Sapevate che il 60% dei vestiti in circolazione finisce in discarica entro un anno dal momento in cui viene realizzato? E che per la produzione di un kg di tessuto vengono emessi 17 kg di anidride carbonica?
L’industria dell’abbigliamento è una delle più impattanti a livello globale dal punto di vista ambientale e sociale. Un impatto che si è aggravato con l’esplosione della fast fashion, un modello di produzione e consumo di massa basato sull’offerta costante di nuovi capi a prezzi ridotti e sulla stimolazione dell’impulso all’acquisto.
Un’altra moda è possibile
Esiste un filo rosso che unisce le tante realtà produttive italiane in controtendenza rispetto alle logiche di business dominanti, realtà che pongono l’attenzione verso la qualità, l’ambiente e le persone al centro del proprio operato.
Nel documentario “Storie di una moda possibile”, prodotto da Mani Tese e Istituto Oikos e realizzato da Stefano Girardi, sono raccontate non solo le conseguenze della fast fashion ma anche un modo diverso di produrre i nostri vestiti attraverso i protagonisti di tre aziende del settore tessile che adottano modelli di business e pratiche virtuose dal punto di vista sociale e ambientale:
Manigolde, una sartoria sociale al femminile, lanciata nel 2019 sulla base dell’esperienza ventennale di Mani Tese Finale Emilia nella gestione di mercatini dell’usato;
Rifò Lab, che produce capi e accessori di alta qualità con fibre tessili rigenerate e rigenerabili, attingendo dal sapere artigianale dei “cenciaioli” toscani;
Produzione Lenta, una micro-impresa della provincia di Cuneo che basa la propria produzione su una filosofia 100% "slow fashion”.
Il progetto mira a promuovere un cambiamento nei modelli di consumo e produzione relativi al settore dell’abbigliamento a partire dalla sensibilizzazione dei giovani, affinché diventino agenti di cambiamento verso un settore moda più etico, trasparente e sostenibile.
Un e-commerce che offre offerte per capi d’abbigliamento a prezzi stracciati, ma… al momento dell’acquisto la sorpresa: è un sito “fake”, che ha l’unico grande obiettivo di svelare il vero costo della moda “usa e getta” e le conseguenze provocate dalla fast fashion.
Anche nei periodi di crisi, le persone non riescono a rinunciare alla cosiddetta moda veloce (fast fashion). L’Ong Mani Tese ha lanciato la campagna Prezzi dell’altro mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica sui molteplici problemi generati dal consumismo sfrenato nel settore dell’abbigliamento. Nei numerosi siti online specializzati possiamo infatti acquistare capi di abbigliamento a basso costo, che con un semplice click saranno spediti al nostro domicilio.
Sul negozio virtuale Prezzi dell’altro mondo, invece, quando acquisti un capo di abbigliamento, sul sito ti compare non solo il prezzo di listino, ma anche il vero prezzo di quell’indumento, che include tutti quei costi aggiuntivi “invisibili”, legati all’insostenibile impatto umano e ambientale del processo produttivo-industriale.
L’industria tessile genera rifiuti e contribuisce all’aumento delle emissioni di gas serra; ogni anno, infatti, produce circa 1,2 miliardi di tonnellate di gas serra e occupa 38 milioni di ettari di terra, destinati alla coltivazione e alla produzione di vestiti; poi, se i lavoratori e le lavoratrici del settore tessile, soprattutto nel sud del mondo e nei paesi asiatici, vengono sfruttati dai datori di lavoro e subiscono sistematici abusi di ogni genere, alcuni inderogabili diritti umani vengono inevitabilmente violati e nuove forme di schiavitù vengono più o meno apertamente tollerate.
Come funziona
Quando sceglie uno dei prodotti messi “in vendita” e lo mette nel carrello, invece di concludere un grande affare, l’utente viene informato di tutto ciò che quel capo nasconde. Le informazioni sono sia nel relativo video che appare che nella lista della descrizione del prodotto.
@Mani Tese
Per potere vendere a prezzi così bassi, infatti, oltre che sulla scarsa qualità dei materiali utilizzati, la fast fashion si regge sulle strategie di outsourcing e delocalizzazione dei grandi marchi globali, che basano larga parte della loro produzione in stabilimenti caratterizzati da bassissimi costi di manodopera, assenza di tutele efficaci dei lavoratori e scarso rispetto delle normative ambientali.
Il progetto dell’Ong è rivolto soprattutto ai giovani tra i 18 e i 35 anni, particolarmente attratti dalla moda usa e getta pubblicizzata su Internet. Figlia di un modello totalmente insostenibile sul piano sia sociale che ambientale, esaspera la portata delle problematiche già esistenti nella restante industria dell’abbigliamento.
