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Cortocircuito: l’elettronica solidale e circolare di Roma

Da Reware ad Aggiustotutto Repair Café: cooperative e associazioni della capitale recuperano e riparano dispositivi elettronici per rimetterli sul mercato. Riducono la produzione di rifiuti e l’impatto sull’ambiente e avviano progetti di solidarietà sociale. Le loro storie

L’officina-laboratorio Reware © Michela Giarrusso

A Roma, fra i palazzi del quartiere residenziale Collatino, si trova una piccola officina informatica. Una grande immagine raffigurante due alberi stilizzati copre la vetrina: sui rami si alternano foglie dai circuiti elettrici come nervature e apparecchiature elettroniche. Una scritta verde recita “Reware: l’informatica sostenibile”. L’ingresso dell’officina è un piccolo spazio adibito a negozio. Ai lati vengono esposti i computer in vendita; di fronte si trova un bancone con veri e propri cimeli della storia dell’informatica, come il Commodore 64, il personal computer più venduto nella storia. Alle spalle della teca delle antichità informatiche, scaffali pieni di computer portatili, fissi e pezzi di ricambio coprono ogni centimetro di muro. La parte più ampia dell’officina è dedicata al laboratorio: due ragazzi stanno assemblando dei portatili, lasciando intravedere gli ingranaggi interni della macchina.

Reware è una cooperativa e un’impresa sociale in cui sette artigiani dalle competenze hi-tech rigenerano computer dismessi per rivenderli come ricondizionati: usati ma come nuovi. “Raddoppiamo la vita utile dei computer; se il computer vive il doppio degli anni, sostituendo uno equivalente, permette di consumare la metà delle risorse e di dimezzare il rifiuto elettronico”, racconta Nicolas Denis, uno dei soci fondatori. Il beneficio ambientale è chiaro: un computer costa alla natura fra i 1.500 e i 1.800 chilogrammi di risorse, a cui si aggiunge il danno ambientale dei componenti tossici non correttamente smaltiti.

Nel primo anno di attività i computer riqualificati da Reware sono stati 500, mentre oggi sono circa 4.000 all’anno. “Il nostro è un lavoro artigianale”, spiega Denis mostrando uno dei “giocattoli” costruiti dagli stessi soci, un intreccio di cavi, usato per cancellare in maniera definitiva i dati dai computer. Le macchine riqualificate da Reware vengono da aziende o grossisti. Sono tutti prodotti di fascia alta perché “hanno ancora molti anni di vita davanti a loro”. Si tratta quindi di macchine potenti vendute a un prezzo molto vantaggioso per l’acquirente. Il mercato dell’usato rigenerato è in forte crescita: l’aumento della domanda si traduce anche in più lavoro per le imprese del settore, come sottolinea anche Denis parlando del nuovo collaboratore assunto. Reware è riconosciuta come un’attività di utilità sociale: è stata la “prima cosa su cui abbiamo lavorato. L’aspetto ambientalista del nostro lavoro ha un’origine etica che si incontra chiaramente con altre tematiche”.




Oltre ai progetti di alfabetizzazione e formazione informatica, tra i programmi di solidarietà sociale promossi da Reware c’è Elettronica Solidale, al quale collabora una fitta rete di associazioni. A Centocelle, all’interno di un grande deposito di aiuti umanitari, tre volontari di Informatici senza frontiere (Isf) sono al lavoro. “Abbiamo tutti un passato nel settore informatico, ora mettiamo a disposizione le nostre competenze per il volontariato”, racconta Maurizio Sapienza, il coordinatore di Isf Lazio. I volontari stanno riparando computer, forniti da Reware e da altre aziende, per donarli a persone in difficoltà economica.

Device4all è il nome con cui l’associazione Nonna Roma, che ospita Informatici senza frontiere, pubblicizza l’iniziativa. Come spiega Sapienza “i nomi sono tanti, ma la finalità è sempre la stessa: combattere il divario digitale” fra chi ha accesso alla tecnologia e chi no. Al momento sono circa una trentina i computer donati. Eloa Montesel, volontaria di Nonna Roma, ci spiega che l’associazione raccoglie le richieste fra le persone e le famiglie cui distribuisce i pacchi alimentari. “Siamo attivi contro la povertà educativa e la dispersione scolastica. L’associazione Rimuovendo Gli Ostacoli ci ha proposto di partecipare al progetto e noi abbiamo accettato subito perché in linea con quello che stavamo già facendo. Moltissimi ragazzi facevano lezione a distanza dallo smartphone dei genitori”. Anche così si fa economia circolare, sottolinea Sapienza, perché vengono ridotti “gli scarti e il materiale che va in discarica”.



