Arriva in Italia Wallapop: il marketplace degli oggetti di seconda mano
L’app Wallapop, che promuove un modello di consumo più responsabile e sostenibile basato sull’economia circolare, è disponibile anche per
Lo stile di vita delle donne è più sostenibile

Cosa si può fare nel proprio piccolo per ridurre le emissioni? È una delle domande che ci si pone più spesso quando si parla di crisi climatica. La risposta sembrerebbe arrivare da un nuovo studio svedese che ha scoperto che i singoli consumatori possono risparmiare fino al 40 per cento di gas ad effetto serra semplicemente facendo scelte più consapevoli quando decidono cosa mangiare, cosa comprare per la casa e dove trascorrere le vacanze. È stato anche scoperto che, a parità di spese, le donne emettono meno degli uomini.
Lo studio attribuisce le emissioni ai consumatori
Lo studio è stato condotto dalla compagnia di ricerca Ecoloop, guidata da Annika Carlsson Kanyama, Jonas Nässén e René Benders e pubblicato sulla rivista Journal for industrial ecology. Lo scopo era dimostrare come ridurre le emissioni di gas a effetto serra generate dai consumi delle singole abitazioni e quantificare le opportunità di mitigazione con alternative già presenti sul mercato, ma non ancora popolari. L’obiettivo era proprio quello di attribuire le emissioni direttamente ai consumatori e non ai produttori, analizzando cosa viene acquistato dalla popolazione e poi tracciandone le emissioni fino alle origini.
I ricercatori hanno usato la Svezia come caso studio e tre campioni: un uomo single medio, una donna single media e una persona svedese media. Hanno poi scelto tre settori: il cibo, le vacanze e l’arredamento. Per mitigarne le emissioni, sono state proposte alternative a base vegetale, verdure coltivate localmente, oggetti di seconda mano o riparati, spostamenti con il treno o staycation, ossia vacanze fatte entro un certo chilometraggio dalla propria abitazione. Le alternative analizzate non richiedono investimenti aggiuntivi, a differenza di altre soluzioni, come acquistare una macchina elettrica o di installare pannelli solari, che necessitano di maggiori disponibilità finanziarie. “I nostri esempi sono semplici da seguire anche da un punto di vista economico”, si legge nello studio.
I risultati dimostrano infatti che il totale delle emissioni può essere abbassato del 36-38 per cento passando a soluzioni meno impattanti, senza cambiare il totale speso.
L’importanza di scegliere vacanze sostenibili
I ricercatori hanno dimostrato che le scelte che vengono fatte quando si sceglie una vacanza sono quelle che determinano la quantità maggiore di emissioni. Per questo state analizzate varie tipologie di vacanze più sostenibili, tra cui dei tour in treno (che comprendevano sia l’alloggio sia gli spostamenti) o le staycation. Questo termine si riferisce alle vacanze fatte entro un certo chilometraggio dalla propria abitazione, durante le quali si partecipa a concerti e ad attività all’aperto.
L’analisi ha evidenziato come scegliere queste due alternative permettesse di risparmiare fino a dieci volte le emissioni prodotte da un viaggio in aereo e sei volte quelle di un viaggio in auto.
La carne di agnello inquina venticinque volte più delle alternative vegetali
Le analisi riportate dai ricercatori poi non lasciano dubbi: la carne e i latticini generano emissioni nettamente più alte delle loro alternative a base vegetale e sostituirli con queste ultime permette di risparmiare tra il 32 e il 38 per cento delle emissioni. La carne di agnello inquina venticinque volte più del tofu, mentre quella di maiale cinque. Il latte di mucca inquina cinque volte di più del latte di avena e il formaggio tradizionale quattro volte di più di quello vegetale. I prezzi dei prodotti alternativi alla carne e ai latticini potrebbero essere sia più alti che più bassi dei loro corrispettivi, ma dipende sempre dalla qualità di quelli che vanno a sostituire.
Anche prestare attenzione alla provenienza delle verdure può comunque fare la differenza. Ad esempio, la lattuga che si trova nei supermercati inquina fino a dodici volte in più di quella coltivata localmente. Tuttavia, le emissioni di questi alimenti sono già di per sé basse, quindi secondo i ricercatori è l’acquisto di prodotti vegetali a far diminuire maggiormente il totale.
