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Cortocircuito: l’elettronica solidale e circolare di Roma

Da Reware ad Aggiustotutto Repair Café: cooperative e associazioni della capitale recuperano e riparano dispositivi elettronici per rimetterli sul mercato. Riducono la produzione di rifiuti e l’impatto sull’ambiente e avviano progetti di solidarietà sociale. Le loro storie

L’officina-laboratorio Reware © Michela Giarrusso

A Roma, fra i palazzi del quartiere residenziale Collatino, si trova una piccola officina informatica. Una grande immagine raffigurante due alberi stilizzati copre la vetrina: sui rami si alternano foglie dai circuiti elettrici come nervature e apparecchiature elettroniche. Una scritta verde recita “Reware: l’informatica sostenibile”. L’ingresso dell’officina è un piccolo spazio adibito a negozio. Ai lati vengono esposti i computer in vendita; di fronte si trova un bancone con veri e propri cimeli della storia dell’informatica, come il Commodore 64, il personal computer più venduto nella storia. Alle spalle della teca delle antichità informatiche, scaffali pieni di computer portatili, fissi e pezzi di ricambio coprono ogni centimetro di muro. La parte più ampia dell’officina è dedicata al laboratorio: due ragazzi stanno assemblando dei portatili, lasciando intravedere gli ingranaggi interni della macchina.

Reware è una cooperativa e un’impresa sociale in cui sette artigiani dalle competenze hi-tech rigenerano computer dismessi per rivenderli come ricondizionati: usati ma come nuovi. “Raddoppiamo la vita utile dei computer; se il computer vive il doppio degli anni, sostituendo uno equivalente, permette di consumare la metà delle risorse e di dimezzare il rifiuto elettronico”, racconta Nicolas Denis, uno dei soci fondatori. Il beneficio ambientale è chiaro: un computer costa alla natura fra i 1.500 e i 1.800 chilogrammi di risorse, a cui si aggiunge il danno ambientale dei componenti tossici non correttamente smaltiti.

Nel primo anno di attività i computer riqualificati da Reware sono stati 500, mentre oggi sono circa 4.000 all’anno. “Il nostro è un lavoro artigianale”, spiega Denis mostrando uno dei “giocattoli” costruiti dagli stessi soci, un intreccio di cavi, usato per cancellare in maniera definitiva i dati dai computer. Le macchine riqualificate da Reware vengono da aziende o grossisti. Sono tutti prodotti di fascia alta perché “hanno ancora molti anni di vita davanti a loro”. Si tratta quindi di macchine potenti vendute a un prezzo molto vantaggioso per l’acquirente. Il mercato dell’usato rigenerato è in forte crescita: l’aumento della domanda si traduce anche in più lavoro per le imprese del settore, come sottolinea anche Denis parlando del nuovo collaboratore assunto. Reware è riconosciuta come un’attività di utilità sociale: è stata la “prima cosa su cui abbiamo lavorato. L’aspetto ambientalista del nostro lavoro ha un’origine etica che si incontra chiaramente con altre tematiche”.




Oltre ai progetti di alfabetizzazione e formazione informatica, tra i programmi di solidarietà sociale promossi da Reware c’è Elettronica Solidale, al quale collabora una fitta rete di associazioni. A Centocelle, all’interno di un grande deposito di aiuti umanitari, tre volontari di Informatici senza frontiere (Isf) sono al lavoro. “Abbiamo tutti un passato nel settore informatico, ora mettiamo a disposizione le nostre competenze per il volontariato”, racconta Maurizio Sapienza, il coordinatore di Isf Lazio. I volontari stanno riparando computer, forniti da Reware e da altre aziende, per donarli a persone in difficoltà economica.

Device4all è il nome con cui l’associazione Nonna Roma, che ospita Informatici senza frontiere, pubblicizza l’iniziativa. Come spiega Sapienza “i nomi sono tanti, ma la finalità è sempre la stessa: combattere il divario digitale” fra chi ha accesso alla tecnologia e chi no. Al momento sono circa una trentina i computer donati. Eloa Montesel, volontaria di Nonna Roma, ci spiega che l’associazione raccoglie le richieste fra le persone e le famiglie cui distribuisce i pacchi alimentari. “Siamo attivi contro la povertà educativa e la dispersione scolastica. L’associazione Rimuovendo Gli Ostacoli ci ha proposto di partecipare al progetto e noi abbiamo accettato subito perché in linea con quello che stavamo già facendo. Moltissimi ragazzi facevano lezione a distanza dallo smartphone dei genitori”. Anche così si fa economia circolare, sottolinea Sapienza, perché vengono ridotti “gli scarti e il materiale che va in discarica”.