L’economia circolare è un modello che prevede il riutilizzo, la riparazione e il riciclo dei materiali e dei prodotti. Prolungandone il ciclo di vita, l’estrazione di nuove risorse naturali e i rifiuti sono ridotti al minimo. Inoltre, reintroducendo il prodotto riparato nel ciclo economico, come avviene nel caso di Reware, si genera ulteriore valore senza il bisogno di consumare risorse naturali. Come spiega Denis, attraverso investimenti mirati “è possibile industrializzare questa attività artigianale”, costruendo impianti capaci di rigenerare milioni di computer: un’economia circolare su larga scala. Nel settore dell’elettronica, l’applicazione in scala industriale di questo modello permetterebbe sia di diminuire significativamente l’estrazione di metalli rari sia di ridurre la produzione di rifiuti elettronici. Il rifiuto domestico che cresce più rapidamente a livello mondiale è proprio quello derivante da apparecchiature elettroniche dismesse: nel 2019, secondo il rapporto “Global e-waste monitor” dell’Università delle Nazioni Unite, è stato prodotto l’equivalente di sette chilogrammi di rifiuti elettronici per ogni persona sul Pianeta, neonati inclusi.

Sostengono la riparazione le imprese che applicano i principi dell’economia circolare, ma anche gruppi di riparazione comunitaria e privati cittadini stanchi dell’obsolescenza programmata, l’insieme di pratiche con cui le aziende limitano la durata dei dispositivi per aumentare le vendite. Francesco Pelaia, vice presidente dell’associazione Aggiustotutto Repair Café, nel quartiere Monte Sacro di Roma, spiega che cosa siano questi gruppi di riparazione comunitaria: “I Repair Café sono luoghi dove si socializzano esperienze inerenti al riuso e alla riparazione”. Il termine nasce nel Nord Europa e richiama i caffè come luogo di ritrovo, più che di consumo. Volontari e utenti si ritrovano per dare nuova vita a vecchi oggetti e per scambiare esperienze su come si aggiusta, attraverso uno “scambio orizzontale di conoscenze”. Nei Repair Café si aggiusta qualsiasi cosa e si tengono corsi di formazione per diffondere le conoscenze tecniche. Anche i riparatori del gruppo Aggiustotutto partecipano a progetti di solidarietà sociale, collaborando con Informatici senza frontiere al progetto Device4all. Insieme a Officine Digitali, un’associazione dello stesso quartiere, Aggiustotutto è ospitato nel LabPuzzle, un centro sociale che promuove “vertenze per una vita più sana ed equa”. Lo rimarca Pelaia: “Abbiamo deciso di condividere spazi ed esperienze con l’idea di aprirci al quartiere”.



Il caso di Aggiustotutto è tutt’altro che isolato. Contro il consumismo si schierano i membri di un altro Repair Café romano che si riunisce all’interno del vecchio Casale Garibaldi di San Paolo, l’edificio che ospita il progetto Città dell’Utopia del Servizio civile internazionale. Qui i riparatori, tutti volontari, incontrano una volta al mese gli utenti con i loro oggetti rotti o malfunzionanti. Durante questi incontri avvengono le riparazioni e si spiegano i problemi e le soluzioni ai proprietari degli oggetti. Coinvolgere l’utente è importante: potrà poi riparare lui stesso l’oggetto, o essere più consapevole al momento di un futuro acquisto, perché “a volte è meglio spendere qualcosa in più per avere un prodotto che possa essere riparato”, dice Michele D’Onofrio, l’esperto di elettronica del Repair Café San Paolo.

“Oggi la tendenza è consumare e buttare. È questa cultura del ‘prendo e lascio’ la cosa più difficile da contrastare, non basta l’intervento normativo, solo con coscienza e consapevolezza si può cambiare questo sistema”. Ma i consumatori, da soli, forse non bastano. È necessaria anche la collaborazione delle aziende produttrici “sia nel disegnare prodotti più duraturi, sia nel pubblicare manuali di riparazione e schemi elettrici” sottolinea un altro socio del caffè, l’ingegnere Luciano Trulli. Oggi, inoltre, con l’evoluzione tecnologica e l’introduzione di microprocessori programmati anche in oggetti semplici come una radio, sono necessari strumenti e conoscenze adeguate.





Sulla piattaforma iFixit, vengono venduti a un prezzo molto contenuto kit di riparazione. Inoltre è possibile trovare guide di riparazione (gratuite) scritte dagli utenti. Dorothea Kessler, responsabile della comunicazione di iFixit Europa, spiega che la piattaforma “è stata fondata per facilitare l’accesso alla riparazione e per rafforzare il potere delle persone”. La comunità di iFixit crede che “con adeguati strumenti e guide tutti possano riparare cose. Ma per fare ciò, è necessario che i dispositivi elettronici siano riparabili”. Spesso, invece, le aziende utilizzano piccoli escamotage per far sì che i prodotti non siano riparabili: batterie incollate, pezzi di ricambio introvabili, manuali segreti e costi esorbitanti delle assistenze autorizzate dal marchio.

