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Cortocircuito: l’elettronica solidale e circolare di Roma

Da Reware ad Aggiustotutto Repair Café: cooperative e associazioni della capitale recuperano e riparano dispositivi elettronici per rimetterli sul mercato. Riducono la produzione di rifiuti e l’impatto sull’ambiente e avviano progetti di solidarietà sociale. Le loro storie

L’officina-laboratorio Reware © Michela Giarrusso

A Roma, fra i palazzi del quartiere residenziale Collatino, si trova una piccola officina informatica. Una grande immagine raffigurante due alberi stilizzati copre la vetrina: sui rami si alternano foglie dai circuiti elettrici come nervature e apparecchiature elettroniche. Una scritta verde recita “Reware: l’informatica sostenibile”. L’ingresso dell’officina è un piccolo spazio adibito a negozio. Ai lati vengono esposti i computer in vendita; di fronte si trova un bancone con veri e propri cimeli della storia dell’informatica, come il Commodore 64, il personal computer più venduto nella storia. Alle spalle della teca delle antichità informatiche, scaffali pieni di computer portatili, fissi e pezzi di ricambio coprono ogni centimetro di muro. La parte più ampia dell’officina è dedicata al laboratorio: due ragazzi stanno assemblando dei portatili, lasciando intravedere gli ingranaggi interni della macchina.

Reware è una cooperativa e un’impresa sociale in cui sette artigiani dalle competenze hi-tech rigenerano computer dismessi per rivenderli come ricondizionati: usati ma come nuovi. “Raddoppiamo la vita utile dei computer; se il computer vive il doppio degli anni, sostituendo uno equivalente, permette di consumare la metà delle risorse e di dimezzare il rifiuto elettronico”, racconta Nicolas Denis, uno dei soci fondatori. Il beneficio ambientale è chiaro: un computer costa alla natura fra i 1.500 e i 1.800 chilogrammi di risorse, a cui si aggiunge il danno ambientale dei componenti tossici non correttamente smaltiti.

Nel primo anno di attività i computer riqualificati da Reware sono stati 500, mentre oggi sono circa 4.000 all’anno. “Il nostro è un lavoro artigianale”, spiega Denis mostrando uno dei “giocattoli” costruiti dagli stessi soci, un intreccio di cavi, usato per cancellare in maniera definitiva i dati dai computer. Le macchine riqualificate da Reware vengono da aziende o grossisti. Sono tutti prodotti di fascia alta perché “hanno ancora molti anni di vita davanti a loro”. Si tratta quindi di macchine potenti vendute a un prezzo molto vantaggioso per l’acquirente. Il mercato dell’usato rigenerato è in forte crescita: l’aumento della domanda si traduce anche in più lavoro per le imprese del settore, come sottolinea anche Denis parlando del nuovo collaboratore assunto. Reware è riconosciuta come un’attività di utilità sociale: è stata la “prima cosa su cui abbiamo lavorato. L’aspetto ambientalista del nostro lavoro ha un’origine etica che si incontra chiaramente con altre tematiche”.




Oltre ai progetti di alfabetizzazione e formazione informatica, tra i programmi di solidarietà sociale promossi da Reware c’è Elettronica Solidale, al quale collabora una fitta rete di associazioni. A Centocelle, all’interno di un grande deposito di aiuti umanitari, tre volontari di Informatici senza frontiere (Isf) sono al lavoro. “Abbiamo tutti un passato nel settore informatico, ora mettiamo a disposizione le nostre competenze per il volontariato”, racconta Maurizio Sapienza, il coordinatore di Isf Lazio. I volontari stanno riparando computer, forniti da Reware e da altre aziende, per donarli a persone in difficoltà economica.