L’economia circolare è un modello che prevede il riutilizzo, la riparazione e il riciclo dei materiali e dei prodotti. Prolungandone il ciclo di vita, l’estrazione di nuove risorse naturali e i rifiuti sono ridotti al minimo. Inoltre, reintroducendo il prodotto riparato nel ciclo economico, come avviene nel caso di Reware, si genera ulteriore valore senza il bisogno di consumare risorse naturali. Come spiega Denis, attraverso investimenti mirati “è possibile industrializzare questa attività artigianale”, costruendo impianti capaci di rigenerare milioni di computer: un’economia circolare su larga scala. Nel settore dell’elettronica, l’applicazione in scala industriale di questo modello permetterebbe sia di diminuire significativamente l’estrazione di metalli rari sia di ridurre la produzione di rifiuti elettronici. Il rifiuto domestico che cresce più rapidamente a livello mondiale è proprio quello derivante da apparecchiature elettroniche dismesse: nel 2019, secondo il rapporto “Global e-waste monitor” dell’Università delle Nazioni Unite, è stato prodotto l’equivalente di sette chilogrammi di rifiuti elettronici per ogni persona sul Pianeta, neonati inclusi.

Sostengono la riparazione le imprese che applicano i principi dell’economia circolare, ma anche gruppi di riparazione comunitaria e privati cittadini stanchi dell’obsolescenza programmata, l’insieme di pratiche con cui le aziende limitano la durata dei dispositivi per aumentare le vendite. Francesco Pelaia, vice presidente dell’associazione Aggiustotutto Repair Café, nel quartiere Monte Sacro di Roma, spiega che cosa siano questi gruppi di riparazione comunitaria: “I Repair Café sono luoghi dove si socializzano esperienze inerenti al riuso e alla riparazione”. Il termine nasce nel Nord Europa e richiama i caffè come luogo di ritrovo, più che di consumo. Volontari e utenti si ritrovano per dare nuova vita a vecchi oggetti e per scambiare esperienze su come si aggiusta, attraverso uno “scambio orizzontale di conoscenze”. Nei Repair Café si aggiusta qualsiasi cosa e si tengono corsi di formazione per diffondere le conoscenze tecniche. Anche i riparatori del gruppo Aggiustotutto partecipano a progetti di solidarietà sociale, collaborando con Informatici senza frontiere al progetto Device4all. Insieme a Officine Digitali, un’associazione dello stesso quartiere, Aggiustotutto è ospitato nel LabPuzzle, un centro sociale che promuove “vertenze per una vita più sana ed equa”. Lo rimarca Pelaia: “Abbiamo deciso di condividere spazi ed esperienze con l’idea di aprirci al quartiere”.



Il caso di Aggiustotutto è tutt’altro che isolato. Contro il consumismo si schierano i membri di un altro Repair Café romano che si riunisce all’interno del vecchio Casale Garibaldi di San Paolo, l’edificio che ospita il progetto Città dell’Utopia del Servizio civile internazionale. Qui i riparatori, tutti volontari, incontrano una volta al mese gli utenti con i loro oggetti rotti o malfunzionanti. Durante questi incontri avvengono le riparazioni e si spiegano i problemi e le soluzioni ai proprietari degli oggetti. Coinvolgere l’utente è importante: potrà poi riparare lui stesso l’oggetto, o essere più consapevole al momento di un futuro acquisto, perché “a volte è meglio spendere qualcosa in più per avere un prodotto che possa essere riparato”, dice Michele D’Onofrio, l’esperto di elettronica del Repair Café San Paolo.

