L'usato vive un problema culturale che deve diventare un problema politico, per realizzare fino in fondo la transizione ecologica di cui tanto si parla.
Il mondo dell’usato e i centri del riuso scontano un problema culturale, che fa affrontato a livello politico se vogliamo veramente dar vita ad una transizione ecologica. Cosa serve per liberare le potenzialità ambientali ed economiche di questa filiera? I centri dell’usato, poi, come abbiamo visto, ad oggi fanno riferimento a modelli diversi: questa diversità è un limite? Ne parliamo con Alessandro Stillo, presidente di Rete ONU che – dai mercatini delle pulci ai negozi conto terzi – raccoglie circa 13 mila operatori dell’usato.
Gravitano tutti intorno all’allungamento della vita dei beni, siete insomma dalla stessa parte della barricata: che rapporto c’è tra i centri del riuso e gli operatori usato?
I centri del riuso sono iniziative che noi operatori dell’usato guardiamo con estrema attenzione, anche perché alcune cooperative sociali dentro Rete ONU li praticano e lo hanno praticati. Seguiamo i centri del riuso con molta attenzione anche se hanno evidentemente dei nodi irrisolti.
Ce ne parli.
Dal mio osservatorio non posso non notare l’enorme sproporzione quantitativa tra operatori dell’usato nei mercatini, nei negozi di robivecchi, in quelli dei contoterzisti, e i centri del riuso. Qualsiasi mercatino dell’usato, per capirci, tratta alcune decine di tonnellate di merce ogni anno. A Torino, per fare un esempio, se guardiamo solo a chi vende usato conto terzi, ci sono alcune decine di negozi, mentre di centri del riuso ce ne sono due. Il confronto ci dice che ricoprono un ruolo fondamentale per la valorizzazione dell’usato, fondamentale ma per ora marginale.
Qual è secondo lei il problema dei centri del riuso?
Mi sembra che oggi siano in difficoltà, come peraltro ha evidenziato dal progetto Prisca, per motivi in parte legati alla normativa: che non ha mai approfondito l’end of waste e che è ancora un po’ in bilico su vari decreti attuativi. Ma i centri del riuso sono in bilico in particolare dal punto di vista del modello: si va da quelli solidaristici, di volontariato, in cui le merci vengono donate, fino a modelli in cui si cerca una sostenibilità economica con la vendita delle merci.
La diversità di modelli secondo lei è un limite?
La diversità è sempre ricchezza, per noi. Dall’altra parte è evidente che senza abbracciare un modello tutto è più complesso. I centri del riuso che vivono con la solidarietà hanno il nodo da sciogliere della sostenibilità economica, se a monte non c’è chi garantisce. Questa mi pare che oggi, in tempi di vacche magre, sia una difficoltà da tenere in assoluta considerazione. Soprattutto per i centri del riuso, che hanno bisogno di spazi per lo stoccaggio, la cernita e la vendita. Se questa questione fosse risolta, in Italia sarebbero nati tanti altri centri. Il problema, credo, non è tanto la raccolta ma lo sbocco.
Dice che i centri del riuso non riescono a raggiungere il pubblico, come invece gli operatori dell’usato?
La vera difficoltà, nonostante i lodevoli sforzi, è proprio che manca il contatto col pubblico, che invece in altre situazioni c’è. Bisognerebbe fare in modo che i centri del riuso fossero luogo di raccolta e poi luogo di approvvigionamento non solo del cittadino ma anche degli operatori dell’usato, ovviamente attraverso il rispetto di regole precise. Insomma il mondo dei centri del riuso dovrebbe interfacciarsi molto di più con gli operatori dell’usato.
Ci parlava anche di limiti normativi.
Il settore del riutilizzo in Italia non è regolamentato nel suo complesso, questo fa sì che ci siano enormi zone grigie. Le faccio un esempio. Nel milanese, chi ha negozi di vendita dell’usato in conto terzi viene assimilato alle agenzie immobiliari. Per cui chi vuole aprire un negozio dell’usato deve fare il corso da agente immobiliare. Basta pensare al Pnrr: nel Piano di ripresa e resilienza il riuso è negletto, eppure è essenziale per la riduzione dei rifiuti, lo dicono anche le direttive europee.
La causa di questa sottovalutazione?
I motivi sono tanti. Fondamentalmente c’è un tema culturale. Alcune ricerche di Mercatopoli e Università di Padova ci dicono che se da un lato utilizziamo continuamente cose usate – dalle auto, a letti e lenzuola in hotel, alle tazzine nei bar – dall’altro acquistare nuovo è “in”, acquistare usato no – a meno che non sia vintage. Una cultura figlia del boom economico per cui si fa fatica ad avvicinarsi all’usato. Ma il problema culturale deve trasformarsi in una questione politica: non esiste economia circolare senza riuso, lo dice la Ue. E, a parole, lo dicono tutti, ma nei fatti nel Pnrr non ci sono poste destinate al riutilizzo.
Cosa vorreste leggere nel Pnrr quando il governo lo avrà aggiornato?
