai cambiamenti climatici. Dal 30 settembre al 3 ottobre nella capitale tedesca la conferenza “Disarm! For a climate of Peace”, promossa dall’International Peace Bureau. Abbiamo intervistato il direttore, Colin Archer
Disarm for a Climate of Peace - World Congress Berlin 2016
Disarm for a Climate of Peace - World Congress Berlin 2016

Centinaia di attivisti, esperti, delegati da tutto il mondo. Decine di incontri, workshop e sessioni plenarie con la partecipazione gli ospiti e studiosi di caratura internazionale. Sono gli elementi che renderanno vivi e importanti i tre giorni di lavoro del Congresso mondiale promosso da International Peace Bureau all’università Tecnica di Berlino per l’inizio di ottobre. Il titolo –“Disarm! For a climate of Peace” (Disarma! Per un clima di pace)- rende chiara l’intenzione di far convergere nel programma, costruito anche con un lungo e partecipato percorso costellato di incontri preparatori, un approccio globale e multidisciplinare al tema della pace. Una scelta necessaria ed efficace, in un momento storico in cui altri problemi internazionali (la crisi economica, i focolai di conflitto, l’epocale tema delle migrazioni) sembrano rendere effimero qualsiasi tentativo o anche solo pensiero di costruzione di un percorso di pace. Per questo l’intenzione di IPB (la più antica rete internazionale pacifista, insignita del Premio Nobel nel 1910) è stata quella di invitare al dibattito ospiti ed organizzazioni provenienti da discipline e background differenti, pur considerando primari per il tema scelto gli aspetti economici e politici.
Hanno confermato la loro presenza e il loro contributo di riflessione al Congresso tra gli altri gli economisti James Galbraith e Samir Amin, le Premio Nobel per la Pace Jody Williams e Tawakkol Karman, attivisti e pensatori come Vandana Shiva e Noam Chomsky, ex-politici e rappresentanti di istituzioni internazionali come Mikhail Gorbachev, Federico Mayor Zaragoza e Angela Kane, senza dimenticare il fondatore del Right Livelihood Award Jakob von Uexküll e del vincitore dello stesso premio Alyn Ware.
Tra gli obiettivi principali del Congresso, quello di portare al centro del dibattito pubblico il tema delle spese militari (al centro del lavoro di IPB negli ultimi anni) e rafforzare le reti globali di attivisti. Nelle intenzioni degli organizzatori e dei partecipanti le enormi sfide globali che ci attendono su fame, lavoro, cambiamento climatico si potrebbero iniziare a risolvere attuando passi reali di disarmo. Scelte che però devono essere chiaramente formulate e inserite in una realistica agenda politica. L’International Peace Bureau ha organizzato il Congresso di Berlino per rispondere al crescente senso di crisi che viene percepito in tutto il mondo -spiega ad Ae Colin Archer, direttore generale dell’organizzazione-, in particolare se pensiamo ai conflitti fra Stati e interni agli stessi, oltre che all’enorme quantità di fondi pubblici sprecati nel settore militare. Oggi è sempre più chiara la connessione tra una globalizzazione dei conflitti che strangola percorsi virtuosi e la necessità dall’altra parte di una grande trasformazione. Ed è evidente che senza un superamento di politiche troppo militariste sarà impossibile qualsiasi progresso socio-ecologico che possa portare al risultato di un equo ordine sociale”.
Colin Archer (IPB)
Colin Archer (IPB)
Il problema di un programma così ambizioso è come poterlo realizzare. “La società civile già ha colto da tempo e chiaramente la situazione, ma deve plasmare un proprio messaggio urgente che va sviluppato e rafforzato per influenzare positivamente i decisori politici, dalle maggiori capitali agli organismi internazionali” conclude Archer.
Una sfida che, per quanto riguarda il passo del Congresso “Disarm!” di Berlino, pare essere stata raccolta da molti. Tra i partner dell’iniziativa troviamo infatti Friends of the Earth, Pax Christi International, Women’s International League for Peace and Freedom, Economist for Peace and Security, il Nobel Peace Center e la storica organizzazione nonviolenta dei War Resisters International. Tutti con l’idea di costruire un piano di azione condiviso per la pace, come già successo nel 1999 con la “Hague Conference”.
Le Nazioni Unite hanno adottato i nuovi Sustainable Development Goals e c’è stato l’accordo su un piano di azione per contrastare il cambiamento climatico nella COP 21). Ma pochissimi tra gli Stati membri dell’ONU hanno colto queste come occasioni per spostare fondi su priorità di spesa diverse da quelle militari, proprio per raggiungere tali scopi” sottolinea ulteriormente Colin Archer. Richieste invece alla base della Global Campaign on Military Spending (GCOMS) promossa da organizzazioni di diversi paesi è che non si limita a chiedere un semplice taglio della spesa militare, ma propone anche una riconversione ad un’economia orientata al civile (cancellando ricerche di natura militare) che possa creare lavoro con soluzioni sostenibili sia socialmente che ambientalmente. In un quadro di promozione di strumenti di prevenzione dei conflitti.
Nelle giornate del Congresso di Berlino (30 settembre-3 ottobre) convergeranno inoltre diverse campagne con loro specifici appuntamenti e incontri (da segnalare in particolare quelli legati al disarmo nucleare), rendendo ancora più ricco un programma già importante. Anche la Rete Italiana per il Disarmo sarà presente al Congresso con un proprio workshop (in collaborazione con European Network Against Arms Trade) dedicato all’economia della pace: “Less money for weapons, more funds for Peace Economics”. Appuntamento in cui troverà spazio l’azione recentemente lanciata a livello europeo contro l’inserimento di fondi per la ricerca armata nel Bilancio dell’Unione Europea.