“Oggi la tendenza è consumare e buttare. È questa cultura del ‘prendo e lascio’ la cosa più difficile da contrastare, non basta l’intervento normativo, solo con coscienza e consapevolezza si può cambiare questo sistema”. Ma i consumatori, da soli, forse non bastano. È necessaria anche la collaborazione delle aziende produttrici “sia nel disegnare prodotti più duraturi, sia nel pubblicare manuali di riparazione e schemi elettrici” sottolinea un altro socio del caffè, l’ingegnere Luciano Trulli. Oggi, inoltre, con l’evoluzione tecnologica e l’introduzione di microprocessori programmati anche in oggetti semplici come una radio, sono necessari strumenti e conoscenze adeguate.





Sulla piattaforma iFixit, vengono venduti a un prezzo molto contenuto kit di riparazione. Inoltre è possibile trovare guide di riparazione (gratuite) scritte dagli utenti. Dorothea Kessler, responsabile della comunicazione di iFixit Europa, spiega che la piattaforma “è stata fondata per facilitare l’accesso alla riparazione e per rafforzare il potere delle persone”. La comunità di iFixit crede che “con adeguati strumenti e guide tutti possano riparare cose. Ma per fare ciò, è necessario che i dispositivi elettronici siano riparabili”. Spesso, invece, le aziende utilizzano piccoli escamotage per far sì che i prodotti non siano riparabili: batterie incollate, pezzi di ricambio introvabili, manuali segreti e costi esorbitanti delle assistenze autorizzate dal marchio.

Come racconta Pelaia, i gruppi di riparazione italiani hanno diversi obiettivi e si rivolgono sia ai consumatori sia a produttori e legislatori. Nel maggio 2019 il movimento per la riparazione comunitaria in Italia si è riunito a Torino, pubblicando un manifesto, condiviso da molte associazioni di riparatori, che ne sintetizza la visione. Fra i firmatari anche Aggiustotutto: “Il manifesto di Torino è una dichiarazione di intenti”, dice Pelaia. Nel documento, consultabile sul sito restarters.it, si legge: “Mettendo al centro le persone e le esigenze del Pianeta, indichiamo un futuro in cui la riparazione sia un settore fiorente della nostra economia; i prodotti siano facili da riparare e i produttori forniscano a tutti ricambi, aggiornamenti software e documentazione il più a lungo possibile”.

I firmatari del documento aderiscono alla campagna europea per il diritto alla riparazione che mette insieme attori delle economie circolari, associazioni di riparatori e privati cittadini, mantenendo i contatti con simili iniziative negli Stati Uniti. Le idee alla base della campagna, diffuse ormai in tutto il mondo, sono le stesse che muovono il lavoro di Reware, l’officina-laboratorio del Collatino, a Roma. Simili le convinzioni: la riparazione, da sola, non salverà il Pianeta, ma è un’alternativa alle montagne di rifiuti.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito delle attività della Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio e Lisli Basso.

fonte: altreconomia.it



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La storia di Gianluca Pagella: da imprenditore ad aggiustatutto in bicicletta

La storia di Gianluca Pagella, ex imprenditore nel mondo delle automobili, nasce da un fallimento: dopo essere rimasto disoccupato e dopo una forte crisi personale decide di rialzarsi e reinventarsi in un nuovo lavoro. In che modo? Divenendo un aggiustatutto in bicicletta. Così, come ha trasformato la sua bici in una cargo bike, ha rivoluzionato la sua vita in un mondo all’insegna della sostenibilità, delle relazioni umani e della lentezza, dimostrando che è sempre possibile ripartire da se stessi.



















Ci sono momenti nella vita in cui un singolo evento può cambiare tutto, rimescolando le carte in tavola e proponendoci una nuova partita. Quella che vi raccontiamo oggi è la storia di Gianluca Pagella, che ci dà il benvenuto ad Alessandria, la sua città natale, colpendoci subito con la sua solarità e il carattere esplosivo. La sua storia è una di quelle che ti rimangono impresse perché riescono a sorprenderti e a emozionarti al tempo stesso. È una storia che parla di una rinascita e di un cambiamento nonostante le difficoltà della vita. Fino al 2014 Gianluca aveva lavorato come imprenditore per una grande azienda nel settore delle automobili ma a causa di un fallimento, è stato costretto a chiudere la sua attività.