Un vestito venduto a poco prezzo è spesso costituito da materiali di scarsa qualità, nocivi per gli esseri umani (bambini inclusi) e per l’ambiente, poiché attinge a risorse naturali scarse. Le principali marche di abbigliamento del mondo, non a caso, hanno delocalizzato la produzione in paesi dove la tutela legislativa dei lavoratori è meno stringente e/o dove non esiste una normativa ambientale. Come abbandonare la moda usa e getta
Per modificare le proprie preferenze rispetto al mondo dell’abbigliamento e per diventare consumatori più responsabili e attenti alle implicazioni etiche dei propri comportamenti d’acquisto, puoi fare molte cose: Compra meno cose e indossale molto di più. Il tuo stile personale è come te: unico! Non devi per forza seguire le mode stagionali per esprimere la tua identità. Evita l’acquisto d’impulso: nella maggioranza dei casi è destinato al fondo dell’armadio! Impara a leggere le etichette e le certificazioni di qualità ambientale e sociale, pur sapendo che non potranno mai dire tutto del capo che stai per acquistare. Informati sulle tue marche d’abbigliamento preferite e fai sapere loro che per te sostenibilità, rispetto dei diritti dei lavoratori e trasparenza sono importanti. Scegli tessuti in fibre naturali e, se proprio devi comprare tessuti sintetici, preferisci quelli ottenuti dal riciclo di materiali plastici. Evita lunghi spostamenti in auto da un negozio all’altro: muoviti a piedi o in bici quando devi fare un acquisto, oppure compra online in modo consapevole. Scopri il fascino dei negozi dell’usato, vintage e del commercio equo e solidale. Modifica i tuoi vecchi capi per reinventarli e dare loro una seconda vita (refashion). Scegli se vuoi applicare uno o più di questi suggerimenti e ricorda che non esiste un modo unico di essere consumatori consapevoli. Proprio come non c’è un modo unico di vestirsi e di dare il proprio contributo per un mondo più equo e sostenibile
MIRANDOLA E FINALE EMILIA – Nasce la sartoria sociale ManiGolde a Finale Emilia: inclusiva, ecologica e che produce fa gran bei vestiti. E’ una sartoria sociale espressione di una economia circolare, inclusiva e di integrazione: il progetto ‘ManiGOLDe’ dell’associazione Manitese di Finale Emilia ha fin da subito catturato l’attenzione di chi a questi temi ci tiene, come l’azienda mirandolese Mantovanibenne che sponsorizza il gruppo di lavoro.
L’idea di utilizzare i materiali usati e di scarto per produrre capi di abbigliamento “nuovi” con lo scopo di promuovere azioni di inclusione socio-lavorativa per persone con disabilità e fragilità non ha lasciato indifferente l’azienda mirandolese. Spiegano dalla sartoria sociale ManiGolde: “Qualche tempo fa, Mani Tese Finale Emilia, in un post su Facebook lanciava l’idea di creare una sartoria a Manitese. Le risposte a questa idea lanciata sul social siamo noi. Tutto è partito così, e il 10 Settembre, abbiamo fatto il primo incontro per confrontarci. Da questo incontro non ci siamo lasciati più. È nato un progetto incredibile, che prende spunto da altre realtà esistenti, una sartoria sociale che avrà un proprio brand e realizzerà capi esclusivamente da materie prime riciclate. Una prima collezione, maniGOLDe, verrà realizzata con tessuti abbandonati e una seconda linea nascerà dalla trasformazione di abiti vintage e si chiamerà riMani.”
Questa mattina il progetto della sartoria sociale ManiGolde è stato presentato alla stampa presso la sede di Manitese a Finale Emilia, alla presenza di Roberta Mantovani, presidente e amministratore delegato di Mantovanibenne, di Palma Costi, assessore alle Attività produttive della Regione, di Simone Gradellini, direttore dell’area Capitale umano di Confindustria Emilia, e delle volontarie di Manitese.
Il Premio Mani Tese per il Giornalismo Investigativo e Sociale, lanciato nel 2019 e promosso da Mani Tese con il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), aveva come obiettivo quello di portare alla luce storie e inchieste relative all’impatto dell’attività d’impresa sui diritti e sull’ambiente.
