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Tavolo Riuso: Alla scoperta delle Officine Creative Torino
fonte: Tavolo del Riuso
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Lab.biciclario: Il ristorante delle bici
Aprire un luogo per metà bistrot e per metà officina di riparazione delle bici (ma anche spazio di tante e diverse iniziative sociali e culturali) resta un bel modo per smettere di delegare e per coltivare vita nei territori
Ai muri ci sono appese un sacco di cose, anche stampe di Emergency. Ogni tre mesi qui si organizza una cena di sostegno per il circolo cittadino dell’organizzazione fondata da Gino Strada, come mi dirà poi Giuseppe, che della cooperativa che gestisce questo strano pianeta, è il presidente. A una parete c’è una sorta di armadio a vista con diversi ripiani dove sono posizionati i beni del gruppo d’acquisto: ne fanno parte diverse persone che comprano collettivamente cibi e bevande da produttori locali e che il martedì usufruiscono di questi locali per distribuire le merci appena arrivate; così i contadini possono lavorare ed essere adeguatamente retribuiti, gli acquirenti godere di prodotti di cui conoscono la provenienza, e l’ambiente se ne giova poiché le merci non fanno centinaia di chilometri stipate in tir ma arrivano dalle campagne qua intorno a Terni, ché è nel capoluogo a sud dell’Umbria che ci troviamo.
Il rosso, il nero e molto altro
Quando entri al Lab.biciclario, è questo il nome del posto, sei travolto dai colori: il rosso e il nero prevalenti alle pareti e sul soffitto; il bianco del pavimento. In un angolo c’è un frigorifero, antico e rosso pure lui: è aperto e vi sono stipati libri e riviste; e poi lavagne con scritto sopra il menù del giorno oppure massime e citazioni, avvisi alla clientela e tutto quello che può dare l’idea di una piacevole moltitudine, con tante cose differenti ma ognuna al posto giusto. Di là penzolano dall’alto copertoni e catene, giacciono a terra telai e pedali di biciclette in attesa di assemblaggio, sono appoggiati ai ripiani cacciaviti e utensili vari. Torniamo di qua: i tavoli dove si mangia hanno il ripiano in un legno la cui sfumatura di colore non è mai uguale. Le sedie sono tutte nere ma di fatture diverse, evidente frutto di rigenerazione e riutilizzo. Disegnano una metafora, questi tavoli e queste sedie così diversi gli uni dagli altri ma così bene assortiti, delle passioni che hanno dato vita a questo luogo: differenti ma complementari. Fino a stilizzare uno spazio fisico che per metà è cucina e bistrot, e per l’altra è officina di riparazione di biciclette. E dove la sera puoi trovare gente che viene a partecipare alla presentazione di un libro, a un corso di yoga o a una riunione di attivisti della mobilità dolce e alternativa alla dittatura delle auto. C’è un mondo, dentro il Lab.biciclario. Anzi, ci sono un sacco di mondi che hanno trovato qui il modo di mescolarsi perché comune è l’orizzonte, che si tratti di cibo o di mobilità, di modelli sociali o di letture o più semplicemente di modo di passare il tempo: gli abitanti di questi pianeti diversi sono uniti dalla volontà di cercare altro da quello che gli viene offerto e quasi messo in bocca da consuetudini tanto scontate quanto – a volte, anzi spesso – assai poco amiche dell’umano.