Device4all è il nome con cui l’associazione Nonna Roma, che ospita Informatici senza frontiere, pubblicizza l’iniziativa. Come spiega Sapienza “i nomi sono tanti, ma la finalità è sempre la stessa: combattere il divario digitale” fra chi ha accesso alla tecnologia e chi no. Al momento sono circa una trentina i computer donati. Eloa Montesel, volontaria di Nonna Roma, ci spiega che l’associazione raccoglie le richieste fra le persone e le famiglie cui distribuisce i pacchi alimentari. “Siamo attivi contro la povertà educativa e la dispersione scolastica. L’associazione Rimuovendo Gli Ostacoli ci ha proposto di partecipare al progetto e noi abbiamo accettato subito perché in linea con quello che stavamo già facendo. Moltissimi ragazzi facevano lezione a distanza dallo smartphone dei genitori”. Anche così si fa economia circolare, sottolinea Sapienza, perché vengono ridotti “gli scarti e il materiale che va in discarica”.



L’economia circolare è un modello che prevede il riutilizzo, la riparazione e il riciclo dei materiali e dei prodotti. Prolungandone il ciclo di vita, l’estrazione di nuove risorse naturali e i rifiuti sono ridotti al minimo. Inoltre, reintroducendo il prodotto riparato nel ciclo economico, come avviene nel caso di Reware, si genera ulteriore valore senza il bisogno di consumare risorse naturali. Come spiega Denis, attraverso investimenti mirati “è possibile industrializzare questa attività artigianale”, costruendo impianti capaci di rigenerare milioni di computer: un’economia circolare su larga scala. Nel settore dell’elettronica, l’applicazione in scala industriale di questo modello permetterebbe sia di diminuire significativamente l’estrazione di metalli rari sia di ridurre la produzione di rifiuti elettronici. Il rifiuto domestico che cresce più rapidamente a livello mondiale è proprio quello derivante da apparecchiature elettroniche dismesse: nel 2019, secondo il rapporto “Global e-waste monitor” dell’Università delle Nazioni Unite, è stato prodotto l’equivalente di sette chilogrammi di rifiuti elettronici per ogni persona sul Pianeta, neonati inclusi.

Sostengono la riparazione le imprese che applicano i principi dell’economia circolare, ma anche gruppi di riparazione comunitaria e privati cittadini stanchi dell’obsolescenza programmata, l’insieme di pratiche con cui le aziende limitano la durata dei dispositivi per aumentare le vendite. Francesco Pelaia, vice presidente dell’associazione Aggiustotutto Repair Café, nel quartiere Monte Sacro di Roma, spiega che cosa siano questi gruppi di riparazione comunitaria: “I Repair Café sono luoghi dove si socializzano esperienze inerenti al riuso e alla riparazione”. Il termine nasce nel Nord Europa e richiama i caffè come luogo di ritrovo, più che di consumo. Volontari e utenti si ritrovano per dare nuova vita a vecchi oggetti e per scambiare esperienze su come si aggiusta, attraverso uno “scambio orizzontale di conoscenze”. Nei Repair Café si aggiusta qualsiasi cosa e si tengono corsi di formazione per diffondere le conoscenze tecniche. Anche i riparatori del gruppo Aggiustotutto partecipano a progetti di solidarietà sociale, collaborando con Informatici senza frontiere al progetto Device4all. Insieme a Officine Digitali, un’associazione dello stesso quartiere, Aggiustotutto è ospitato nel LabPuzzle, un centro sociale che promuove “vertenze per una vita più sana ed equa”. Lo rimarca Pelaia: “Abbiamo deciso di condividere spazi ed esperienze con l’idea di aprirci al quartiere”.



Il caso di Aggiustotutto è tutt’altro che isolato. Contro il consumismo si schierano i membri di un altro Repair Café romano che si riunisce all’interno del vecchio Casale Garibaldi di San Paolo, l’edificio che ospita il progetto Città dell’Utopia del Servizio civile internazionale. Qui i riparatori, tutti volontari, incontrano una volta al mese gli utenti con i loro oggetti rotti o malfunzionanti. Durante questi incontri avvengono le riparazioni e si spiegano i problemi e le soluzioni ai proprietari degli oggetti. Coinvolgere l’utente è importante: potrà poi riparare lui stesso l’oggetto, o essere più consapevole al momento di un futuro acquisto, perché “a volte è meglio spendere qualcosa in più per avere un prodotto che possa essere riparato”, dice Michele D’Onofrio, l’esperto di elettronica del Repair Café San Paolo.

