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Adottati i criteri ambientali minimi per forniture e noleggio di prodotti tessili



Pubblicato nella G.U. del 30 giugno 2021 il Decreto del Ministero della Transizione ecologica (MiTE) "Adozione dei criteri ambientali minimi per forniture e noleggio di prodotti tessili, ivi inclusi mascherine filtranti, dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale nonché ...

UE: la strategia europea per il tessile sostenibile

La Commissione europea ha avviato l’iter di iniziativa legislativa teso a costruire una strategia europea per il tessile sostenibile entro la fine del 2021



Il tessile è uno dei settori che più di altri, a livello europeo, è in grado di aprire la strada verso un'economia circolare neutra in termini di carbonio; per questo, nei primi giorni di Gennaio 2021 è stata pubblicata la "roadmap" (una sorta di strada da seguire) per il tessile sostenibile, che prenderà forma entro la fine del 2021.

Si tratta di una nuova strategia predisposta dalla Commissione europea che punta a costruire un comparto tessile sostenibile in Unione Europea (di seguito UE), basata sull’economia circolare ed a emissioni zero, dove i capi di abbigliamento sono progettati per durare, essere riparati, riutilizzati, riciclati e prodotti in maniera efficiente.

La pandemia COVID-19 ha avuto un forte impatto sul comparto industriale tessile europeo,
pur essendo un settore competitivo a livello globale, soprattutto per i tessuti tecnici e l'alta moda, il comparto, nel suo complesso, sta soffrendo in modo significativo, sia in termini di interruzione dell'offerta che di calo della domanda dei consumatori. La crisi ha anche colpito il commercio internazionale di prodotti tessili di seconda mano e ha sconvolto i flussi dei rifiuti tessili.

Tutto questo richiede una strategia per un tempestivo recupero che, però, tenga conto delle attuali debolezze del comparto per superarle.

Il tessile e l'abbigliamento costituiscono un ecosistema industriale diversificato che copre diverse catene di valore e diversi tipi di prodotto. Quest'industria impiega 1,5 milioni di persone, distribuite in più di 160.000 aziende nell'UE, la maggior parte delle quali sono PMI, con un fatturato annuo UE di 162 miliardi di euro nel 2019. Nonostante una crescente attenzione per la sostenibilità, gli europei consumano in media 26 kg di prodotti tessili per persona all'anno, ed una quota significativa di questi proviene da paesi terzi.

Ogni articolo viene usato per un periodo sempre più breve, con il risultato che, ogni anno, vengono gettati 11 kg di tessile per persona. Inoltre, si stima che meno dell'1% di tutti i tessili, a livello internazionale, venga riciclato, dando vita a nuovi materiali. La presenza di sostanze nocive, che possono rappresentare un ostacolo il riciclaggio di alta qualità, incidendo sui tassi di raccolta e sulle capacità di riciclaggi, che sono piuttosto da bassi a medi nel panorama europeo.

Il settore tessile, inoltre, ha necessità di molte risorse naturali e determina importanti impatti climatici e ambientali, che rappresentano un vero e proprio costo per l'ambiente, tanto che si stima che questo comparto sia al quarto posto, nell'UE, in termini di consumo di materie prime ed acqua, al quinto per le emissioni di gas serra (fonte rapporto EEA) e ai primi posti nella produzione dei rifiuti.

Bisogna, però, sottolineare il fatto che la maggior parte della pressione e dell'impatto legati alla produzione di abbigliamento, calzature e tessili per la casa si verifica in altre parti del mondo, fuori dall'Europa, là dove ha luogo, attualmente, la maggior parte della produzione.

Oltre al loro impatto sull'ambiente, le catene di produzione di questo comparto industriale sono lunghe, globalizzate e diversificate, infatti fanno capo a questo settore non solo le imprese del tessile moda, ma anche quelle della tappezzeria, biancheria intima, tessile per la casa ed altro ancora.

Un altro punto di debolezza è determinato dal fatto che l'industria europea del tessile deve affrontare una concorrenza sleale legata ai costi di produzione spesso più bassi e degli standard ambientali e sociali alquanto limitati in vigore nei paesi terzi produttori di tessile. In questi paesi è purtroppo molto difficile chi i prodotti fabbricati rispettino condizioni ambientali e lavorative accettabili.

Il settore tessile soffre anche di lacune, carenze e squilibri di competenze a causa dei cambiamenti tecnologici spesso rapidi che avvengono e che richiedono un continuo riadattamento della forza lavoro. Per affrontare i diversi punti di debolezza del settore, sommariamente descritti sopra, è necessaria una risposta coordinata e armonizzata a livello UE, mirata a superare le criticità soprattutto quelle legate alla raccolta differenziata del tessile, allo smistamento e al riciclaggio dei rifiuti tessili negli Stati membri e tesa a rafforzare le capacità sia dell'industria che delle autorità pubbliche di andare nella direzione dell’economia circolare, visto che il settore tessile è altamente globalizzato, un'azione frammentata a livello nazionale e/o locale non sarà sufficiente a determinare il cambiamento necessario.

Una mancanza di azione da parte dell'UE comprometterebbe un'efficace protezione ambientale in tutti gli Stati membri, così come la possibilità di creare condizioni di parità per le imprese tessili dentro e fuori l'UE. Anche il corretto funzionamento del mercato interno sarebbe a rischio.

Infine, la mancanza di azione a livello europeo sarebbe in contrasto con la forte richiesta delle parti interessate di sviluppare un approccio al tessile sostenibile che, però, deve avere regole comuni e non può avere discipline diverse dettate a livello nazionale dai singoli paesi membri.

L'obiettivo dell'iniziativa è quindi quello di istituire un quadro globale per creare condizioni e incentivi per aumentare la competitività, la sostenibilità e la resilienza del settore tessile dell'UE, tenendo conto dei suoi punti di forza e di vulnerabilità, dopo un lungo periodo di ristrutturazione e delocalizzazione, e affrontando i suoi impatti ambientali e sociali.

Tutto questo dovrà trovare una giusta armonizzazione con
il Green Deal europeo
il piano d'azione per l'economia circolare
la strategia per le sostanze chimiche per la sostenibilità.

L'iniziativa faciliterà e incoraggerà l'uso ottimale del recovery plan e degli investimenti sostenibili, in particolare nei processi di produzione, nel design, nei nuovi materiali, nei nuovi modelli di business, nelle infrastrutture e nelle competenze e nelle nuove tecnologie, anche attraverso la digitalizzazione.

Per stimolare il mercato dell'UE verso i tessili sostenibili e circolari, l'iniziativa dovrà puntare ad intensificare significativamente gli sforzi nella direzione del riutilizzo e del riciclaggio, nonché implementare gli appalti pubblici verdi nell'UE, tenendo conto delle esigenze espresse dal settore industriale e dalle altre parti interessate (cioè ricerca e innovazione, associazioni di consumatori, società di investimento, Stati membri, società civile).