I prodotti di seconda mano emettono e costano meno
Per quanto riguarda i prodotti della casa, la ricerca ha dimostrato che quelli di seconda mano hanno in assoluto le emissioni più basse di tutte le altre alternative. In più, per alcune categorie, sono anche più economici. È il caso dei vestiti, ad esempio, i cui prezzi diminuiscono fino al 90 per cento.
Per il mobilio, i ricercatori hanno supposto che la stessa cifra venisse spesa per comprare lo stesso numero di prodotti, acquistati però di seconda mano o riparati. Il totale delle emissioni è sceso del 51-72 per cento.
Le donne contribuiscono meno alla crisi climatica, ma ne soffrono di più le conseguenze
Oltre ad aver provato l’efficacia delle strategie di mitigazione, la ricerca ha anche scoperto che generalmente le donne emettono meno degli uomini. Questo scostamento non è da ricondursi ad una differenza di spesa, quanto di abitudini. Gli uomini tendono a spendere poco più delle donne (circa il 2 per cento), ma emettono il 16 per cento di gas ad effetto serra in più. Questo dipende da molti fattori: le donne spendono meno su prodotti e servizi che non emettono molto, mentre gli uomini spendono almeno il 70 per cento in più per prodotti e servizi con un impatto maggiore, come la benzina.
“È un classico: le donne spendono di più per arredare la casa, per la propria salute e per i vestiti, mentre gli uomini per le auto, per la benzina, per mangiare, bere o fumare”, ha spiegato al Guardian Annika Carlsson Kanyama, autrice dello studio. La ricercatrice si è anche detta sorpresa che non ci fossero più analisi sulle differenze dell’impronta climatica dei due sessi dato che le donne risultano essere tra i soggetti che contribuiscono meno alla crisi climatica, ma che allo stesso tempo ne soffrono di più le conseguenze. I risultati di questo studio, quindi, non dimostrano solo quanto le scelte dei consumatori possano davvero fare la differenza. Ma aprono anche un dibattito necessario sui legami tra la parità dei sessi e la protezione dell’ambiente.
fonte: www.lifegate.it
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Noleggio abiti da sposa, da cerimonia o da sera: ecco come avere un outfit fashion in maniera sostenibile e risparmiando

Continuiamo il nostro viaggio nel mondo della moda circolare rispondendo alla domanda delle domande: “non ho nulla da mettermi, come faccio?”. Chi non ha pronunciato, almeno una volta, questa frase soprattutto quando c’è di mezzo una festa o un evento al quale partecipare?
La soluzione giusta potrebbe arrivare senza dover acquistare proprio nulla. Oltre al re-sale, ovverosia il grande mercato dell’abbigliamento e accessori di seconda mano, una delle mode che sta prendendo piede è quella del fashion renting e cioè il noleggio di vestiti, borse e scarpe, in particolar modo per le grandi occasioni ma non solo.
Perché noleggiare un vestito o una borsa
Se aprissimo il nostro guardaroba e decidessimo di dividere il contenuto in due macro gruppi, probabilmente potremmo individuare un esiguo numero di abiti che utilizziamo praticamente tutti i giorni e, accanto ad esso, troveremmo una montagna composta da tutti i vestiti indossati solo una o due volte. Questo accade a causa degli degli outfit pensati per occasioni particolari come matrimoni, battesimi, feste di laurea il tutto rigorosamente moltiplicato per quattro ovvero nel rispetto delle diverse stagioni. Se poi, come capita più o meno a tutti, cambia la forma fisica, tale tipologia di capi è presente anche in differenti taglie.
A ciò si aggiunge la collezione dedicata ad appuntamenti particolari come uno spettacolo estemporaneo realizzato con alcuni amici, l’imperdibile festa di carnevale e il compleanno a tema di un caro amico al quale non abbiamo potuto mancare . Se questa è la descrizione del vostro armadio, è arrivato forse il momento di cambiare strategia. Ciò che non indossate più potrà essere rimesso in circolo grazie al mondo second hand. Per le future esigenze, continuate a leggere l’articolo per scoprire dove noleggiare accessori e abiti. In tal modo, inoltre, riuscirete a ridurre l’impatto ambientale del vostro abbigliamento. Sarà infatti necessario acquistare meno capi, con un occhio magari anche alla qualità dei tessuti, contrastando così il fenomeno del fast fashion che, come noto, diventa un problema anche nella raccolta differenziata del settore del tessile. Si riduce poi l’uso delle materie prime (ad iniziare dall’acqua, considerato che il tessile è un settore con’elevata impronta idrica) che, come ci ricorda ogni anno l’Overshoot day, non è infinito.
