Visualizzazione post con etichetta #Prato. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Prato. Mostra tutti i post

RiciclaTv: Rifiuti Tessili tra tradizione ed innovazione


 











Ricicla.tv



#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Transizione ecologica ed economia circolare nel distretto tessile di Prato

Abbiamo chiesto a Silvia Gambi di SoloModaSostenibile come Prato, uno dei più importanti distretti tessili d'Italia e d'Europa, si stia misurando con temi quali la transizione ecologia e l'economia circolare



In questi ultimi tempi si parla molto di transizione ecologica, da poco è nato anche un Ministero che porta questo nome e che annovera, tra le tematiche di sua competenza, la sostenibilità ambientale e l'economia circolare. Da un po', abbiamo iniziato a dedicare diverse ARPATnews al tema dell'economia circolare con riferimento ad alcuni settori economici, tra questi il tessile-moda, dove certi termini, come sostenibilità ed economia circolare, non suonano nuovi.

Oggi con questa notizia vogliamo riprendere il filo del discorso, già intrapreso con Silvia Gambi, giornalista di SoloModaSostenibile, esperta di questa materia e profonda conoscitrice del distretto tessile di Prato.

Cosa significa in concreto essere un’impresa tessile sostenibile e che fa economia circolare?

Significa innanzitutto mettere in campo una serie di strategie per ridurre il proprio impatto ambientale in fase di produzione e garantire il rispetto dei diritti sociali sia all’interno della propria azienda che nelle aziende che fanno parte della catena di fornitura. La sostenibilità non è un punto di arrivo, non si arriva mai. È un viaggio, piuttosto, che è fatto di tante tappe.

Un’azienda oggi deve sperimentare continuamente nuove soluzioni, deve analizzare nuovi modelli di business. Il tema dell’economia circolare costringe le aziende a fare i conti con i materiali che trasformano, ma non basta questo. Altrimenti si cade nel tranello che sia sufficiente scegliere una materia prima riciclata per essere circolari. Non è così: deve essere preso in considerazione il materiale in entrata, il processo di lavorazione, il design del prodotto e quindi anche quello che è il prodotto finito, che deve essere realizzato con accorgimenti che lo rendano di nuovo utilizzabile alla fine della sua prima vita.

Mi piace pensare così: che un abito possa rappresentare la prima vita di un tessuto, che puoi può averne altri diverse.

Da secoli a Prato si fa economia circolare ma, oggi, questo termine significa qualcosa di diverso rispetto al passato? Ci sono realtà virtuose, nel territorio pratese, che hanno intrapreso la strada della sostenibilità e sono vocate all’economia circolare, e quindi possono essere prese a modello?

In questi mesi Prato si trova al centro di un’attenzione grandissima: è venuta la stampa di tutto il mondo per documentare quello che qui viene fatto da decenni. Prato era circolare quando tutto il mondo non sapeva nemmeno cosa significasse. Questo però non impedisce alle aziende che operano nel distretto di lavorare quotidianamente sull’implementazione delle proprie strategie di sostenibilità: c’è una grande attenzione a questo tema, tante aziende hanno le certificazioni più importanti, sono in grado di misurare il proprio impatto ambientale, fanno un lavoro quotidiano per la sperimentazione di nuovi materiali.

Prato è sempre stato un distretto, una rete di imprese connesse tra di loro: quando viene presa una direzione, tutto il sistema si muove per seguirla. Quindi non possiamo parlare di aziende circolari, ma di un distretto che ha intrapreso la strada della circolarità. Dobbiamo anche ricordare che Prato tanti anni fa si è dotata di uno dei più grandi impianti di depurazione industriale per il riciclo delle acque in Europa. Concetti come recupero e riuso fanno parte del DNA produttivo del territorio.