A vincerlo era stato il team composto da Roberto Pisano, Elisabetta Muratori e Rosario Daniele Guzzo con il progetto d’inchiesta “Amazon: indagine su uno smaltimento al di sopra di ogni sospetto”, che si proponeva di identificare i meccanismi di smaltimento della merce invenduta da parte di Amazon, uno degli attori protagonisti dell’e-commerce a livello globale.
I tre autori erano stati scelti durante la cerimonia di premiazione, tenutasi il 2 maggio 2019 presso la Fondazione Feltrinelli, fra una rosa di sei finalisti da una giuria composta dai giornalisti Gad Lerner, Tiziana Ferrario, Gianluigi Nuzzi, Francesco Loiacono e dal Direttore Comunicazione di AICS Emilio Ciarlo.
Alla selezione dei finalisti del premio avevano contribuito, inoltre, le giornaliste Eva Giovannini e Stefania Prandi e il direttore di Fanpage.it Francesco Piccinini.
AMAZON, UNO SMALTIMENTO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO
Dalla distruzione di massa dei beni invenduti a una nuova economia circolare.
di ROSARIO DANIELE GUZZO, ELISABETTA MURATORI, ROBERTO PISANO
LIBERI DI DISTRUGGERE
La sequenza di camion disposti sul retro del magazzino si allunga a perdita d’occhio. I gaylord, enormi contenitori riempiti da migliaia di oggetti, sono pronti per essere stivati sugli autotreni in attesa. Sulle scatole la destinazione: destroy.
Secondo le testimonianze raccolte, in Italia il gigante del commercio on-line Amazon distrugge mensilmentefino a 100 mila prodotti nuovi nei poli logistici del territorio. Si tratta di resi danneggiati e beni invenduti: solo una minima parte di questi trova una seconda vita sugli scaffali o diventa un dono. Per il resto delle merci, il capolinea è la pressa di un’azienda incaricata da Amazon allo smaltimento dei beni che non trovano più spazio nelle corsie dei suoi immensi magazzini.
I prodotti condannati alla distruzione hanno gestazione lunga ma vita breve: dalle materie prime per costruirli estratte nell’altro emisfero all’assemblaggio, che avviene spesso molto lontano, fino ai mezzi di trasporto più vari, per arrivare su gomma, rotaia o via mare nei magazzini italiani. E infine, invenduti, ancora avvolti nei loro involucri di plastica, dritti verso il macero.
È nelle pieghe di un regolamento forgiato dalla rapida conquista dei mercati esteri che si gioca la partita della responsabilità. Il prodotto che ordiniamo può avere tre diverse tipologie di provenienza: può essere di proprietà di Amazon oppure di un venditore che si serve solamente di questa vetrina digitale (oggi il 58% delle unità vendute sulla piattaforma). O ancora, la merce di un fornitore esterno che acquista solo i servizi di logistica.
Nell’ultimo caso a decidere delle sorti di resi e prodotti alla fine della scadenza non sarebbe infatti la multinazionale di Seattle, e neanche la sua controllata con sede in Lussemburgo, il piccolo paradiso che accoglie i giganti che vogliono stare con un piede nell’Unione Europea. A disporre la distruzione degli oggetti oltre la giacenza concordata è il fornitore stesso, padrone di fare ciò che desidera con la sua merce in virtù di una normativa sulla distruzione volontaria che si sviluppa alla fine degli anni novanta. A eseguire l’eliminazione è invece una piccola azienda dell’indotto locale alla quale viene appaltato lo smaltimento.
Per qualche centesimo in meno. Secondo il tariffario in vigore tra il 2017 e il 2018 le tariffe dello smaltimento rendevano immensamente più conveniente distruggere invece che restituire: 25 centesimi per unità il costo del reso al fornitore per un articolo di dimensioni standard (fino a 12 chili e dimensioni di 45x34x26cm) contro i 10 centesimi dello smaltimento…
È stato studiato e preso a esempio da un team di esperti e tecnici ministeriali. Il ricavato dell’attività serve a finanziare progetti di solidarietà e cooperazione internazionale.
SAN CASCIANO VAL DI PESA (Fi) – Un modello virtuoso per allungare la vita agli oggetti che non servono più. È il Centro del Riuso di Canciulle, nato nella stazione ecologica di San Casciano. Qui decine di volontari, coordinati dall’associazione Mani Tese, sono all’opera tutti i sabati per gestire lo spazio che investe sulla buona pratica del riuso. L’obiettivo è triplice: tutelare l’ambiente, evitando agli oggetti di trasformarsi in rifiuti; aiutare le persone in difficoltà, offrendo la possibilità di acquistare a prezzi modestissimi mobili, vestiti, accessori, libri, giocattoli, casalinghi, elettrodomestici in buono stato; sostenere progetti di solidarietà e cooperazione locale e internazionale.