Come Rete Onu stiamo costruendo una serie di proposte. Dall’esenzione dell’Iva, per evitare di ri-pagarla per beni usati per i quali è stata già pagata alla fonte; all’esenzione del pagamento raccolta dei rifiuti per negozi che i rifiuti li distraggono e non li producono: i negozi del riuso sono parametrati ai supermercati. E poi la possibilità da parte enti locali di aprire quante più possibili aree di libero scambio dove i cittadini possano mettere in vendita i propri beni usati: in Italia ce ne sono solo due, a Torino e Palermo.
fonte: economiacircolare.com/
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Con un progetto pilota l’attuale “Angolo delle occasioni” si trasforma in un vero e proprio “laboratorio della circolarità” per ispirare e guidare la maggioranza delle persone a compiere scelte più sostenibili nella vita di tutti i giorni
L’ambizione di IKEA è diventare entro il 2030 un’Azienda circolare in ogni suo aspetto e con un impatto positivo sulle Persone e sul Pianeta: la sfida è produrre e utilizzare i prodotti in maniera sostenibile, dando una seconda vita a quelli già usati e sviluppando soluzioni per un futuro più pulito e più green.
Per questo nello store IKEA di San Giuliano prende vita il primo Circular Hub d’Italia: con un progetto pilota l’attuale “Angolo delle occasioni” si trasforma in un vero e proprio “laboratorio della circolarità” per ispirare e guidare la maggioranza delle persone a compiere scelte più sostenibili nella vita di tutti i giorni.
L’obiettivo è prolungare la vita dei prodotti – mobili di seconda mano, prodotti che si danneggiano durante la movimentazione, resi dei clienti, prodotti dell’esposizione – permettendo ai clienti di acquistarli a prezzi accessibili. Quando un prodotto è irreparabilmente danneggiato, è comunque possibile recuperarne alcune componenti da utilizzare per riparare altri mobili e prolungare così la vita dei prodotti.
“Trasformare IKEA in un business circolare è una delle nostre maggiori ambizioni e, al tempo stesso, una grande sfida per il futuro.” dichiara Ylenia Tommasato, Country Sustainability Manager di IKEA Italia. “Sviluppare nuovi prodotti seguendo i nostri principi di design circolare, ovvero utilizzando materiali rinnovabili o riciclati e dare una seconda vita a quelli già usati, ci permette di sviluppare soluzioni per un futuro più sostenibile. Siamo orgogliosi di testare in Italia un nuovo progetto che accompagni i nostri clienti ad essere parte attiva di un cambiamento positivo per un consumo sempre più consapevole, proseguendo le azioni messe in campo come quello del servizio di riacquisto dei prodotti usati attivo da anni in tutti i nostri store o il più recente Buy Back Friday”.
A caratterizzare il nuovo Hub, oltre all’esperienza maturata con l’Angolo Occasioni, ci saranno una selezione ancora più ampia di mobili recuperati e di seconda mano a prezzi accessibili a tutti e una nuova area Learn&Share, in cui sarà favorita l’interazione con i clienti e la collaborazione con le comunità locali sui temi di sostenibilità. Il Circular Hub, diventerà così un vero e proprio punto di riferimento per tutti coloro che vorrano scoprire come prolungare la vita dei prodotti IKEA attraverso consigli e suggerimenti per riparare i propri mobili.
All’interno del nuovo spazio, grazie ad un rinnovato layout, IKEA mostrerà per la prima volta ai visitatori le varie fasi del processo circolare che portano al riconfezionamento dei prodotti: dal recupero allo stoccaggio delle componenti di ricambio dei mobili che consentono di prolungarne la vita.
Saranno così gli stessi co-worker IKEA a raccontare attraverso le loro azioni concrete l’impegno di IKEA per avere un impatto positivo sulle Persone e sul Pianeta.
fonte: www.rinnovabili.it
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Un intero piano di uno storico negozio della capitale offre abbigliamento, arredi ed elettronica recuperati. Lo shopping d’avanguardia oggi si ispira a sostenibilità, responsabilità e condivisione
Comprare il vecchio per soddisfare il desiderio di nuovo: può sembrare un paradosso, ma c’è molta verità, e grandi numeri, nello shopping del “second hand”, più prosaicamente l’usato. La dimostrazione più recente del grande successo di questo segmento è il risultato della quotazione a Wall Street, il 15 gennaio, di Poshmark, piattaforma di reselling di abbigliamento con sede in California: fondata nel 2011, con un fatturato di 192 milioni di dollari e con alle spalle una crescita di quasi il 28% medio all’anno, ha raccolto 277,2 milioni di dollari, una cifra enorme e persino superiore di 20 milioni a quanto sperato.
Numeri in linea con le previsioni di GlobalData, per cui il mercato globale del resale passerà da 28 miliardi del 2019 a 64 miliardi nel 2024, con una crescita annua media del 39%. Alle spalle di questo incremento c’è anche quello del desiderio di sostenibilità da parte dei consumatori, soprattutto dei più giovani, che spesso si rivolgono alle piattaforme online come Poshmark, ma anche Vestiarie Collective o The RealReal, perché i negozi fisici di reselling scarseggiano, per non dire che non esistono.
Le previsioni di crescita del mercato del Second Hand fra 2019 e 2024 (GlobalData)
Se questa mancanza nel prossimo futuro verrà colmata, dovremo ringraziare non un marchio, ma un'amministrazione pubblica: lo scorso settembre quella di Berlino ha inaugurato uno spazio totalmente dedicato all’usato al terzo piano dello storico department store Karstadt, parte della catena Galeria Karstadt Kaufhof, sulla bella Herrmannplatz, luogo iconico dello shopping della capitale tedesca. Si chiama B-Wa(h)renhaus (che in tedesco crea un gioco di parole, poiché unisce il termine department store a quello di luogo per preservare, conservare), si estende su 650 metri quadri e vende merce usata, soprattutto abbigliamento, arredi, telefoni e altra elettronica di consumo.
Presentando il progetto, un pop-up prolungato visto che sarà aperto fino a tutto il mese di febbraio (Covid permettendo), l’amministrazione della città ha sottolineato di aver scelto appositamente quella location, cuore del quartiere nevralgico e multiculturale di Kreuzburg, per darle risalto. L’obiettivo è aprire anche altri store come quello, uno per ogni quartiere della città.