L'iniziativa dovrà identificare azioni specifiche e orizzontali per il settore tessile che interesseranno l'intera filiera produttiva, tenendo conto dei possibili approcci per migliorare la progettazione per la sostenibilità, in primo luogo assicurando l'utilizzo di materie prime seconde e affrontando la presenza di sostanze chimiche pericolose, inoltre saranno proposte anche azioni per promuovere processi di produzione più sostenibili.

Al tempo stesso l’iniziativa dovrà occuparsi di
definire la normativa di riferimento per l’end of waste per il settore tessile
rafforzare la protezione dei diritti umani, il dovere di rispettare la normativa ambientale in tutta la filiera di produzione, aumentando la tracciabilità e la trasparenza
indirizzare la cooperazione e i partenariati internazionali, compresi gli aiuti al commercio, verso modelli di consumo e produzione più sostenibili, anche per quanto riguarda l'uso della terra e dell'acqua e l'impiego di sostanze chimiche
sostenere stili di vita più sostenibili, per esempio incentivando tutte le forme di servizio, il prodotto deve essere visto come servizio e non più solo come bene da acquistare
promuovere approcci volontari da parte delle imprese alla sostenibilità attraverso le certificazione come l'Ecolabel UE
prevedere sempre di più la responsabilità estesa del produttore nella promozione dei tessili sostenibili e nel trattamento dei rifiuti tessili secondo quanto previsto dalla gerarchia dei rifiuti
sostenere l'attuazione dell'obbligo legale di introdurre la raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il termine massimo del 2025. Nel nostro Paese questo termine è stato anticipato al 1 gennaio 2022.

Per costruire la strategia per il tessile sostenibile è necessario che tutte le parti interessate siano consultate, si tratta di tutti gli operatori del settore: produttori di fibre, filati, tessuti o abbigliamento, PMI e aziende globali, fornitori, dettaglianti, fornitori di servizi, raccoglitori, smistatori, riciclatori, centri di ricerca e innovazione e altre parti interessate come autorità pubbliche, consumatori e associazioni di consumatori o società civile.

Per questo l’UE ha organizzato una serie di attività di consultazione che coinvolgerà l'industria e le altre parti interessate, anche organizzando workshop e (tele)conferenze. Una prima consultazione pubblica si è conclusa il 2 febbraio scorso, ora è in corso la seconda consultazione pubblica sul portale "Have Your Say”, a cui è possibile prendere parte fino al 4 agosto 2021.

Per approfondimenti: "EU strategy for sustainable textiles"

fonte: www.arpat.toscana.it


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Tessile ed economia circolare: nuove opportunità da cogliere nel post Pandemia





Il settore tessile può giocare un ruolo molto importante nella partita per la transizione ecologica. Il post pandemia offre lo spunto per nuovi modelli di business orientati ad un’economia circolare. Ecco come il comparto tessile è chiamato ad accettare e vincere le nuove sfide, rilanciando così l’economia dopo il Covid.

Già in epoca pre-pandemica il comparto tessile era entrato a far parte dei nuovi settori che guardano all’economia circolare. Ora, nuovi modelli di business post pandemici danno l’opportunità di fare molto di più. Vista l’importanza del ruolo che questo settore può avere nella transizione ecologica, ecco una panoramica dello stato attuale, nel mondo, in Italia e in Europa, dello stato dell’arte dell’industria tessile, dei passi ancora da compiere e dei vantaggi a cui questi possono portare.

Economia circolare e ambiente: a che punto è il settore tessile dopo il COVID?

Una delle principali tematiche riguardanti l’economia circolare è quella del recupero dei rifiuti. È da questo aspetto, dunque, che possiamo iniziare a tracciare un quadro generale. A oggi, ecco cosa accade agli scarti del settore tessile a livello mondiale:

l'87% finisce in discarica o incenerito
il13% viene riciclato, per prodotti di valore inferiore
solo l'1% vien trarformato in nuovi abiti.

La situazione in Italia è descritta dall’ultimo rapporto “L’Italia del riciclo 2020”, di Fondazione Sviluppo Sostenibile, secondo cui il totale del rifiuti tessili è così destinato:

Il 68% viene riutilizzato
Il 29% viene riciclato
Il 3% viene smaltito.

Indipendentemente dal Paese, la situazione attuale è profondamente influenzata dalle conseguenze della pandemia. Capi invenduti e magazzini saturi lasciano presagire una imminente, grande produzione di rifiuti tessili che, se solo venissero riutilizzati, salverebbero una cifra corrispondente a più di 100 miliardi di dollari l’anno, oltre a salvaguardare l’ambiente.

I vantaggi dell’economia circolare nel tessile

Se il modello di business dell’economia circolare fosse sposato dal settore tessile in toto, i vantaggi, per l’economia e per l’ambiente, sarebbero enormi:
creazione di nuovi posti di lavoro nelle strutture di raccolta, selezione e riciclaggio;
riduzione dei costi di gestione e smaltimento dei rifiuti tessili;
abbassamento dei costi dei materiali, dovuto alla maggior disponibilità di tessuti;
minore utilizzo di risorse non rinnovabili;
una riduzione dell'inquinamento prodotto dal comparto (meno emissioni di gas serra, miglioramento delle acque ecc.);
risoluzione del problema dell’esportazione dei rifiuti tessili all’estero, pratica sempre più ostacolata e difficile.

Come favorire la transizione ecologica nel comparto tessile

Dal rapporto della Fondazione Ellen MacArthur "The circular economy: a transformative Covid-19 recovery strategy", emerge come, per la transizione del settore tessile verso un’economia circolare, sia importante elaborare un quadro normativo e fiscale che vada in questa direzione.
Ci sono, ad esempio, molti Paesi che concedono sgravi fiscali alle imprese che si impegnano nella raccolta differenziata di rifiuti tessili. In Italia e in Europa sono diverse le azioni che spingono verso i valori di un’economia circolare, incoraggiando la regolarizzazione della raccolta di rifiuti tessili urbani e auspicando la creazione di sistemi di responsabilità estesa al produttore in materia di rifiuti.
A riprova della sua sensibilità verso il tema, la Commissione Europea ha pubblicato la Roadmap per la definizione della strategia europea per i prodotti tessili in Europa.

