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Plastica monouso, rischi ambientali e passi da compiere per un pianeta più sano

Il problema della plastica negli oceani del mondo è sempre più serio. Tra le soluzioni, il bando della plastica monouso. Ecco perché.








Il bando europeo delle stoviglie in plastica monouso previsto entro la fine del 2021 sembra oggi quasi uno scherzo. “Ma come”, potrebbero esclamare gli scettici, “con una pandemia in corso, mettiamo al bando bicchieri, cannucce e piatti che possono garantire il rispetto delle norme igieniche?”. Eppure, lungi dall’essere la soluzione per guarire il nostro mondo malato, le plastiche monouso rappresentano in realtà una grossa parte del problema sia per la salute dell’ambiente, che per la nostra.

Nel mondo vengono prodotte circa 300 milioni di tonnellate di plastica all’anno. Di queste, oltre 8 milioni finiscono in mare e vanno a ingrossare le cosiddette “isole di plastica” presenti negli oceani del globo, estesi accumuli di questo materiale che si sono formati a causa delle correnti oceaniche. Una gran parte di queste isole è costituita da frammenti di plastiche monouso.

Ogni dieci secondi, vengono utilizzati a livello globale 240mila sacchetti di plastica monouso. Parte di questi, finiscono negli oceani e possono essere ingeriti accidentalmente dagli animali marini: pesci, mammiferi, tartarughe, uccelli. Sono circa 100mila gli animali che ogni anno scambiano per cibo questo materiale, su cui tra l’altro possono proliferare batteri e alghe. Un problema che non riguarda solo la salute della fauna, ma anche la nostra. La plastica, che finisce infatti nella catena alimentare, mette a rischio pesca commerciale e acquacoltura. Un rischio rilevante per 1,4 miliardi di persone per cui proprio il pesce è una delle principali fonti proteiche.

La plastica monouso in mare e sulle coste italiane

Se guardiamo al nostro Paese, le cose non vanno certo meglio. Al largo della penisola vengono sversate, quotidianamente, circa 90 tonnellate di plastica al giorno a causa dell’incuria ma anche della cattiva raccolta differenziata. Non stupisce quindi che l’indagine 2020 Beach litter, che Legambiente svolge ogni anno per monitorare lo stato di salute delle nostre coste, abbia dimostrato una volta di più che l’inquinamento marino delle nostre spiagge risulta davvero preoccupante. I litorali presi in considerazione sono stati 43, in 13 regioni. Secondo la mappatura, che ha avuto luogo nonostante le difficili condizioni imposte dalle misure di restrizione messe in atto a causa del nuovo coronavirus, sono stati trovati 654 rifiuti ogni 100 metri. L’80 per cento dei rifiuti è costituito da plastica. Al primo posto della top ten, si trovano i frammenti che variano da 2,5 a 50 cm di lunghezza. A seguire, ci sono stoviglie monouso, tappi e bottigliette, oltre che mozziconi di sigaretta. In una spiaggia su tre sono stati trovati dispositivi di protezione contro la Covid-19: in primis guanti usa e getta (56,8 per cento), seguiti da mascherine (34,1) e altri oggetti sanitari (9,1).

Pesce intrappolato in un guanto di plastica monouso © Nataliya Vaitkevich/Pexels
L’impegno di Kristal Ambrose

Che fare, dunque? Una delle possibili soluzioni risulta proprio essere la riduzione, drastica, delle plastiche monouso. Chi è riuscita a farle mettere al bando nel proprio paese, le Bahamas, è stata Kristal Ambrose. Tra i vincitori dell’edizione 2020 del prestigiosissimo Goldman prize, noto ai più come “premio Nobel per l’ambiente”, Kristal è in prima linea da otto anni per combattere la piaga della plastica nell’oceano e sulle spiagge paradisiache della sua terra.