A partire dal 1 gennaio 2022, se nulla cambierà, in Italia sarà obbligatorio raccogliere i rifiuti tessili, negli anni successivi anche gli altri paesi membri dell’Ue, introdurranno simili obblighi nei loro ordinamenti. Cosa comporterà questo per Prato, uno dei distretti tessili più importanti d’Europa?

Potrebbe essere una bella opportunità, perché sono poche le aziende nel mondo che sanno come ricavare ricchezze da un rifiuto e Prato ha una grande esperienza in questo campo. Si tratta di capire come verranno gestiti i rifiuti tessili che saranno raccolti, quale sarà la loro destinazione. Il timore è che la raccolta serva solo per agevolare il processo di distruzione dei materiali o in ogni caso per creare materiali di poco valore che possono essere utilizzati per imbottiture o per l’edilizia. È un utilizzo importante, ma quello deve essere l’uso finale ed estremo del materiale, quando non è utilizzabile in altro modo.

Quello che rende l’esperienza di Prato straordinaria è che da un capo di abbigliamento usato o da un maglione di lana si riesce ad ottenere una fibra che può essere utilizzata di nuovo nel mondo della moda. Questo grazie alla selezione, anche manuale, del materiale e al recupero.

È fondamentale che la normativa attuativa lasci aperto il canale della donazione degli abiti usati alle associazioni di volontariato, non solo per far continuare a lavorare tante cooperative sociali che operano in questo settore, ma anche perché gli abiti donati sono la vera ricchezza. Da questi è possibile ricavare prodotti che saranno venduti nel second hand e anche materia da riciclare in vari usi.

Secondo i dati delle imprese di Prato che fanno la selezione, solo il 3% di quello che arriva dagli enti di volontariato finisce in discarica. Il resto è indirizzato in percorsi qualificati. È questo il modello che andrebbe replicato a livello nazionale.

La fondazione Ellen MacArthur ritiene che tra i driver per la ripartenza post COVID-19, ci sia il settore del riciclo dei rifiuti tessili; Prato si sta muovendo? Se sì, come?

Sembra che Euratex, che realizzerà 5 grandi hub europei per la gestione dei rifiuti tessili, abbia scelto Prato per realizzarne uno. Quindi è una grande opportunità per il distretto, che potrebbe avere l’occasione di sperimentare l’uso di nuovi materiali, mettendo a punto processi di riciclo che sono utilizzati qui da decenni.

C’è anche l’idea di creare un consorzio con le imprese che si occupano di selezione e raccolta, per renderle attori di questo sistema. Che il riciclo dei tessili sia una grande opportunità lo dimostra l’interesse che c’è adesso per la produzione pratese, non solo da parte delle imprese ma anche dal mondo accademico.

È incredibile come questo distretto, che ha resistito a tanti cambiamenti nel corso degli anni, si trovi adesso al centro di questa rivoluzione. È una bella storia italiana.

fonte: www.arpat.toscana.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Sostenibilità ambientale ed economia circolare nel tessile
















L’industria tessile è in crescita, aumentano i volumi dei beni prodotti, il giro d’affari e il numero di persone che lavorano nel settore, ma il comparto è ancora molto ancorato al modello di economia “produci-usa-getta” e molti cominciano a sostenere la necessità di una riconversione verso un modello economico di tipo circolare. Arpatnews ha intervistato Laura Fiesoli, responsabile della Sezione Contemporanea del Museo del tessuto di Prato.
Abbiamo rivolto alcune domande sul tessile a Laura Fiesoli, Responsabile della Sezione Contemporanea del Museo del Tessuto di Prato, che si occupa di archiviazione, ricerca e progettazione nell’ambito del tessile contemporaneo e dell’innovazione di settore.