Ma la riciclabilità dei capi non ha a che fare soltanto con il loro fine vita: essa parte dalla progettazione. Per questo motivo il ruolo del design è importantissimo per realizzare capi appositamente studiati per essere riutilizzati e reinventati a lungo. Durata dei materiali e metodi di produzione sono alla base della responsabilità che i designer hanno in materia di transizione ecologica. Anche gli investimenti che guardano a questa direzione, come quelli in strutture di raccolta e in ricerca, sono importanti e urgenti. Senza uno sguardo globale e che abbracci l’intera filiera, l’economia circolare non può che restare un’utopia che trova riscontro soltanto parziale nel quotidiano.

fonte: www.nonsoloambiente.it


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Transizione ecologica ed economia circolare nel distretto tessile di Prato

Abbiamo chiesto a Silvia Gambi di SoloModaSostenibile come Prato, uno dei più importanti distretti tessili d'Italia e d'Europa, si stia misurando con temi quali la transizione ecologia e l'economia circolare



In questi ultimi tempi si parla molto di transizione ecologica, da poco è nato anche un Ministero che porta questo nome e che annovera, tra le tematiche di sua competenza, la sostenibilità ambientale e l'economia circolare. Da un po', abbiamo iniziato a dedicare diverse ARPATnews al tema dell'economia circolare con riferimento ad alcuni settori economici, tra questi il tessile-moda, dove certi termini, come sostenibilità ed economia circolare, non suonano nuovi.

Oggi con questa notizia vogliamo riprendere il filo del discorso, già intrapreso con Silvia Gambi, giornalista di SoloModaSostenibile, esperta di questa materia e profonda conoscitrice del distretto tessile di Prato.

Cosa significa in concreto essere un’impresa tessile sostenibile e che fa economia circolare?

Significa innanzitutto mettere in campo una serie di strategie per ridurre il proprio impatto ambientale in fase di produzione e garantire il rispetto dei diritti sociali sia all’interno della propria azienda che nelle aziende che fanno parte della catena di fornitura. La sostenibilità non è un punto di arrivo, non si arriva mai. È un viaggio, piuttosto, che è fatto di tante tappe.

Un’azienda oggi deve sperimentare continuamente nuove soluzioni, deve analizzare nuovi modelli di business. Il tema dell’economia circolare costringe le aziende a fare i conti con i materiali che trasformano, ma non basta questo. Altrimenti si cade nel tranello che sia sufficiente scegliere una materia prima riciclata per essere circolari. Non è così: deve essere preso in considerazione il materiale in entrata, il processo di lavorazione, il design del prodotto e quindi anche quello che è il prodotto finito, che deve essere realizzato con accorgimenti che lo rendano di nuovo utilizzabile alla fine della sua prima vita.

Mi piace pensare così: che un abito possa rappresentare la prima vita di un tessuto, che puoi può averne altri diverse.

Da secoli a Prato si fa economia circolare ma, oggi, questo termine significa qualcosa di diverso rispetto al passato? Ci sono realtà virtuose, nel territorio pratese, che hanno intrapreso la strada della sostenibilità e sono vocate all’economia circolare, e quindi possono essere prese a modello?

In questi mesi Prato si trova al centro di un’attenzione grandissima: è venuta la stampa di tutto il mondo per documentare quello che qui viene fatto da decenni. Prato era circolare quando tutto il mondo non sapeva nemmeno cosa significasse. Questo però non impedisce alle aziende che operano nel distretto di lavorare quotidianamente sull’implementazione delle proprie strategie di sostenibilità: c’è una grande attenzione a questo tema, tante aziende hanno le certificazioni più importanti, sono in grado di misurare il proprio impatto ambientale, fanno un lavoro quotidiano per la sperimentazione di nuovi materiali.

Prato è sempre stato un distretto, una rete di imprese connesse tra di loro: quando viene presa una direzione, tutto il sistema si muove per seguirla. Quindi non possiamo parlare di aziende circolari, ma di un distretto che ha intrapreso la strada della circolarità. Dobbiamo anche ricordare che Prato tanti anni fa si è dotata di uno dei più grandi impianti di depurazione industriale per il riciclo delle acque in Europa. Concetti come recupero e riuso fanno parte del DNA produttivo del territorio.

A partire dal 1 gennaio 2022, se nulla cambierà, in Italia sarà obbligatorio raccogliere i rifiuti tessili, negli anni successivi anche gli altri paesi membri dell’Ue, introdurranno simili obblighi nei loro ordinamenti. Cosa comporterà questo per Prato, uno dei distretti tessili più importanti d’Europa?

Potrebbe essere una bella opportunità, perché sono poche le aziende nel mondo che sanno come ricavare ricchezze da un rifiuto e Prato ha una grande esperienza in questo campo. Si tratta di capire come verranno gestiti i rifiuti tessili che saranno raccolti, quale sarà la loro destinazione. Il timore è che la raccolta serva solo per agevolare il processo di distruzione dei materiali o in ogni caso per creare materiali di poco valore che possono essere utilizzati per imbottiture o per l’edilizia. È un utilizzo importante, ma quello deve essere l’uso finale ed estremo del materiale, quando non è utilizzabile in altro modo.

Quello che rende l’esperienza di Prato straordinaria è che da un capo di abbigliamento usato o da un maglione di lana si riesce ad ottenere una fibra che può essere utilizzata di nuovo nel mondo della moda. Questo grazie alla selezione, anche manuale, del materiale e al recupero.

È fondamentale che la normativa attuativa lasci aperto il canale della donazione degli abiti usati alle associazioni di volontariato, non solo per far continuare a lavorare tante cooperative sociali che operano in questo settore, ma anche perché gli abiti donati sono la vera ricchezza. Da questi è possibile ricavare prodotti che saranno venduti nel second hand e anche materia da riciclare in vari usi.

Secondo i dati delle imprese di Prato che fanno la selezione, solo il 3% di quello che arriva dagli enti di volontariato finisce in discarica. Il resto è indirizzato in percorsi qualificati. È questo il modello che andrebbe replicato a livello nazionale.

La fondazione Ellen MacArthur ritiene che tra i driver per la ripartenza post COVID-19, ci sia il settore del riciclo dei rifiuti tessili; Prato si sta muovendo? Se sì, come?

Sembra che Euratex, che realizzerà 5 grandi hub europei per la gestione dei rifiuti tessili, abbia scelto Prato per realizzarne uno. Quindi è una grande opportunità per il distretto, che potrebbe avere l’occasione di sperimentare l’uso di nuovi materiali, mettendo a punto processi di riciclo che sono utilizzati qui da decenni.

C’è anche l’idea di creare un consorzio con le imprese che si occupano di selezione e raccolta, per renderle attori di questo sistema. Che il riciclo dei tessili sia una grande opportunità lo dimostra l’interesse che c’è adesso per la produzione pratese, non solo da parte delle imprese ma anche dal mondo accademico.