È stato un duro colpo da affrontare, un boccone troppo amaro da ingoiare: prima il pignoramento della casa, poi la ricerca di un nuovo lavoro come operaio che presto giunge al termine, infine la crisi personale. Così Gianluca si ritrova a quarantott’anni disoccupato, senza possedere più nulla e con grandi difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro. Ma come tutte le più belle storie di rinascita, non si dà per vinto e capovolge la sua vita, reinventandosi in un nuovo mestiere: l’”aggiustatutto in bicicletta”.






«Mi sono ritrovato a quarantott’anni disoccupato. A quel punto mi sono chiesto: cosa voglio fare da grande? Non avevo molte idee» ci racconta con un sorriso, a fianco della sua inseparabile cargo bike. Così, grazie ai giusti consigli e un po’ di fantasia ricomincia la sua vita come “Gianaggiusta” spostandosi per le vie di Alessandria su due ruote effettuando piccoli lavori domestici e riparazioni a domicilio come nel caso di mensole, tapparelle, veneziane, rubinetti. All’interno della sua cargo bike custodisce i suoi preziosi attrezzi da lavoro e tutto il materiale necessario per spostarsi e lavorare in libertà da un luogo all’altro.

Un tuttofare, insomma, per ritornare a condividere i rapporti umani, il lavoro manuale, le piccole cose della vita. Proprio come ci racconta nel video, si tratta di una rinascita certamente difficile e faticosa ma fortemente trasformativa. «Ho scelto un lavoro che fosse onesto e mi permettesse di vivere degnamente, di lasciare indietro tutti quegli anni caratterizzati da una vita senza tempo, dove guadagnare e fare business era l’unico obiettivo.

Quando ho chiuso l’attività per il fallimento mi hanno pignorato tutto: case, capannoni, macchine, quasi anche la dignità. L’unica cosa che sono riuscito a conservare è stata la mia vecchia bicicletta, una peugeut verde che mi ero comprato in gioventù coi primi soldi guadagnati. Fortunatamente, non avendo la targa, non me l’hanno potuta portare via e così ho iniziato ad utilizzarla per muovermi, perchè non avevo nient’altro».



E riscoprendo l’immenso valore di una vecchia bicicletta, ciò che contraddistingue la nuova vita di Gianluca è la scelta di non usare più la macchina, vivendo in maniera totalmente ecologica. «Con la bici posso muovermi velocemente, non devo pagare il posteggio e posso arrivare facilmente in qualsiasi luogo». Ma il vero guadagno è avere tempo: per nuove relazioni umane e ritornare alla semplicità della vita. Come ci racconta Gianluca, «Nelle mie giornate lavorative mi capita di andare a casa delle persone e, dopo aver fatto le riparazioni, vengo invitato dai miei clienti a fare quattro chiacchiere e bere un caffè in compagnia».

Ora Gianluca è vicepresidente dell’associazione Fiab – Gliamicidellebici di Alessandria e, insieme a Momo, richiedente asilo e abile meccanico, ha costruito una ciclofficina popolare aperta a tutta la cittadinanza. «Ricominciando da zero ed entrando in una seconda parte della mia vita ho iniziato a fare volontariato, un impegno che non avevo mai preso in considerazione perchè troppo lontano dal mondo che mi ero creato».



All’interno della ciclofficina Gianluca dedica tempo ed energie mettendosi a disposizione degli altri: insegna a donne, uomini e giovani a sporcarsi le mani, riparare la propria bicicletta, sensibilizza all’utilizzo di mezzi alternativi all’auto e trasmette con passione il proprio saper fare.

Come ci confida, «La vita di prima non mi manca. E’ vero quando si dice che troppo denaro corrompe l’anima, perché si finisce per guardare il mondo da una sola e limitante prospettiva. Prima ero così assorbito dal mio lavoro che non avevo più spazio per il resto. E il caso vuole che, proprio nel periodo in cui ero disoccupato, ho incontrato la persona di cui mi sono innamorato e con la quale convivo da anni.