Molti degli oggetti in vendita sono stati recuperati dal sistema di riciclo dei rifiuti urbani e nel caso dell’abbigliamento anche dall’invenduto delle piattaforme, spesso anche resi che non possono essere rimessi in commercio. Un aspetto ancor più interessante del progetto è che trascende la mera attività di shopping per elevarsi a hub aperto alla città e alle sue esigenze: sul tetto dell’edificio si organizzano eventi e laboratori dedicati al riciclo e al riuso, e due volte al mese apre un “repair café” dove si può trovare aiuto per riparare un oggetto o dargli un nuova vita. Da settembre a oggi oltre 10mila persone hanno visitato il nuovo spazio.
Karstadt negli anni Trenta
Il complesso di Karstadt, infatti, è al centro di un ambizioso progetto che vuole trasformarlo nel department store, sviluppato secondo nuovi principi, più politici che commerciali: la sostenibilità, la condivisione, il senso di appartenenza a una comunità. il progetto della riqualificazione dell’edificio (costruito nel 1929 e che ospitava uno dei più grandi negozi del suo tempo, distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale e ricostruito nel 1950) non prevede un aumento dello spazio commerciale, oggi di circa 30mila metri quadri, anche per non recare danno ai piccoli negozi del quartiere. Molto spazio sarà riservato a centri per i bambini, studi per artista, aree per lo sport e per le associazioni locali, i servizi sociali ed educativi. E ci sarà anche un parcheggio per 600 biciclette.
Uno store in store di ThredUp da Jc Penney
Il nuovo modello di Berlino potrebbe fare da apriprista anche per altri department store, alle prese con una profonda crisi d’identità (e di vendite). In realtà c’è già chi lo sta sperimentando: nel 2019 Macy’s e JC Penney hanno firmato un accordo con la piattaforma di resale ThredUp, che li ha portati ad aprire dei pop up dedicati all’usato in alcuni dei loro negozi. Neiman Marcus ha rilevato una quota di Fashionphile, piattaforma di reselling di accessori griffati, e ha aperto degli spazi in alcuni negozi dove i clienti possono vendere, ma non acquistare, accessoti usati a Fashionphile. L'anno scorso si è unito anche Nordstrom, con gli spazi “See You Tomorrow”, dove si possono trovare creazioni di Burberry, Thom Browne, Isabel Marant, Off-White e Adidas.
Il progetto di riqualificazione di Karstadt
In ogni caso, e questo accade anche a Berlino, il salto evolutivo dell’usato è chiaro anche nel design degli spazi di vendita, che si allontanando drasticamente dalle logiche da mercato delle pulci, dall’aroma un po’ muffoso, che era legato al concetto di usato. Gli spazi per il second hand sono pensati ad hoc, con design piacevoli e totalmente coerenti con il resto degli spazi di vendita, che propongono ai clienti allestimenti innovativi e interessanti. Proprio quello che serve per riportare le persone in negozio, insieme alla consapevolezza di dare un concreto contributo alla sostenibilità mentre si fanno acquisti. Una visione ben interpretata dalla scritta che accoglie i visitatori della B-Wa(h)renhaus: «Fare shopping e salvare il mondo».
fonte: www.ilsole24ore.com
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Tra confusioni normative e cali di fatturato, il fondatore di Leotron Alessandro Giuliani spiega le drammatiche conseguenze del lockdown nel mondo dei negozi dell'usato, ma racconta anche i segnali di ripresa e i successi del second hand di nuova concezione
Ho iniziato a frequentare assiduamente i negozi dell’usato circa 10 anni fa, quando notai che alcuni erano davvero ben organizzati in una modalità distante anni luce dall’immaginario di robivecchi, rigattieri e mercatini di chincaglierie. Ci misi un po’ a capire cosa era cambiato negli ultimi anni. Ad aprirmi gli occhi fu Alessandro Giuliani, fondatore di Leotron ovvero di Mercatopoli e Babybazar, due modelli assolutamente virtuosi.
Il segreto? Puntare su qualità, cura dell’esposizione, trasparenza, sul rapporto umano e sul far emergere i valori legati alla sostenibilità e all’economia circolare. I punti vendita sono infatti impostati come un qualsiasi negozio – dai mobili all’abbigliamento, dall’oggettistica alle librerie – avendo particolare cura sull’esperienza del potenziale acquirente. Abbiamo raggiunto Giuliani per chiedergli se e cosa sia cambiato con il Coronavirus e il lockdown.
Alessandro Giuliani, quali sono state le conseguenze del lockdown sui negozi second hand?
La ripartenza è stata davvero caotica e su basi incerte. Vi è innanzitutto una cosa da specificare. La nostra tipologia di attività dei negozi dell’usato, in base ai codici ATECO, opera nell’ambito della prevenzione dei rifiuti e, per legge, avrebbe potuto rimanere sempre operativa anche durante il lockdown. Ma in molti casi, Prefetture e polizia municipale hanno dato una differente interpretazione ai DCPM impedendo l’apertura a molti negozi dell’usato, anche dopo il 4 maggio – come testimoniato da alcuni nostri affiliati – quando il decreto aveva dato il via libera ai negozi di abbigliamento per bambini ritenendo che i negozi dell’usato baby non rappresentassero veri e propri negozi al dettaglio ma erano appunto organizzati come procacciatori d’affari (anch’essi peraltro inclusi tra coloro che avrebbero potuto riaprire!), sebbene poi molti comuni li tassino – per i rifiuti – come negozi.