Come racconta Pelaia, i gruppi di riparazione italiani hanno diversi obiettivi e si rivolgono sia ai consumatori sia a produttori e legislatori. Nel maggio 2019 il movimento per la riparazione comunitaria in Italia si è riunito a Torino, pubblicando un manifesto, condiviso da molte associazioni di riparatori, che ne sintetizza la visione. Fra i firmatari anche Aggiustotutto: “Il manifesto di Torino è una dichiarazione di intenti”, dice Pelaia. Nel documento, consultabile sul sito restarters.it, si legge: “Mettendo al centro le persone e le esigenze del Pianeta, indichiamo un futuro in cui la riparazione sia un settore fiorente della nostra economia; i prodotti siano facili da riparare e i produttori forniscano a tutti ricambi, aggiornamenti software e documentazione il più a lungo possibile”.

I firmatari del documento aderiscono alla campagna europea per il diritto alla riparazione che mette insieme attori delle economie circolari, associazioni di riparatori e privati cittadini, mantenendo i contatti con simili iniziative negli Stati Uniti. Le idee alla base della campagna, diffuse ormai in tutto il mondo, sono le stesse che muovono il lavoro di Reware, l’officina-laboratorio del Collatino, a Roma. Simili le convinzioni: la riparazione, da sola, non salverà il Pianeta, ma è un’alternativa alle montagne di rifiuti.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito delle attività della Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio e Lisli Basso.

fonte: altreconomia.it



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DonnaModerna: Ci si vede al Repair Cafè

 

fonte: donnamoderna.it

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Indice di riparabilità: ecco a cosa serve

 


La battaglia condotta a favore del diritto alla riparazione ha portato la Francia a prendere posizione e dettare legge: un esempio virtuoso da imitare Dal primo gennaio i cittadini francesi hanno a disposizione un elemento di informazione in più per aiutarli a scegliere un nuovo dispositivo elettrico e elettronico: l’indice di riparabilità. 

Un indice 0 di colore rosso segnala un prodotto che, una volta guasto, non sarà possibile riparare. 

Un indice 10 di colore verde indica invece un prodotto facilmente riparabile, a basso costo. 

E tra lo 0 e il 10, valori che riflettono la facilità, o meno, di smontaggio, come per esempio l’uso di colla, viti standard o viti particolari che richiedono utensili specializzati per tenere insieme l’apparecchio; la disponibilità, o meno, di pezzi di ricambio e il loro costo in relazione al prezzo d’acquisto del prodotto; la disponibilità, o meno, di istruzioni per la riparazione dei guasti più comuni; la tipologia e la durata degli aggiornamenti software forniti dal fabbricante. 

Inizialmente l’indice di riparabilità sarà disponibile per smartphone, computer, televisori, macchine da lavare e tagliaerba venduti online e in negozio. L’indice di riparabilità verrà poi progressivamente generalizzato ad altre categorie di prodotti fino a diventare, a partire dal 1 gennaio 2024, un indice più ampio di sostenibilità che, oltre alla riparabilità, includerà altri criteri come affidabilità, solidità, longevità. Oltre a fornire informazioni utili ai cittadini che dimostrano un’attenzione sempre maggiore per i prodotti sostenibili, longevi e riparabili, l’indice di riparabilità permette di premiare i fabbricanti che progettano e immettono sul mercato apparecchi più facilmente riparabili, così da prolungarne la vita, riducendo il loro impatto sull’ambiente e sul portafoglio. L’obiettivo è quello di arrivare, in Francia, a un tasso di riparazione dei dispositivi elettrici ed elettronici del 60% entro cinque anni. La creazione dell’indice di riparabilità è solo una delle misure previste dalla legge anti-spreco per un’economia circolare (Agec) promulgata nel febbraio dell’anno scorso dal parlamento francese. La legge, attualmente una delle più avanzate e comprensive al mondo, prevede tra l’altro l’eliminazione della plastica monouso entro il 2040, l’aggiunta di un filtro per la cattura delle microfibre nelle lavatrici nuove, il divieto della distruzione dei prodotti invenduti, la vendita dei medicinali all’unità, l’inasprimento delle misure contro lo spreco alimentare nella distribuzione e nella ristorazione collettiva, l’indicazione delle emissioni di gas serra prodotte nell’uso dei servizi digitali. L’entrata in vigore dell’indice di riparabilità in Francia porta a compimento un anno estremamente positivo per la campagna europea per il diritto alla riparazione. In novembre, infatti, il Parlamento Europeo ha dato il suo pieno sostegno alle proposte della Commissione Europea per eliminare l’obsolescenza programmata ed estendere la vita dei prodotti elettrici ed elettronici con la riparazione.

fonte: www.greenplanner.it


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Il Manifesto della Riparazione e il Manifesto di Torino





















Il Manifesto di Torino


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La pagella della riparabilità, dalla Francia il contributo per ridurre i RAEE