“Oggi la tendenza è consumare e buttare. È questa cultura del ‘prendo e lascio’ la cosa più difficile da contrastare, non basta l’intervento normativo, solo con coscienza e consapevolezza si può cambiare questo sistema”. Ma i consumatori, da soli, forse non bastano. È necessaria anche la collaborazione delle aziende produttrici “sia nel disegnare prodotti più duraturi, sia nel pubblicare manuali di riparazione e schemi elettrici” sottolinea un altro socio del caffè, l’ingegnere Luciano Trulli. Oggi, inoltre, con l’evoluzione tecnologica e l’introduzione di microprocessori programmati anche in oggetti semplici come una radio, sono necessari strumenti e conoscenze adeguate.





Sulla piattaforma iFixit, vengono venduti a un prezzo molto contenuto kit di riparazione. Inoltre è possibile trovare guide di riparazione (gratuite) scritte dagli utenti. Dorothea Kessler, responsabile della comunicazione di iFixit Europa, spiega che la piattaforma “è stata fondata per facilitare l’accesso alla riparazione e per rafforzare il potere delle persone”. La comunità di iFixit crede che “con adeguati strumenti e guide tutti possano riparare cose. Ma per fare ciò, è necessario che i dispositivi elettronici siano riparabili”. Spesso, invece, le aziende utilizzano piccoli escamotage per far sì che i prodotti non siano riparabili: batterie incollate, pezzi di ricambio introvabili, manuali segreti e costi esorbitanti delle assistenze autorizzate dal marchio.

Come racconta Pelaia, i gruppi di riparazione italiani hanno diversi obiettivi e si rivolgono sia ai consumatori sia a produttori e legislatori. Nel maggio 2019 il movimento per la riparazione comunitaria in Italia si è riunito a Torino, pubblicando un manifesto, condiviso da molte associazioni di riparatori, che ne sintetizza la visione. Fra i firmatari anche Aggiustotutto: “Il manifesto di Torino è una dichiarazione di intenti”, dice Pelaia. Nel documento, consultabile sul sito restarters.it, si legge: “Mettendo al centro le persone e le esigenze del Pianeta, indichiamo un futuro in cui la riparazione sia un settore fiorente della nostra economia; i prodotti siano facili da riparare e i produttori forniscano a tutti ricambi, aggiornamenti software e documentazione il più a lungo possibile”.

I firmatari del documento aderiscono alla campagna europea per il diritto alla riparazione che mette insieme attori delle economie circolari, associazioni di riparatori e privati cittadini, mantenendo i contatti con simili iniziative negli Stati Uniti. Le idee alla base della campagna, diffuse ormai in tutto il mondo, sono le stesse che muovono il lavoro di Reware, l’officina-laboratorio del Collatino, a Roma. Simili le convinzioni: la riparazione, da sola, non salverà il Pianeta, ma è un’alternativa alle montagne di rifiuti.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito delle attività della Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio e Lisli Basso.

fonte: altreconomia.it



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Smartphone e computer rigenerati: ecco quanto si risparmia e perché fanno bene all’ambiente

Dai computer agli smartphone (iphone inclusi), dalle stampanti agli elettrodomestici: sono tanti i dispositivi elettronici reimmessi nel mercato



Riparare, ammodernare e rimettere in circolo è un perfetto esempio di economia circolare.