Vi sono poi state delle ordinanze che avevano addirittura vietato la vendita al mercato di oggetti usati e molti hanno pensato che riguardasse anche i negozi. Peraltro non vi era un problema di sicurezza e gestione dei beni dell’usato diversa dagli altri. Insomma, disparità e caos…ma alla fine – sebbene alcuni in ritardo – si è potuto finalmente ripartire. Come è stata la riapertura?
Innanzitutto, si è ripartiti registrando il drammatico crollo del fatturato dei periodi del lockdown. Anche chi ha provato a investire nell’online non ha avuto grandi ritorni. Quando si parla di comprare usato, le persone vogliono accertarsi dal vivo dello stato d’uso. La pubblicità delle ordinanze che vietavano la vendita di oggetti usati in mercati e fiere non ha sicuramente aiutato. Quindi la prima cosa che è stata fatta è stata una campagna di comunicazione per tranquillizzare la clientela in merito a tutte le misure di sicurezza prese, in conformità alla normativa e per proteggere clienti e personale: barriere, gel, strumenti per igienizzare oggetti e capi.
I nostri negozi però vendono oggetti che vengono portati da altre persone e spesso hanno una valenza stagionale (pensiamo ai vestiti, ma non solo!). Mentre eravamo chiusi abbiamo sfruttato i canali di comunicazione per dare indicazioni ai nostri clienti: “siete a casa e non potete uscire? È il momento giusto per vedere cosa si ha in cantina, in soffitta e negli armadi che effettivamente non serve, preparatelo per portarcelo alla riapertura”. Molti negozianti permettono poi di fare una prima cernita facendosi mandare foto via whatsapp o tramite i social network. Strumenti fondamentali di contatto e, in questo caso, per velocizzare le operazioni, in maniera ordinata, alla riapertura.
Il messaggio è stato recepito da molti e uno dei “segreti” del successo dei negozi è avere una varietà di prodotti di qualità, a prezzi low cost. Grazie a questa offerta la ripartenza è stata spesso molto positiva. Quindi all’offerta ha corrisposto una domanda altrettanto buona?
Dall’osservatorio del nostro network, che registra i dati dei negozi Mercatopoli e Babybazar, ma anche degli autonomi che si sono affiliati e che ci hanno inviato le loro stime, abbiamo registrato una notevole crescita in termini di fatturato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Questo vale soprattutto per i punti vendita che si sono più strutturati in maniera più simile ai negozi. Il discorso cambia per quei mercatini dell’usato che hanno ancora gli oggetti ammassati, un modello che peraltro non funziona più. Come sono i negozi dell’usato “di nuova concezione”?
Si ispirano agli elementi di successo nel retail: la cura delle vetrine, l’ordine, la garanzia che il prodotto sia funzionante, che sia pulito. Ma anche la scontistica. Ad esempio nei negozi Babybazar abbiamo previsto che chi avesse acquistato in alcuni giorni di settembre, avrebbe avuto un buono pari al 20% da usare nel mese successivo. Abbiamo delle fidelity card che danno una serie di vantaggi.
Inoltre sono fondamentali i servizi collaterali come la consegna, il trasporto, ma anche fare un bonifico per i pagamenti di chi vende gli oggetti, se non possono più passare in negozio (immaginate chi svuota casa e si trasferisce). In più, nei nostri punti vendita si da il diritto al ripensamento entro 7 giorni, in cambio si riceve un buono. Una cosa è importante sottolineare: un cliente soddisfatto è una persona che ritorna! E ora una domanda per chi non vi ha mai messo piede: perché la gente dovrebbe venire in un negozio second hand?
Se vedete la fila in una pizzeria, probabilmente vi fermerete a mangiare o prenoterete perché penserete che se c’è la fila ne vale la pena. Per entrare nei negozi dell’usato ad oggi c’è la fila! Io entrerei per scoprire il perché.
Letizia Palmisano
fonte: economiacircolare.com
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Nasce Buy Back, nuovo progetto di Ikea: ricompra i vecchi mobili garantendo nuova vita all'usato all'interno di un percorso di sostenibilità.
Un Black Friday davvero alternativo e all’insegna della sostenibilità quello lanciato da Ikea. contemporaneamente in 27 paesi, come Gran Bretagna, Australia, Canada, Francia, Germania, ovviamente Italia, Giappone e Russia. Le modalità saranno differenti in base al singolo paese ma il lancio sarà unico per tutti e prenderà il nome di Buy Friday. L’idea è quella di ricomprare dai clienti mobili e arredi usati ma in buone condizioni, offrendo in cambio una serie di buoni da spendere da Ikea pari al 30% e al 50% del valore del prezzo originale.
Un progetto davvero interessante che si inserisce perfettamente all’interno del nuovo percorso intrapreso da Ikea, che sta puntando tutto sulla sostenibilità. Per l’occasione è stata preparata una campagna pubblicitaria che prenderà il via durante il Black Friday. In questo modo i mobili riconsegnati potranno godere di una seconda opportunità, di una seconda vita perché verranno rivenduti negli spazi “As-Is” dei vari store. Mentre quelli non più rivendibili verranno riciclati o donati a progetti presenti nelle comunità locali.
