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Viareggio: Apre il centro di riuso solidale Babordo

 














Il servizio si è costituito grazie ad una convenzione tra il Comune di Viareggio, iCare e Sea Risorse. Un progetto che mira a ridurre la produzione dei rifiuti urbani, in particolare quelli ingombranti, creando un circuito del riutilizzo.

Nella convenzione, iCare ha messo a disposizione l’immobile, mentre Sea Risorse ha predisposto le manifestazione d’interessa per la concessione. Concessione che è stata aggiudicata ad un aggregato di associazioni con capofila l’associazione Ascolta La Mia Voce.

Il Centro di Riuso Solidale costituirà inoltre luogo di svolgimento per stage, corsi di formazione anche per alunni delle scuole del territorio e momenti di incontro per la diffusione dell’idea del riuso nella logica di un’economia circolare e solidale e la crescita della sensibilità degli utenti dei servizi.



fonte: www.noitv.it


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Cortocircuito: l’elettronica solidale e circolare di Roma

Da Reware ad Aggiustotutto Repair Café: cooperative e associazioni della capitale recuperano e riparano dispositivi elettronici per rimetterli sul mercato. Riducono la produzione di rifiuti e l’impatto sull’ambiente e avviano progetti di solidarietà sociale. Le loro storie

L’officina-laboratorio Reware © Michela Giarrusso

A Roma, fra i palazzi del quartiere residenziale Collatino, si trova una piccola officina informatica. Una grande immagine raffigurante due alberi stilizzati copre la vetrina: sui rami si alternano foglie dai circuiti elettrici come nervature e apparecchiature elettroniche. Una scritta verde recita “Reware: l’informatica sostenibile”. L’ingresso dell’officina è un piccolo spazio adibito a negozio. Ai lati vengono esposti i computer in vendita; di fronte si trova un bancone con veri e propri cimeli della storia dell’informatica, come il Commodore 64, il personal computer più venduto nella storia. Alle spalle della teca delle antichità informatiche, scaffali pieni di computer portatili, fissi e pezzi di ricambio coprono ogni centimetro di muro. La parte più ampia dell’officina è dedicata al laboratorio: due ragazzi stanno assemblando dei portatili, lasciando intravedere gli ingranaggi interni della macchina.

Reware è una cooperativa e un’impresa sociale in cui sette artigiani dalle competenze hi-tech rigenerano computer dismessi per rivenderli come ricondizionati: usati ma come nuovi. “Raddoppiamo la vita utile dei computer; se il computer vive il doppio degli anni, sostituendo uno equivalente, permette di consumare la metà delle risorse e di dimezzare il rifiuto elettronico”, racconta Nicolas Denis, uno dei soci fondatori. Il beneficio ambientale è chiaro: un computer costa alla natura fra i 1.500 e i 1.800 chilogrammi di risorse, a cui si aggiunge il danno ambientale dei componenti tossici non correttamente smaltiti.

Nel primo anno di attività i computer riqualificati da Reware sono stati 500, mentre oggi sono circa 4.000 all’anno. “Il nostro è un lavoro artigianale”, spiega Denis mostrando uno dei “giocattoli” costruiti dagli stessi soci, un intreccio di cavi, usato per cancellare in maniera definitiva i dati dai computer. Le macchine riqualificate da Reware vengono da aziende o grossisti. Sono tutti prodotti di fascia alta perché “hanno ancora molti anni di vita davanti a loro”. Si tratta quindi di macchine potenti vendute a un prezzo molto vantaggioso per l’acquirente. Il mercato dell’usato rigenerato è in forte crescita: l’aumento della domanda si traduce anche in più lavoro per le imprese del settore, come sottolinea anche Denis parlando del nuovo collaboratore assunto. Reware è riconosciuta come un’attività di utilità sociale: è stata la “prima cosa su cui abbiamo lavorato. L’aspetto ambientalista del nostro lavoro ha un’origine etica che si incontra chiaramente con altre tematiche”.




Oltre ai progetti di alfabetizzazione e formazione informatica, tra i programmi di solidarietà sociale promossi da Reware c’è Elettronica Solidale, al quale collabora una fitta rete di associazioni. A Centocelle, all’interno di un grande deposito di aiuti umanitari, tre volontari di Informatici senza frontiere (Isf) sono al lavoro. “Abbiamo tutti un passato nel settore informatico, ora mettiamo a disposizione le nostre competenze per il volontariato”, racconta Maurizio Sapienza, il coordinatore di Isf Lazio. I volontari stanno riparando computer, forniti da Reware e da altre aziende, per donarli a persone in difficoltà economica.

Device4all è il nome con cui l’associazione Nonna Roma, che ospita Informatici senza frontiere, pubblicizza l’iniziativa. Come spiega Sapienza “i nomi sono tanti, ma la finalità è sempre la stessa: combattere il divario digitale” fra chi ha accesso alla tecnologia e chi no. Al momento sono circa una trentina i computer donati. Eloa Montesel, volontaria di Nonna Roma, ci spiega che l’associazione raccoglie le richieste fra le persone e le famiglie cui distribuisce i pacchi alimentari. “Siamo attivi contro la povertà educativa e la dispersione scolastica. L’associazione Rimuovendo Gli Ostacoli ci ha proposto di partecipare al progetto e noi abbiamo accettato subito perché in linea con quello che stavamo già facendo. Moltissimi ragazzi facevano lezione a distanza dallo smartphone dei genitori”. Anche così si fa economia circolare, sottolinea Sapienza, perché vengono ridotti “gli scarti e il materiale che va in discarica”.