A partire dall'1 gennaio entra in scena "l’indice de réparabilité": ad ogni nuovo prodotto elettrico ed elettronico sarà assegnato un punteggio su una scala da 0 a 10, e dovrà essere ben visibile al consumatore. Non tutti però sono favorevoli: l'associazione DigitalEurope ha inoltrato una nota alle istituzioni comunitarie











Il mondo come sempre si divide in due: c’è chi rabbrividisce al solo pensiero di avere tra le mani le istruzioni di un mobile IKEA, quei fogli inconfondibili in bianco e nero che sembrano sempre troppo pochi per spiegare come i circa 200 pezzi, delle più disparate forme e dimensioni, sparsi sul pavimento possano trasformarsi in un oggetto dalle sembianze note; e c’è chi già in tenera età smontava e rimontava qualsiasi cosa gli passasse tra le mani. C’è insomma chi non capisce cos’abbia da sorridere quell’omino stilizzato che si, forse vorrebbe accompagnare amichevolmente, passo passo, l’avvitamento di ogni bullone e l’incastro di ogni tavola, ma che spesso dopo pochi minuti genera profonda sfiducia nel successo dell’operazione fai-da-te; e chi invece si è entusiasmato leggendo il racconto che vi abbiamo fatto sul mondo dei riparatori, dei Repair Cafè e dei Restart Party, una comunità di consumatori, esperti e volontari che lottano per allungare la vita dei prodotti e organizzano delle vere e proprie feste dedicate alla riparazione. A questi riparatori incalliti, ma anche ai meno smattoni che sarebbero però felici di trovare sul mercato prodotti più longevi e di avere a disposizione uno strumento in più da utilizzare come guida nelle proprie scelte di consumo, viene in soccorso una idea tutta francese: quello dell’indice di riparabilità.

Liberté, Égalité…Réparabilité

Più che solo di una idea, si tratta di un vero e proprio provvedimento legislativo votato dal governo francese il 30 gennaio di quest’anno e che, sotto il cappello delle azioni mirate alla prevenzione e alla corretta gestione dei rifiuti, aggiunge un nuovo articolo alla legge nazionale sull’economia circolare. Quali gli effetti? Dal 1° gennaio 2021 entra in scena l’indice de réparabilité: a partire da questa data cioè i produttori, gli importatori, i distributori e qualunque altro soggetto, anche operante online, che immetta sul mercato francese un nuovo prodotto elettrico ed elettronico sarà obbligato a rendere noto gratuitamente se questo è riparabile, difficile da riparare o non riparabile.

Ad ogni prodotto sarà assegnato un punteggio su una scala da 0 (prodotto non riparabile) a 10 (prodotto riparabile) che attraverso un sistema di marcatura o etichettatura dovrà essere ben visibile al consumatore al momento dell’acquisto di una nuova apparecchiatura. Per comunicare la riparabilità dei prodotti con immediatezza ancora maggiore è previsto in aggiunta l’utilizzo di un codice di colori, dal rosso al verde scuro a seconda del punteggio ottenuto. L’attuazione del provvedimento sarà graduale però: i primi prodotti ad essere coinvolti nella fase di test iniziale saranno smartphone, computer portatili, televisori, lavatrici e tosaerba elettrici.

Questo indice sembra essere insomma un aiuto significativo per tutti quelli che si affidano ciecamente alle classifiche per le loro scelte quotidiane (quanti riporrebbero grandi aspettative in un film con un punteggio minore di 3 su MYmovies.it o in un ristorante con meno di 4 pallini su TripAdvisor?). Ma è anche, sicuramente, uno strumento che va incontro alle esigenze di chi preferisce riparare i propri dispositivi piuttosto che sostituirli: secondo i dati dell’Eurobarometro si tratta del 77% dei cittadini dell’Unione Europea; il 79% pensa invece che i produttori dovrebbero essere tenuti a semplificare la riparazione dei dispositivi digitali o la sostituzione delle loro singole parti.

L’indice di riparabilità ambisce a fare anche questo: vuole essere cioè una misura che spinga, anche puntando su dinamiche di competitività, il mondo dell’industria a fare scelte più sostenibili a partire dalle fasi di eco-progettazione. Obiettivo finale: raggiungere entro 5 anni un tasso di riparazione del 60% per i prodotti elettrici ed elettronici presenti sul mercato francese, tasso che oggi è al 40% e il cui incremento è legato a sensibili benefici in termini di riduzione di uso delle risorse ed emissioni inquinanti.

I criteri (sono solo 5, niente paura)

I criteri che contribuiscono a definire il valore finale dell’indice sono 5, per ognuno dei quali sarà possibile acquisire da 0 a 20 punti (il punteggio finale andrà poi diviso per 10):

durata della disponibilità della documentazione tecnica e relativa ai consigli per l’uso e la manutenzione da rendere nota a produttori, riparatori e consumatori;

smontabilità dell’apparecchiatura: numero di passaggi di smontaggio necessari per avere accesso ai pezzi di ricambio, caratteristiche degli utensili da utilizzare e degli elementi di fissaggio tra i pezzi stessi;

tempi di disponibilità sul mercato dei pezzi di ricambio e loro tempi di consegna presso produttori, distributori di pezzi di ricambio, riparatori e consumatori;

rapporto tra il prezzo di vendita delle parti a opera del produttore o dell’importatore e il prezzo di vendita delle apparecchiature;

criteri specifici per ogni categoria di prodotto soggetto all’introduzione dell’indice di riparabilità.