Diversi report sottolineano che l’industria tessile sia ancora molto ancorata ad un modello di economia lineare ma che ormai i tempi siano maturi per approdare ad un’economia di tipo circolare anche in questo comparto industriale, cosa ne pensa?
L’industria tessile ha un enorme impatto ambientale a livello globale. Sicuramente le logiche produttive sono ancora in gran parte ancorate ad una economia lineare, ma è già in atto un ricco dibattito sulla transizione all’economia circolare, con la conseguente nascita e proliferazione di molte buone pratiche, più o meno consolidate, di modelli di business, come emerge anche dai report della Ellen MC Arthur Foundation.
Uno dei maggiori ostacoli nella diffusione di modelli sostenibili è ancora oggi relativo alla questione dei costi finali dei prodotti e dell’egemonia del sistema del fast-fashion: ed esempio i lanifici che producono per i brand di pronto moda vivono una costante guerra al prezzo che spesso premia chi applica il prezzo più basso, a discapito della qualità e sicuramente della sostenibilità. Anche se molti brand come Zara o H&M si spendono in costose campagne di marketing sulla sostenibilità, si tratta piuttosto di campagne di comunicazione volte a migliorare l’appeal verso un consumatore consapevole, ma non sempre sono supportate da vere e proprie logiche sostenibili nella scelta della supply chain (catena di fornitura, ndr).
Tra le buone pratiche che possiamo citare troviamo grandi brand come Nike che ricicla le proprie scarpe sportive producendone materiali per la realizzazione di campi da gioco sintetici, oppure Patagonia e North Sails che hanno strutturato un sistema di vendita, rammendo, recupero e riciclo dei loro stessi abiti attraverso i punti vendita, o ancora GStar che da diversi anni propone la linea Raw for the Ocean che recupera le plastiche del mare, ed infine Uniqlo che seleziona i capi usati in parte per il riciclo ed in parte destinandoli ad associazioni benefiche in tutto il mondo.
Sul territorio toscano, pur non potendo citare veri e propri modelli di business consolidati, esistono importanti buone pratiche a livello di cluster. Un esempio è il progetto Detox promosso da Greenpeace ed oltre a questo l’impegno degli industriali per l’adozione dello standard promosso a livello internazionale GRS ovvero Global Recicle Standard ovvero una certificazione che provi quanti e quali materiali riciclati vengono utilizzati. Questa certificazione vuole essere non solo un pezzo di carta ma un modo per costruire i mattoncini di una supply chain tracciabile e con valori di sostenibilità effettivi e dimostrabili.
Progressi per ridurre gli impatti sull’ambiente, scarichi, emissioni in atmosfera, produzione di rifiuti, ecc. provenienti dalle industrie del tessile, ne sono stati fatti, almeno nel nostro Paese, ma cosa si potrebbe ancora fare ed in che tempi?
L’impatto è enorme ma sicuramente si può fare tanto. A partire dal trattamento dei rifiuti e degli scarti solidi fino alla depurazione delle acque. Già rispetto al passato si sono fatti enormi passi avanti con la raccolta differenziata di scarti di natura tessile, con l’immissione delle acque in circuiti di acquedotti con la possibilità di depurarle e riusarle per le lavorazioni industriali.
Molta parte di queste attività non riguardano solo il comparto industriale ma la gestione ambientale e sociale del territorio, quindi devono essere supportate dalla politica, dall’economia e dalle attività di cluster. Lasciare la risoluzione del problema in mano alle singole aziende è impensabile.
Secondo alcuni studi di settore (es report Fondazione Ellen Mac Arthur sul settore tessile), l’industria tessile non raggiunge alti livelli di riciclabilità e quando accade il riciclo consiste in applicazioni a cascata di valore inferiore, ad esempio, materiale isolante, imbottitura per materassi che sono difficilmente riutilizzabili e re-inseribili in nuovi processi produttivi, quindi destinati ad essere distrutti per sempre. Ritiene che questa situazione corrisponda al vero? Perché accade?