Con l’espressione inglese “refurbished” – traducibile in italiano con “rigenerato” o “ricondizionato” – si indicano tutti quei prodotti elettronici usati – come computer fissi, laptop, smartphone, tablet e stampanti – che, dopo essere stati controllati, eventualmente riparati, aggiornati e testati sia a livello hardware che software, sono pronti per essere rivenduti.

Da dove provengono i prodotti da rigenerare

Non esiste una regola unica, ma riportiamo alcune tra le casistiche più frequenti.

Possono essere, ad esempio, i prodotti resi dai clienti nell’arco temporale offerto da alcuni negozi per esercitare il “diritto al ripensamento” o altrimenti modelli con piccoli difetti estetici ma non funzionali, prodotti con danni agli imballaggi originali (ma non al prodotto). Vi sono poi quelli restituiti in garanzia e riparati dai centri di assistenza o i device restituiti alla scadenza di un leasing o di un noleggio.

Dove acquistare computer e smartphone refurbished

Sono molte le realtà che mettono a disposizione prodotti ricondizionati. Vi sono dei negozi o delle attività specializzate proprio in refurbished come Reware, cooperativa sociale che intercetta i computer dismessi prima che diventino rifiuti prematuri. Pensate che, solo nel 2015, la cooperativa ha rigenerato quasi 6 tonnellate di apparecchiature informatiche (circa 1.500 computer) e stima di averne raddoppiato la vita utile facendola passare da una media di 4 anni a una media di 8 anni. “Vivendo il doppio” di fatto se ne riduce della metà l’impatto ambientale visto che, riutilizzando i prodotti rigenerati, si evita l’acquisto di nuovi esemplari equivalenti.

L’altro consiglio è poi quello di contattare i negozi di informatica della propria città. Sono molti quelli che, assieme ai nuovi esemplari, offrono la possibilità di acquistare i prodotti rigenerati. Spesso vi è poi un’apposita sezione anche nei negozi e negli e-commerce dei megastore.

Il caso dei ricondizionati Apple

Quali sono i prodotti ricondizionati maggiormente ricercati dalle persone? Andando ad interrogare uno dei software che registrano le ricerche effettuate sulla rete, tra le risposte più frequenti troviamo i prodotti Apple come Iphone e Mac. L’azienda di Cupertino ha una sezione dedicata proprio ai rigenerati sul proprio portale ufficiale.

Come indicato sul sito, assicurano che il dispositivo sarà “come nuovo” con uno sconto del 15%, sarà coperto da garanzia, assistenza della casa madre e con possibilità di restituzione entro 14 giorni. Visitando il portale è possibile trovare diversi modelli di iPhone, MacPro e iPad. Ovviamente non sono disponibili tutti i modelli ma, considerati gli sconti, ci si potrebbe accontentare…
Quanto si risparmia scegliendo apparecchi ricondizionati

Perché acquistare un prodotto rigenerato? Sicuramente per il risparmio ambientale considerato che, con molta probabilità, si ridurrebbe il numero di device che verrebbero buttati e quelli che sarebbe necessario costruire ex novo.

Il vantaggio che, probabilmente, viene percepito con maggiore interesse è innanzitutto quello economico: acquistando un apparecchio rigenerato si spende mediamente meno. Quanto? Dipende da molteplici varianti: sull’ecommerce di Apple lo sconto è del 15%, ma, se visitiamo l’apposita sezione sul sito di Mediaworld, noteremo che gli sconti variano dal 10 al 30%. Navigando su vari portali poi, a seconda dei modelli, si arriva a sconti ancora più alti. Ovviamente vi consigliamo di informarvi approfonditamente sulle condizioni meccanico-funzionali ed estetiche dei prodotti che vi interessano prima di procedere all’acquisto!

Quali prodotti si possono comprare rigenerati?

Fino ad ora ci siamo occupati soprattutto di computer e smartphone, ma qualsiasi apparecchio elettronico – dalle cuffie alle fotocamere, dai robot da cucina ai frigoriferi – può essere ricondizionato.
Che differenza c’è tra ricondizionati e usati?