Ma non solo gli altri indubbi vantaggi saranno i risparmi di soldi e spazio.
Quanto vale il fashion renting
L’espressione inglese tradisce un po’ le origini di questa tendenza che, per fortuna, si sta diffondendo sempre di più anche in Italia e che ha già preso piede in Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e… la Cina.
Come segnalato anche dall’Eurispes, nel 2023 il mercato del noleggio dei vestiti potrà avere un giro d’affari di ben 1,9 miliardi di dollari, con una crescita media annua del 10,6% tra il 2017 e il 2023. A farla da padroni gli americani con il 40% del valore (dati Allied Market Research).
Perché il noleggio degli abiti sta diventando così popolare
Consapevolezza ambientale, risparmio di soldi e di spazio: non sono gli unici ingredienti di del successo del noleggio di abiti e accessori. Il renting è sempre esistito ma era legato soprattutto ad eventi eccezionali come le feste in maschera o per esigenze teatrali. Tra le chiavi della diffusione del fenomeno vi è sicuramente anche il web: il fatto di poter ricevere comodamente a casa un capo, già lavato e stirato – anzi in tempi di covid, sanificato – ha reso questa opzione assai pratica. Oltre alle diverse boutique che, nelle varie città, offrono il servizio, infatti si sono moltiplicate app e portali per rendere il noleggio accessibile con un click e comunque consentendo sempre la possibilità di avere un riferimento fisico a beneficio di chi non vuol rinunciare a provare il capo.
Se non sapete da dove partire, vi diamo alcune indicazioni, aspettando le vostre nei commenti social.
DressYoucan: da Milano alla conquista dei cuori dei renters!
Nato da un’idea di Caterina Maestro – grande amante della moda e con anni di esperienza nel web marketing- DressYouCan è un po’ l’Airbnb dei guardaroba con in più una sede fisica a Milano pensata per offrire ad ogni donna l’abito dei propri sogni. Navigando sul portale è possibile creare il proprio outfit assolutamente unico con capi di alta moda, accessori inclusi, per qualsiasi occasione: da un matrimonio a un aperitivo di lavoro.
Tramite il portale si può verificare la disponibilità dell’outfit scelto che verrà recapitato a domicilio. Il reso può essere fatto direttamente in store o mediante corriere. Se vuoi provare prima gli abiti esiste un servizio apposito per fare tutto a domicilio. Tra gli altri vantaggi v’è anche la possibilità di far eseguire piccoli lavori sartoriali come l’orlo. Alla tintoria? Pensa direttamente Dress you can. Avete il timore di macchiare il vestito o di danneggiarlo? Attivando la copertura assicurativa obbligatoria di soli 5 euro avrete una garanzia “no stress”. Non indossi l’abito? Semplicemente non paghi.
Se avete uno stilista preferito, potrete effettuare la ricerca per designer. Tra le sezioni assolutamente da segnare per future spose, quella degli abiti per il matrimonio: con poche centinaia di euro potrete avere l’abito dei vostri sogni e, al termine dei festeggiamenti, non dovrete porvi la domanda “dove lo metto?”.
Troppo semplice per non provarlo!
Drexcode e l’abito da cerimonia si affitta
Cerimonia, pranzo con le amiche o weekend elegante: qualsiasi sia l’occasione che vi spinge a cercare l’abito giusto, drexcode, portale di fashion renting dedicato alle donne, sarà al vostro fianco per trovarlo. Partite dalla scelta del look, selezionate il periodo e decidete anche se volerlo provare prima. Il gioco è fatto. Non siete sicure della taglia? Potrete gratuitamente chiederne una seconda per trovare la vestibilità perfetta. Dopo l’evento? Potrete comodamente restituirlo o se ve ne sei innamorate, potreste addirittura acquistarlo.
Pleasedonotbuy: ma guarda i modelli online e noleggiali in boutique
Nasce in casa Twinset il progetto Pleasedontbuy per consentire il noleggio di abiti d’occasione rivolgendosi in particolar modo ai giovani. La collezione è pensata proprio per il noleggio – con 21 modelli in più colori – ed è visibile sul portale. Scelto il capo, si fissa un appuntamento in una delle boutique Twinset con la linea pleasedontby.