In gran parte dei casi è vero che il riciclo tessile non riesce ad essere un loop di lunga durata, almeno per ora. Oltre alla componente tecnologica, può dipendere anche dal fatto che ancora non è diffusa una parte del processo che invece è basilare, ovvero il design. Bisogna cominciare a pensare il prodotto già con l’idea di cosa succede alla fine del suo ciclo di vita, e questo tipo di progettazione non è ancora sviluppata. I designer spesso non conoscono i prodotti innovativi o non sanno come gestirli, è ancora un terreno giovane.
Per quanto riguarda il riciclo di fibre di nylon è interessante il caso dell’Industria Tessile Radici che è il più grosso produttore in Italia ed ha fatto recentemente un interessante progetto con Herno per realizzare un capo in nylon completamente differenziabile e smaltibile per la riconversione in plastica post consumo.
Il riciclo di fibre tessili è un lavoro complesso che richiede competenza e strutture industriali e che dovrebbe essere maggiormente valorizzato attraverso azioni politiche e leggi ad hoc che tutelino lo ‘scarto’ tessile dandogli un valore maggiore rispetto ad un comune rifiuto solido.
A Prato, dove da secoli si sono riciclati tessuti, cosa accade?
Prato è già di per sé un distretto della moda (oltre 6.000 aziende del T&A, cioè del comparto del tessuto e abbigliamento) con caratteristiche di sostenibilità: la sua tradizione millenaria è la lana rigenerata da scarti e da abiti usati, tradizione che ne ha fatto il più grande centro mondiale di raccolta e cernita per oltre un secolo. Oggi Prato ricicla circa 22.000 tonnellate di materiali tessili all’anno e li reimmette nel ciclo industriale, ha un sistema di depurazione delle acque per usi industriali già molto consolidato con 5 impianti e oltre 60 km di rete distributiva, persegue l’adesione a protocolli per l’eliminazione di sostanze inquinanti nei processi come il protocollo Detox.
La produzione di sostanze tessili necessita di una larga quantità di risorse non rinnovabili; ad esempio il cotone richiede una grande quantità di acqua ma anche un massiccio utilizzo di fertilizzanti e pesticidi e non migliore risulta la situazione guardando alle fibre sintetiche che richiedono grossi quantitativi di petrolio e che spesso, durante il lavaggio, rilasciano micro e/o nano-plastiche che impattano la risorsa idrica, mari e fiumi. Il consumatore è spiazzato, la scelta è difficile, dove è preferibile indirizzare i nostri consumi verso tessuti in fibre naturali o sintetiche?
Ad oggi esistono molte scelte alternative alle fibre ed ai materiali tessili tradizionali, anche se è impossibile trovare un’intera filiera ad impatto 0 chiaramente. Tuttavia sul mercato sono già presenti materiali ad alta sostenibilità, ad esempio fibre rinnovabili da coltivazioni controllate, oppure fibre da coltivazioni biologiche, fibre riciclate da materiali post consumo come la plastica delle bottiglie ecc. Certo è vero che, mentre come consumatori negli ultimi anni siamo stati spinti a pensare che scegliere materiali naturali sia meglio, ci siamo dovuti scontrare con il fatto che questi non sono sempre sostenibili, e che la loro versione ‘biologica’ abbia, come nell’alimentare, costi più alti che non tutti vogliono sostenere. D’altra parte, quando il poliestere rigenerato iniziava ad imporsi come alternativa ecologica delle fibre sintetiche è emerso il problema delle microplastiche scaricate dalle nostre lavatrici negli oceani. Il consumatore è spiazzato sia per via di una comunicazione spesso confusa su cosa sia effettivamente ‘circolare’, ma anche perché la moda suggerisce ancora un ricambio veloce dei trend che contrasta con la ‘durabilità’ che vuole essere un punto di forza della moda circolare.
Per approfondimenti:

fonte: https://ambienteinforma-snpa.it/

Prato, economia circolare: nuove sfide e prospettive al 2030

L’economia circolare richiede un ripensamento complessivo del nostro stile di vita, per questo impatta su molte questioni che non attengono solo all’ambiente, ma anche alla pianificazione della città, all’uso delle nuove tecnologie, ai cambiamenti climatici, alle abitudini di consumo e a molto altro ancora























Martedì 20 febbraio 2018, al Museo del Tessuto di Prato, si è tenuto un incontro sull'economia circolare. Infatti Prato fa parte di un gruppo di lavoro che, in Europa, si occupa di questo tema; il gruppo è coordinato da Oslo ma la cittadina toscana può, a buon titolo, dire la sua sull’argomento, visto che il recupero ed il riciclo fanno parte del suo DNA: qui da sempre si recuperano stracci, dando vita a nuova materia e nuovi prodotti.
Quello che emerge con forza è che risulta necessario uscire dal perimetro che lega l’economia circolare alle politiche ambientali ed in particolare ai rifiuti, per approdare ad un’idea di economia circolare che investe il mondo produttivo ma anche quello del consumo.
convegno economia circolare_prato_relatoriSi tratta, in sostanza e senza volere esagerare, di modificare il nostro modo di vivere; l'economia circolare si pone come un’opportunità che ci viene proposta per superare un modello che ormai si presenta superato e rappresenta per molti aspetti anche un pericolo non solo per l’ambiente ma anche per la coesione sociale.
Per questo è necessario che l’economia circolare sia percepita in modo molto concreto, ovvero ognuno deve comprendere che il nuovo paradigma lo coinvolge e lo investe totalmente.
Ancora oggi, troppo spesso quando si parla di economia circolare, ancora molti pensano ai rifiuti, in particolare al recupero di materia prima dagli scarti urbani e industriali, il pensiero principale è quello di immettere in processi produttivi i rifiuti da considerarsi "non più rifiuti ma altro", garantendo alle attività economiche costi minori rispetto a quelli sostenuti per l’acquisto di materie vergini, che risultano sempre più scarse ed eccessivamente soggette all'andamento oscillante dei prezzi sul mercato mondiale.
Accanto alla gestione dei rifiuti, degli scarti, bisogna, quindi, che compaiano termini quali innovazione, ricerca, design; dobbiamo iniziare a pensare
  • meno al riciclo e più all’ecodesign ed alla prevenzione dei rifiuti
  • che sia più giusto condividere spazi e beni piuttosto che detenerne la proprietà.
Tutto ciò ha bisogno di una forte spinta in termini di informazione, perché il processo di affermazione dell’economia circolare incontra una serie di difficoltà e limiti di varia natura: tecnologica, normativa, sociale che possono essere superati con la conoscenza, l’informazione che faccia comprendere a pieno i vantaggi non solo ambientali ma anche economici e sociali di un’economia di tipo circolare, creando condivisione tra i cittadini.
convegno economia circolare prato_interventoIn questo periodo di transizione, che durerà ancora svariati anni, gli enti locali possono svolgere un ruolo di facilitatori.