Non doveva funzionare
Adesso è ora di pranzo, Giuseppe si sposta da un tavolo all’altro munito di taccuino e penna per prendere le comande e presentare il menù che cambia ogni giorno, perché ogni giorno qui si va a fare la spesa e si acquista quello che si trova di più fresco dai produttori, tutti rigorosamente a chilometro 0, così come i fornitori di vini e birre. Di là ci sono Antonio, Renato, Christian, Raffaella e altri. Soci della cooperativa e tirocinanti, chi in cucina, chi dietro il bancone del bar, chi all’officina. Mandano avanti questo posto che “per alcuni – racconta Giuseppe con una manciata di soddisfazione che ha preso il posto dell’iniziale amaro in bocca – non avrebbe mai funzionato a Terni”. In questa città di provincia dove tutto pare condannato a essere sempre uguale e dove invece l’esperienza del Lab.biciclario dimostra che è possibile pensare a un futuro diverso per sé e per gli altri. Solo Legacoop ci ha creduto e ha dato una mano. Ha creduto cioè che fosse possibile mettere in piedi un’impresa che si sostiene da sé grazie al lavoro, alla passione e ai tanti che hanno scorto in questo posto un possibile punto di riferimento; è possibile costruire spazi ibridi che mettono insieme mondi differenti e complementari. “Il carburante di chi va in bicicletta è il cibo”, dice Giuseppe spiegandoti senza troppe parabole l’anima di un posto che è un po’ bistrot, un po’ officina, un po’ luogo di ritrovo, un po’ circolo culturale, e dove tutte queste cose insieme a molte altre contribuiscono a dare vita un luogo che guarda al futuro.
La bicicletta è rivoluzionaria, verrebbe da concluderne parafrasando antichi adagi. Che poi se ci si pensa bene, questo mezzo a due ruote pulito e silenzioso, lungi dall’essere una soluzione di continuità, è invece il trait d’union tra presente e passato di questa città. La bicicletta è stata per generazioni il mezzo di locomozione per eccellenza di quelle migliaia e migliaia di persone che lavoravano in acciaieria e che a ogni cambio turno invadevano il rettilineo di viale Brin in su e in giù in sella alla loro due ruote; chi per entrare in fabbrica, chi per tornare a casa. Oggi la bicicletta è il perno attorno cui ruota il Lab.biciclario.
Partecip’azione
L’idea viene dalla Francia, più precisamente da Parigi, dove Giuseppe ha vissuto e lavorato diversi anni. Le ciclofficine lì sono luoghi di socialità nelle periferie, posti per legare dove tutto congiura per lo sfarinamento. E non a caso sono sostenute dalle istituzioni, altro che non funziona, come gli animatori di quest’impresa si sono sentiti rispondere più volte quando andavano presentando in giro quello che ancora era solo un progetto. È da quell’idea che il Lab.biciclario è nato. E anche l’officina, non è una semplice officina. Qui si può sottoscrivere un abbonamento con il quale per poche decine di euro l’anno si può venire ogni volta che se ne abbia bisogno a riparare il proprio mezzo. Si ricevono in cambio attrezzi e consulenza per farlo. Qui si recuperano biciclette destinate alla discarica e le si rigenera per destinarle alla vendita “in cambio del pagamento delle ore di lavoro che sono state necessarie a rimetterle in vita”, spiega Giuseppe. Ma soprattutto qui si fanno incontrare le persone. “A me – è sempre Giuseppe a parlare – è capitato di vedere il ragazzo immigrato aiutato dall’anziano del posto, perché quando si incrociano il bisogno e la competenza, ci si ritrova su un piano comune e si superano le diffidenze iniziali”. Eccolo il lievito del Lab.biciclario che fa crescere un modo nuovo di stare insieme e di vedere le cose. Si tratta del principio ispiratore di questo posto. Qui lo chiamano partecip’azione. Con l’apostrofo. Un neologismo che indica il moto del partecipare e quello verso il cambiamento con un’unica parola. E che vede le persone su un unico piano, nessuna delega, zero verticismi. “Ogni settimana facciamo la nostra assemblea di gestione e vagliamo le richieste di incontri che ci vengono fatte e le attività da svolgere; se incrociano il nostro modo di agire, ospitiamo, apriamo le porte e ci contaminiamo gli uni con gli altri”, spiega ancora Giuseppe che ci tiene molto a definirsi presidente “pro-tempore”. Sembra un’associazione; i modi, anzi, paiono da centro sociale; eppure questa è un’impresa che funziona. Lab.biciclario è aperto da più di un anno e sono già decine gli abbonamenti sottoscritti per l’officina. Così come le persone che pranzano tutti i giorni nel bistrot. E poi, questo spazio a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria è diventato punto di ritrovo e di riunione per diverse realtà cittadine. A cominciare dal cosiddetto popolo delle bici. Perché poi la questione centrale gira sempre attorno alle biciclette. Città a misura di pedone e di ciclista sono città più sicure, meno nevrotiche, è questo l’assunto. “In macchina t’incazzi, in bicicletta sorridi”, dice ancora Giuseppe che evidentemente ha il dono della sintesi.