Il messaggio che posso mandare alle persone è che se siete in un momento difficile della vostra vita è importante che non perdiate mai il vostro amor proprio e il rispetto per voi stessi. Siete fermi e dovete partire da capo? Ognuno di noi ha un talento, andate a scavare in quello che siete voi e qualcosa sicuramente troverete. La bellezza di questa nuova vita è per me un ritorno alla lentezza, alla semplicità, ai rapporti umani. E tutto questo… grazie a un fallimento».

fonte: www.italiachecambia.org

Sulla cargo e-bike Paolo s’inventa un mestiere: aiutare gli anziani

























Con la sua cargo e-bike non solo consegna la spesa, ma offre tutta una serie di servizi che spesso, se non a prezzi impossibili, gli anziani non riescono ad acquistare. Così la micro mobilità elettrica nei centri storici, anche delle piccole città, attenua l’inquinamento atmosferico e contribuisce a risolvere problemi sociali. Come nella storia di Paolo Vannini, da  Imola.
Ha fatto il manutentore di ascensori, ha lavorato in un’azienda metalmeccanica, poi niente. Senza lavoro, ma armato dell’ italica arte di arrangiarsi Paolo Vannini, a 35 anni, si è comprato una cargo bike e ha aperto la partita Iva di COBIM.

Si muove svelto per offrire servizi agli anziani

Paolo inizia a pedalare a luglio scorso, ma l’attività prende quota dopo l’estate. Funziona perché anche a Imola c’è la ZTLche limita il traffico in centro e tanti anziani spesso hanno problemi a spostarsi: “Ci sono delle persone che hanno difficoltà anche a cambiare una lampadina perché bisogna arrampicarsi su per una scala o non hanno gli strumenti per stappare una vasca o non possono portare il computer all’assistenza” dice Paolo. Ma arriva Paolo il tuttofare che offre una miriade di servizi  elencati nel suo volantino: “SOS elettrico, idraulico, Informatico, fabbro, falegnameria, elettrodomestici, giardinaggio e verniciatura”.
Un angelo custode per chi non ha più forze: “Spesso per gli elettricisti e gli idraulici certi lavoretti in centro  non li vogliono fare: sono solo brigosi ma non possono chiedere una tariffa molto elevata“. Paolo ci tiene a precisare che non fa concorrenza ai professionisti specializzati.

Consegna pure lavatrici e comò

Poi c’è il settore delle consegne a domicilio che non si limita alla classica spesa:  ha consegnato pure lavatrici e un comò, pedalando in elettrico. La cargo e-bike l’ha acquistata nella vicina Castel San Pietro: “UnaRiese & Müller, il pianale è da 80 centimetri e 220 kg il totale carico. La parte elettrica è della Bosch, ho scelto la doppia batteria – sono 1000 watt totali – che mi garantisce un‘autonomia di circa 250 chilometri, per 200 spendo circa 20 centesimi“.
L’impresa va e il sogno è quello di ampliarsi. Ha firmato delle convenzioni con delle aziende: “Due volte la settimana consegno i tonner per le fotocopie in noleggio; mi piacerebbe, ma non so se arriviamo alla firma,  un accordo con le farmacie comunali per i farmaci. Un servizio molto richiesto dai privati“. Paolo cerca ogni filiera utile: “Penso di essere l’unico in Italia che offre sia le consegne sia i piccoli lavori“.

Incentivi per la pedalata elettrica degli over 60 

Sul finire della conversazione non risparmia un ragionamento politico: “Servono incentivi per le bici elettriche perché tante persone anziane in questo modo possono spostarsi. Non tutti hanno la forza di usare la bici tradizionale“.
fonte: https://www.vaielettrico.it

Da imprenditore ad aggiustatutto: l'avventura sostenibile di Gianluca Pagella

Gianluca Pagella, 51enne piemontese, dal fallimento della sua azienda ha trovato lo stimolo per "inventarsi" un nuovo mestiere, sostenibile e oggi ricercatissimo: l'aggiustatutto. Ci racconta la sua storia.
