Il progetto di Buy Friday nasce dall’esigenza di riciclare, di non sprecare ma di risultare il più sostenibili possibili, garantendo una nuova possibilità di vita a mobili ormai vecchi o che hanno fatto il loro corso. Permettendo a Ikea di migliorarsi ulteriormente grazie al percorso intrapreso per diventare un business circolare entro il 2030, sempre in favore dell’ambiente. Queste le parole di Pia Heidenmark Cook, Chief Sustainability Officer del Gruppo Ingka e partner di Ikea:
Essere circolari è un’ottima opportunità di business e, al tempo stesso, una responsabilità. La crisi climatica ci impone di ripensare radicalmente le nostre abitudini di consumo. Un’economia circolare si può raggiungere solo attraverso gli investimenti e la collaborazione con i clienti, le altre imprese, le comunità locali e i governi, in modo da azzerare i rifiuti e innescare un ciclo di riparazione, riutilizzo, riadattamento e riciclaggio.
Il valore del buono potrà variare in base alla condizione dei mobili. Per i soci di Ikea Family la cifra potrebbe raddoppiare proprio durante il periodo del Black Friday. Prima di rivendere i propri mobili è consigliabile consultare la sezione dedicata sul sito Ikea: “Dai una seconda vita ai tuoi mobili usati IKEA”.
fonte: www.greenstyle.it
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Alessandro Stillo, presidente di #ReteOnu e vice di #ViviBalon, ci spiega cosa è, cosa fa e che intenzioni ha l'evento #SpritzdelRiuso a #Torino - #CasadelQuartiere - #SanSalvario
PierAndrea Moiso, coordinatore del #TavolodelRiuso, ci spiega cosa è, cosa fa e che intenzioni ha l'evento #SpritzdelRiuso a #Torino - #CasadelQuartiere - #SanSalvario
Osservatorio Second Hand Economy condotto da BVA Doxa per Subito: la compravendita dell'usato si conferma un comportamento sempre più diffuso e virtuoso, in grado di incidere positivamente sul futuro delle persone, del Paese e del pianeta.
A poche settimane dall'inizio della fase due nel nostro Paese, dopo mesi in cui le persone si sono dovute fermare ripensando il proprio presente e futuro, diventa quanto mai importante ripartire facendo leva su comportamenti virtuosi che incidano positivamente sulla ripresa. In questa direzione si inserisce la second hand economy, una forma di economia circolare sempre più rilevante, che può rappresentare una risposta concreta non solo per le persone, ma anche per il Paese e per il pianeta, generando valore reale in modo sostenibile. La conferma arriva dalla sesta edizione dell'Osservatorio Second Hand Economy condotto da BVA Doxa per Subito, piattaforma n.1 in Italia per vendere e comprare con oltre 13 milioni di utenti unici mensili**, che ha evidenziato come il valore generato dalla compravendita dell'usato nel 2019 sia di 24 miliardi di euro, pari all'1,3% del PIL italiano, in costante aumento grazie soprattutto all'online, che pesa 10,5 miliardi di euro, ovvero il 45% del totale. Highlight Osservatorio Second Hand Economy 2019 La Second Hand Economy nel 2019 vale 24 miliardi di €, pari all'1,3% del PIL italiano (vs € 23 miliardi del 2018), con una crescita del 33% in 5 anni L'online continua a crescere e pesa per il 45%, ovvero € 10,5 miliardi (+55% rispetto al 2015) 1 italiano su 2 ha venduto e/o comprato usato, 21 milioni l'hanno fatto nel 2019, il 58% l'ha fatto online Il 66% degli Italiani che fanno second hand ha comprato e/o venduto almeno una volta ogni 6 mesi I settori più importanti in termini di valore sono Motori (€ 11,9 mld), Casa&Persona (€ 5,5 mld, settore con la maggiore crescita vs 2018 che era 3,8mld), Elettronica (€ 3,3 mld), Sports&Hobby (€ 2,7 mld) Le regioni in cui l'economia dell'usato genera più valore sono Lombardia (€ 3,1 mld), Lazio (€ 2,9 mld) e Campania (€ 2,4 mld) Nel 2019 chi ha venduto oggetti usati ha guadagnato in media € 1.087 all'anno, ma in ben 5 regioni si registra un dato più alto: le prime regioni per guadagno medio pro-capite sono Marche (€ 1.493), Toscana (€ 1.286), Sardegna (€ 1.258), Lazio (€ 1.179) e Veneto (€ 1.159)
"L'emergenza che abbiamo vissuto in questi mesi ci ha obbligati a fermarci e a ripensare il nostro modo di vivere, dandoci l'opportunità di ripartire migliori di prima", dichiara Giuseppe Pasceri, CEO di Subito. "I dati dell'Osservatorio Second Hand Economy ci dicono che l'economia dell'usato può essere una vera e propria leva per ripartire: per il Paese, perché è una forma di economia partecipativa che produce valore e mette in circolo risorse; per le persone, cui fornisce un beneficio economico tangibile; ma anche per il pianeta. Covid-19 ci ha fatto sentire tutta la nostra fragilità, ma anche il potere di fare la differenza con i nostri comportamenti. Comprare e vendere usato è un gesto semplice, immediato, alla portata di tutti e con un impatto diretto e misurabile sul cambiamento climatico. Lo scorso anno ad esempio grazie ai 18 milioni di oggetti venduti su Subito abbiamo risparmiato 5 milioni di tonnellate di CO2, come aver bloccato il traffico di Roma per 1 anno!".