Ambrose è diventata attivista all’età di ventidue anni, dopo essersi unita a una spedizione scientifica per studiare l’enorme “isola di plastica” del Pacifico e aver preso coscienza della drammaticità della situazione. Nel 2013 ha così dato vita alla sua organizzazione no profit, il Bahamas plastic movement. Uno dei problemi da affrontare subito era quello della gestione dei rifiuti. Non solo quelli prodotti dai 400mila abitanti dell’arcipelago, ma soprattutto quelli lasciati dall’industria turistica. Le 700 isole caraibiche, infatti, nell’epoca pre-Covid erano meta di circa 5 milioni di turisti all’anno.

Per provare a risolvere la situazione, Kristal ha deciso di coinvolgere più persone possibili, giovani soprattutto, per sensibilizzarle al problema. Come? Attraverso programmi didattici di educazione ambientale per le scuole: il Junior Plastic Warriors – questo il nome del progetto – consente infatti ai giovanissimi di sviluppare sensibilità ambientale attraverso musica, arte e danza. Organizza inoltre giornate di racconta dei rifiuti plastici sulle spiagge e laboratori per la gestione dei rifiuti. Finora ha coinvolto oltre 500 studenti.

Quello a Kristal Ambrose è il primo Goldman environmental prize assegnato a un cittadino delle isole Bahamas © Goldman environmental prize


Forte del successo dell’iniziativa, nel 2018 Ambrose e i suoi studenti hanno incontrato il ministro dell’Ambiente, per proporgli una legge per la messa al bando delle stoviglie monouso. Il tam tam mediatico è stato tale da smuovere l’opinione pubblica e costringere il governo a trasformare in realtà il disegno di legge. Entrato in vigore a gennaio 2020, è stato accompagnato – a partire da luglio – da multe salate per i trasgressori. Un esempio che, se tutto va bene, replicheremo anche noi europei al più presto.

fonte: www.lifegate.it


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UE: bando da 1 miliardo di euro per tecnologie verdi innovative

















La Commissione europea ha lanciato il bando Innovation Fund Large Scale Projects, che finanziarà progetti per l'energia rinnovabile, le industrie ad alta intensità energetica, l'accumulo di energia e per la cattura, l'uso e lo stoccaggio della CO2.


L'Innovation Fund Large Scale Projects si svolge nell'ambito dell'Innovation Found, uno dei maggiori programmi di finanziamento al mondo dedicato alle tecnologie innovative a basse emissioni di carbonio. Il fondo è finanziato dai proventi della vendita all'asta delle quote di emissione di carbonio, all'interno del sistema ETS (Emission trading system).

Con l'Innovation Fund Large Scale Projects, la Commissione Ue stanzia 1 miliardo di euro destinato a tecnologie innovative per l'energia rinnovabile, le industrie ad alta intensità energetica, l'accumulo di energia e per la cattura, l'uso e lo stoccaggio della CO2.

"L'invio a presentare domande per il bando arriva al momento giusto - ha dichiarato il vicepresidente esecutivo Frans Timmermans -. L'UE investirà 1 miliardo di euro in progetti promettenti e pronti per il mercato come idrogeno pulito o altre soluzioni a basse emissioni di carbonio per industrie ad alta intensità energetica, come acciaio, cemento e prodotti chimici. Supporteremo anche progetti per l'accumulo di energia e per la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Questi investimenti aiuteranno a riavviare l'economia dell'UE e a creare una ripresa verde che ci porti alla neutralità climatica nel 2050".

Le risorse del bando sono destinate a progetti che possono dimostrare di essere pronti ad essere commercializzati su larga scala e in grado di contribuire a rendere l'economia del vecchio continente neutrale dal punto di vista climatico. I progetti saranno, infatti, valutati in base al loro potenziale di riduzione dell'emissione di gas a effetto serra, di innovazione, di economia di scala e in base alla loro maturità tecnico-finanziaria.

I fondi sono cumulabili con altre iniziative di finanziamento pubblico, come aiuti di Stato o altri programmi di finanziamento europei.