Chi amministra una città può influire molto sull'affermazione dell’economia circolare nel tessuto urbano ma anche sociale; ad esempio, introducendo facilitazioni ed incentivi per chi si mette nel percorso dell’economia circolare o, al contrario, disincentivando chi non vuole abbandonare un modello basato sull’economia lineare. Molto utile, a questo proposito, potrebbe risultare l’introduzione di una tariffazione puntuale per ridurre la mole di rifiuti urbani prodotti: ognuno paga in base alla quantità reale di rifiuti che produce, chi avrà comportamenti virtuosi pagherà meno.
Oltre a ciò le amministrazioni, locali ma anche nazionali, possono lanciare campagne per fare comprendere la necessità di un consumo più consapevole. Prendiamo il caso del settore moda, che interessa molto il territorio pratese: oggi vengono utilizzate moltissime fibre sintetiche che non sono riciclabili (si parla di 70 milioni di tonnellate di fibre sintetiche utilizzate nella moda e non riciclabili), se il consumatore continua a prediligere capi a basso costo, fabbricati con materiali di scarsissima qualità, non si affermano i principi dell’economia circolare ma si continua a prediligere una logica dell’usa e getta, tipica di un’economia lineare, che crea rifiuti e inquina l’ambiente, come ci dimostrano anche le recenti ricerche sulle micro-plastiche nelle acque che risultano originate prevalentemente dal lavaggio dei tessuti sintetici.
convegno economia circolare_prato_pubbliciInoltre a livello centrale, la Pubblica Amministrazione può fare molto per superare i limiti legislativi/normativi; non solo sono necessarie nuove norme, ma talvolta potrebbero essere sufficienti indirizzi interpretativi, in grado di superare i cd “coni d’ombra”; come accade quando ci si avvicina alle definizioni di rifiuto, materia prima seconda, sottoprodotto, che non sempre risultano chiare e soprattutto univoche.
Bisogna dunque sostenere tutta una serie di azioni affinché si affermi l’economia circolare; quattro ambiti appaiono nevralgici:
  • utilizzo degli spazi
  • materie utilizzate per costruire
  • fornitura di servizi
  • servizi di produzione
Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna pensare lo spazio, che è una risorsa finita, in termini di riutilizzo e lo stesso va fatto per quanto riguarda le materie impiegate nelle costruzioni, definendo con chiarezza cosa sia rifiuto, cosa materia prima seconda e cosa sottoprodotto, a questo proposito un passo avanti è stato fatto con il fresato d’asfalto che può essere riutilizzato per riasfaltare le strade senza considerarlo un rifiuto.
Per quanto riguarda la fornitura di servizi (acqua, rifiuti, illuminazione pubblica ecc), questi devono essere ri-pensati in termini di sostenibilità; è necessario superare i limiti normativi che non consentono di riutilizzare l’acqua, in surplus, del depuratore per annaffiare i campi da calcio nonostante periodi di siccità.
Con riferimento, infine, ai servizi di produzione si apre un mondo sconfinato, se pensiamo anche solo ai tessuti, andiamo dalle fibre sintetiche fino alla realizzazione di tessuti con fibre vegetali, come gli scarti di arancia o bucce di altri vegetali.
È inutile negare che, per fare tutto ciò, sono necessarie risorse, anche economiche, che attualmente a livello europeo (finanziamenti europei 2014-2020), e non solo, sono assenti; prima del 2014, questo tema, infatti, non era ancora entrato nell’agenda europea, speriamo nella prossima tornata di finanziamenti.