Comprare e vendere usato si conferma al quarto posto tra i comportamenti sostenibili più diffusi degli italiani (49%), subito dopo la raccolta differenziata (95%), l'acquisto di lampadine a LED (77%) e di prodotti a km 0 (56%). In linea con quanto registrato lo scorso anno, continua a crescere l'importanza che viene data all'aspetto valoriale nella decisione di fare second hand, perché porta vantaggi non solo a livello personale, ma anche ambientale e sociale. L'economia dell'usato è quindi sempre di più una scelta sostenibile (44%), intelligente e attuale(40%), ma anche un modo per dare valore alle cose (37%). Tra chi acquista scende leggermente la percentuale di chi fa second hand per risparmiare (59%), che rimane tuttavia rilevante, confermando la possibilità di fare un buon affare come condizione essenziale nella compravendita dell'usato. Cresce la volontà di trovare pezzi unici o vintage (51%) e di contribuire all'abbattimento degli sprechi e al benessere ambientale attraverso il riutilizzo (48%), che insieme a chi lo considera un modo di intelligente di fare economia (39%), avvalora la tesi dell'economia dell'usato come un circolo virtuoso grazie al quale gli oggetti che hanno vissuto una prima vita, ne possono vivere una seconda, ma anche una terza o una quarta. Il 33% di chi acquista usa l'oggetto e poi lo regala quando non serve più, il 19% lo colleziona e il 9% prova a rivenderlo. Tra le ragioni che spingono invece alla vendita, il primo driver resta sempre la voglia di decluttering e la necessità di liberarsi del superfluo(76%), mentre il 42% vende perché crede nel riuso ed è contro gli sprechi, il 37% per guadagnare e il 16% perché desidera reinvestire il guadagno per comprare oggetti nuovi o usati. Esistono poi delle occasioni che favoriscono la vendita, come l'inutilizzo prolungato (73%), la voglia di passare a un modello superiore (32%), cambiamenti di tipo famigliare (22%) oppure un trasloco (18%). Tendenze che vengono confermate anche dall'uso che viene fatto dei soldi guadagnati dalla vendita, che vengono per lo più conservati per l'economia di casa (47%) ma utilizzati anche per acquistare altri oggetti usati (20%) oppure nuovi (17%).
fonte: www.greencity.it
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MIRANDOLA E FINALE EMILIA – Nasce la sartoria sociale ManiGolde a Finale Emilia: inclusiva, ecologica e che produce fa gran bei vestiti. E’ una sartoria sociale espressione di una economia circolare, inclusiva e di integrazione: il progetto ‘ManiGOLDe’ dell’associazione Manitese di Finale Emilia ha fin da subito catturato l’attenzione di chi a questi temi ci tiene, come l’azienda mirandolese Mantovanibenne che sponsorizza il gruppo di lavoro.
L’idea di utilizzare i materiali usati e di scarto per produrre capi di abbigliamento “nuovi” con lo scopo di promuovere azioni di inclusione socio-lavorativa per persone con disabilità e fragilità non ha lasciato indifferente l’azienda mirandolese. Spiegano dalla sartoria sociale ManiGolde: “Qualche tempo fa, Mani Tese Finale Emilia, in un post su Facebook lanciava l’idea di creare una sartoria a Manitese. Le risposte a questa idea lanciata sul social siamo noi. Tutto è partito così, e il 10 Settembre, abbiamo fatto il primo incontro per confrontarci. Da questo incontro non ci siamo lasciati più. È nato un progetto incredibile, che prende spunto da altre realtà esistenti, una sartoria sociale che avrà un proprio brand e realizzerà capi esclusivamente da materie prime riciclate. Una prima collezione, maniGOLDe, verrà realizzata con tessuti abbandonati e una seconda linea nascerà dalla trasformazione di abiti vintage e si chiamerà riMani.”
Questa mattina il progetto della sartoria sociale ManiGolde è stato presentato alla stampa presso la sede di Manitese a Finale Emilia, alla presenza di Roberta Mantovani, presidente e amministratore delegato di Mantovanibenne, di Palma Costi, assessore alle Attività produttive della Regione, di Simone Gradellini, direttore dell’area Capitale umano di Confindustria Emilia, e delle volontarie di Manitese.
Il futuro della raccolta dei materiali ferrosi nell’ottica del riutilizzo e dell’economia circolare
4 aprile 2019 – ore 10.00 – 17.00
Presso Comune di Roma – Dipartimento Politiche Sociali, Sussidiarietà e Salute
Viale Manzoni, 16 – Roma
Si terrà il prossimo 4 Aprile 2o19 a Roma, il convegno “Il futuro della raccolta dei materiali ferrosi nell’ottica del riutilizzo e dell’economia circolare” promosso dal CONSORZIO EQUO insieme all’ Ufficio Speciale Rom, Sinti e Caminanti, Rete ONU, Croce Rossa Italiana – Comitato Area Metropolitana Roma Capitale, Associazione Italiana Recuperatori Metalli.
L’incontro ha lo scopo di evidenziare il percorso virtuoso di rispetto delle norme e della legalità nella raccolta di rottami ferrosi effettuati dalla comunità Rom.
La giornata vivrà di 2 momenti principali:
Parte prima: la realtà dei conferimenti di rifiuti speciali in impianti di recupero da parte di privati – Assetto normativo e prospettive di riforma – Stato attuale e possibile evoluzione secondo il modello e la proposta del consorzio Equo.
Parte seconda: il futuro della raccolta nell’ottica dell’economia circolare, del riuso e del riutilizzo
Qualsiasi genitore ha presente la velocità con cui i figli passano da una taglia all’altra creando un accumulo di vestiti negli armadi. Partendo da questa semplice constatazione, due imprenditori italiani hanno fondato una startup che punta sull’economia circolare per creare un mercato sostenibile dell’usato e contenere gli sprechi: si chiama Armadio Verde e promette di sbarazzarci dei vestiti inutilizzati dando la possibilità di scambiarli per altri più adatti alla taglia o semplicemente al gusto del momento.