Anche se quantitativamente lontani dagli altri ben più noti 21 criteri,quelli cioè relativi al Covid e che servono al governo per individuare zone gialle, arancioni e rosse, anche questi hanno iniziato a suscitare le prime polemiche. Ad esempio: come verrà effettuato il bilanciamento tra la necessità di avere a disposizione strumenti specifici per le operazioni di riparazione da effettuare su determinati prodotti e la facilità di smontaggio? Perché valorizzare anche la messa a disposizione delle parti di ricambio quando questo è già un requisito obbligatorio inserito nelle prescrizioni della normativa sull’ecodesign? C’è poi ancora il tema del rapporto tra prezzo delle parti di ricambio e quello della nuova apparecchiatura: quale prezzo viene considerato se la sostituzione di una parte di ricambio comporta la sostituzione di un componente più articolato, fatto di tanti pezzi tra loro inscindibili? Che peso ha il costo della manodopera su queste considerazioni? E in quale momento viene valuto questo rapporto, considerando quanto velocemente il costo di un elettrodomestico, come ad esempio quello di una lavatrice, diminuisca nel tempo.

Gli esperti di Right to Repair sono invece preoccupati sulla scelta di alcuni criteri specifici, per esempio quello relativo a smartphone e laptop, che prevede l’indicazione sulla natura del software utilizzato dal dispositivo, se questo ad esempio sia aggiornabile o meno, senza dare però maggiori rassicurazioni in tema di obsolescenza programmata.

A far discutere è anche il fatto che sia il produttore ad autodichiarare il valore finale dell’indice, che risulta essere poco verificabile e che poco dice al consumatore sulle performance del prodotto in merito al singolo criterio.

La versione finale del decreto francese deve essere ancora pubblicata, e una volta letta questa sarà possibile conoscere maggiori dettagli e avere indicazioni sui sottocriteri che verranno adottati.

Cosa ne pensa l’industria

La Francia vuole fare da volano alle scelte del Vecchio Continente e il suo approccio, nell’ambito della procedura di notifica, è passato al vaglio della Commissione Europea (siamo in attesa della pubblicazione dei risultati di questa revisione). Proprio durante il periodo di valutazione, è arrivata la fumata grigia di DigitalEurope, l’associazione che rappresenta l’industria della tecnologia digitale europea.

In una nota indirizzata alla Commissione, DigitalEurope da una parte si dice favorevole a condividere informazioni in maniera trasparente sulle credenziali di sostenibilità dei prodotti e servizi forniti dai suoi membri e a facilitare l’accesso alla riparazione da parte dei consumatori; dall’altra esprime non poche preoccupazioni relativamente alle tempistiche e alle modalità legate all’introduzione dell’indice di riparabilità in Francia.

I dubbi principali dell’associazione riguardano le fattibilità e l’efficacia dell’indice. Sotto la lente di ingrandimento la paura di una eccessiva frammentazione del mercato europeo, che, se non si adotta un approccio coordinato ed armonico, con il passare del tempo rischia di popolarsi di tanti indici e modalità di calcolo della riparabilità differenti. I produttori di smartphone e laptop si chiedono se non sia il caso di aspettare l’introduzione di un indice di riparabilità europeo, e quindi uguale per tutti. Con una prospettiva a più breve termine, DigitalEurope esprime perplessità anche su come i produttori possano adattarsi e familiarizzare entro fine anno con i nuovi requisiti. Questi sembrano piuttosto costituire una barriera significativa (sia a livello tecnico che burocratico) di ingresso al mercato francese. In ultimo, la nota lamenta il fatto che il disegno di legge francese non considera l’implementazione di una rete di riparatori autorizzati da parte dei produttori nei parametri di calcolo dell’indice. DigitalEurope richiede che il lavoro di questo tipo specifico di riparatori, diversi da quelli indipendenti, venga valorizzato in modo appropriato, perché portato avanti da esperti qualificati che operano in modo protetto e sicuro; oltre a fornire un servizio a chi suda freddo tenendo in mano un libretto di istruzioni e allo stesso tempo non vuole rinunciare ad allungare la vita al proprio elettrodomestico senza partecipare direttamente al successo dell’impresa.