L’economia circolare è un modello che prevede il riutilizzo, la riparazione e il riciclo dei materiali e dei prodotti. Prolungandone il ciclo di vita, l’estrazione di nuove risorse naturali e i rifiuti sono ridotti al minimo. Inoltre, reintroducendo il prodotto riparato nel ciclo economico, come avviene nel caso di Reware, si genera ulteriore valore senza il bisogno di consumare risorse naturali. Come spiega Denis, attraverso investimenti mirati “è possibile industrializzare questa attività artigianale”, costruendo impianti capaci di rigenerare milioni di computer: un’economia circolare su larga scala. Nel settore dell’elettronica, l’applicazione in scala industriale di questo modello permetterebbe sia di diminuire significativamente l’estrazione di metalli rari sia di ridurre la produzione di rifiuti elettronici. Il rifiuto domestico che cresce più rapidamente a livello mondiale è proprio quello derivante da apparecchiature elettroniche dismesse: nel 2019, secondo il rapporto “Global e-waste monitor” dell’Università delle Nazioni Unite, è stato prodotto l’equivalente di sette chilogrammi di rifiuti elettronici per ogni persona sul Pianeta, neonati inclusi.

Sostengono la riparazione le imprese che applicano i principi dell’economia circolare, ma anche gruppi di riparazione comunitaria e privati cittadini stanchi dell’obsolescenza programmata, l’insieme di pratiche con cui le aziende limitano la durata dei dispositivi per aumentare le vendite. Francesco Pelaia, vice presidente dell’associazione Aggiustotutto Repair Café, nel quartiere Monte Sacro di Roma, spiega che cosa siano questi gruppi di riparazione comunitaria: “I Repair Café sono luoghi dove si socializzano esperienze inerenti al riuso e alla riparazione”. Il termine nasce nel Nord Europa e richiama i caffè come luogo di ritrovo, più che di consumo. Volontari e utenti si ritrovano per dare nuova vita a vecchi oggetti e per scambiare esperienze su come si aggiusta, attraverso uno “scambio orizzontale di conoscenze”. Nei Repair Café si aggiusta qualsiasi cosa e si tengono corsi di formazione per diffondere le conoscenze tecniche. Anche i riparatori del gruppo Aggiustotutto partecipano a progetti di solidarietà sociale, collaborando con Informatici senza frontiere al progetto Device4all. Insieme a Officine Digitali, un’associazione dello stesso quartiere, Aggiustotutto è ospitato nel LabPuzzle, un centro sociale che promuove “vertenze per una vita più sana ed equa”. Lo rimarca Pelaia: “Abbiamo deciso di condividere spazi ed esperienze con l’idea di aprirci al quartiere”.



Il caso di Aggiustotutto è tutt’altro che isolato. Contro il consumismo si schierano i membri di un altro Repair Café romano che si riunisce all’interno del vecchio Casale Garibaldi di San Paolo, l’edificio che ospita il progetto Città dell’Utopia del Servizio civile internazionale. Qui i riparatori, tutti volontari, incontrano una volta al mese gli utenti con i loro oggetti rotti o malfunzionanti. Durante questi incontri avvengono le riparazioni e si spiegano i problemi e le soluzioni ai proprietari degli oggetti. Coinvolgere l’utente è importante: potrà poi riparare lui stesso l’oggetto, o essere più consapevole al momento di un futuro acquisto, perché “a volte è meglio spendere qualcosa in più per avere un prodotto che possa essere riparato”, dice Michele D’Onofrio, l’esperto di elettronica del Repair Café San Paolo.

“Oggi la tendenza è consumare e buttare. È questa cultura del ‘prendo e lascio’ la cosa più difficile da contrastare, non basta l’intervento normativo, solo con coscienza e consapevolezza si può cambiare questo sistema”. Ma i consumatori, da soli, forse non bastano. È necessaria anche la collaborazione delle aziende produttrici “sia nel disegnare prodotti più duraturi, sia nel pubblicare manuali di riparazione e schemi elettrici” sottolinea un altro socio del caffè, l’ingegnere Luciano Trulli. Oggi, inoltre, con l’evoluzione tecnologica e l’introduzione di microprocessori programmati anche in oggetti semplici come una radio, sono necessari strumenti e conoscenze adeguate.





Sulla piattaforma iFixit, vengono venduti a un prezzo molto contenuto kit di riparazione. Inoltre è possibile trovare guide di riparazione (gratuite) scritte dagli utenti. Dorothea Kessler, responsabile della comunicazione di iFixit Europa, spiega che la piattaforma “è stata fondata per facilitare l’accesso alla riparazione e per rafforzare il potere delle persone”. La comunità di iFixit crede che “con adeguati strumenti e guide tutti possano riparare cose. Ma per fare ciò, è necessario che i dispositivi elettronici siano riparabili”. Spesso, invece, le aziende utilizzano piccoli escamotage per far sì che i prodotti non siano riparabili: batterie incollate, pezzi di ricambio introvabili, manuali segreti e costi esorbitanti delle assistenze autorizzate dal marchio.