Da Milano a Bari passando per Roma, Torino, Bergamo, Genova e Firenze (le sedi sono indicate sul portale) potreste scoprire di avere uno dei punti proprio nella vostra città. Il costo per noleggio non è indicato ma nelle faq vi sono una serie di informazioni utili e si specifica che esso varia dai 40 € fino a 100 € a seconda della tipologia del capo scelto. Tra le news riportate v’è anche che, in futuro, il renting sarà disponibile anche direttamente via portale.
Quando il noleggio è in abbonamento
Tra le formule previste per il fashion ranting una di quelle che sta avendo più successo è la modalità in abbonamento: si paga un importo fisso e si hanno gli abiti per un certo arco temporale. All’estero questa formula sta spopolando come dimostrano portali come Onloan che, in Gran Bretagna, chiede 69 o 99 sterline per avere 2-4 capi per volta o Banana Republic Style Passport negli Stati Uniti. Ralf Lauren ha lanciato “the Lauren look” che consente di avere il look della nota marca a partire da 125 dollari al mese.
In Italia un servizio in abbonamento è offerto da Drexcode: con la formula unlimited, al costo di 139€ al mese, si possono effettuare noleggi illimitati su tutti gli abiti con prezzo boutique inferiore ai 2.000€ ma bisogna prima rendere l’eventuale abito che si ha in noleggio.
Per gli accessori segnaliamo Rent Fashion Bag attraverso il quale potrete noleggiare uno degli accessori più amati dalle donne ovverosia le borse dei più grandi marchi: grazie al servizio di abbonamento potrete avere al vostro braccio una Hermès, una Louis Vuitton o una Chanel a prezzi abbordabili, specie per le grandi occasioni.
fonte: economiacircolare.com
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L'Italia del riuso, buone pratiche da potenziare
Prima di tutto c’è la prevenzione: tutto ciò che può evitare a monte la formazione di nuovi rifiuti, dunque, è benvenuto e va incoraggiato. Il riuso, la riparazione, la vendita di prodotti di seconda mano sono insomma non solo iniziative di buonsenso ma anche ingredienti fondamentali per la strategia ambientale europea e il Green Deal.
Eppure in Italia si attende da 10 anni il decreto ministeriale per la preparazione al riutilizzo, previsto, in attuazione della direttiva quadro sui rifiuti, dal decreto legislativo 205/2010. Un’attesa che di fatto impedisce il diffondersi di pratiche virtuose presenti già oggi nel nostro Paese, che descriveremo in questo Speciale che per la prima volta offre un quadro dello stato dell’arte normativo accompagnato alla presentazione della mappatura dei centri del riuso italiani.


In questo Speciale raccontiamo il fenomeno dei centri del riuso e della riparazione in Italia e all’estero, analizziamo le potenzialità della filiera del riuso e della riparazione (economie, posti di lavori, benefici sociali), e affrontiamo la questione delle norme da introdurre per valorizzare questa realtà già con il Piano di nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che il governo dovrà presentare entro fine aprile alla Commissione europea.
Come sempre, saremo lieti di accogliere il contributo alla discussione di lettori e addetti ai lavori.
https://economiacircolare.com/speciale-centri-del-riuso/
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A Berlino si sperimenta il department store del futuro: è dedicato tutto all’usato
Numeri in linea con le previsioni di GlobalData, per cui il mercato globale del resale passerà da 28 miliardi del 2019 a 64 miliardi nel 2024, con una crescita annua media del 39%. Alle spalle di questo incremento c’è anche quello del desiderio di sostenibilità da parte dei consumatori, soprattutto dei più giovani, che spesso si rivolgono alle piattaforme online come Poshmark, ma anche Vestiarie Collective o The RealReal, perché i negozi fisici di reselling scarseggiano, per non dire che non esistono.
Le previsioni di crescita del mercato del Second Hand fra 2019 e 2024 (GlobalData)
Se questa mancanza nel prossimo futuro verrà colmata, dovremo ringraziare non un marchio, ma un'amministrazione pubblica: lo scorso settembre quella di Berlino ha inaugurato uno spazio totalmente dedicato all’usato al terzo piano dello storico department store Karstadt, parte della catena Galeria Karstadt Kaufhof, sulla bella Herrmannplatz, luogo iconico dello shopping della capitale tedesca. Si chiama B-Wa(h)renhaus (che in tedesco crea un gioco di parole, poiché unisce il termine department store a quello di luogo per preservare, conservare), si estende su 650 metri quadri e vende merce usata, soprattutto abbigliamento, arredi, telefoni e altra elettronica di consumo.