fonte: http://www.arpat.toscana.it

La nuova vita dei tessuti. Quando gli artigiani rigenerano la manifattura

A Prato, l’azienda “Lo fo io” recupera filati di scarto o lane dismesse destinate a diventare rifiuto e li trasforma in materia prima di qualità per accessori invernali. E il design sociale di “Altreborse” coinvolge nel suo nuovo corso i richiedenti asilo


















“La verginità non è più una virtù”: lo sanno bene le sorelle Bertola, che da quarant’anni portano avanti un piccolo maglificio a Prato utilizzando filati pratesi composti da lane “rigenerate”. Dare una nuova vita alle lane già utilizzate e diventate rifiuto è una tradizione storica pratese dove, dalla fine dell’Ottocento, i “cenciaioli” del distretto tessile che include 12 Comuni e una popolazione di oltre 300mila abitanti hanno sempre cernito gli stracci in base ai colori e ai materiali, per trasformarli in filati di lana da ritessere.
“A lungo la rigenerazione è stata considerata un processo di ‘serie B’ rispetto all’uso della pura lana vergine. Al contrario, questi filati di qualità sono storicamente selezionati da cenciaioli e abili artigiani pratesi e hanno un valore aggiunto perché provengono dal recupero di lane dismesse, che da rifiuto diventano nuova materia prima”, spiega Guido Bertola, professionista della rete di comunicatori indipendenti “Smarketing”. Per rinnovare e tenere in vita la manifattura delle sorelle Bertola, sue zie pratesi, Guido e i cugini artigiani Beppe e Sara Allocca hanno rinnovato l’immagine della ditta -rinominata “Lo fo io” – e lanciato il nuovo progetto “Rilana”: una linea di scaldacolli, sciarpe, cappelli e guanti con una parte di lana rigenerata e non ritinta, realizzata interamente a Prato da piccole realtà artigiane.
La linea di prodotti è il risultato di un meticoloso lavoro di collaborazione tra diverse professionalità: i cenciaioli selezionano in base alla fibra e al colore gli indumenti usati e scarti di lavorazione, da cui ricavano la materia prima rigenerata (detta anche “lana meccanica”); i filatori si occupano del passaggio successivo per produrre il filato tramite la cardatura; quindi gli artigiani di “Lo fo io” trasformano i filati in accessori invernali rigenerati.
Le zie, specializzate nella maglia fine, producono guanti fatti per il 98% di cashmererigenerato, il cappello “fine” e il “ganzo”, uno scaldacollo che diventa cappello, di lana merino (50%) e cashmere rigenerato (50%) oppure di lana rigenerata (40%), poliammide (22%), seta (20%) e altre fibre. “Non è sempre facile trovare filati di questo genere, quindi di volta in volta lavoriamo con diverse composizioni di fibre, cercando le combinazioni migliori”, spiega Guido, aggiungendo che la comunità del distretto tessile pratese “permette una collaborazione con altre manifatture, specializzate in lavorazioni diverse della maglia”. Questo ha consentito a “Rilana” di ampliare il catalogo con altri prodotti come lo “scalda” tubolare o il cappello “balza” e il “marinaio”, realizzati con filati di medio spessore, per l’80% di cashmere rigenerato e per il 20% di cascami di lana (i residui della lavorazione) e più recentemente anche con filato composto da 98% di cashmere.
In questo modo, la filiera di “Lo fo io” si sta accorciando, passando dalla lavorazione conto terzi alla vendita diretta ai consumatori, “dalla rocca alla gente”, come dice lo slogan della manifattura. I prodotti -che hanno prezzi accessibili, tra i 18 (il “ganzo”) e i 45 euro (per l’“elaborata”, la sciarpa di filatura media, intrecciata)-, sono oggi venduti direttamente in un piccolo negozio nel centro della città di Prato: un negozio “rigenerato” nell’ambito del progetto “Pop Up Lab Prato”, a pochi chilometri dal laboratorio-bottega, recentemente trasferito in città in via Gigli.