Il termine per la presentazione delle domande è il 29 ottobre 2020. I soggetti interessati, possono presentare domanda tramite il portale di finanziamento e gare d'appalto dell'UE (Funding & tender opportunities), dove sono disponibili maggiori dettagli sulla procedura generale (vedi i Riferimenti in basso).

Il bando appena lanciato rappresenta solo la prima tranche di investimenti: per il periodo 2020-2030, l'Innovation Found stanzierà, infatti, circa 10 miliardi di euro.
Riferimenti

Innovation Fund Large Scale Projects
la pagina del bando sul sito Funding & tender opportunities



fonte: www.nextville.it


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Stop alle bustine monodose in plastica: ne usiamo 855 miliardi all’anno e non le ricicliamo mai. La campagna di A Plastic Planet

















Manca poco meno di un anno all’entrata in vigore del bando europeo alla plastica usa e getta. Ma se nel gennaio 2021 dovremo dire addio alle cannucce, cotton fioc e altri oggetti plastica monouso, non ci sarà nessun divieto per le bustine monodose usati per le salse, per il miele, ma anche per campioncini di prodotti cosmetici. Questi contenitori finiscono irrimediabilmente per accumularsi nelle nostre case finché non li gettiamo nella spazzatura. Per questo l’associazione A Plastic Planet chiede a Unione Europea e Regno Unito di includere anche le “maledette” bustine nei rispettivi divieti alla plastica usa e getta.
Secondo una stima dell’organizzazione, che ha raccolto il supporto di oltre 50 aziende, politici e attivisti, ogni anno sono prodotti e utilizzati 855 miliardi di bustine, molte delle quali sono gettate via senza neanche essere aperte. E per di più non sono quasi mai riciclate. Nonostante questo i sacchetti monodose non sono stati inclusi in nessun divieto alla plastica monouso, scrive A Plastic Planet in una lettera aperta ai maggior quotidiani britannici come il Guardian.
Negli ultima anni – ha affermato Sian Sutherland, co-fondatrice di A Plastic Planet –  i governi e le aziende hanno fatto di tutto per imporre un divieto sulle cannucce, i cotton fioc e anche i sacchetti di plastica. Eppure la bustina di plastica, simbolo definitivo del nostro stile di vita “prendi e vai” e comodità-dipendente, è rimasta virtualmente invisibile a tutti. Il risultato? La Terra è saturata da questi piccoli pacchetti irrecuperabili, non riciclabili, contaminati e privi di valore.”
Ma qualcuno ci sta già provando a eliminare le “maledette” bustine. A Londra 65 ristoranti, in collaborazione con Just Eat, distribuiranno i condimenti nelle capsule Ooho a base di alghe dell’azienda Notpla.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Da imprenditore ad aggiustatutto: l'avventura sostenibile di Gianluca Pagella

Gianluca Pagella, 51enne piemontese, dal fallimento della sua azienda ha trovato lo stimolo per "inventarsi" un nuovo mestiere, sostenibile e oggi ricercatissimo: l'aggiustatutto. Ci racconta la sua storia.
















“Tutto nasce da un fallimento,  cioè dalla fine della mia esperienza da imprenditore nel mondo delle automobili. Un tempo avevo più di 8 mezzi a motore,  ora ho 8 bici.” così inizia a raccontare la sua storia, Gianluca Pagella, di Alessandria, in Piemonte.
Quando rimase disoccupato era il 2014, aveva 47 anni: fino ad allora aveva sempre lavorato nel settore auto, prima come imprenditore, poi, dopo che il negozio di famiglia fosse costretto a chiudere, come operaio.
Senza lavoro, in una città pianeggiante si chiese cosa poteva fare: “Mi rimaneva una vecchia bicicletta. Invece di lasciarmi andare allo sconforto, decisi di rimboccarmi le maniche e mettere a posto la bici. La ridipinsi di arancione e su consiglio di mia moglie e di alcuni cari amici, decisi di lanciarmi nel pronto intervento in bicicletta e chiamarmi Gianaggiusta.”
In una cittadina come Alessandria, dove sei cittadini su dieci abitano da soli e dove è altissima la percentuale di chi ha più di 60 anni, i piccoli lavori domestici di riparazione sono molto richiesti: dalle tapparelle rotte, ai tubi idraulici da sostituire o da liberare, fino alla lampadina da cambiare e tanto altro.