Questo approccio sembra essere coerente con quanto indicato dalla direttiva sull’ecodesign (Direttiva 2009/125/CE): il principio della salvaguardia della sicurezza è quello che sottende la scelta di fare una distinzione tra quali sono le attività di riparazione che possono essere svolte in autonomia dai consumatori e quali sono invece le riparazioni che richiedono competenze particolari. Ad esempio, nel caso di una lavatrice, il regolamento specifica che le parti di ricambio che devono essere messe a disposizione anche degli utilizzatori finali sono maniglie, cerniere delle porte, vassoi, cesti e guarnizioni; mentre termostati, sensori di temperatura, schede a circuiti stampati e sorgenti luminose sono componenti che il produttore è obbligato a fornire solo a riparatori professionisti.

Il futuro degli elettrodomestici è già scritto

Sebbene l’indice di riparabilità sarà visibile in Francia tra poco meno di un mese e mezzo, le sanzioni rivolte a chi non si adeguerà ai nuovi requisiti saranno introdotte solo a partire dal 2022 (si prevedono multe di 15.000 euro a prodotto in caso di violazioni). E mentre l’industria europea frena, i francesi guardano ancora più avanti: per il 2024 annunciano l’adozione di un altro indice, quello della durabilità che darà indicazioni sull’affidabilità e sulla robustezza dei prodotti.

L’etichetta energetica, le certificazioni e i marchi ecologici a garanzia della sostenibilità dei prodotti, l’indice di riparabilità: la cassetta degli attrezzi dei consumatori si riempie di strumenti nuovi e che consentono di fare scelte consapevoli e sempre più informate.

Vale però la pena iniziare a valutare i costi associati a tutti questi nuovi oneri (sia tecnici che legislativi) a cui dovranno fare fronte i produttori, e monitorare che questi non ricadano proprio sui consumatori, con un aumento dei prezzi dei prodotti presenti sul mercato; e ai consumatori va dato il supporto adeguato per imparare a leggere, decodificare e capire l’importanza di tutte queste informazioni.

fonte: economiacircolare.com


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Riparare per non consumare più con eccesso, il boom dei Repair Cafés

















Riparare in oggetto rotto, aiutato da un volontario: è il principio di un Repair Café (Ripara Caffè). Sempre più persone frequentano questi luoghi, per ragioni ecologiche o perché sono precari. La legge “sull’economia circolare”, attualmente in discussione in Parlamento, accompagnerà questa attrazione per l’auto-riparazione?

. Parigi (servizio)

Come ogni sabato mattina, la sala del ricordo del municipio del 5° arrondissement di Parigi prende un aspetto da laboratorio fai-da-te. Dei cacciavite di ogni misura sono disposti su un grande tavolo, insieme a chiavi inglesi e forbici. Tutti questi attrezzi sono messi a disposizione dei partecipanti del “Repair Café”.



Il concetto, originario dei Paesi Bassi, fiorisce un po’ ovunque in Francia da diversi anni. L’idea è semplice: dei volontari aiutano altre persone a riparare i loro oggetti, discutendo e condividendo un pasto o una bevanda. Nel 5° arrondissement, questa antenna dell’associazione Repair Café Paris è nata due anni fa, animata da Cyprien e Caroline. “Ne avevamo a basta dei rifiuti, spiega di colpo la giovane donna. Abbiamo creato dei laboratori con l’idea di fermare di sprecare e di acquistare, sempre acquistare.”

“Andiamo a vedere nelle viscere dell’apparecchio”

E la formula seduce. Ogni settimana i cinque volontari regolari aiutano almeno una decina di persone. Sabato 30 novembre, Beatrice, 50 anni, varca la porta del municipio, il suo aspirapolvere rotto sotto il braccio. E’ accolta da Brigitte. “Andremo a vedere nelle viscere dell’apparecchio!” ridacchia questa assidua volontaria. Le due donne prendono diversi attrezzi e si apprestano a smontare insieme l’aspirapolvere, “Non l’ho mai fatto, lo scopro, dice sorridendo Beatrice, seguendo metodicamente i consigli di Brigitte. E’ bello comprendere e riparare da soli.”

“Non sono sicura che qualche anno fa avrei fatto la stessa cosa, ammette Beatrice. Ma si arriva a un momento in cui il mondo cambia e bisogna che anche il nostro comportamento debba cambiare.” Il Repair Café rappresenta per la maggior parte dei partecipanti un’alternativa al consumo eccessivo, un modo per ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra evitando l’inutile produzione di nuovi apparecchi. “I partecipanti sono per lo più delle persone ecologicamente responsabili, indica Caroline, l’animatrice. Altrimenti, perchè passare quattro ore a riparare un tostapane mentre si può acquistarne uno nuovo a 19 euro? Sono forzatamente i rifiuti a motivarli.