Come racconta Pelaia, i gruppi di riparazione italiani hanno diversi obiettivi e si rivolgono sia ai consumatori sia a produttori e legislatori. Nel maggio 2019 il movimento per la riparazione comunitaria in Italia si è riunito a Torino, pubblicando un manifesto, condiviso da molte associazioni di riparatori, che ne sintetizza la visione. Fra i firmatari anche Aggiustotutto: “Il manifesto di Torino è una dichiarazione di intenti”, dice Pelaia. Nel documento, consultabile sul sito restarters.it, si legge: “Mettendo al centro le persone e le esigenze del Pianeta, indichiamo un futuro in cui la riparazione sia un settore fiorente della nostra economia; i prodotti siano facili da riparare e i produttori forniscano a tutti ricambi, aggiornamenti software e documentazione il più a lungo possibile”.

I firmatari del documento aderiscono alla campagna europea per il diritto alla riparazione che mette insieme attori delle economie circolari, associazioni di riparatori e privati cittadini, mantenendo i contatti con simili iniziative negli Stati Uniti. Le idee alla base della campagna, diffuse ormai in tutto il mondo, sono le stesse che muovono il lavoro di Reware, l’officina-laboratorio del Collatino, a Roma. Simili le convinzioni: la riparazione, da sola, non salverà il Pianeta, ma è un’alternativa alle montagne di rifiuti.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito delle attività della Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio e Lisli Basso.

fonte: altreconomia.it



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DACCAPO - Riuso Solidale (Progetto CARITAS)









DACCAPO è un centro di riuso solidale nel quale è possibile donare gli oggetti che non servono più, farli riparare, trasformare e ricollocarli su un mercato solidale. E' un progetto le cui finalità sono la salvaguardia dell'ambiente, aiuto a persone in gravi condizioni economiche e sociali e formazione per il mondo del lavoro. DACCAPO è un'iniziativa della Caritas Diocesana di Lucca e dell'Associazione Ascolta La Mia Voce Onlus ed ha trovato collaborazione con il Comune di Lucca, Comune di Capannori, Sistema Ambiente e Ascit.


https://www.sistemaambientelucca.it/it/attivita/centro-di-riuso/daccapo/


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Le tre pandemie

Siamo testimoni di tre pandemie: quella del coronavirus, quella della fame e la pandemia della perdita dei mezzi di sostentamento. “Tutte e tre le pandemie affondano le loro radici in un modello economico basato sul profitto, sull’avidità e sull’estrattivismo”, scrive Vandana Shiva. Siamo chiamati a proteggere i mezzi di sussistenza e a creare economie di solidarietà circolari e locali, con cui sostenere i venditori ambulanti e i piccoli dettaglianti, “i quali danno forma alle comunità riducendo al contempo l’impronta ecologica”



















Siamo testimoni di tre pandemie che stanno accadendo simultaneamente. La prima è la pandemia del coronavirus. La seconda è quella della fame. La terza è la pandemia della perdita dei mezzi di sostentamento. Il coronavirus ha infettato finora 3,19 milioni di persone e ne ha uccise 228.000.

Il Programma Mondiale per l’Alimentazione ha avvertito la comunità internazionale dell’incombente “pandemia della fame”, che ha il potenziale per interessare un quarto di miliardo di persone la cui vita e i cui mezzi di sussistenza saranno a rischio immediato.

Secondo il programma alimentare mondiale più di un milione di persone sono a rischio di malnutrizione e 300.000 di esse potrebbero morire di fame ogni giorno per i prossimi tre mesi.[i] [ii]

C’è anche una “pandemia” relativa alla perdita di mezzi di sussistenza. Secondo l’OIL, “a causa della crisi economica creata dalla pandemia, quasi 1,6 miliardi di lavoratori dell’economia informale (che rappresentano i più vulnerabili sul mercato del lavoro), su un totale mondiale di due miliardi e una forza lavoro globale di 3,3 miliardi, hanno subito danni massicci alla loro capacità di guadagnarsi da vivere.

Ciò è dovuto alle varie misure di lockdown che hanno coinvolto le loro attività e/o al fatto che lavorano nei settori più colpiti”.

Come sottolineato da Guy Ryder, direttore generale dell’OIL, “per milioni di lavoratori, non avere un reddito significa non avere cibo, non avere sicurezza e non avere un futuro. […] Con l’evolversi della pandemia e della crisi occupazionale, la necessità di proteggere i più vulnerabili diventa ancora più urgente”.[iii]

Tutte e tre le pandemie affondano le loro radici in un modello economico basato sul profitto, sull’avidità e sull’estrattivismo, che ha accelerato la distruzione ecologica, aggravato la perdita dei mezzi di sussistenza, aumentato le disuguaglianze economiche e polarizzato e diviso la società tra l’1% e il 99%.




In questo 1° maggio, nei tempi della crisi del coronavirus, immaginiamo e creiamo nuove economie basate sulla Democrazia della Terra e sulla democrazia economica, che proteggano la terra e l’umanità. Affrontiamo tutte e tre le crisi attraverso la partecipazione democratica e la solidarietà.

Attraverso la compassione assicuriamoci che nessuno soffra la fame, attraverso la solidarietà e la democrazia partecipiamo a plasmare le economie future per garantire che nessuno sia senza lavoro, che nessuna persona sia senza voce.