È incredibile come questo distretto, che ha resistito a tanti cambiamenti nel corso degli anni, si trovi adesso al centro di questa rivoluzione. È una bella storia italiana.

fonte: www.arpat.toscana.it


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Plastica nel tessile: verso un'economia circolare per i tessuti sintetici in Europa

Le fibre tessili sintetiche sono prodotte da combustibili fossili, petrolio e gas naturale, risorse non rinnovabili e generano impatti vari sull’ambiente sia in fase di produzione che di consumo ma anche successivamente quando si trasformano in rifiuti



La crisi dovuta al COVID-19 ha portato a un improvviso calo della domanda di prodotti tessili da parte dei consumatori, con conseguenti problemi di liquidità e disoccupazione nel settore, creando in questo comparto un vero e proprio shock, che potrebbe dare avvio a due diversi scenari:
il primo vede un rallentamento nella transizione verso un tessile più circolare e sostenibile
il secondo, al contrario, determina uno slancio verso il cambiamento radicale del comparto tessile rendendolo maggiormente circolare, con risultati economici e ambientali positivi.

Sappiamo che la ripartenza post COVID-19 dipenderà anche dall’adozione di nuovi modelli economici che terranno conto della potenzialità dell’economia circolare, ma affinché questa transizione si concretizzi, bisogna partire dall'analisi dei comparti produttivi, dagli elementi di criticità e dalla loro capacità di trasformazione.

Lo studio dell’Agenzia Europea dell’ambiente (di seguito EEA), "Plastic in textiles: towards a circular economy for synthetic textiles in Europe", pubblicato alla fine di gennaio 2021, vuole andare in questa direzione. Fornisce una panoramica sulla produzione di tessile sintetico in Europa, analizza gli impatti ambientali e indica alcuni ambiti su cui puntare maggiormente per trasformare il settore, rendendolo più sostenibile e circolare.

Non stiamo parlando di un settore di nicchia, in Europa i tessuti a base di plastica - o "sintetici" – fanno parte della nostra vita quotidiana. Sono presenti nei vestiti che indossiamo, negli asciugamani che usiamo e nelle lenzuola in cui dormiamo. Sono nei tappeti, nelle tende e nei cuscini con cui decoriamo le nostre abitazioni e gli uffici. Sono nelle cinture di sicurezza, nei pneumatici delle auto, nell'abbigliamento da lavoro e in quello sportivo.

Produzione e consumo

Il consumo globale di fibre sintetiche è passato da poche migliaia di tonnellate nel 1940 a più di 60 milioni di tonnellate nel 2018, e continua ad aumentare. Dalla fine degli anni '90, il poliestere ha superato il cotone come fibra più comunemente usata nel tessile.

La maggior parte delle fibre tessili sintetiche sono prodotte in Asia, l'Europa è il più grande importatore mondiale, pur essendo anch'essa una produttrice ed esportatrice. Secondo le stime sono state prodotte, nel 2018 in Europa, 2,24 milioni di tonnellate di fibre sintetiche, 1,78 milioni di tonnellate sono state importate, 0,36 milioni di tonnellate esportate e 3,66 milioni di tonnellate consumate.

Il grosso vantaggio delle fibre sintetiche è che sono economiche e versatili, consentendo la produzione di tessuti a basso costo, per questo sono molto utilizzate soprattutto nella fast fashion (moda usa e getta). Oltre il 70% delle fibre tessili sintetiche viene trasformato in abbigliamento e tessili per la casa. Il resto viene utilizzato per tessuti tecnici (ad esempio abbigliamento di sicurezza) e usi industriali (ad esempio materiali per veicoli e macchinari di vario genere).

Secondo l'European Bioplastic, la produzione e l'uso di fibre sintetiche a base biologica, purtroppo, ad oggi, è trascurabile.

Più della metà della produzione globale di fibre è costituita da poliestere, che risulta essere la fibra sintetica più comune (55 milioni di tonnellate nel 2018). Si tratta di una fibra resistente, prodotta a basso prezzo e utilizzata in una moltitudine di applicazioni. Dopo il poliestere, è il nylon la fibra sintetica più usata, nel 2018, ne sono state prodotte oltre 5 milioni di tonnellate e viene ampiamente utilizzata in collant, tappeti e ombrelli. di fibra di nylon.

Impatti sull’ambiente e sul clima delle emissioni in atmosfera

La produzione e il consumo di prodotti tessili generano pressioni e impatti ambientali come
emissioni di gas serra (GHG)
inquinamento dell'aria e dell'acqua
consumo del suolo, dell'acqua e di altre risorse.

La produzione di fibre sintetiche richiede grandi quantità di energia e contribuisce in modo significativo al cambiamento climatico e all'esaurimento delle risorse di combustibili fossili. Tuttavia, a differenza del cotone - la fibra naturale più comune - le fibre sintetiche quando vengono prodotte non richiedono l'uso di pesticidi o fertilizzanti tossici.

La gamma di impatti sull'ambiente dipende molto dal tipo di fibra. Fibre diverse hanno chiaramente impatti ambientali e climatici diversi, quindi non è facile valutare quali di queste sia da ritenersi più idonee.

Gli impatti ambientali e climatici specifici delle fibre sintetiche più comuni possono essere confrontati con il cotone, per chilogrammo di tessuto tinto. Il nylon, fibra sintetica, ha il più alto impatto, per chilogrammo, sul il cambiamento climatico e l'uso di combustibili fossili, mentre per quanto riguarda l'uso della terra, dell'acqua, l'eutrofizzazione e la scarsità di risorse minerali, è il cotone ad avere il più alto impatto per chilogrammo.

Un confronto simile può essere fatto tra poliestere e cotone: si stima che l'intero ciclo di vita di 1 kg di tessuto in poliestere sia responsabile del rilascio di più di 30 kg di anidride carbonica equivalente, mentre il cotone ne rilascia circa 20 kg.

È importante tenere presente che gli impatti dipendono anche dai volumi di produzione delle fibre e dei tessuti. Per esempio, mentre la produzione di poliestere usa meno energia del nylon, il suo tasso di produzione annuale è molto più alto e quindi comporta impatti complessivi maggiori.

Inoltre bisogna valutare gli effetti ambientali nel loro complesso, in quanto questi non sono generati solo durante la produzione di tessuti ma anche durante l'uso, si pensi al lavaggio domestico e/o industriale, all'asciugatura e alla stiratura. Se da un lato queste attività richiedono molta energia e contribuiscono al cambiamento climatico, dall'altro consentono un uso più lungo e intenso del prodotto, aumentandone la durata.

Ai problemi sopra menzionati si aggiunge quello delle microplastiche, problema ambientale abbastanza recente, oggetto di ricerca e, in genere, non valutato nella tipica analisi del ciclo di vita di un tessuto. C'è ancora molto da studiare e da capire sulla portata e sull' impatto delle microplastiche sulla salute umana e sull'ambiente. Le microplastiche vengono rilasciate dai tessuti sintetici durante tutto il loro ciclo di vita: in fase di produzione di fibre e tessuti, durante l'uso e il lavaggio fino allo smaltimento, che sia tramite discarica, incenerimento o riciclaggio. Si stima che ogni anno entrino nell'ambiente marino tra le 200 000 e le 500 000 tonnellate di fibre microplastiche provenienti dai tessuti.