Non finisce qui
Ecco, è questo il punto. La bicicletta può essere davvero rivoluzionaria; può diventare il meccanismo attorno al quale far girare un nuovo modo di stare insieme, di consumare meno, di rispettare le persone e l’ambiente. E, perché no?, di fare buona impresa. Il Lab.biciclario, questo insieme di mondi fusi in un unico pianeta che non doveva funzionare e che invece funziona benissimo, lo dimostra. E mica è finita qui. “Partiremo con l’organizzazione di gite in bici con pranzo al sacco preparato da noi; sai?, i dintorni di Terni sono meravigliosi; e poi andremo avanti con la rigenerazione di biciclette altrimenti da rottamare e molto altro”. Sì, la bicicletta può essere rivoluzionaria: lenta, pulita, rispettosa e silenziosa. L’esatto contrario del caos inutile e delle urla spesso disumane che ci rovesciamo addosso quotidianamente nel traffico e non solo. In concomitanza con la mia visita c’è una gara di ciclismo chissà dove, trasmessa da chissà quale canale. Qualcuno domanda: “Come mai non c’è una televisione per vederla?”. “In bicicletta bisogna andarci, non guardare chi ci va. E poi la televisione rincoglionisce, in questo la pensiamo come la pensava Pasolini”. Giuseppe la chiude così: semplice e diretto. E col dono della sintesi.
fonte: https://comune-info.net
Il rosso, il nero e molto altro
Quando entri al Lab.biciclario, è questo il nome del posto, sei travolto dai colori: il rosso e il nero prevalenti alle pareti e sul soffitto; il bianco del pavimento. In un angolo c’è un frigorifero, antico e rosso pure lui: è aperto e vi sono stipati libri e riviste; e poi lavagne con scritto sopra il menù del giorno oppure massime e citazioni, avvisi alla clientela e tutto quello che può dare l’idea di una piacevole moltitudine, con tante cose differenti ma ognuna al posto giusto. Di là penzolano dall’alto copertoni e catene, giacciono a terra telai e pedali di biciclette in attesa di assemblaggio, sono appoggiati ai ripiani cacciaviti e utensili vari. Torniamo di qua: i tavoli dove si mangia hanno il ripiano in un legno la cui sfumatura di colore non è mai uguale. Le sedie sono tutte nere ma di fatture diverse, evidente frutto di rigenerazione e riutilizzo. Disegnano una metafora, questi tavoli e queste sedie così diversi gli uni dagli altri ma così bene assortiti, delle passioni che hanno dato vita a questo luogo: differenti ma complementari. Fino a stilizzare uno spazio fisico che per metà è cucina e bistrot, e per l’altra è officina di riparazione di biciclette. E dove la sera puoi trovare gente che viene a partecipare alla presentazione di un libro, a un corso di yoga o a una riunione di attivisti della mobilità dolce e alternativa alla dittatura delle auto. C’è un mondo, dentro il Lab.biciclario. Anzi, ci sono un sacco di mondi che hanno trovato qui il modo di mescolarsi perché comune è l’orizzonte, che si tratti di cibo o di mobilità, di modelli sociali o di letture o più semplicemente di modo di passare il tempo: gli abitanti di questi pianeti diversi sono uniti dalla volontà di cercare altro da quello che gli viene offerto e quasi messo in bocca da consuetudini tanto scontate quanto – a volte, anzi spesso – assai poco amiche dell’umano.