Le molteplici crisi che stiamo affrontando sono un campanello d’allarme: l’economia gestita dall’1% non lavora per le persone e la natura. L’1% definisce il 99% della popolazione mondiale come “persone inutili”.

La loro idea di futuro è basata sull’agricoltura digitale e senza agricoltori, su fabbriche automatizzate e sulla produzione senza lavoratori. Abbiamo l’obbligo di creare economie che non distruggano la natura, non distruggano i mezzi di sussistenza e i diritti dei lavoratori; economie che non distruggano la nostra salute diffondendo malattie e pandemie, che non provochino la perdita di mezzi di sussistenza, di libertà, di dignità e del diritto al lavoro, che non inaspriscano il problema della fame nel mondo.

Creiamo economie a “fame zero” proteggendo i mezzi di sussistenza dei piccoli agricoltori che ci forniscono l’80% del cibo che consumiamo.



Creiamo economie di solidarietà circolari e locali, che sostengano i venditori ambulanti e i piccoli dettaglianti, i quali danno forma alle comunità riducendo al contempo l’impronta ecologica.

Nella prossima fase post Covid 19, rigeneriamo l’economia con la consapevolezza che tutte le vite sono uguali, che siamo parte della Terra, che siamo esseri ecologici, biologici, che il lavoro è un nostro diritto ed è al centro della vita dell’essere umano.

Ricordiamo ci anche che la cura per la Terra e degli uni per gli altri è il lavoro più importante. Non ci sono persone usa e getta o inutili. Siamo un’unica umanità su un unico pianeta. L’autonomia, la coerenza, la dignità, il lavoro, la libertà, la democrazia sono il nostro diritto di nascita.

[i] https://www.washingtonpost.com/opinions/2020/04/22/covid-19-could-detonate-hunger-pandemic-with-millions-risk-world-must-act/

[ii] https://insight.wfp.org/covid-19-will-almost-double-people-in-acute-hunger-by-end-of-2020-59df0c4a8072

[iii] https://www.ilo.org/global/about-the-ilo/newsroom/news/WCMS_743036/lang–en/index.htm

info@navdanyainternational.org

fonte: https://comune-info.net


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L’economia solidale condominiale

Sono molte le iniziative di solidarietà e mutuo aiuto che stanno nascendo nei territori. La rete di economia sociale e solidale romana lancia una campagna che va incontro alle esigenze delle persone in quarantena e al tempo stesso supporta i piccoli produttori locali. La proposta è semplice fare una spesa collettiva solidale, biologica e a filiera corta, autorganizzata con il vicinato per sostenere chi è stato escluso dal business della grande distribuzione



In questi tempi di emergenza, si moltiplicano le iniziative di solidarietà promosse da attivisti e gruppi e associazioni di volontariato – anche in collaborazione con i servizi sociali dei Municipi – nei confronti delle persone e delle famiglie più in difficoltà per consegnare cibo e medicine ad anziani soli o fragili o a persone in crescenti difficoltà economiche, avvalendosi della Grande Distribuzione Organizzata.

Contemporaneamente, però, molti piccoli produttori locali e cooperative sociali, a causa della chiusura dei mercati contadini e di molti mercati rionali, non hanno più sbocchi commerciali e spesso vedono distrutta la propria produzione, biologica e di qualità.

Per rispondere a questo problema e – allo stesso tempo – a quello delle persone costrette a fare lunghissime file davanti ai supermercati, la Rete Romana di Economia Sociale e Solidale (Ress) ha lanciato una campagna per attivare “Gruppi d’Acquisto Condominiali!”.

L’idea è semplice: sostenere le economie virtuose dei piccoli produttori biologici a filiera corta disponibili a fare consegne a domicilio collegandoli a gruppi di famiglie di un condominio o vicini di casa o di quartiere che si autorganizzano per ordinare insieme la spesa settimanale che arriverà loro, secondo le norme di distanziamento sociale, con cassette o pacchi distinti

Questa iniziativa è stata pensata per raggiungere tre semplici obbiettivi: aiutare le persone che, responsabilmente, hanno risposto all’appello #io resto a casa; garantire a tutti il diritto al buon cibo a filiera corta e biologico; sostenere i piccoli produttori aggregando le zone di consegna.




Sul sito della Ress Roma[1] https://ressroma.wordpress.com è on-line una piattaforma dove sono registrati oltre quaranta produttori disponibili alle consegne a domicilio. È anche online un vademecum per i cittadini e le famiglie che vorranno aderire a questa iniziativa, dove si spiega come avviare Gruppo di Acquisto Condominiali (vedi qui), se possibile anche con il supporto dei Gruppi d’Acquisto Solidale diffusi capillarmente sul territorio romano che sono rimasti attivi anche in questo periodo (vedi qui).

Questa emergenza ha cambiato ritmi e abitudini, ma questo “tempo sospeso” può essere un’occasione per riscoprire forme di mutuo aiuto e solidarietà che permetteranno di ridare forza alle nostre comunità nel costruire un modello di economia capace di mettere al centro le persone, l’ambiente e le relazioni umane.