Verso un’economia circolare delle fibre sintetiche

Nel piano d'azione per l'economia circolare del 2020, la Commissione europea ha identificato il tessile come un settore tra quelli prioritari su cui lavorare per raggiungere modelli di economia circolare. Il piano d'azione riconosce che "i tessili sono la quarta categoria a più alta pressione per l'uso di materie prime primarie e acqua, dopo il cibo, l'alloggio e i trasporti, e la quinta per le emissioni di gas serra". Il piano d'azione contempla la strategia dell'UE per il settore tessile volta a "rafforzare la competitività industriale e l'innovazione, dando impulso al mercato europeo dei tessili sostenibili e circolari, compreso il mercato del riutilizzo dei tessili, meno improntato al fast fashion e rivolto a nuovi modelli di business".

In linea con il piano d'azione per l'economia circolare del 2020, questo studio e la relazione ETC/WMGE evidenziano alcuni ambiti su cui lavorare per rendere la produzione e il consumo di tessuti sintetici più circolare e sostenibile:
scelta di fibre sostenibili
controllo del rilascio di microplastiche
miglioramento della raccolta differenziata, riutilizzo e riciclaggio.

Per quanto riguarda la scelta di fibre sostenibili, questa definisce le proprietà e le prestazioni del prodotto tessile, ma determina anche l'impatto ambientale risultante. Il passaggio alle fibre naturali o a base biologica può ridurre l'uso di risorse come i combustibili fossili e anche limitare le emissioni di gas serra.

Il principio guida, secondo l'EEA, è che la scelta della fibra dovrebbe corrispondere all'applicazione del prodotto tessile, alle proprietà richieste, alla durata prevista e ai processi di fine vita. Nella fase di progettazione, vengono fatte scelte importanti sui tipi di fibre da usare per un particolare prodotto o una specifica applicazione. L'importanza della selezione delle fibre adatte allo scopo implica che non serve escludere certi tipi di fibre - per esempio quelle sintetiche - e che non esiste un tipo di fibra che da solo possa rappresentare l’industria tessile sostenibile.

Per quanto attiene, invece, il controllo del rilascio di microplastiche, possiamo dire che, al momento, sono state avviate diverse iniziative per studiare i fattori che influenzano il rilascio di microplastiche - e per valutare il loro effetto sulla salute umana e sull'ambiente. Allo stesso tempo, si stanno studiando molte soluzioni, come la produzione di materiale tessile adattato ai filtri nelle lavatrici, per ridurre la perdita di microplastiche nell'acqua o nell’aria durante il ciclo di vita del tessuto.

Con riferimento infine al miglioramento della raccolta differenziata, del riutilizzo e del riciclaggio, questi si mostrano fondamentali per ridurre la domanda di fibre vergini e quindi raggiungere un'economia circolare.

Il riciclaggio delle fibre è particolarmente impegnativo nel caso dei tessili sintetici, sia per ragioni tecniche che economiche. Una migliore raccolta differenziata dei tessili, un'accurata selezione automatizzata e un riutilizzo e riciclaggio dei tessili di alta qualità hanno un potenziale significativo per ridurre l'impatto ambientale.Tuttavia, molte sfide tecniche, economiche e sociali dovranno essere superate per facilitare e incoraggiare il riutilizzo e rendere il riciclaggio delle fibre tecnicamente ed economicamente fattibile.

"Plastic in textiles: towards a circular economy for synthetic textiles in Europe"

fonte: www.arpat.toscana.it


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Fast fashion: il finto e-commerce con mega offerte che svela il prezzo “invisibile” della moda usa e getta




Un e-commerce che offre offerte per capi d’abbigliamento a prezzi stracciati, ma… al momento dell’acquisto la sorpresa: è un sito “fake”, che ha l’unico grande obiettivo di svelare il vero costo della moda “usa e getta” e le conseguenze provocate dalla fast fashion.

Anche nei periodi di crisi, le persone non riescono a rinunciare alla cosiddetta moda veloce (fast fashion). L’Ong Mani Tese ha lanciato la campagna Prezzi dell’altro mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica sui molteplici problemi generati dal consumismo sfrenato nel settore dell’abbigliamento. Nei numerosi siti online specializzati possiamo infatti acquistare capi di abbigliamento a basso costo, che con un semplice click saranno spediti al nostro domicilio.

Sul negozio virtuale Prezzi dell’altro mondo, invece, quando acquisti un capo di abbigliamento, sul sito ti compare non solo il prezzo di listino, ma anche il vero prezzo di quell’indumento, che include tutti quei costi aggiuntivi “invisibili”, legati all’insostenibile impatto umano e ambientale del processo produttivo-industriale.

L’industria tessile genera rifiuti e contribuisce all’aumento delle emissioni di gas serra; ogni anno, infatti, produce circa 1,2 miliardi di tonnellate di gas serra e occupa 38 milioni di ettari di terra, destinati alla coltivazione e alla produzione di vestiti; poi, se i lavoratori e le lavoratrici del settore tessile, soprattutto nel sud del mondo e nei paesi asiatici, vengono sfruttati dai datori di lavoro e subiscono sistematici abusi di ogni genere, alcuni inderogabili diritti umani vengono inevitabilmente violati e nuove forme di schiavitù vengono più o meno apertamente tollerate.

Come funziona

Quando sceglie uno dei prodotti messi “in vendita” e lo mette nel carrello, invece di concludere un grande affare, l’utente viene informato di tutto ciò che quel capo nasconde. Le informazioni sono sia nel relativo video che appare che nella lista della descrizione del prodotto.


@Mani Tese

Per potere vendere a prezzi così bassi, infatti, oltre che sulla scarsa qualità dei materiali utilizzati, la fast fashion si regge sulle strategie di outsourcing e delocalizzazione dei grandi marchi globali, che basano larga parte della loro produzione in stabilimenti caratterizzati da bassissimi costi di manodopera, assenza di tutele efficaci dei lavoratori e scarso rispetto delle normative ambientali.

Il progetto dell’Ong è rivolto soprattutto ai giovani tra i 18 e i 35 anni, particolarmente attratti dalla moda usa e getta pubblicizzata su Internet. Figlia di un modello totalmente insostenibile sul piano sia sociale che ambientale, esaspera la portata delle problematiche già esistenti nella restante industria dell’abbigliamento.