Dall'idea alla sua realizzazione

“Non che l’idea mi sia venuta subito e non è stato così facile metterla in atto” spiega Gianluca. “I primi tempi, quando le persone mi vedevano passare sulla mia bicicletta arancione, col mio bel caschetto arancione, mi prendevano un po’ in giro. Sebbene la mia città si presti moltissimo, per la sua conformazione piana, all’uso della bicicletta, pochi qui pedalano abitualmente. Certo, molti sono appassionati di ciclismo o di mountain bike e macinano anche molti chilometri, ma in città, quotidianamente, per lo più le persone si spostano con l’auto. In molti inoltre erano scettici sulle possibilità di Gianaggiusta: senza un furgone, mi dicevano, certe attività sembra non possano esistere”.
Grazie a un bando europeo per la riqualificazione dei quartieri, Gianluca ha ottenuto 2000 euro che gli hanno permesso di pagarsi la cargobike e l’attrezzatura: “Con la cargobike è molto più facile; ho a disposizione un vano molto capiente in cui portare più attrezzi e fare consegne. Quando sono a pieno carico mi muovo alla velocità di 20 chilometri all'ora; il mio nuovo ritmo lavorativo non prevede lo stress e anche se la velocità può sembrare lenta, non ho problemi di code, traffico, parcheggio!”
Con 4-5 clienti al giorno, Gianluca ora riesce a sostenersi molto bene. La sua cargo è anche un ottimo mezzo pubblicitario per la sua attività: “è molto visibile, attira lo sguardo e tanta gente si ferma a guardarla e copiare il numero di cellulare, per eventualmente chiamarmi”.

Niente inquinamento e costi bassissimi

Gianluca non inquina, non ha costi di gestione, non ha problemi di accesso alle zone a traffico limitato, posteggi o traffico. Dice di aver riscoperto la città e il suo centro, ma non solo: ”Ora riesco ad avere più tempo per gli altri, faccio volontariato con i richiedenti asilo, collaboro al progetto Ry-ciclo, una ciclo officina autogestita, realizzata grazie al contributo della fondazione SociAL. La ciclofficina è uno spazio di incontro, dove la gente ripara da sola la propria bici, e chi non è in grado si fa aiutare da noi volontari esperti. C’è anche Momo che fa il volontariato insieme a noi, un ragazzo senegalese davvero fantastico, che ha portato con sé, dal suo paese di origine, la sua passione per le bici e la sua bravura nell’aggiustarle. Abbiamo fatto anche corsi per insegnare ad andare in bici agli adulti, corsi per la riparazione…”.

La ciclofficina è diventata anche ambulante, con cargo bike e carrellino, per raggiungere chi non può accedere alla sede fissa in Piazza Santa Maria di Castello. Gianluca con il gruppo locale della Fiab (Federazione amici della Bicicletta), di cui è vicepresidente, si impegna anche in progetti di denucia e monitoraggio dell’inquinamento dell’aria: “Purtroppo Alessandria è tra quei centri soffocati degli eccessivi livelli di inquinamento dell’aria, causato anche dall’uso massiccio di mezzi a motore. Abbiamo da poco lanciato la campagna MALdARIA per monitorare, attraverso l’installazione di rilevatori di No2 in vari punti della città, lo stato dell’aria della nostra città. C’è chi dice, e allora? Tanto si sa che l’aria è inquinata. Eppure non ci si deve rassegnare. Bisogna agire. Nello stato in cui versano le nostre città, serve una mobilitazione continua.”
Linda Maggiori
fonte: https://www.terranuova.it