In questi giorni i promotori della campagna stanno contattando anche diversi Municipi affinché questa iniziativa possa contribuire a supportare e allargare quelle già in atto e contribuire ad evitare il collasso di economie virtuose più fragili che si riveleranno preziose per una ripresa economica e sociale all’insegna dello sviluppo locale sostenibile e per diffondere le economie trasformative. Per contatti: ressroma@gmail.com; 3355769531 (Riccardo Troisi) 3483361685 (Soana Tortora).


fonte: https://comune-info.net/

San Casciano: il Centro del Riuso di Canciulle diventa modello nazionale

















È stato studiato e preso a esempio da un team di esperti e tecnici ministeriali. Il ricavato dell’attività serve a finanziare progetti di solidarietà e cooperazione internazionale.

SAN CASCIANO VAL DI PESA (Fi) – Un modello virtuoso per allungare la vita agli oggetti che non servono più. È il Centro del Riuso di Canciulle, nato nella stazione ecologica di San Casciano. Qui decine di volontari, coordinati dall’associazione Mani Tese, sono all’opera tutti i sabati per gestire lo spazio che investe sulla buona pratica del riuso. L’obiettivo è triplice: tutelare l’ambiente, evitando agli oggetti di trasformarsi in rifiuti; aiutare le persone in difficoltà, offrendo la possibilità di acquistare a prezzi modestissimi mobili, vestiti, accessori, libri, giocattoli, casalinghi, elettrodomestici in buono stato; sostenere progetti di solidarietà e cooperazione locale e internazionale.

L’attività del centro, che fa parte di un progetto più ampio sulla riduzione dei rifiuti promosso dai Comuni del Chianti denominato Wasteless in Chianti , è stata osservata da un team di esperti, tecnici ministeriali e rappresentanti della Regione Liguria che in questi giorni hanno partecipato a un workshop nella sala consiliare del Comune prendendo a modello nazionale le buone pratiche ambientali di San Casciano, in particolare quelle messe in atto dal Centro del Riuso solidale.

La gestione del Centro è affidata a Mani Tese Firenze Onlus, coordinata da Federico Preti. L’associazione di volontariato è attiva da anni sui temi della solidarietà internazionale e della proposta di stili di vita sostenibili, in collaborazione con altre realtà come Mato Grosso e Forum Cittadini Insieme. Il ricavato va a finanziare progetti di Mani Tese e Mato Grosso in America Latina (Guatemala, Ecuador, Bolivia) e del Forum Cittadini Insieme sul territorio di San Casciano.

E’ possibile anche concordare con le associazioni il ritiro degli oggetti a domicilio. Chi desidera acquisire un oggetto lasciato in esposizione in conto donazione può prenotarlo e passare a ritirarlo nelle giornate organizzate nel corso dell’anno, dove sarà possibile anche prendere visione dei progetti e delle iniziative delle associazioni che saranno finanziate con i proventi delle donazioni.

“Chi regala al Centro del Riuso fa un conto donazione – spiega l’assessore all’Ambiente Consuelo Cavallini – e sa che il proprio oggetto, prima di diventare rifiuto, potrà rinascere, entrare in un’altra casa e tornare utile se non necessario a una famiglia in difficoltà. Chi compra fa un favore all’ambiente e alle proprie tasche, risparmia in maniera considerevole, dato che le varie categorie merceologiche in vendita hanno prezzi modestissimi. E offre un piccolo ma importante contributo per alimentare progetti di solidarietà e cooperazione internazionale”.

L’associazione Mani Tese e i volontari che gestiscono il Centro sono disponibili ogni sabato dalle 9 alle 12.30 e dalle 15 alle 18.30.

fonte: https://www.toscanachiantiambiente.it

Bergamo: Laboratorio del Riuso, 25 mila pezzi raccolti in un anno

















Oltre 25 mila pezzi raccolti in un anno dal Laboratorio del Riuso , all'interno della Piattaforma Ecologica di via Goltara: mobili, libri, scarpe, cd , lampade, quadri e cornici, piatti e giocattoli. Inaugurato nel 2017, nato da un accordo tra Comune , Aprica e Comunità Ruah il laboratorio ha lo scopo di far rivivere oggetti destinati ad essere gettati via in una logica solidale e di cooperazione con progetti nel sud del mondo.




fonte: https://www.ecodibergamo.it

La svolta green della Francia: i prodotti invenduti non potranno più essere distrutti

Nel Paese 650 milioni euro di beni mai utilizzati finiscono tra i rifiuti


















La Francia vuole porre un brusco freno agli sprechi. Da qui a quattro anni le aziende dovranno riutilizzare, regalare o riciclare tutti i prodotti invenduti, ha annunciato il premier Edouard Philippe, eccezion fatta per i beni alimentari.
Nel Paese vengono buttati o distrutti beni per un valore complessivo di 650 milioni euro. La misura, presentata dal capo dell’esecutivo come una «prima mondiale», prevede anche che chi trasgredisce le regole paghi una sanzione amministrativa.
«Possiamo trovare un modello economico sostenibile, fare in modo che tutto l’invenduto non sia eliminato ma regalato, per favorire lo sviluppo dell’economia sociale e solidale o trasformato in pezzi di ricambio utili a riparare altri oggetti ed accrescere il loro ciclo di vita. Possiamo evitare la distruzione di prodotti in perfetto stato e arrestare questi sprechi scandalosi», ha affermato Philippe.
Già nel 2016 la Francia aveva adottato una legge contro gli sprechi che impone ai supermercati con una superficie maggiore di 400 metri quadrati di regalare i beni alimentari invenduti, se sollecitati da alcune associazioni, pena una multa di poco inferiore ai 4mila euro.
La nuova misura farà parte della legge «contro gli sprechi e per l’economia circolare» che sarà presentata a luglio al Consiglio dei ministri. I prodotti invenduti potranno essere distribuiti ad associazioni o rilavorati dall’azienda stessa. Tale iniziativa preoccupa soprattutto i produttori di moda o del settore del lusso, che temono la nascita di un mercato parallelo con prodotti a basso costo.
fonte: https://www.open.online