“Siamo partiti dall’idea di riutilizzare i vestiti da bambini, poi ci siamo resi conto che anche le donne hanno spesso armadi strapieni e voglia costante di cambiare guardaroba”, dice David Erba, cofondatore della startup insieme all’ex moglie Eleonora Dellera. “E i numeri ci stanno dando ragione”.
Dall’8 marzo di quest’anno, quando è stata introdotta la linea donna, gli scambi sono raddoppiati e il 60% dei vestiti che oggi Armadio Verde rimette in circolo sono capi femminili. L’azienda è nata con veri negozi che servivano da punti di raccolta e scambio per poi passare solo online nel 2015, quando ha chiuso con successo un round d’investimenti raccogliendo 1,3 milioni di euro.
Oggi ha all’attivo 8.000 clienti per conto dei quali muove quotidianamente circa 3.000 capi, dà lavoro a 25 persone e ha chiuso il 2017 con un fatturato di € 600.000. Ma la crescita ha fatto un balzo in avanti e per quest’anno la previsione è di chiudere il bilancio superando i 2 milioni di euro. Così com’è strutturato, il modello di business di Armadio Verde è pronto a essere esportato all’estero. Già previsto lo sbarco in Francia per il 2019, a cui poco dopo dovrebbe seguire quello in Germania.
“L’idea è nata guardando l’armadio dei nostri figli riempirsi di vestiti inutilizzabili”, dice Erba, ingegnere passato dal gestire le catene di montaggio degli stabilimenti Fiat al creare startup tecnologiche. “Il modello di business è perfettamente scalabile e il mio sogno è aprire anche ad altri settori merceologici, anche se al momento restiamo concentrati sull’abbigliamento”.
Dopo la registrazione online, Armadio Verde manda a casa una cassa (rigorosamente di cartone riciclato) da riempire con vestiti dismessi. Poi la ritira a sue spese, seleziona i capi e assegna una moneta virtuale con la quale l’utente può comprarne altri fra quelli pubblicati sul sito, aggiungendo 5 euro di spese per ogni transazione.
Nel caso in cui l’abito non soddisfi i requisiti di qualità, può essere devoluto in beneficenza attraverso l’onlus Humana.org affinché trovi comunque un utilizzo. Armadio Verde promette anche di essere sostenibile da un punto di vista ambientale. L’impatto dell’industria dell’abbigliamento in termini di produzione di CO2, impiego di acqua e utilizzo di energia è noto; allungare il ciclo di vita dei capi è un modo per contribuire a ridurlo. Cosa che, però, succede solo raramente perché più spesso vince la nostra voglia di comprare qualcosa di nuovo. Ma nuovo non deve per forza significare mai usato prima.
“L’innovatività del nostro e-commerce sta nel fatto che i clienti devono spedire vestiti che non usano per guadagnare le stelline necessarie per prendere altri vestiti”, sottolinea Erba. “In questo modo il driver del prezzo spinge i clienti a liberare gli armadi da vestiti inutilizzati, creando il circolo virtuoso”.
Dalla sua nascita, Armadio Verde ha reso possibile lo scambio di 180.000 vestiti, una montagna di tessuti fatta di circa 25 tonnellate di cotone, 7,5 di fibre sintetiche e 1,5 di lana. Che, essendo stati riciclati al posto che prodotti ex novo, nelle stime dell’azienda equivalgono a risparmio di 135 tonnellate di CO2 e 225 milioni di litri di acqua.
Mercoledì 7 Novembre 2018 - 14:00 - Sala Abete Hall Ovest
Il settore dell'usato e del riutilizzo si appresta a vivere trasformazioni radicali che cambieranno per sempre il volto del mercato. Esperti, stakeholder e player del settore spiegheranno il processo di cambiamento fornendo aggiornamenti sulle ultime novità normative e operative.
Programma
14.00 Introduzione e benvenuto
Pietro Luppi, Occhio del Riciclone L'usato tra presente e futuro, questioni e scenari
Josep Maria Tost y Borras, Direttore Agenzia Rifiuti della Catalogna e Vicepresidente ACR+ Riorganizzare le raccolte indumenti in vista degli obiettivi 2025
Claudia Strasserra, Bureau Veritas Evoluzioni dello strumento ESET per la tracciabilità delle filiere dell’usato
Aretha Dotta, Contarina Un modello integrato per massimizzare il riutilizzo
On. Stefano Vignaroli Una nuova legge per l’usato e il riutilizzo
Alessandro Strada, Humana People to People Italia Vestiti usati, mercato mondiale e punti di equilibrio
Mirko Regazzi, Utilitalia Linee Guida per le gare di raccolta e recupero abiti usati
Andrea Fluttero, Fise-Unicircular Verso una democrazia dei consorzi di filiera
Alessandro Stillo, Rete ONU Informalità ed emersione, da soggetti vulnerabili a soggetti protagonisti
17.30 Ulla Carina Bolin, Humana People to People Italia Discussione e chiusura
Solo in Italia, la compravendita di oggetti usati vale 19 miliardi di euro (l'1% del Pil). E permette di evitare 4,5 milioni di tonnellate di CO2
Un po’ come cancellare l’anidride carbonica emessa da 64 milioni di voli tra gli aeroporti di Malpensa e Fiumicino (e ritorno) o 4,4 milioni di transvolate oceaniche fino a NewYork. Oppure dotare ogni italiano di 116 chili di pasta a testa “emission free”. O, se preferite, come immaginare di azzerare i gas nocivi provocati per un intero anno dal caotico traffico della Capitale d’Italia. Di esempi ce ne possono essere infiniti. E tutti rendono l’idea di quanto le nostre scelte di consumo possono incidere sulla produzione di gas serra.