Non doveva funzionare
Adesso è ora di pranzo, Giuseppe si sposta da un tavolo all’altro munito di taccuino e penna per prendere le comande e presentare il menù che cambia ogni giorno, perché ogni giorno qui si va a fare la spesa e si acquista quello che si trova di più fresco dai produttori, tutti rigorosamente a chilometro 0, così come i fornitori di vini e birre. Di là ci sono Antonio, Renato, Christian, Raffaella e altri. Soci della cooperativa e tirocinanti, chi in cucina, chi dietro il bancone del bar, chi all’officina. Mandano avanti questo posto che “per alcuni – racconta Giuseppe con una manciata di soddisfazione che ha preso il posto dell’iniziale amaro in bocca – non avrebbe mai funzionato a Terni”. In questa città di provincia dove tutto pare condannato a essere sempre uguale e dove invece l’esperienza del Lab.biciclario dimostra che è possibile pensare a un futuro diverso per sé e per gli altri. Solo Legacoop ci ha creduto e ha dato una mano. Ha creduto cioè che fosse possibile mettere in piedi un’impresa che si sostiene da sé grazie al lavoro, alla passione e ai tanti che hanno scorto in questo posto un possibile punto di riferimento; è possibile costruire spazi ibridi che mettono insieme mondi differenti e complementari. “Il carburante di chi va in bicicletta è il cibo”, dice Giuseppe spiegandoti senza troppe parabole l’anima di un posto che è un po’ bistrot, un po’ officina, un po’ luogo di ritrovo, un po’ circolo culturale, e dove tutte queste cose insieme a molte altre contribuiscono a dare vita un luogo che guarda al futuro.
La bicicletta è rivoluzionaria, verrebbe da concluderne parafrasando antichi adagi. Che poi se ci si pensa bene, questo mezzo a due ruote pulito e silenzioso, lungi dall’essere una soluzione di continuità, è invece il trait d’union tra presente e passato di questa città. La bicicletta è stata per generazioni il mezzo di locomozione per eccellenza di quelle migliaia e migliaia di persone che lavoravano in acciaieria e che a ogni cambio turno invadevano il rettilineo di viale Brin in su e in giù in sella alla loro due ruote; chi per entrare in fabbrica, chi per tornare a casa. Oggi la bicicletta è il perno attorno cui ruota il Lab.biciclario.
Partecip’azione
L’idea viene dalla Francia, più precisamente da Parigi, dove Giuseppe ha vissuto e lavorato diversi anni. Le ciclofficine lì sono luoghi di socialità nelle periferie, posti per legare dove tutto congiura per lo sfarinamento. E non a caso sono sostenute dalle istituzioni, altro che non funziona, come gli animatori di quest’impresa si sono sentiti rispondere più volte quando andavano presentando in giro quello che ancora era solo un progetto. È da quell’idea che il Lab.biciclario è nato. E anche l’officina, non è una semplice officina. Qui si può sottoscrivere un abbonamento con il quale per poche decine di euro l’anno si può venire ogni volta che se ne abbia bisogno a riparare il proprio mezzo. Si ricevono in cambio attrezzi e consulenza per farlo. Qui si recuperano biciclette destinate alla discarica e le si rigenera per destinarle alla vendita “in cambio del pagamento delle ore di lavoro che sono state necessarie a rimetterle in vita”, spiega Giuseppe. Ma soprattutto qui si fanno incontrare le persone. “A me – è sempre Giuseppe a parlare – è capitato di vedere il ragazzo immigrato aiutato dall’anziano del posto, perché quando si incrociano il bisogno e la competenza, ci si ritrova su un piano comune e si superano le diffidenze iniziali”. Eccolo il lievito del Lab.biciclario che fa crescere un modo nuovo di stare insieme e di vedere le cose. Si tratta del principio ispiratore di questo posto. Qui lo chiamano partecip’azione. Con l’apostrofo. Un neologismo che indica il moto del partecipare e quello verso il cambiamento con un’unica parola. E che vede le persone su un unico piano, nessuna delega, zero verticismi. “Ogni settimana facciamo la nostra assemblea di gestione e vagliamo le richieste di incontri che ci vengono fatte e le attività da svolgere; se incrociano il nostro modo di agire, ospitiamo, apriamo le porte e ci contaminiamo gli uni con gli altri”, spiega ancora Giuseppe che ci tiene molto a definirsi presidente “pro-tempore”. Sembra un’associazione; i modi, anzi, paiono da centro sociale; eppure questa è un’impresa che funziona. Lab.biciclario è aperto da più di un anno e sono già decine gli abbonamenti sottoscritti per l’officina. Così come le persone che pranzano tutti i giorni nel bistrot. E poi, questo spazio a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria è diventato punto di ritrovo e di riunione per diverse realtà cittadine. A cominciare dal cosiddetto popolo delle bici. Perché poi la questione centrale gira sempre attorno alle biciclette. Città a misura di pedone e di ciclista sono città più sicure, meno nevrotiche, è questo l’assunto. “In macchina t’incazzi, in bicicletta sorridi”, dice ancora Giuseppe che evidentemente ha il dono della sintesi.