L’attività del centro, che fa parte di un progetto più ampio sulla riduzione dei rifiuti promosso dai Comuni del Chianti denominato Wasteless in Chianti , è stata osservata da un team di esperti, tecnici ministeriali e rappresentanti della Regione Liguria che in questi giorni hanno partecipato a un workshop nella sala consiliare del Comune prendendo a modello nazionale le buone pratiche ambientali di San Casciano, in particolare quelle messe in atto dal Centro del Riuso solidale.
La gestione del Centro è affidata a Mani Tese Firenze Onlus, coordinata da Federico Preti. L’associazione di volontariato è attiva da anni sui temi della solidarietà internazionale e della proposta di stili di vita sostenibili, in collaborazione con altre realtà come Mato Grosso e Forum Cittadini Insieme. Il ricavato va a finanziare progetti di Mani Tese e Mato Grosso in America Latina (Guatemala, Ecuador, Bolivia) e del Forum Cittadini Insieme sul territorio di San Casciano.
E’ possibile anche concordare con le associazioni il ritiro degli oggetti a domicilio. Chi desidera acquisire un oggetto lasciato in esposizione in conto donazione può prenotarlo e passare a ritirarlo nelle giornate organizzate nel corso dell’anno, dove sarà possibile anche prendere visione dei progetti e delle iniziative delle associazioni che saranno finanziate con i proventi delle donazioni.
“Chi regala al Centro del Riuso fa un conto donazione – spiega l’assessore all’Ambiente Consuelo Cavallini – e sa che il proprio oggetto, prima di diventare rifiuto, potrà rinascere, entrare in un’altra casa e tornare utile se non necessario a una famiglia in difficoltà. Chi compra fa un favore all’ambiente e alle proprie tasche, risparmia in maniera considerevole, dato che le varie categorie merceologiche in vendita hanno prezzi modestissimi. E offre un piccolo ma importante contributo per alimentare progetti di solidarietà e cooperazione internazionale”.
L’associazione Mani Tese e i volontari che gestiscono il Centro sono disponibili ogni sabato dalle 9 alle 12.30 e dalle 15 alle 18.30.
La “Rulli Frulli” di Finale Emilia (MO) ideata da Federico Alberghini e promossa dalla Ong Mani Tese non è più semplicemente una banda che dà una seconda vita agli oggetti. È uno stile di comunità, un laboratorio musicale capace di contagiare altri territori e dal 2020 -quando festeggerà 10 anni- anche un metodo scientifico oggetto di studio da parte dell’Università Cattolica di Milano. A fine maggio la festa nel “quartier generale” finalese con “Interscambio – Rulli Frulli Days”. 270 musicisti da tutta Italia
A quasi dieci anni dalla nascita e a sette dal terremoto che ha colpito l’Emilia-Romagna, la “Rulli Frulli” di Finale Emilia (MO, bandarullifrulli.it) ideata da Federico Alberghini non è più semplicemente una banda che dà una seconda vita agli oggetti. È uno stile di comunità, un laboratorio musicale capace di contagiare altri territori e dal 2020 anche un metodo scientifico oggetto di studio da parte dell’Università Cattolica di Milano. Si tratta di una “enclave dove c’è più rispetto per il prossimo, dove l’uguaglianza è praticata su più livelli”, come la definisce Luca Viaggi, anima della Ong Mani Tese che nel 2012 ha accolto presso la propria sede finalese la banda e le ha dato modo di nuovo di “suonare insieme, suonare più forte del terremoto”.
“È un gruppo dove tutti sono uguali, dove si superano le differenze di età e di diversa-abilità mentre si costruiscono strumenti musicali con materiali di recupero”, spiega Alberghini, fondatore del gruppo insieme a Marco Golinelli, Federico Bocchi e Sara Setti. “I 70 ragazzi che oggi compongono la banda, di cui 18 con disabilità, salgono sul palco con cestelli dell’asciugatrice trasformati in casse da banda, tubi idraulici suonati con racchette da ping pong, manici di scopa siliconati per farne bacchette e pentole a profusione. Un progetto dove si fa musica per davvero, in cui la musica non fa differenze e toglie le distanze. E il risultato è stato strabiliante”.
Luca Viaggi parla infatti di una “coabitazione diventata condivisione di contenuti, nello stile di Mani Tese”. La Ong ha accolto la banda, risistemando un’ala della sede e trasformandola nel “quartier generale” Rulli Frulli (anche grazie a una donazione del chapter organizzato dell’Harley Davidson dell’Emilia-Romagna), le ha fornito pentolame e metalli per creare strumenti musicali e ha creduto nel progetto nato due prima del sisma all’interno della Fondazione C.G. Andreoli e promosso con Fondazione Alta Mane Italia.