fonte: www.altraeconomia.it

Dalla terra al carrello: in Brasile arrivano gli orti nei supermercati

La catena brasiliana di supermercati Zona Sul ha ricreato l’esperienza dell’orto nel punto vendita, dove i consumatori possono scegliere le verdure direttamente dalla terra. La strategia ha portato a un aumento delle vendite di ortaggi del 18%.shutterstock_92894509
Altro che scaffali o banchi frigo, all’interno dei punti vendita di una catena brasiliana di supermercati è possibile scegliere la verdura per cena direttamente dalla terra. Dall’orto al carrello: il cliente, trasformatosi in un istante in attento contadino, può aggirarsi tra insalata, cipolle e aromi e chinarsi a raccogliere ciò che gli serve dal terreno. L’esperimento, realizzato dal marchio Zona Sul in collaborazione con l’agenzia creativa WMcCann, si chiama “Orto del Fresco” e ha come scopo dichiarato quello di comunicare la necessità di introdurre una maggiore quantità di ortaggi nella propria dieta, prediligendo alimenti freschi, locali e coltivati in modo sostenibile.
Messaggio ricevuto, stando ai risultati raggiunti finora durante la sperimentazione: i dati rivelano infatti un aumento del 30% di preferenze da parte dei consumatori nei confronti del reparto verdura, e un 18% di incremento nelle vendite di questi prodotti. L’illusione dell’esperienza-orto paga, dunque, per quanto molto ci sarebbe ancora da fare per trasformare quello che al momento è un ben riuscito concept comunicativo in realtà. “Non potevamo far crescere i prodotti nel supermercato perché così non saremmo riusciti a garantirne la qualità” ha dichiarato Nicolás Romanó, direttore creativo della WMcCann. “Il processo di posizionamento in terra è molto delicato. Per questo ci siamo ingegnati nel realizzare un buon sistema di logistica e mostrare ogni giorno prodotti freschi al pubblico”.
Alcuni orti, questa volta verticali, si trovano anche in appositi corner di un supermercato di Berlino (Metro) grazie a una sperimentazione condotta dalla start-up Infarm. In questo caso, l’esperienza è meno tradizionale: le piante sono posizionate all’interno di un futuristico cubo trasparente, coltivate con acqua e lampade a LED, mentre micro-sensori monitorano la crescita delle piante, elaborando in tempo reale dati sul loro stato di salute.
Quali dunque i prossimi passi per trasformare il supermercato, da molti considerato come luogo privilegiato per le spese quotidiane, in uno spazio che non escluda la riflessione e all’educazione alimentare? Quanto pagherebbe, in termini di credibilità e vendite, investire in esperti o tecnologie che siano in grado di garantire la qualità di prodotti coltivati in sede e informare correttamente i consumatori sugli alimenti freschi che riempiono il loro carrello?
Alle catene sedicenti green e smart la sfida di risolvere il quesito, forti di dati che mostrano come la sostenibilità sia ormai un requisito irrinunciabile per molti consumatori interessati ad abbattere il più possibile la filiera per ottenere prodotti tracciabili e sicuri. Con un ulteriore risvolto tutt’altro che trascurabile: la possibilità di tagliare su emissioni, consumi e costi ambientali ed economici, riducendo drasticamente il trasporto su gomma della grande distribuzione.

fonte: http://nonsoloambiente.it/