Il prodotto usato è venduto nello stato di usura in cui si trova e non viene revisionato nella parte hardware e software. Uno rigenerato, sebbene non sia nuovo (è bene sottolinearlo), viene rimesso sul mercato “pari al nuovo” salvo eventuali difetti estetici dichiarati. In merito alla garanzia, per l’usato vale solo se residua quella originale mentre per i refurbished è prevista per legge: il vostro laptop o smartphone ricondizionato sarà garantito per 12 mesi.
Quanto vale il mercato refurbished?

È difficile tracciare una linea unica a riguardo ma riportiamo alcuni dati di recenti ricerche. In termini monetari, secondo il report Deloitte, nel 2018 il valore del mercato dei prodotti ricondizionati può essere stimato in 17 miliardi di dollari.

In un periodo in cui si registra una contrazione del mercato degli smartphone nuovi, si stima che gli esemplari usati e ricondizionati nel 2020 abbiano superato quota di 225 milioni di vendite con un +9% rispetto al 2012. Secondo il report IDC, nel 2024 arriveranno a superare i 351 milioni di transazioni per un valore di 65 miliardi di dollari.

Cosa sono le “rigenerazioni solidali”?

In alcuni casi la rigenerazione nasce per fini solidali e i dispositivi vengono raccolti grazie alle donazioni di chi possiede apparecchi funzionanti ma inutilizzati.

A seguito della pandemia, ad esempio, è nato “Device4all” – un progetto ideato da Nonna Roma, Rimuovendo gli Ostacoli e Informatici senza Frontiere – per contrastare la disuguaglianza educativa e dare supporto ai giovani che debbono seguire le lezioni in DaD ma non sono in possesso di pc o tablet adeguati.

I dispositivi elettronici donati, sottoposti alla cancellazione sicura dei dati ivi presenti e all’installazione del software, sono quindi pronti per essere consegnati alle famiglie beneficiarie.

fonte: economiacircolare.com

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REWARE, L’IDEA PUÒ “CIRCOLARE”

Nella società del consumo che si regge su logiche frenetiche di sostituzione di un prodotto, il tema dei rifiuti si fa pressante e ha bisogno di una soluzione nel breve periodo.
In questo contesto si inserisce il progetto Reware che dona un’opportunità a vecchi pc, regalando una prospettiva migliore alle nuove generazioni, in termini di formazione, di nuove figure professionali e di un mondo meno invaso da rifiuti.
Si tratta certamente di un piccolo esempio le cui dimensioni ridotte però non limitano il suo emblema virtuoso: un’economia che ripensa il destino di un prodotto, ne moltiplica l’utilizzo e ne riduce l’impatto ambientale. Un ‘economia circolare.


