Presentando il progetto, un pop-up prolungato visto che sarà aperto fino a tutto il mese di febbraio (Covid permettendo), l’amministrazione della città ha sottolineato di aver scelto appositamente quella location, cuore del quartiere nevralgico e multiculturale di Kreuzburg, per darle risalto. L’obiettivo è aprire anche altri store come quello, uno per ogni quartiere della città.
Molti degli oggetti in vendita sono stati recuperati dal sistema di riciclo dei rifiuti urbani e nel caso dell’abbigliamento anche dall’invenduto delle piattaforme, spesso anche resi che non possono essere rimessi in commercio. Un aspetto ancor più interessante del progetto è che trascende la mera attività di shopping per elevarsi a hub aperto alla città e alle sue esigenze: sul tetto dell’edificio si organizzano eventi e laboratori dedicati al riciclo e al riuso, e due volte al mese apre un “repair café” dove si può trovare aiuto per riparare un oggetto o dargli un nuova vita. Da settembre a oggi oltre 10mila persone hanno visitato il nuovo spazio.
Karstadt negli anni Trenta
Il complesso di Karstadt, infatti, è al centro di un ambizioso progetto che vuole trasformarlo nel department store, sviluppato secondo nuovi principi, più politici che commerciali: la sostenibilità, la condivisione, il senso di appartenenza a una comunità. il progetto della riqualificazione dell’edificio (costruito nel 1929 e che ospitava uno dei più grandi negozi del suo tempo, distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale e ricostruito nel 1950) non prevede un aumento dello spazio commerciale, oggi di circa 30mila metri quadri, anche per non recare danno ai piccoli negozi del quartiere. Molto spazio sarà riservato a centri per i bambini, studi per artista, aree per lo sport e per le associazioni locali, i servizi sociali ed educativi. E ci sarà anche un parcheggio per 600 biciclette.

Il nuovo modello di Berlino potrebbe fare da apriprista anche per altri department store, alle prese con una profonda crisi d’identità (e di vendite). In realtà c’è già chi lo sta sperimentando: nel 2019 Macy’s e JC Penney hanno firmato un accordo con la piattaforma di resale ThredUp, che li ha portati ad aprire dei pop up dedicati all’usato in alcuni dei loro negozi. Neiman Marcus ha rilevato una quota di Fashionphile, piattaforma di reselling di accessori griffati, e ha aperto degli spazi in alcuni negozi dove i clienti possono vendere, ma non acquistare, accessoti usati a Fashionphile. L'anno scorso si è unito anche Nordstrom, con gli spazi “See You Tomorrow”, dove si possono trovare creazioni di Burberry, Thom Browne, Isabel Marant, Off-White e Adidas.

In ogni caso, e questo accade anche a Berlino, il salto evolutivo dell’usato è chiaro anche nel design degli spazi di vendita, che si allontanando drasticamente dalle logiche da mercato delle pulci, dall’aroma un po’ muffoso, che era legato al concetto di usato. Gli spazi per il second hand sono pensati ad hoc, con design piacevoli e totalmente coerenti con il resto degli spazi di vendita, che propongono ai clienti allestimenti innovativi e interessanti. Proprio quello che serve per riportare le persone in negozio, insieme alla consapevolezza di dare un concreto contributo alla sostenibilità mentre si fanno acquisti. Una visione ben interpretata dalla scritta che accoglie i visitatori della B-Wa(h)renhaus: «Fare shopping e salvare il mondo».
fonte: www.ilsole24ore.com
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Cosa fare con i vestiti che non si usano più
Cassonetti comunali
In molti comuni italiani, per strada, si trovano cassonetti che servono proprio alla raccolta di vestiti usati a scopo sociale: nella maggior parte dei casi sono gialli, ma esistono anche bianchi o di altri colori. Molte persone sono scettiche rispetto all’uso di questi punti di raccolta perché in passato sono state pubblicate diverse inchieste sulle attività che li legano ad aziende private che vendono vestiti usati all’ingrosso, talvolta con profitti e modalità non del tutto lecite. Chi vuole sapere con certezza dove finiranno i propri vestiti una volta lasciati nei cassonetti può fare due cose. La prima è visitare il sito del proprio Comune o contattarlo telefonicamente per chiedere quali cassonetti sono effettivamente autorizzati dall’amministrazione e destinati ad attività non profit. La seconda cosa è verificare che sul cassonetto siano indicati il nome e i contatti dell’ente che li gestisce, e poi cercare informazioni direttamente su quello.