Non finisce qui
Ecco, è questo il punto. La bicicletta può essere davvero rivoluzionaria; può diventare il meccanismo attorno al quale far girare un nuovo modo di stare insieme, di consumare meno, di rispettare le persone e l’ambiente. E, perché no?, di fare buona impresa. Il Lab.biciclario, questo insieme di mondi fusi in un unico pianeta che non doveva funzionare e che invece funziona benissimo, lo dimostra. E mica è finita qui. “Partiremo con l’organizzazione di gite in bici con pranzo al sacco preparato da noi; sai?, i dintorni di Terni sono meravigliosi; e poi andremo avanti con la rigenerazione di biciclette altrimenti da rottamare e molto altro”. Sì, la bicicletta può essere rivoluzionaria: lenta, pulita, rispettosa e silenziosa. L’esatto contrario del caos inutile e delle urla spesso disumane che ci rovesciamo addosso quotidianamente nel traffico e non solo. In concomitanza con la mia visita c’è una gara di ciclismo chissà dove, trasmessa da chissà quale canale. Qualcuno domanda: “Come mai non c’è una televisione per vederla?”. “In bicicletta bisogna andarci, non guardare chi ci va. E poi la televisione rincoglionisce, in questo la pensiamo come la pensava Pasolini”. Giuseppe la chiude così: semplice e diretto. E col dono della sintesi.
fonte: https://comune-info.net
Da imprenditore ad aggiustatutto: l'avventura sostenibile di Gianluca Pagella
Gianluca Pagella, 51enne piemontese, dal fallimento della sua azienda ha trovato lo stimolo per "inventarsi" un nuovo mestiere, sostenibile e oggi ricercatissimo: l'aggiustatutto. Ci racconta la sua storia.
“Tutto nasce da un fallimento, cioè dalla fine della mia esperienza da imprenditore nel mondo delle automobili. Un tempo avevo più di 8 mezzi a motore, ora ho 8 bici.” così inizia a raccontare la sua storia, Gianluca Pagella, di Alessandria, in Piemonte.
Quando rimase disoccupato era il 2014, aveva 47 anni: fino ad allora aveva sempre lavorato nel settore auto, prima come imprenditore, poi, dopo che il negozio di famiglia fosse costretto a chiudere, come operaio.
Senza lavoro, in una città pianeggiante si chiese cosa poteva fare: “Mi rimaneva una vecchia bicicletta. Invece di lasciarmi andare allo sconforto, decisi di rimboccarmi le maniche e mettere a posto la bici. La ridipinsi di arancione e su consiglio di mia moglie e di alcuni cari amici, decisi di lanciarmi nel pronto intervento in bicicletta e chiamarmi Gianaggiusta.”
Senza lavoro, in una città pianeggiante si chiese cosa poteva fare: “Mi rimaneva una vecchia bicicletta. Invece di lasciarmi andare allo sconforto, decisi di rimboccarmi le maniche e mettere a posto la bici. La ridipinsi di arancione e su consiglio di mia moglie e di alcuni cari amici, decisi di lanciarmi nel pronto intervento in bicicletta e chiamarmi Gianaggiusta.”