Oggi “Rulli Frulli” macina e rilancia progettualità. È in arrivo il nuovo tour “Assalto tribale”, con tappa fondamentale prevista per la due giorni 31 maggio-1 giugno 2019 in occasione di “Interscambio – Rulli Frulli Days”. 270 musicisti da tutta Italia a Finale Emilia, con 600 ragazzi che parteciperanno e 150 volontari per la festa. “Verrà presentato il nuovo spettacolo in via Digione 20, Finale Emilia, insieme a Gianluca Nicoletti e 8 realtà musicali italiane di integrazione sociale”, continua Alberghini. “Saliranno sul palco Rulli Frullini (progetto Rulli Frulli rivolto a bambini tra i 6 e gli 11 anni), AllegroModerato InBand da Milano, Marinai (progetto Rulli Frulli rivolto a minori e maggiorenni richiedenti asilo e coetanei italiani del Comune di Reggio Emilia), Banda del Quartiere di Baranzate (progetto Rulli Frulli rivolto a bambini di diverse etnie e nazionalità), Civico Zero e MaTeMù/Cies da Roma”.
“Da tre anni a questa parte la banda ha avuto uno sviluppo -continua l’ideatore-. Siamo diventati un metodo. Da fuori Regione abbiamo iniziato ad avere le prime richieste per fare i laboratori Rulli Frulli, utilizzando la nostra didattica. Il primo progetto dove siamo stati chiamati è stato a Baranzate (MI), da Don Paolo Steffano e dall’amministrazione comunale. Ci hanno chiamato per creare la banda del quartiere: Baranzate è un quartiere con una situazione di disagio abbastanza importante, con 72 etnie diverse. Abbiamo creato la ‘Banda del quartiere’, sempre tramite la costruzione dello strumento con materiali di recupero e le prove di musica d’insieme esattamente come facciamo noi”.
Non è finita. “Siamo stati chiamati a Reggio Emilia a fare un progetto con 25 ragazzi richiedenti asilo della cooperativa Dimora d’Abramo della città. Siamo partiti con un laboratorio di costruzione degli strumenti e una piccola prova musicale insieme. Da quel piccolo laboratorio è nato ‘Marinai’, un progetto che ad oggi ha 35 elementi, 25 ragazzi richiedenti asilo e altri ragazzi italiani che si sono avvicinati a questo progetto. Fa già concerti, registreremo il disco a settembre di quest’anno e faremo un tour. Poi siamo stati chiamati nel carcere psichiatrico a Reggio Emilia dove insieme a Marco Golinelli, vice direttore della banda Rulli Frulli, e a 15 detenuti abbiamo fatto didattica, costruzione e laboratorio musicale. E poi a San Patrignano con i ragazzi che alloggiano lì”.
Anche grazie a questi progetti, l’Università Cattolica di Milano si è presentata un giorno nella sala prove di “Rulli Frulli”, da Mani Tese. “Dal primo settembre 2018 l’ateneo, tramite la dottoressa Patrizia Cappelletti -continua Federico-, sta studiando il ‘metodo didattico’ Rulli Frulli, che verrà reso scientifico con una pubblicazione nel 2020. Stanno facendo interviste a tutti, dalla neuropsichiatria di Mirandola ai genitori dei ragazzi coinvolti. La ricerca durerà due anni ed è finanziata dalla Fondazione Alta Mane Italia e dalla Fondazione C.G. Andreoli”.
Comunità, metodo, inclusione e piccoli progetti di imprenditorialità. “Sta nascendo anche un’attività economica su base extra-comunale che impiegherà diversi ragazzi della banda”, spiega Viaggi di Mani Tese, che rivendica con orgoglio la scommessa solidale vinta anche dalla sua organizzazione. “Il sostegno alla Banda è stato oggetto di un micro-progetto Italia di Mani Tese finalizzato alla realizzazione del laboratorio per la costruzione di strumenti musicali”.
Intanto la “Rulli Frulli” è in tour. “Domenica 5 maggio siamo stati a Ferrara, il 12 saremo a Boretto (Reggio Emilia) e il 21 a Mirandola -elenca il maestro Alberghini-. Più o meno abbiamo 35 concerti fino alla prima settimana di dicembre. Con in mezzo la due giorni di Rulli Frulli Days. Una roba molto bella”.