Un vestito venduto a poco prezzo è spesso costituito da materiali di scarsa qualità, nocivi per gli esseri umani (bambini inclusi) e per l’ambiente, poiché attinge a risorse naturali scarse. Le principali marche di abbigliamento del mondo, non a caso, hanno delocalizzato la produzione in paesi dove la tutela legislativa dei lavoratori è meno stringente e/o dove non esiste una normativa ambientale.
Come abbandonare la moda usa e getta

Per modificare le proprie preferenze rispetto al mondo dell’abbigliamento e per diventare consumatori più responsabili e attenti alle implicazioni etiche dei propri comportamenti d’acquisto, puoi fare molte cose:
Compra meno cose e indossale molto di più.
Il tuo stile personale è come te: unico! Non devi per forza seguire le mode stagionali per esprimere la tua identità.
Evita l’acquisto d’impulso: nella maggioranza dei casi è destinato al fondo dell’armadio!
Impara a leggere le etichette e le certificazioni di qualità ambientale e sociale, pur sapendo che non potranno mai dire tutto del capo che stai per acquistare.
Informati sulle tue marche d’abbigliamento preferite e fai sapere loro che per te sostenibilità, rispetto dei diritti dei lavoratori e trasparenza sono importanti.
Scegli tessuti in fibre naturali e, se proprio devi comprare tessuti sintetici, preferisci quelli ottenuti dal riciclo di materiali plastici.
Evita lunghi spostamenti in auto da un negozio all’altro: muoviti a piedi o in bici quando devi fare un acquisto, oppure compra online in modo consapevole.
Scopri il fascino dei negozi dell’usato, vintage e del commercio equo e solidale.
Modifica i tuoi vecchi capi per reinventarli e dare loro una seconda vita (refashion).
Scegli se vuoi applicare uno o più di questi suggerimenti e ricorda che non esiste un modo unico di essere consumatori consapevoli. Proprio come non c’è un modo unico di vestirsi e di dare il proprio contributo per un mondo più equo e sostenibile

Fonti: Mani Tese/Prezzi dell’Altro Mondo


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Tessuti sintetici e rilascio di microfibre durante i lavaggi in lavatrice

Uno studio italiano fa comprendere quale sia il contributo all'inquinamento marino, e non solo, dei lavaggi in lavatrice dei nostri capi di abbigliamento in materiali sintetici





Uno studio del CNR contribuisce a fare chiarezza su cosa accade ai tessuti sintetici e misto sintetico durante la fase di lavaggio in una normale lavatrice di tipo domestico. Gli scarichi della lavatrice sono stati collettati e le acque filtrate da una sequenza di filtri con porosità diversa e decrescente per definire con maggiore esattezza la quantità e la dimensione delle microfibre rilasciate.

I risultati dello studio italiano mostrano che, durante un normale lavaggio in lavatrice, vengono rilasciate da 124 a 308 mg per kg di microfibre tessili, questo range è influenzato dal tipo di indumento lavato, in particolare della natura del filato e dalla torsione dello stesso.

Diversi studi in questo ambito evidenziano come l’inquinamento marino dovuto alle microfibre tessili di tipo sintetico incida per il 35%. Non vi è da stupirsi se si considera che l’utilizzo di microfibre sintetiche costituisce il 60% delle materiale utilizzato dall’industria tessile e moda, che ogni anno ne utilizza 69,7 Mt., mentre, i lavaggi a livello domestico si aggirano, su scala globale, intorno a 840 milioni con un consumo di 20 km cubi di acqua e 100 TWh di energia.

Pensando a questi dati si comprende come il problema sia rilevante. Le mircofibre tessili si creano a seguito sia di uno “stress” chimico che meccanico del materiale tessile durante il processo di lavaggio in lavatrice, per questo molte ricerche cercano di capire come intrappolare, con appositi filtri, la maggiore quantità di fibre in modo che non risultino una fonte di inquinamento per il nostro ambiente.

Queste, infatti, possono finire sia nel suolo attraverso i fanghi di depurazione, spesso utilizzati anche in agricoltura, sia nei nostri mari, dove, inevitabilmente, vengono ingerite dai pesci e dai molluschi, finendo nella catena alimentare, e mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza di alcune specie ittiche.



In questo studio, pubblicato su Nature, sono state utilizzate 4 differenti magliette (T-shirt) due di poliestere al 100%, con strutture simile ma non identiche, una di poliestere ma con il 65% di materiale riciclato ed infine una con materiali misti: poliestre, cotone e modal.

Queste magliette sono state sottoposte a normali lavaggi in lavatrice da 2 - 2,5 kg di carico con uso del detergente ma allo scarico della lavatrice sono stati apposti dei filtri di diverse dimensioni per intrappolare le fibre rilasciate.

Lo studio riporta gli esiti dopo il primo lavaggio, e nei lavaggi successivi, con riferimento ai diversi tessuti impiegati.

Dopo il primo lavaggio emerge che
le maglie in poliestere al 100% (identificate con le sigle BT e RT nell’immagine che segue) rilasciano una quantità similare di microfibre, perché hanno una struttura e un filato con caratteristiche simili; rispettivamente BT rilascia 1,1000,000 microfibre mentre RT 770,000
la maglia contenente poliestere riciclato (contrassegnata dalla sigla GB) si comporta diversamente dalle precedenti, rilasciando una minore quantità di particelle tessili, ovvero 640,000
la maglietta con materiali diversi, poliestere, cotone e modal (contrassegnata dalla sigla GT), risulta quella con il maggior numero di microfibre rilasciate, pari a 1,500,000.


Per quanto riguarda i filtri, quello che trattiene maggiormente le microfibre, in fase di lavaggio dei tessuti, risulta quello con porosità 60 micrometro. Per tutte le 4 magliette, infatti, questo si mostra in grado di trattenere ii 75-80% del totale delle microfibre rilasciate.

Nei lavaggi successivi, sono state utilizzate solo due diverse magliette: quella in poliestere al 100% (con sigla BT) e quella con materiale misto, poliestere, cotone e modal (con la sigla GT).

Verificando e confrontando il comportamento di questi diversi tessuti nei lavaggi successivi emerge che:
dopo il 4° o 5° lavaggio, le microfibre rilasciate dalla maglietta in 100% poliestere (BT) tendono a stabilizzarsi mentre quelle della maglietta connotata dalla sigla GT tendono a diminuire.

Lo studio, in conclusione, conferma che il lavaggio dei tessuti in lavatrice contribuisce all’inquinamento delle acque superficiali e marine. Le microfibre rilasciate dai diversi indumenti utilizzati vanno da un range di 124 a 308 mg per kg che corrisponde ad un numero di fibre da 640,000 a 1,500,000.