In una cittadina come Alessandria, dove sei cittadini su dieci abitano da soli e dove è altissima la percentuale di chi ha più di 60 anni, i piccoli lavori domestici di riparazione sono molto richiesti: dalle tapparelle rotte, ai tubi idraulici da sostituire o da liberare, fino alla lampadina da cambiare e tanto altro.
Dall'idea alla sua realizzazione
“Non che l’idea mi sia venuta subito e non è stato così facile metterla in atto” spiega Gianluca. “I primi tempi, quando le persone mi vedevano passare sulla mia bicicletta arancione, col mio bel caschetto arancione, mi prendevano un po’ in giro. Sebbene la mia città si presti moltissimo, per la sua conformazione piana, all’uso della bicicletta, pochi qui pedalano abitualmente. Certo, molti sono appassionati di ciclismo o di mountain bike e macinano anche molti chilometri, ma in città, quotidianamente, per lo più le persone si spostano con l’auto. In molti inoltre erano scettici sulle possibilità di Gianaggiusta: senza un furgone, mi dicevano, certe attività sembra non possano esistere”.
Grazie a un bando europeo per la riqualificazione dei quartieri, Gianluca ha ottenuto 2000 euro che gli hanno permesso di pagarsi la cargobike e l’attrezzatura: “Con la cargobike è molto più facile; ho a disposizione un vano molto capiente in cui portare più attrezzi e fare consegne. Quando sono a pieno carico mi muovo alla velocità di 20 chilometri all'ora; il mio nuovo ritmo lavorativo non prevede lo stress e anche se la velocità può sembrare lenta, non ho problemi di code, traffico, parcheggio!”
Con 4-5 clienti al giorno, Gianluca ora riesce a sostenersi molto bene. La sua cargo è anche un ottimo mezzo pubblicitario per la sua attività: “è molto visibile, attira lo sguardo e tanta gente si ferma a guardarla e copiare il numero di cellulare, per eventualmente chiamarmi”.
Niente inquinamento e costi bassissimi
Gianluca non inquina, non ha costi di gestione, non ha problemi di accesso alle zone a traffico limitato, posteggi o traffico. Dice di aver riscoperto la città e il suo centro, ma non solo: ”Ora riesco ad avere più tempo per gli altri, faccio volontariato con i richiedenti asilo, collaboro al progetto Ry-ciclo, una ciclo officina autogestita, realizzata grazie al contributo della fondazione SociAL. La ciclofficina è uno spazio di incontro, dove la gente ripara da sola la propria bici, e chi non è in grado si fa aiutare da noi volontari esperti. C’è anche Momo che fa il volontariato insieme a noi, un ragazzo senegalese davvero fantastico, che ha portato con sé, dal suo paese di origine, la sua passione per le bici e la sua bravura nell’aggiustarle. Abbiamo fatto anche corsi per insegnare ad andare in bici agli adulti, corsi per la riparazione…”.
La ciclofficina è diventata anche ambulante, con cargo bike e carrellino, per raggiungere chi non può accedere alla sede fissa in Piazza Santa Maria di Castello. Gianluca con il gruppo locale della Fiab (Federazione amici della Bicicletta), di cui è vicepresidente, si impegna anche in progetti di denucia e monitoraggio dell’inquinamento dell’aria: “Purtroppo Alessandria è tra quei centri soffocati degli eccessivi livelli di inquinamento dell’aria, causato anche dall’uso massiccio di mezzi a motore. Abbiamo da poco lanciato la campagna MALdARIA per monitorare, attraverso l’installazione di rilevatori di No2 in vari punti della città, lo stato dell’aria della nostra città. C’è chi dice, e allora? Tanto si sa che l’aria è inquinata. Eppure non ci si deve rassegnare. Bisogna agire. Nello stato in cui versano le nostre città, serve una mobilitazione continua.”
Linda Maggiori
fonte: https://www.terranuova.it
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