Nel mondo sta crescendo la domanda di articoli elettronici e, di conseguenza, la produzione di montagne di rifiuti pericolosi.
Il proliferare di siti di acquisti on-line rende ancora più “allettante” comprare un dispositivo tecnologico perché è più facile trovarlo a buon mercato e sceglierlo tra una vasta gamma di offerte. Si pensi poi agli effetti del Black Friday e del Cyber Monday, in cui la maggior parte degli acquirenti non ha una reale esigenza del prodotto, e, molto spesso, utilizzerà solo il 20% delle potenzialità del modello prescelto, tutto pur di fare l’acquisto dell’anno!
La sostituzione di un apparecchio elettronico si effettua dunque con sempre maggior frequenza e ciò che si ritiene obsoleto si accumula. Ad esempio quanti cellulari abbiamo cambiato nell’arco di dieci anni?  In quanti casi ne era davvero necessaria la sostituzione? E che fine hanno fatto quelli sostituiti?
Purtroppo sempre più rifiuti elettronici riempiono le case, le cantine e i garage, oppure le discariche dove spesso sono smaltiti o inceneriti.  Una buona parte viene anche esportata, in certi casi illegalmente, per finire in discariche incontrollate in Africa o in Asia (fonte Greenpeace).
Le stime dell’ONU sono di 30-50 milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici prodotti ogni anno, contenenti sostanze tossiche con serie ripercussioni sulla salute umana; basti solo pensare alla presenza di mercurio e di piombo.
Le cifre sono impressionanti e l’impatto ambientale devastante. I siti inquinati si moltiplicano e le ripercussioni sono visibili già nel breve periodo. Lo avevamo sempre sospettato, ma ora perché non proviamo a cambiare qualcosa?
E’ quello che tenta di fare una piccola cooperativa nella “silicon valley” capitolina, nei pressi della via Tiburtina, a due passi dalle grandi multinazionali dell’elettronica e dai colossi industriali.
Reware, una sorta di crasi tra “recycle” e “ware”, ovvero riutilizzare della merce. E’ una cooperativa senza scopo di lucro, specializzata nel dare nuova vita proprio ai pc dismessi dalle grandi aziende.
Animati da un forte spirito civico, sociale e ambientale, Giuliano, Maori, Nicolas e Paolo – i titolari della cooperativa – “sottraggono” ogni giorno questi computer al destino della discarica, li rigenerano con un nuovo sistema operativo e li affidano alle scuole. Si tratta del “progetto Re-School”, accordo di partenariato tra Legambiente Lazio e la Cooperativa Reware, esempio emblematico per le nuove generazioni perché rappresenta un’azione concreta per il tessuto cittadino.
In periodi di austerità e tagli alla spesa pubblica, quest’idea ha permesso ad alcune scuole ed ai loro studenti di dotarsi di computer adeguati per mantenere la didattica al passo con i tempi della società dell’informazione e della digitalizzazione. Ma il programma è anche un’operazione di educazione ambientale molto efficace che permetterà alle ragazze e ai ragazzi che ne beneficeranno di scoprire quanto le pratiche virtuose del riutilizzo possa ridurre la produzione di rifiuti e il conseguente insorgere di gravi malattie tra i cittadini del mondo.
Grazie alle competenze tecniche sviluppate negli anni, l’attività ideata da Reware si è diffusa aumentando il riutilizzo, non solo nelle scuole, ma anche tra i privati che ora possono scegliere se acquistare i pc rigenerati o se far riparare i propri. Tale impegno permette di prolungare significativamente la vita utile della maggior parte dei computer.
E’ una soluzione sostenibile nel senso più stretto di un’economia circolare: la vendita dei pc rigenerati copre i costi di recupero e dei dipendenti, riduce gli scarti e tutela l’ambiente. Sarebbe ancora più efficace se già in fase di concepimento si pensasse al riutilizzo del pc.
Il ciclo di vita di ogni sistema tecnologico infatti è uno dei requisiti base della progettazione ed ha una grande variabilità. Tant’è che nell’arco di un secolo si è passati dalla consuetudine degli inizi del ‘900 di riparare gli oggetti a quella contemporanea di sostituire l’intero apparato ai primi segni di cedimento. In questo lasso di tempo le aziende hanno introdotto l’obsolescenza programmata così da governarne la rapida sostituzione dei prodotti, anche puntando sui consumatori, instillando loro il desiderio di possedere qualcosa di più aggiornato prima del necessario.
Un’economia circolare che prevede invece la progettazione del riutilizzo di un computer, non solo protegge il tessuto industriale e il pil, ma riduce anche i costi da destinare alla salute. Si creano nuove figure professionali e il settore avrebbe la possibilità di una crescita più lenta ma continua.
Con questo pensiero nella testa mi sono appassionato al progetto Reware e ho deciso di incontrare i titolari, per porre loro una serie di domande a cui hanno risposto con grande semplicità ed entusiasmo:

In quale occasione è nata Reware? Qual è stata la spinta?