Visualizza "The contribution of washing processes of synthetic clothes to microplastic pollution"

fonte: http://www.arpat.toscana.it

Agenzia Europea per l'ambiente: il tessile nell’economia circolare europea

L’industria tessile impiega in Europa circa 1,7 milioni di persone, gli europei consumano in media 26 kg di tessile ogni anno ma l'industria tessile è la quarta più impattante per l'ambiente



















I tessuti sono fondamentali per la nostra società, ci permettono di avere vestiti, scarpe, ma anche tappetti, tende ed altri oggetti per la nostra casa, i nostri uffici e gli spazi pubblici.
Molte delle pressioni e degli impatti legati alla produzione di abiti, scarpe e materiale tessile per la casa non avvengono in Europa ma in altre parti del mondo. La tendenza, negli ultimi anni, è stata quella di produrre tessuti, ma anche abbigliamento, per lo più in Asia.
Gli impatti si manifestano a tutti i livelli della catena produttiva.
Le fibre più utilizzate sono quelle sintetiche che richiedono un forte impiego di petrolio, seguite da quelle naturali in cotone che comportano il consumo di suolo e acqua.
Vengono acquistati sempre più abiti ma vengono utilizzati per un tempo minore rispetto al passato.
Una volta dismessi gli abiti vengono esportati prevalentemente nei paesi dell’Est Europa o in Asia e Africa, quelli riciclati, invece, sono un numero piuttosto basso, infine, quelli che fuoriescono dal circuito del riciclo e del riuso finiscono o inceneriti o in discarica.
attività che impattano sull’ambienteLa produzione di tessile comporta significativi impatti sull’ambiente, sul clima e sulla società in quanto utilizza risorse, acqua, suolo e sostanze chimiche ed emette sostanze gassose in atmosfera oltre ad inquinanti di varia natura.
Considerando anche le pressioni derivanti dall’intera catena, il consumo a livello europeo di vestiti, scarpe e tappezzeria per la casa è il 4° più alto – o il quarto peggiore – per utilizzo di materie prime e acqua (dopo il cibo, il settore immobiliare e i trasporti). Risulta il secondo per consumo di suolo e il quinto per emissioni di gas a effetto serra.
Per quanto riguarda l’uso di materie prime, il settore tessile si pone al quarto posto, dopo quello alimentare, quello legato ai consumi domestici e trasporti
Alcuni dati pubblicati dall’Unione Europea nel 2017 stimano che in questi processi produttivi siano state utilizzate 1,3 tonnellate di materie prime e 104 metri cubi d’acqua a persona. Di queste 85% dei materiali e il 92% d’acqua consumati in altre parti del mondo.
Per quanto riguarda, invece, il consumo di suolo, questo comparto si pone al secondo posto per pressione sul suolo, superato solo dal comparto alimentare. La maggiore parte degli impatti (93%), anche in questo caso, si hanno fuori dall’Unione Europea e per lo più sono legati alla coltivazione del cotone.
emissioni in atmosfera dal settore tessilePer quanto concerne le emissioni, possiamo dire che queste risultano essere climalteranti e che questo comparto industriale immette in atmosfera dalle 15 alle 35 tonnellate di CO2 equivalente per tonnellata di tessile prodotto, posizionandosi al quinto posto tra i settori industriali che emettono il maggiore numero di emissioni in atmosfera. Si stima a livello europeo che il comparto tessile abbia generato 654 kg di COequivalente per persona nel 2017.
Il settore tessile utilizza anche una grande quantità e varietà di prodotti chimici, circa 3500 sostanze sono generalmente utilizzate nella produzione di tessuti, di queste 750 sono classificate come pericolose per la salute umana e 450 per l’ambiente. Si stima che circa il 20% dell’inquinamento idrico sia dovuto ad attività legate al tessile (come ad esempio il finissaggio) che spesso determinano anche problemi di salute ai lavoratori del settore e alle comunità locali.
Non meno importante il problema legato al rilascio di micro e nano fibre durante i processi di lavaggi dei capi in fibre sintetiche. Queste finiscono nell’ambiente in particolare nei corsi d’acqua e attraverso questi nei mari. Si stima che ogni anno, in questo modo, arrivino negli oceani circa mezzo milione di tonnellate di micro fibre plastiche.
Il tessile non provoca solo impatti importanti in termini ambientali ma anche sociali, infatti, i lavoratori di questo settore ricevono paghe molto basse e lavorano in condizioni di scarsa sicurezza e rispetto delle normativa.
Ridurre le pressioni ambientali e climatiche derivanti dal tessile, mantenendo i vantaggi occupazionali ed economici, è l’obiettivo che si pone l’economia circolare, che punta a politiche effettive che coinvolgano i materiali, il design, la produzione, la distribuzione, l’uso e il riuso, la raccolta e il riciclo.
Certo non ci si può aspettare che tutto avvenga da sé, bisogna mettere in campo delle politiche di regolazione di questo comparto oltre che misure di supporto al cambiamento, come
  • politiche e normative che stabiliscano i requisiti dei prodotti sia in termini di qualità che di salubrità
  • forte domanda di fibre sostenibili
  • marchi e standards di qualità.
Dobbiamo quanto prima uscire da un modello produttivo lineare che, negli ultimi anni, è diventato sempre più veloce, più “usa e getta”, puntando su
  • buone condizioni di lavoro
  • basse emissioni
  • uso efficiente delle risorse
  • uso sicuro dei prodotti chimici
  • acquisti verdi
  • ecodesign
  • responsabilità del produttore
  • standard e marchi di qualità
  • etichette che garantiscano il rispetto dell’ambiente e dei lavoratori durante l’intero ciclo di produzione.
Visualizza il testo di Textiles in Europe's circular economy
fonte: http://www.arpat.toscana.it

Piumini sì, ma imbottiti di fiori e 100% vegan: ecco l’innovazione di Pangaia

Una ricerca che è durata anni per ottenere un risultato interessante e che profuma (è il caso di dirlo) di innovazione e futuro.












Ci sono voluti 10 anni di ricerche per poter trovare una soluzione innovativa e davvero funzionale che permettesse a Pangaia (azienda che poi è un collettivo di produttori che lavorano affiancati da un team di scienziati e ricercatori) di trovare un’alternativa valida alle classiche imbottiture di piume d’oca delle giacche invernali.
Iniziamo con il dire che la serie di piumini vegani FLWRDWN™ non ha un prezzo accessibile a tutti, ma data la tecnologia e la ricerca che stanno dietro a questo prodotto. il costo non sembra troppo lontano dai prezzi di giacche e accessori in piume e pellicce che troviamo (purtroppo) ancora sul mercato. Ma capiamo insieme di che cosa si tratta.
Pangaia ha utilizzato fiori essiccati e non trattati per realizzare le imbottiture di queste giacche invernali che vestono in modo abbondante. I tessuto esterno è realizzato con materiale completamente riciclato, un classico poliestere che però nasce dai bioplimeri ed è quindi (come tutta la giacca) completamente biodegradabile. Insieme ai fiori dell’imbottitura troviamo un materiale anch’esso innovativo, l’aerogel che avvolge i fiori rendendoli durevoli e resistenti.
Ma questo materiale tiene caldo? Secondo l’azienda i test hanno portato risultati incredibili. La giacca mantiene la temperatura del corpo perfettamente equilibrata anche a -20 gradi centigradi.
L’obiettivo di questa azienda, che vende i suoi prodotti anche online, ha come obiettivo quello di cercare sempre soluzioni sostenibili a livello ambientale e che non prevedano lo sfruttamento animale: “Oltre ad essere cruelty-free e sostenibile, amiamo il fatto che questi prodotti siano a base sempre vegetale, vegani ed efficaci“. I fiori selvatici utilizzati hanno una microstruttura simile alla piuma, spiega l’azienda, e in più non presentano i problemi batterici delle piume di origine animale. Il “ripieno” di fiori delle giacche è molto leggero e quindi anche il confort è preservato.
fonte: https://www.vegolosi.it