Un tavolo più distante, Mohammed prova a sbloccare l’obiettivo della sua macchina fotografica. “Sono già venuto la settimana scorsa, dice ridendo. Abbiamo messo tre ore a smontarla e continuiamo oggi. Non sono sicuro di riuscirci, ma sto provando.” Questo sessantenne spiega che ripara lui stesso regolarmente i suoi oggetti, grazie ai tutoriali trovati soprattutto su YouTube. Ma il Repair Café porta anche un elemento che Mohammed non può trovare su una piattaforma di video: il legame sociale. “Lavoriamo, discutiamo, si mangia insieme, è un grande arricchimento”, si rallegra.



Il Repair Café del 5° arrondissement dipende dall’associazione Repair Café Paris (che gestisce una quarantina di sedi nell’Ile-de-France), e appartiene alla rete internazionale Repair Café, creata nel 2009 da Martine Postma, un’attivista ecologista olandese. Quasi 2.000 caffè di questa rete esistono attualmente nel mondo intero, di cui circa 200 nell’Esagono (in Francia).

A Nizza, per esempio, dei laboratori hanno luogo almeno una volta al mese dal 2013. L’anno scorso, l’associazione ha organizzato 19 sessioni. Bilancio: la dozzina di volontari attivi ha potuto aiutare 384 persone, ed ha evitato la spazzatura a 430 chili di oggetti. Oltre all’aspetto ecologico e alla volontà di ridare senso agli oggetti, Frédérique, volontario al Repair Café di Nizza, osserva due motivi di partecipazione ai laboratori: “La mancanza di denaro per far riparare gli oggetti e l’impossibilità di ripararli per mancanza di riparatori professionisti.”



“La domanda aumenta”, sottolinea Marion, capo del progetto eco-culturale della Recyclerie, luogo associativo ed ecologico parigino. Da quasi quattro anni, la Recyclerie dispone di un laboratorio di riparazioni. Quest’ultimo è a pagamento e contrariamente ai Repair Café, è un professionista in pensione che prende in carico solo gli oggetti rotti dei visitatori. Il laboratorio non si iscrive quindi nel fenomeno di auto-riparazione ma Marion constata che ha molto successo, a causa della mancanza di piccoli riparatori a Parigi, che chiudono uno dopo l’altro dopo diversi anni. In effetti, il numero di riparatori indipendenti diminuisce ogni anno. Secondo l’ONG Les Amis de la Terre, 6.000 di loro sono spariti fra il 2010 e il 2016.

“Saper riparare la propria bicicletta, è rafforzare di emancipazione questo mezzo ”

Oltre ai Repair Cafés, esiste in Francia un settore ben particolare dei laboratori di auto-riparazione: quello delle biciclette. A Parigi, nell’11° arrondissement, La Cyclette incontra, per esempio, un grande successo. L’associazione propone in un locale una quindicina di posti dove riparare la propria bicicletta, diverse volte la settimana, con l’aiuto dei volontari. Gli attrezzi sono a self service, i pezzi di ricambio a prezzo libero, e le motivazioni dei visitatori simili a quelle dei caffè di riparazione. Hugo, membro da due anni, rimette a posto una bicicletta d’occasione che conta offrire ad un’amica per Natale. “Ho due o tre cose da sistemare per rendere carina la bicicletta, spiega. Scoprirò questa ruota, pulirò i raggi e la strofinerò per farla un po’ brillare. E’ rapido e mi avrà evitato un consumo stupido a Natale.”



In Francia, la rete di laboratori partecipativi e solidali di riparazione di bici Heureux Cyclage conta attualmente 125 associazioni che animano dei laboratori senza scopo di lucro. “Si considera la bici come un attrezzo di emancipazione in termini di mezzo per spostarsi, aggiunge Pierre, stipendiato dalla Cycklette. Sapersi prendere cura della propria bici, ripararla, è rafforzare questo attrezzo di emancipazione.”

Questo “boom” dell’auto-riparazione in Francia potrebbe aumentare ancora se fosse incoraggiato dal governo, soprattutto tramite la legge “relativa alla lotta contro lo spreco e all’economia circolare”. Ma il testo è attualmente in esame all’Assemblea nazionale, e le ONG ecologiste non ne sono soddisfatte. “Fra quello che era stato votato dal Senato e quello che rischia di essere votato dall’Assemblea, esistono ugualmente dei regressi per quanto riguarda le riparazioni e il reimpiego”. Deplora Laura Chatel, responsabile delle difese a Zéro Waste France.

L’obbligo per le imprese di fornire degli aggiornamenti di software gratuiti per dieci anni sui loro prodotti elettronici è stato accantonato. Un altro punto, adottato durante la lettura al Senato, è stato poi modificato: la creazione di fondi per la riparazione e il reimpiego, destinati a finanziare per un consumatore una parte del prezzo di riparazione del suo oggetto, e a pagare gli attori del reimpiego. Le ONG speravano di raccogliere una parte dell’eco-contributo sui piccoli prodotti (smartphone, cuffie audio, ecc.), in cui l’eco-contributo è oggi molto debole. “Si è detto che se si aumentava l’eco-contributo di 50 centesimi sui piccoli prodotti, si potrebbe ricuperare molto denaro, precisa Alma Dufour, incaricata della campagna Extraction e surconsommation per Les Amis de la Terre France. Questo sarebbe indolore per i consumatori e permetterebbe loro di avere un abbattimento dal 30 al 50% del prezzo della riparazione.”