“Reware nasce nel gennaio 2013 dalla nostra esperienza all’interno della Cooperativa Binario Etico, [..]dove facevamo lo stesso lavoro dal 2007.
Praticamente negli anni ci siamo specializzati e, a fine 2012, abbiamo deciso di fare uno “spin off” che si occupasse solo di rigenerazione e che fosse riconosciuto come Impresa Sociale per il suo ruolo nel campo della prevenzione ambientale.”
Quanti PC avete “rigenerato” fino ad oggi?
“Sfortunatamente non abbiamo una contabilità puntuale dei singoli pc rigenerati perché ci sono diverse attività che la rendono difficile da quantificare.[..]Per esempio come distinguere le operazioni che facciamo sui pc che possono definirsi “rigenerative” e quali no? Reinstallare il sistema operativo? Aggiungere Ram o mettere un disco SSD? Far girare un antivirus?
Nonostante queste difficoltà, un po’ di dati numerici li puoi trovare nel bilancio sociale 2016 presente sul sito.”( Nel 2016 sono state rigenerate 8,7 tonnellate di apparecchiature elettroniche, circa il 60% in più rispetto al 2015)

Il progetto richiede nuove figure professionali?

“Il progetto richiede un ibrido di competenze non comune, spesso estrapolate da figure professionali già esistenti. Lo scorso anno abbiamo partecipato proprio alla definizione del profilo formativo-professionale della nostra attività e al suo riconoscimento istituzionale.”

Nel vostro sito si cita l’attività di consulenza che fate nelle aziende, in cosa consiste nello specifico? A tenere più a lungo i pc?

“Anche, ma non solo. La consulenza serve anche ad aiutare le aziende a costruire progetti di dismissione volti al riutilizzo delle macchine, e non allo smaltimento, e copre diversi ambiti: dalla normativa ambientale sui R.A.E.E. (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) alla consulenza in materia di cancellazione sicura dei dati, dal supporto alla componente amministrativa di questo tipo di progetti, alla migliore individuazione di destinatari bisognosi.”

Dei pc aziendali cosa si salva e cosa invece va smaltito?

“Solitamente qualunque computer che abbia otto anni o meno viene rigenerato facilmente. Si scartano e vanno smaltiti componenti non funzionanti e, ovviamente, tutte le macchine più vecchie (dalle quali tuttavia si possono estrarre alcuni componenti utili, quali ram, dischi e schede).”

Se doveste suggerire ai produttori come progettare i PC per facilitarne il riutilizzo, cosa gli consigliereste?

“Mmm, questa cosa meriterebbe uno studio approfondito. Elenco comunque alcune caratteristiche che rendono un PC difficilmente rigenerabile:  componenti (ram e dischi) saldati sulla scheda madre di alcuni portatili che impediscono la riparazione in caso di rottura o il potenziamento. Scocche di portatili di plastica fragile, la cui sostituzione è antieconomica. Utilizzo di processori dalle scarse prestazioni che fanno del pc un oggetto che diventa velocemente obsoleto.”
Al termine della piacevole chiacchierata, Nicolas mi fa notare che esiste un altro Reware nel mondo: è una piccola società sudafricana e non ha nulla a che fare con loro, ma ne condivide lo stesso nome e gli stessi obiettivi, cioè ricollocare uno strumento tecnologico e ridurre gli sprechi. Nel caso sudafricano si parla di cellulari che vengono rimessi in circolo “connettendo” persone che altrimenti rimarrebbero confinate nella periferia del mondo.
A questo punto, quel pensiero iniziale che mi aveva fatto avvicinare a questo progetto ha preso incredibilmente un respiro più ampio e si è trasformato nel desiderio che, da qui a qualche anno, ci possano essere tante Reware sparse nel pianeta, così forti da educare tutti i cittadini a scelte più sostenibili. Il mio augurio è che benessere e spreco non siano più le facce della stessa medaglia e che il futuro delle nuove generazioni sia ad impatto zero.

fonte: http://www.economiacircolare.com/