Uno degli enti che gestiscono i cassonetti di alcune città è Humana, un’organizzazione umanitaria indipendente e laica nata nel 1998 per portare avanti vari progetti a scopo sociale in Italia e nel mondo. Tra le sue attività c’è la raccolta di vestiti usati, che avviene tramite oltre 5mila cassonetti distribuiti in circa 1.200 comuni italiani. I vestiti, le scarpe e le borse raccolte vengono smistate da un gruppo di addetti che ne decide la destinazione. La maggior parte viene destinata a persone che ne hanno bisogno, soprattutto in Africa. Gli abiti giudicati di particolare valore invece sono venduti nei negozi di abbigliamento vintage che Humana ha a Bologna, Milano, Roma e Torino. Il ricavato dei negozi viene poi investito nei progetti dell’organizzazione. I vestiti ritenuti inutilizzabili invece vengono destinati alle riciclerie. In nessun caso comunque Humana vende i propri vestiti ad altre aziende.
Un altro logo che potreste aver visto sui cassonetti gialli se abitate tra le province di Como, Lecco, Milano, Monza-Brianza e Varese è quello di Dona Valore, la rete di cassonetti di Caritas Ambrosiana. La gestione dei cassonetti è affidata a varie cooperative sociali: dopo essere stati raccolti e smistati, alcuni vestiti vengono destinati a persone che ne hanno bisogno, altri vengono venduti ad aziende e il ricavato viene utilizzato per finanziare iniziative di solidarietà. Nello specifico, sul sito di Dona Valore si legge che «una parte viene commercializzata ad imprese autorizzate a svolgere il lavoro di selezione, cernita ed igienizzazione che sottoscrivono contratti commerciali ed etici con le nostre cooperative garantendo il pieno rispetto di tutte le normative nazionali ed internazionali». Altri vestiti della rete Dona Valore, invece, finiscono nei negozi di abbigliamento di seconda mano Share.
Una precisazione doverosa: i cassonetti non sono fatti per gettare abiti logori e non più utilizzabili, come i calzini bucati. Quelli si possono buttare nei bidoni dell’indifferenziata.
Negozi che raccolgono vestiti usati
Recentemente anche nel settore della moda sta aumentando l’attenzione alle tematiche ambientali e di sostenibilità. Molte catene di negozi hanno cominciato a utilizzare per la propria produzione i tessuti riciclati ricavati dai vestiti usati che i clienti possono lasciare nei negozi spesso in cambio di un buono o di uno sconto sugli acquisti.
Per esempio il programma “Garment Collecting” della catena di fast fashion H&M permette di consegnare alla cassa un sacchetto di abiti usati di qualsiasi marca, tipologia e stato di usura (vanno bene anche calzini spaiati e lenzuola rovinate). In cambio si riceve un buono da 5 euro che vale per una spesa minima di 40 euro. Il programma di riciclo di & Other Stories, che fa parte dello stesso gruppo di H&M, consente di portare in qualsiasi punto vendita un sacco con qualsiasi tipo di prodotto tessile: in cambio si riceve uno sconto del 10 per cento per un acquisto su qualsiasi spesa nei tre mesi successivi. Di tutti i negozi che promuovono iniziative di questo tipo avevamo scritto qui: per essere sicuri che la raccolta sia ancora attiva nonostante la pandemia, vi consigliamo di chiamare direttamente il negozio più vicino a voi.
Armadioverde
È una piattaforma italiana che raccoglie vestiti usati in buone condizioni e li rivende. Chi vuole può prenotare un ritiro di abiti usati direttamente a casa e poi sfruttare le “stelline” guadagnate (una specie di moneta virtuale della piattaforma) per acquistare altri abiti sul sito a pochi euro. Armadioverde accetta solo vestiti in ottime condizioni e non è interessato a biancheria intima, abbigliamento da notte, valigie e scarpe per bambini di taglia inferiore al 17: i vestiti ritirati e successivamente giudicati non adatti alla vendita sul sito vengono mandati a Humana, l’organizzazione citata sopra. Il ritiro è sempre gratuito, ma bisogna rispettare le dimensioni del pacco indicate al momento della prenotazione: la scatola grande per esempio deve avere una somma di lunghezza, larghezza e altezza non superiore a 130 centimetri.