Il meccanismo sarebbe virtuoso poiché i fabbricanti pagherebbero un eco-contributo più o meno elevato in funzione della loro nota sull’indice di riparabilità. Questo aspetto del testo è stato svuotato della sua sostanza. L’inserimento dell’indice di riparabilità resta, ma “i fondi per la riparazione e il reimpiego sono stati ridotti a obiettivi cifrati che saranno definiti più tardi, rimpiange Alma Dufour. Non si ha nessuna idea dello scopo finale. Saranno definiti dal governo entro un anno, lontano dalla pressione del dibattito pubblico, del parlamento e dei media.”

“Il Repair Café fa parte di quei luoghi emblematici di un inizio di transizione ecologica presso certe persone”

Tuttavia le ONG ammettono degli avanzamenti e sperano che resteranno nel testo. Per esempio, la relatrice Véronique Riotton ha presentato un emendamento che reclama un obbligo di disponibilità di pezzi di ricambio dei prodotti elettrici e elettronici di una durata di cinque anni minimo. “Su alcuni prodotti è molto interessante, perché ci sono delle categorie di prodotti come l’hifi o i piccoli elettrodomestici, sui quali non c’è un impegno sulla durata di disponibilità dei ricambi, e spesso possono non essere disponibili per niente”, spiega Alma Defour. Il testo di legge è attualmente in discussione, dei cambiamenti posso ancora essere effettuati.



“Il Repair Café fa parte di quei luoghi emblematici di un inizio di transizione ecologica presso alcune persone, continua Alma Dufour. Ci sono forse sempre più persone a cui dispiace buttare, e penso che il rapporto al consumo di elettronica sta un po’ cambiando. Ma diffido molto dell’effetto lente di questo genere di fenomeno. Malgrado tutto, la produzione di prodotti nuovi continua ad aumentare perché i meccanismi di sovrapproduzione, molto forti, sono all’opera.”

Laura Chatel d, Zéro Waste France, approva: “C’è una presa di coscienza da parte dei consumatori, ma ci vogliono lo stesso dei mezzi di vincolo per le imprese che non sono in quella logica. A che punto la legge risponderà a questo imperativo?”

Fonte e foto : Reporterre / Justine Guitton-Boussion / Dicembre 2019

.chapo: Il volontario e animatore Cyprien aiuta Caroline a riparare il suo tostapane. L’apparecchio sarà come nuovo dopo due ore.

Articolo da me tradotto dalla lingua francese –

.Il mio commento:

Anche in Italia i Repair Café esistono da tempo, come si può vedere dai siti che vi segnalo:

http://www.ilcambiamento.it/articoli/convincono-i-repair-cafe-dove-tutto-si-aggiusta

https://www.nonsprecare.it/repair-cafe?refresh_cens

https://www.restarters.it/mappa-dei-restarters-e-dei-repair-cafe-italiani

tuttavia mi è sembrato utile riportare questo articolo francese che è particolarmente chiaro e dettagliato. Bisogna dire che in Francia, da sempre, il fai- da- te è molto popolare e che fa parte di una normale routine. Qui c’è anche il vantaggio di essere insieme per lavorare e questo non è poco, si creano legami, conoscenze, amicizie ….. è senz’altro meno triste di essere a casa propria, soli, per riparare qualche cosa. In questo caso il tempo della riparazione si trasforma in un bel momento di serenità, di allegria e di complicità. Confesso che personalmente ho poca manualità e mi perdo nei piccoli oggetti da maneggiare in casa se non funzionano come devono o hanno bisogno di una “aggiustatina”. Come si dice “non sono portata” e la buona volontà non è sufficiente. Meno male che c’è l’uomo di casa …. che come da tradizione se ne occupa (quando ci riesce).

In effetti trovare un artigiano che ripari è raro. Ed è pure vero che vista la difficoltà, si fa più in fretta ad acquistare del nuovo (e spesso conviene anche di più). D’altra parte, gli elettrodomestici (piccoli o grandi oggi non sono fatti per durare a lungo, per non parlare poi degli strumenti elettronici che sono già superati dopo pochissimo. La nostra società è ormai organizzata al consumismo, riparare è una eccentricità ….. Mi viene in mente mia suocera, diversi anni fa, per motivi di trasloco ha dovuto cambiare il frigorifero, e non capiva il perché “ha solo trent’anni (!) e funziona benissimo, non ha mai avuto bisogno di nessuna riparazione, perché cambiarlo?” Non aveva il freezer è vero, ma solo lo scomparto ghiaccio, le andava bene così …. E non sapeva niente dell’ecologia …. Altri tempi …

fonte: https://valentinamutti.wordpress.com