Ricongiungersi ai territori

Gruppi di acquisto solidale, Csa, orti comunitari e altre forme di consumo critico hanno bisogno di pensarsi come gruppi di co-produttori. Dall’autodeterminazione alimentare all’autogoverno territoriale per uscire dal dominio del mercato


















L’unica sovranità interessante, quella alimentare


Come noto, la prima possibilità che un individuo ha a disposizione per prendere nelle proprie mani la sua vita è quella di scegliere come cibarsi; di come riappropriarsi dei mezzi della propria auto-riproduzione. Chiamiamola autodeterminazione alimentare o principio della sovranità alimentare che – secondo la dichiarazione di Nyelni, nel Mali del 2007, fatta propria dalla Fao – riguarda “il diritto delle persone a un cibo culturalmente appropriato e sano, prodotto con mezzi sostenibili che rispettano l’ambiente e il diritto a definire i propri sistemi agricoli e alimentari. La sovranità alimentare pone al centro dei sistemi e delle politiche alimentari le aspirazioni e i bisogni di coloro che producono, distribuiscono e consumano cibi, anziché le richieste delle aziende e dei mercati”.
Nelle “società opulente” le possibilità di scelta alimentare sono parecchie(e l’apparato industriale agro-alimentare-farmaceutico lo sa benissimo!). Possiamo seguire le suggestioni che vengono dal piacere del palato. Possiamo seguire le pulsioni psico-gastronomiche che compensano le carenze affettive. Possiamo seguire precetti medico-salutisti. Possiamo conformare le nostre abitudini alimentare a principi etici (veganesimo).
I movimenti consumeristici, in generale, mirano a sviluppare la capacità critica delle persone e a creare strumenti per aumentare le loro possibilità di scelta a tutti i livelli: individuale e familiare (informazione, auto e co-produzione, ecc.), amicale e di prossimità (gruppi di acquisto collettivi, orti sociali condivisi, ecc.), comunitario (Comunity Supported Agriculture, Patti città-campagna, menù delle mense, ecc.), pubblico istituzionale (Food Policy).
Tutte le esperienze che tendono alla autodeterminazione alimentare si scontrano inevitabilmente con numerosi ostacoli e condizionamenti esogeni: economici (la necessità di raggiungere una redditività minima degli operatori in un contesto di costi di produzione sempre più elevati e di concorrenza in dumping), limitate possibilità di accesso a terreni fertili e a materie prime di qualità (inquinamenti, consumo di suolo, privatizzazione delle sementi, ecc.),organizzativi (servizi e mezzi di movimentazione, conservazione, trasformazione… in mano a oligopoli), normativi (standard per la commercializzazione, regolamenti di igiene, appalti di fornitura, sistemi fiscali, ecc.), psicologici (mentalità comune plasmata dalla pubblicità, dal discreditamento del biologico contadino a favore degli Ogm o, comunque, del biologico industriale certificato, ecc.). Per evitare tali blocchi esterni, l’unica strada è riuscire a superare la separazione tra le figure del consumatore finale e del produttore. Va ricomposta l’intera filiera dall’approvvigionamento delle materie prime, alla coltivazione, alla raccolta, alla trasformazione, al confezionamento, alla distribuzione … fino alla utilizzazione finale e oltre: riuso delle eccedenze e degli scarti.
Autogoverno territoriale
Ha detto Alberto Magnaghi nell’ultimo convegno della Società dei Territorialisti: “Le interrelazioni fra soggetti e temi differenti costituiscono le condizioni dellautogoverno territoriale e della democrazia di comunità: si tratta di costruire relazioni (funzionali e coprogettuali) fra le comunità di produttori di beni alimentari bioecologici e le comunità urbane di autorigenerazione delle periferie, di cohousing e di auto valorizzazione dei beni comuni urbani; costruire obiettivi comuni per la gestione di patti e di scambi città-campagna, città-collina, entroterra costieri, montagna; fra neoagricoltori, biodistretti rurali e abitanti urbani sulla autoproduzione di cibo e servizi eco sistemici; fra attori dei contratti di fiume (di lago, di paesaggio), per l’autogoverno delle reti ecologiche, gli equilibri idraulici, la fruizione delle riviere fluviali urbane e rurali; fra le comunità eco museali e gli osservatori del paesaggio per la conoscenza attiva dei patrimoni territoriali come imput per i soggetti promotori di sistemi produttivi locali, fondati sulla messa in valore delle peculiarità dei patrimoni stessi, e così via”. (A. Magnaghi, Relazione introduttiva a La democrazia dei luoghi e forme di autogoverno comunitario, Castel del Monte 15/17 Novembre 2018).