App per la compravendita
Chi oltre a liberarsi dei propri vestiti usati vorrebbe provare a guadagnarci qualcosa, può provare a usare una app. Depop è forse la più usata in Italia e permette a chiunque di vendere i propri vestiti pubblicandone le foto e una breve descrizione. Per ogni vendita Depop trattiene il 10 per cento dell’importo. Chi vende si fa carico di tutto, dalla scelta del prezzo alla spedizione dell’articolo, perché Depop è solo una piattaforma che aiuta l’interazione tra venditori e compratori, ma non si occupa della logistica. Durante la pandemia è stata molto usata: ad aprile ha avuto un aumento del traffico del 100 per cento rispetto all’aprile dell’anno precedente.
Depop comunque non è l’unica app su cui si possono vendere vestiti e anzi ultimamente ne sono nate diverse: Vintag, Shpock e per il lusso Vestiaire Collective, solo per citarne alcune. A dicembre in Italia è arrivata anche Vinted, una app simile a Depop già molto diffusa in altri paesi europei: a differenza di Depop non trattiene commissioni, quindi ai venditori viene riconosciuto l’intero importo ricavato da ogni vendita.
Negozi che comprano vestiti usati
Negli ultimi anni si sono diffusi in diverse città italiane i negozi di abbigliamento che comprano e rivendono vestiti usati. Alcuni, come Bivio a Milano, hanno momentaneamente interrotto l’acquisto di vestiti a causa della pandemia. Altri, come Ambroeus, sempre a Milano, continuano invece a ritirare vestiti nei giorni di apertura dalle 14 alle 18, previa telefonata. Gli addetti di Ambroeus fanno una selezione dei vestiti, scelgono il prezzo a cui li rivenderanno e pagano al venditore il 35 per cento di quel prezzo o il 50 per cento in forma di buono da spendere in negozio. Chi invece vuole vendere vestiti per bambini, può provare con Baby Bazar, che ha negozi in tutta Italia e che permette ai venditori di ottenere il 50 per cento del prezzo di ogni articolo venduto, oppure Secondamanina, che funziona in modo molto simile.
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Riciclo e riuso, la nuova vita dei mobili di seconda mano
Ridare vita a un vecchio mobile è un modo ecologico per arredare casa, riducendo di conseguenza la richiesta e la nuova produzione. Un rallentamento utile per la salvaguardia delle aree verdi ad esempio della Birmania, dell’Asia, dell’Africa e del Sud America, spesso sconvolte da un’azione costante di deforestazione. L’acquisto di un mobile di riciclo è un atto ecologico in favore dell’ambiente stesso.
Riciclo e arredamento sostenibile

Scegliere un mobile di seconda mano da riporre in salotto produce l’attivazione di una serie di azioni, partendo dal restauro e dalla verniciatura dello stesso. Un mobile solido e resistente, realizzato con materiali di qualità e in grado di affrontare altre nuovi stagioni della sua lunga vita. Ed è proprio questo il concetto del riuso e del relooking degli arredi di seconda mano, in aperto contrasto con i prodotti moderni quasi sempre assemblabili o creati con materiali economici. Destinati a durare poco con un impatto ambientale non indifferente.
La produzione del passato forniva prodotti di altissima qualità con l’obiettivo che venissero tramandati di casa in casa, di generazione in generazione. Un vissuto che contrasta con i tempi attuali attraversati ad alta velocità, anche per quando riguarda la casa e i suoi arredi: economici e spesso usa e getta. Scegliere un mobile di seconda mano permette di conferire un look più caldo alla dimora stessa, grazie al look e al fascino dello stesso.
È importante scegliere un prodotto che non presenti vecchi trattamenti e pitture dannose, anche se l’azione del tempo dovrebbe averle eliminate. Meglio puntare su articoli creati con materiali resistenti, dalla superficie intatta e quindi facilmente restaurabile, meditando sull’acquisto per una scelta adeguata allo stile imposto alla casa stessa.
Fonte: TreeHugger
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