Fashion Pact, l’impegno climatico di 32 big della moda

Una coalizione grandi marchi si è impegnata a stabilire obiettivi di zero emissioni, a ridurre l’inquinamento da plastica e a produrre energia rinnovabile al 100%


Un impegno pubblico a fissare e raggiungere obiettivi di riduzioni dei gas serra in linea con le raccomandazioni del mondo scientifico. Questo in poche parole, l’essenza del Fashion Pact, il patto firmato da 32 grandi aziende di moda (e circa 150 marchi) in occasione del G7 di Biarritz.

L’idea nasce direttamente dagli ospiti del vertice 2019. Lo scorso maggio, infatti, l’Eliseo aveva incaricato il miliardario François-Henri Pinault – a capo del gruppo Kering (Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen, Brioni ) – di mobilitare l’industria della moda e del lusso sui principali temi di ambientali. Tre mesi dopo ai leader delle sette potenze mondiali è stato presento il risultato di questa comunione di intenti: una carta i cui firmatari si impegnano volontariamente a “indirizzare [le] aziende verso azioni compatibili con la traiettoria di 1,5°C del riscaldamento globale, attraverso una giusta transizione per raggiungere zero emissioni nette di CO2 nel 2050” .

Il Fashion Pact – siglato fra gli altri da Adidas, Capri Holdings (Versace ecc…), Chanel, H & M, e Prada – sottolinea come il settore mondiale della moda sia oggi “una delle industrie più grandi, dinamiche e influenti del pianeta”, e che per questo motivo “dovrebbe anche avere il potere di svolgere un ruolo chiave nel guidare il passaggio verso un futuro più sostenibile”.

Come suggerito da Pinault, il Patto ruota attorno al raggiungimento di target scientifici in tre aree: lotta al riscaldamento globale (l’obiettivo è di raggiungere zero emissioni di gas serra entro il 2050), ripristino della biodiversità (con un focus sul ripristino degli ecosistemi naturali e sulla protezione delle specie) e conservazione degli oceani (in particolare riducendo l’uso di materie plastiche). Altri impegni stabiliti nel Fashion Pact includono il sostegno alla Carta dell’industria della moda dell’UNFCCC, l’impegno a supportare l’adattamento al clima e la resilienza attraverso l’approvvigionamento sostenibile di materie prime chiave e a produrre energia rinnovabile al 100% attraverso le proprie operazioni e catene di approvvigionamento entro il 2030.

Per la maggior parte dei firmatari, il raggiungimento di questi target richiederà grandi cambiamenti e investimenti significativi. Molti, tuttavia, sono già sulla buona strada: McCartney, ad esempio, ha iniziato a utilizzare nelle sue collezioni poliestere riciclato e materiali di riciclo; Zara sta spostando la sua attenzione su materiali organici e riciclati. O ancora, Nordstrom ha appena lanciato una sezione di moda sostenibile.

fonte: http://www.rinnovabili.it

La moda usa e getta sta riempiendo il Pianeta di rifiuti tessili: buttiamo l’811% di vestiti in più rispetto al 1960

Pantaloni a 7 euro, magliette e felpe a volte anche a 5 euro. H&M, Zara, Primark, tanto per fare alcuni esempi, hanno rimesso in discussione l’industria dell’abbigliamento lanciando capi low cost che però, non fanno bene né all’ambiente né alla nostra salute.


















La moda low cost non è sostenibile, di certo non ci voleva molto a capirlo, ma purtroppo continua ad essere la più gettonata vuoi per i costi contenuti, vuoi perché ormai per molti magliette e pantaloncini sono diventati usa e getta. Si bada più alla quantità che alla qualità.
Ogni anno, le discariche di tutto il mondo inceneriscono 12milioni di indumenti e le loro emissioni di Co2 contribuiscono in maniera sostanziale all’effetto serra, tant’è che l’industria tessile a livello di inquinamento è seconda solo al petrolio.
Dal 1960 al 2015 c’è stato un record di rifiuti tessili con un aumento stimato dell’ 811%. Solo nel 2015 sono finiti in discarica 1630 tonnellate di vestiti. Si stima che ogni persona, ogni anno, consumi 34 vestiti e ne butti 14 chili. E poco ci consola il fatto che molte tonnellate siano state riciclate, perché le cifre continuano ad essere scandalose. Eppure ogni anno 62 milioni di tonnellate di vestiti escono dalle fabbriche e secondo le Nazioni Unite, l’industria tessile contribuisce anche a gas serra e inquinamento delle acque.

I dati

150mila milioni di capi vengono prodotti ogni anno, cioè circa 62 milioni di tonnellate di abbigliamento e accessori.
Di questi, il 30% viene venduto a basso costo, mentre un altro 30% non viene mai venduto, mentre il 50% degli abiti realizzati da catene low cost finisce nella spazzatura in meno di un anno.
Nella spazzatura o meglio negli inceneritori finendo per generare nuove tonnellate di CO2. E se volessimo fare un esempio, potremmo dire che bruciare un chilo di vestiti significa generare 1,36 chili di anidride carbonica per mega wattora. È più inquinante della combustione del carbone (1,13 chili per mega wattora) o del gas naturale (61 chili per mega wattora).
Ecco perché prima di acquistare dovremmo fermarci a riflettere su cosa si nasconde dietro questa industria, partendo proprio dai materiali economici, di scarsa qualità, spesso tossici e dannosi per ambiente e salute.
C’è poi tutta la questione manodopera estera sottopagata, a volte con sfruttamento minorile, senza contratti e senza tutele. Il risultato sono produzioni che costano molto all’ambiente e poco all’uomo e che vengono utilizzati come usa e getta.
L’attuale modello quindi non va bene, prezzi competitivi, bassa qualità, durata limitata, per questo sarebbe necessario che i governi facessero pressione sulle aziende per operare un’inversione di tendenza.
Molti marchi hanno già linee sostenibili tuttavia la strada è ancora in salita e il vero e proprio consumo consapevole sembra un miraggio.
fonte: www.greenme.it