Il percorso da seguire potrebbe essere sintetizzato in uno slogan: dai gruppi di acquisto ai gruppi di coproduzione; dai “patti” tra consumatori e produttori all’ “alleanza” tra abitanti, cittadini e rurali (agricittadini). La logica del “patto” presenta qualche antipatia perché è di natura contrattuale/commerciale tra soggetti che rimangono separati se non contrapposti nei rispettivi interessi immediati (attenti a non fregarsi a vicenda!). La logica dell’alleanza, invece, è fusionale, interdipendente, simbiotica, fiduciari, donativa: io mi impegno a magiare ciò che tu produci e tu produci ciò che io mangio; tu mi liberi dalla costrizione di dover andare a comprare ciò di cui ho bisogno al supermercato, io ti libero dal giogo che ti obbliga a conferire la tua produzione a intermediatori “terzi”, al mercato all’ingrosso. Insieme usciamo dalla logica di mercato in cui la domanda e l’offerta vengono inesorabilmente determinate dal prezzo e non dal buono, dall’utile, dall’equo, dal sostenibile. Finalmente, si ricompone la separazione tra produzione e consumo; la scissione alienante tra attività lavorativa etero diretta e riproduzione della vita.
Ma come si può immaginare di realizzare tale alleanza? La risposta sta nel riconoscimento dell’esistenza di un comune interesse, di una cointeressenza nella costruzione di un livello superiore d’azione che solo può farci raggiungere un benessere collettivo, un buon vivere e una buona vita. Ricordiamoci sempre che “nessuno si salva da solo”! Pensiamoci come una comunità scelta, aperta, inclusiva, solidale, propositiva, capace di creare reti orizzontali non gerarchiche (che non “irretiscano” e burocratizzino le relazioni umane spontanee e dirette che solo le associazioni volontarie di cittadini sanno garantire), ma al contrario che connettano quelle esperienze accumunate dagli stessi valori di fondo: imprese che operano secondo modelli cooperativistici e mutualistici, fondazioni di comunità, gruppi di finanza etica, di coworking e open source, cohousing ed ecovillaggi, ecc. ecc. Insomma, tutto il grande e largo mondo dell’economia eco-solidale (SSE, Social end Solidarity Economy, nel linguaggio internazionale adottato dalle agenzie Onu). Comprendendo in questo mondo anche i gruppi, i comitati, le associazioni, i movimenti che si battono per la salute e la salubrità degli habitat naturali, contro le distruzioni ambientali e la giustizia sociale.
Agire localmente
Le vecchie categorie del produttore e del consumatore si ritrovano unite in un progetto integrato e multiattoriale di comunità fondate sulla qualità delle vite e dei lavori. I consumatori critici e i produttori consapevoli alzano il loro punto di vista su un orizzonte allargato che consente una visione d’insieme. Assieme elaborano un progetto complessivo multifattoriale di comunità territoriale. Creano quella “calda e civile coralità produttiva” evocata da Giacomo Becattini. Assieme rivendicano un governo e una gestione del patrimonio territoriale locale fondato sulla cura dei luoghi e sulla rifunzionalizzazione dei sistemi primari che supportano i servizi ecosistemici. Assieme immaginano una “ergonomia del territorio”, un assetto idro-geo-morfologico funzionale alla rigenerazione e al potenziamento dei cicli biologici e della biodiversità.
In tal modo le funzioni urbane e quelle agricole si andranno ad intrecciare, cosicché i loro abitanti saranno chiamati ad una cooperazione multisettoriale. Gli assetti organizzativi del territorio (infrastrutture, piattaforme, servizi, ecc.) verranno via-via ri-funzionalizzati partendo dallo scopo primario di garantire a tutti gli abitanti la autonomia e la autodeterminazione alimentare della comunità. Poiché si sa che le grandi trasformazioni si attuano a piccoli passi, questo processo di trasformazione globale non può che partire restituendo all’azione locale la centralità del processo. Come dice Sergio De La Pierre va riconosciuto “il valore universale del locale”.
Man mano che crescerà la consapevolezza e il desiderio di una tale pianificazione dal basso della domanda alimentare commisurata alle possibilità reali produttive del territorio, si creeranno istituti di autogoverno (cooperative di produzione e consumo, cooperative e fondazioni di comunità, politiche urbane per lo sviluppo agricolo e rurale, Food Policy Council, ecc.), vere “palestre di democrazia”, come le chiama Francesca Forno.
Paolo Cacciari
*Testo dell’intervento all’incontro promosso da Aequos e Des-Varese a Saronno il 25 novembre 2018, “Lezioni di futuro. I Gas nell’economia solidale: storia e prospettive”
fonte: comune-info.net