Scegliere di acquistare prodotti usati è una di quelle scelte. Genera un circolo virtuoso che allunga la vita degli oggetti, sviluppa introiti addizionali e risparmi per molte famiglie e ha un concreto impatto sull’ambiente. Dare una seconda vita a un oggetto significa infatti evitare di produrne uno nuovo. In termini di CO2 evitata, un bel tesoretto. Quanto grande?
Un’indagine sulle piattaforme di 10 Paesi
Un calcolo in tal senso è stato realizzato dal Istituto Svedese di Ricerca Ambientale (IVL) per conto di Schibsted Media Group, la multinazionale norvegese che fornisce piattaforme per le compravendite di oggetti usati in 10 Stati (Francia, Spagna, Norvegia, Finlandia, Ungheria, Marocco, Brasile, Messico, Italia e Svezia). Il risparmio complessivo è stato pari a 21,5 milioni di tonnellate di CO2.
L’impatto ambientale della second hand economy nei paesi serviti dalle piattaforme online di Schibsted Group
Un dato decisamente importante soprattutto se si pensa che corrisponde al blocco del traffico della città di Oslo per addirittura 43 anni oppure a 1,2 milioni di tonnellate di plastica con cui si potrebbero produrre 169 miliardi di buste di plastica o 22 miliardi di bottiglie PET da 2 litri. E ancora 7,8 milioni di tonnellate di acciaio che corrispondono a 62mila Statue della Libertà e ancora 0,7 milioni di tonnellate di alluminio che servono per fabbricare 49 miliardi di lattine.
4,5 milioni di tonnellate evitate in Italia
Se ci si concentra sul nostro Paese (dove l’azienda opera attraverso il portale Subito.it), gli 8 milioni di utenti unici mensili hanno permesso un taglio di 4,5 milioni di tonnellate. Oltre ad esse, grazie all’economia dell’usato, sono state risparmiate ben 245.927 tonnellate di plastica, con cui si potrebbero produrre 4,6 miliardi di bottigliette PET da 2 litri oppure 34,7 miliardi di buste di plastica, 1,6 milioni di tonnellate di acciaio, equivalenti a 428.861 container, o ancora a 153.830 tonnellate di alluminio che corrispondono a 10,3 miliardi di lattine.
L’impatto della compravendita dell’usato. FONTE: Istituto Svedese di Ricerca Ambientale per Subito.it
«Ogni giorno, solamente sul nostro portale, circa 50mila italiani contribuiscono alla Second Hand Economy, quell’economia dell’usato che in Italia vale 21 miliardi di euro, ovvero l’1,2% del PIL» commenta Melany Libraro, CEO di Schibsted Italia. «Ogni volta che qualcuno di noi compra o vende usato compie un piccolo gesto importante per il futuro di tutti, perché concorre a ridurre il nostro impatto ambientale, concretamente».
Se usi l’usato, eviti la produzione del nuovo
Per calcolare il risparmio complessivo derivante dalla compravendita su Subito, IVL ha preso in considerazione le emissioni derivanti dalla produzione degli oggetti più venduti sulla piattaforma. Partendo da un presupposto: che ogni prodotto usato venduto sostituisca la produzione di un prodotto equivalente nuovo e la gestione della dismissione del prodotto precedente. Quante emissioni si eviterebbero quindi per ogni singolo oggetto? La compravendita di un’auto usata ad esempio permette di risparmiare 5,6 tonnellate di CO2, un computer portatile 270kg, un divano 250kg, un passeggino 220kg, uno smartphone 75kg, una sedia 72kg, una bici 69kg, un paio di jeans 33kg e una t-shirt 7,2kg.
Campania regina del mercato del riuso
L’impatto della second hand economy tuttavia non è omogeneo in tutta Italia. Campania, Lombardia e Lazio sono in testa per anidride carbonica risparmiata. Sommando la CO2 evitata nelle tre regioni si arriva al 40% del totale nazionale (rispettivamente 15,8%, 14,6% e 9,8%). Circa 18 milioni di tonnellate di anidride carbonica risparmiata. Anche a livello di province la Campania si conferma la più green grazie al primo posto di Napoli, unica città del Sud presente nelle prime cinque, che ha risparmiato 516.776 tonnellate di CO2. Seguono Roma con 345.856, Milano con 228.124, Torino con 213.419 e infine Bologna con 161.389.
Un mercato da 19 miliardi di euro
Nel calcolo operato dall’istituto svedese è stato tenuto conto anche dell’impatto ambientale che deriva dal trasporto degli oggetti tra venditore e compratore – con una stima per eccesso (molte compravendite avvengono in prossimità e con scambio a mano) di 44 km per annuncio. Inoltre, è stato preso in considerazione anche l’impatto ambientale negativo che deriva dalle attività svolte dall’azienda. Le voci considerate sono il consumo di energia elettrica dei server e degli uffici e gli spostamenti di lavoro. Il risultato finale è al netto degli impatti negativi aziendali.
Ma l’economia “di seconda mano” è anche una grande opportunità economica. Un modo per mantenere il tenore di vita e il benessere dei cittadini, riducendo il loro esborso economico. Secondo l’indagine, la second hand economy copre un mercato che vale 19 miliardi di euro. Poco più dell’1% del Pil italiano. Di questo, più di un terzo (il 37%) avviene grazie alle piattaforme online per un volume di affari di oltre 7 miliardi (in crescita di 300 milioni dal 2015). Una prova di come il web abbia aiutato all’economia del riuso di consolidarsi e crescere.