“Tutto nasce da un fallimento,  cioè dalla fine della mia esperienza da imprenditore nel mondo delle automobili. Un tempo avevo più di 8 mezzi a motore,  ora ho 8 bici.” così inizia a raccontare la sua storia, Gianluca Pagella, di Alessandria, in Piemonte.
Quando rimase disoccupato era il 2014, aveva 47 anni: fino ad allora aveva sempre lavorato nel settore auto, prima come imprenditore, poi, dopo che il negozio di famiglia fosse costretto a chiudere, come operaio.
Senza lavoro, in una città pianeggiante si chiese cosa poteva fare: “Mi rimaneva una vecchia bicicletta. Invece di lasciarmi andare allo sconforto, decisi di rimboccarmi le maniche e mettere a posto la bici. La ridipinsi di arancione e su consiglio di mia moglie e di alcuni cari amici, decisi di lanciarmi nel pronto intervento in bicicletta e chiamarmi Gianaggiusta.”
In una cittadina come Alessandria, dove sei cittadini su dieci abitano da soli e dove è altissima la percentuale di chi ha più di 60 anni, i piccoli lavori domestici di riparazione sono molto richiesti: dalle tapparelle rotte, ai tubi idraulici da sostituire o da liberare, fino alla lampadina da cambiare e tanto altro.

Dall'idea alla sua realizzazione

“Non che l’idea mi sia venuta subito e non è stato così facile metterla in atto” spiega Gianluca. “I primi tempi, quando le persone mi vedevano passare sulla mia bicicletta arancione, col mio bel caschetto arancione, mi prendevano un po’ in giro. Sebbene la mia città si presti moltissimo, per la sua conformazione piana, all’uso della bicicletta, pochi qui pedalano abitualmente. Certo, molti sono appassionati di ciclismo o di mountain bike e macinano anche molti chilometri, ma in città, quotidianamente, per lo più le persone si spostano con l’auto. In molti inoltre erano scettici sulle possibilità di Gianaggiusta: senza un furgone, mi dicevano, certe attività sembra non possano esistere”.
Grazie a un bando europeo per la riqualificazione dei quartieri, Gianluca ha ottenuto 2000 euro che gli hanno permesso di pagarsi la cargobike e l’attrezzatura: “Con la cargobike è molto più facile; ho a disposizione un vano molto capiente in cui portare più attrezzi e fare consegne. Quando sono a pieno carico mi muovo alla velocità di 20 chilometri all'ora; il mio nuovo ritmo lavorativo non prevede lo stress e anche se la velocità può sembrare lenta, non ho problemi di code, traffico, parcheggio!”
Con 4-5 clienti al giorno, Gianluca ora riesce a sostenersi molto bene. La sua cargo è anche un ottimo mezzo pubblicitario per la sua attività: “è molto visibile, attira lo sguardo e tanta gente si ferma a guardarla e copiare il numero di cellulare, per eventualmente chiamarmi”.

Niente inquinamento e costi bassissimi

Gianluca non inquina, non ha costi di gestione, non ha problemi di accesso alle zone a traffico limitato, posteggi o traffico. Dice di aver riscoperto la città e il suo centro, ma non solo: ”Ora riesco ad avere più tempo per gli altri, faccio volontariato con i richiedenti asilo, collaboro al progetto Ry-ciclo, una ciclo officina autogestita, realizzata grazie al contributo della fondazione SociAL. La ciclofficina è uno spazio di incontro, dove la gente ripara da sola la propria bici, e chi non è in grado si fa aiutare da noi volontari esperti. C’è anche Momo che fa il volontariato insieme a noi, un ragazzo senegalese davvero fantastico, che ha portato con sé, dal suo paese di origine, la sua passione per le bici e la sua bravura nell’aggiustarle. Abbiamo fatto anche corsi per insegnare ad andare in bici agli adulti, corsi per la riparazione…”.

La ciclofficina è diventata anche ambulante, con cargo bike e carrellino, per raggiungere chi non può accedere alla sede fissa in Piazza Santa Maria di Castello. Gianluca con il gruppo locale della Fiab (Federazione amici della Bicicletta), di cui è vicepresidente, si impegna anche in progetti di denucia e monitoraggio dell’inquinamento dell’aria: “Purtroppo Alessandria è tra quei centri soffocati degli eccessivi livelli di inquinamento dell’aria, causato anche dall’uso massiccio di mezzi a motore. Abbiamo da poco lanciato la campagna MALdARIA per monitorare, attraverso l’installazione di rilevatori di No2 in vari punti della città, lo stato dell’aria della nostra città. C’è chi dice, e allora? Tanto si sa che l’aria è inquinata. Eppure non ci si deve rassegnare. Bisogna agire. Nello stato in cui versano le nostre città, serve una mobilitazione continua.”
Linda Maggiori
fonte: https://www.terranuova.it