La costruzione del futuro passa per di là




















Ad Avigliana, in Val di Susa, dal 29 giugno al 1 luglio 2018 si tiene la Festa dell’Altra Velocità; sarà un punto di incontro, scambio e ripartenza tra molti percorsi che costruiscono un futuro per tutti.
I camminatori della Compagnia dei Cammini arriveranno a piedi, dopo tre giorni di camminata scendendo lungo la valle, incontrando qualche pezzo di storia e di natura (qui il programma della camminata). Gli studenti e gli studiati della scuola estiva “Fare Comunità Oggi: Autonomia e Autogoverno”, organizzata da Rete di Reti insieme ad un gruppetto di giovani della valle, scenderanno da Venaus dopo cinque giorni di confronto su cosa significhino oggi autonomia e costruire comunità (qui il programma della scuola). Dalla Francia arriveranno i gruppi di consumo dei cortocircuiti, organizzati nella rete  “Usine à Gas”; una quarantina di gruppi sparsi per la Francia che si sono ispirati ai Gruppi di acquisto solidali (Gas) italiani per importare direttamente prodotti non disponibili localmente. A partire dagli agrumi del consorzio siciliano delle Galline Felici, hanno creato gruppi di cittadini che si occupano della distribuzione, estendendo la logistica ad altri prodotti italiani oltre che ai produttori locali. Queste associazioni francesi, attive in diverse città, hanno già organizzato nel 2016 a Veynes e nel 2017 a Varces, in Francia, feste di incontro con i loro amici siciliani e gli altri produttori italiani; per il 2018 hanno deciso di essere loro ad attraversare le Alpi e scendere in Val di Susa per incontrare vecchi e nuovi amici.
Oltre a loro, dall’estero sono attesi gli sviluppatori e attivisti di tecnologie e supporti informatici per l’economia solidale: Cagette, Katuma, Open Food Network, Open Food France. Dall’Italia arriveranno anche gli esponenti di diversi gruppi e organizzazioni attive nei campi del consumo consapevole organizzato (Gas), della Piccola Distribuzione Organizzata (Pdo), produttori, educatori, comunicatori, giornalisti, associazioni e reti che operano per il bene di tutti(economia solidale, contadine, accoglienza migranti, etc.).
Ad accoglierli ci saranno le organizzazioni del territorio: il co-working Worcup!, l’associazione di imprenditori Etinomia, la rete dei Gas della zona Torino-Ovest e bassa Val Susa RES.TO insieme ad altri Gas della Valle, che forti dei diversi incontri preparati negli anni precedenti, in questi giorni si stanno districando tra le  mille questioni organizzative.
Ma perché questa concentrazione di portatori di esperienze di cambiamento? A cosa serve? Il tema che sta sotto ai diversi incontri, sia quelli inseriti nel programma che quelli che nasceranno occasionalmente, è la costruzione del futuro.
Confrontare e mescolare esperienze di co-produzione, Gas, cibo, PDO e supermercati autogestiti, strumenti informatici, comunicazione, accoglienza migranti, fiducia, camminate e laboratori, è un modo per costruire un futuro che ci piace, perché la storia procede attraverso questo tipo di intrecci e di percorsi sghembi: uno sguardo, una parola, un’idea, un progetto.
Euclides Mance (vedi il suo ultimo libro Circuiti economici solidali) ci invita ad alimentare l’affermazione di una economia solidale di liberazione attraverso la orientazione dei flussi, ed in particolare dei flussi materiali, dei flussi di potere e dei flussi di conoscenza.  Modificare i sistemi di acquisto e distribuzione, ad esempio, significa orientare i flussi materiali; contrastare le asimmetrie economiche ed informative significa orientare i flussi di potere e di conoscenza; tutto questo ci serve per consolidare le basi che consentono lo sviluppo di una economia e una società orientate al bene di tutti.
Ma qual è il soggetto che può dirigere questi flussi? Che prende in mano i rubinetti ed i miscelatori per regolarli secondo il bene di tutti? Questa è forse la sfida più profonda che stiamo affrontando: la costruzione di questo soggetto collettivo. Se la strada è impervia, e alle volte l’ossigeno scarseggia, è a causa dell’altezza della meta; ma se vi pare irraggiungibile, provate a pensare se c’è un altro che possa affrontare la salita al posto nostro. Una cosa abbiamo capito, che questo soggetto deve corrispondere a quello che stiamo chiamando Noi tutti, ovvero un noi che non possa essere utilizzato come opposto ad un loro, ma che in ogni territorio sia aperto a tutti i suoi abitanti.
Di conseguenza, il programma della festa è stato costruito mettendo insieme le proposte portate dalle organizzazioni che la promuovono, e organizzato secondo tre filoni: il benvivere (dove vogliamo andare), le alleanze (insieme a chi), i metodi e gli strumenti (come); a fianco a questi tavoli di confronto sui diversi argomenti si terranno laboratori ed attività per ragazzi, spettacoli e intrattenimento, proiezioni e tempo libero.
I tavoli sono stati preparati dalle organizzazioni interessate, e saranno solo una stazione lungo un viaggio che è già iniziato prima e continuerà dopo. Per questi motivi sarà una festa: una tappa di un sentiero che non inizia e non finisce ad Avigliana, costruito insieme oltre le differenze di opinioni; infatti, se ci guardiamo indietro, possiamo notare quanta strada abbiamo già percorso.
Quelle che si incontrano sono pratiche ed esperienze che già adesso, ognuna nel proprio campo, sperimentano la costruzione del futuro. Le idee chiave che ci servono per orientare la traversata, parole come resilienza, speranza, benvivere, accoglienza, condivisione, fiducia e solidarietà, pur nelle difficoltà, sono già nei nostri bagagli; il futuro è in costruzione.

Trovate le informazioni sulla festa e il programma su questo sito (in costruzione): www.altravelocita.info, a questo link [qui] su SBW la descrizione dell’evento e un po’ di informazioni logistiche, lì è possibile registrarsi per segnalare la partecipazione.
fonte: comune-info.net