Grazie a un cofinanziamento dell’assessorato alla Presidenza, partecipazione e sicurezza urbana della Regione Toscana, tra i fondi destinati alla sicurezza urbana, con “Pop Up Lab” il Comune di Prato ha infatti messo a disposizione gratuitamente per tre mesi 19 fondi commerciali sfitti, con l’obiettivo di valorizzare due vie abbandonate, via del Serraglio e via Muzzi. “Dopo aver stretto un accordo con i proprietari dei fondi, abbiamo attivato una selezione finalizzata a selezionare attività commerciali, artigianali, imprese e start-up interessate a insediarsi negli spazi riaperti, dovendo sostenere solamente le spese per l’allestimento”, racconta Cristian Pardossi, della cooperativa “Sociolab” e presidente dell’associazione promotrice del progetto. La prima fase del “Pop Up Lab Prato” si conclude a metà gennaio, con la speranza che “le attività ospitate in questi tre mesi possano insediarsi stabilmente negli spazi riaperti”.
Il primo sostenitore e collaboratore di “Rilana” è stato Gianbattista Belotti, appassionato di prodotti ecologici e artigianali, che ha conosciuto Guido grazie a “Smarketing”. Nelle fiere dedicate all’ecologia e al consumo critico, li potete facilmente trovare fianco a fianco: se spostate di poco lo sguardo dai “ganzi” di “Rilana”, nel banco accanto vedete le “Altreborse” di Gianbattista e Annarita. “Non avendo le abilità necessarie per produrre una mia linea di prodotti”, infatti, Gianbattista ha deciso di vendere quelle altrui tramite la piccola ditta “Tempobiologico” di Ospitaletto (Bs) e nel 2010 ha avviato con Annarita Quaranta -titolare della bottega solidale “Roba dell’altro mondo” di Camogli (Ge)- un progetto di importazione diretta di borse artigianali. Le prime “Altreborse” erano cucite a Madrid da Rosario e Alvaro, una coppia di sudamericani trasferita dal 1989 in Spagna.
La linea di prodotti di “Rilana” è il risultato di un meticoloso lavoro di collaborazione tra diverse professionalità: cenciaioli, filatori e artigiani rigenerano i filati
Gianbattista è andato a conoscerli di persona dopo aver visto le loro creazioni in una fiera a Madrid ed è rimasto subito colpito “dall’atmosfera vivace dei colori dei tessuti e dalle poche e semplici attrezzature con cui lavoravano”, racconta. “In Argentina lavoravano il cuoio, ma in Spagna non hanno trovato una materia prima di qualità e hanno convertito la produzione sul cotone, allestendo un laboratorio al piano terra della loro casa”. Qui con Rosario e Alvaro lavoravano altre tre dipendenti, producendo borse colorate, dal taglio semplice, pratiche per l’uso quotidiano. La qualità che Gianbattista ha trovato nelle loro borse è prima di tutto l’essenzialità: “Con queste forme dal taglio pratico possiamo ignorare le mode per tornare alla funzione originaria di spostamento di oggetti nei nostri viaggi quotidiani”, spiega. Inoltre, erano borse fatte con tele recuperate dall’industria tessile, fallate o dai campionari: “Tutti tessuti di scarto, ma molto durevoli, che così hanno ritrovato una nuova vita e un rinnovato valore estetico”.











Nel 2013 però Rosario e Alvaro, ormai vicini alla pensione, decidono di ridurre la produzione entro tre anni alle sole borse che possono vendere direttamente in un mercato domenicale. Così, dal febbraio 2017, dopo aver rinunciato a far cambiare idea agli amici di Madrid, per tenere in vita il progetto “Altreborse”, Gianbattista e Annarita si sono messi alla ricerca di un altro partner e l’hanno trovato nell’atelier “Nuele” (“treccia” in lingua swahili) dell’associazione “Il mondo nella città” di Schio (Vi), nata nel 2000 per dare accoglienza e lavoro ai richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale (una storia che avevamo raccontato nel numero 152 di Altreconomia).
Il laboratorio di “Nuele”, aperto nel 2007, confeziona abiti, borse e accessori con tessuti recuperati da campionari, fabbriche e aziende agricole e ha oggi quattro dipendenti che vengono dall’Iraq, il Kurdistan siriano, il Togo e l’Italia, cinque rifugiati che sono tirocinanti part time. “A seguire questa nuova avventura di ‘Altreborse’ sono in particolare il sarto Arshad, curdo iracheno di 37 anni approdato a Catanzaro nel 2008, e Andrea, una volontaria che ci sta dando un aiuto importante nella costruzione del progetto”, spiega la responsabile Renata Dal Maistro. “Grazie a questa nuova collaborazione con Nuele ci sembra finalmente di chiudere il cerchio”, dice Annarita Quaranta, che diffonde il progetto “Altreborse” dalla sua bottega e nelle fiere. “Così il progetto guadagna una nuova valenza sociale, sostenendo il lavoro dei rifugiati -spiega-, anche se comporta un impegno maggiore per noi, perché stiamo cercando di apportare delle piccole migliorie ai modelli delle borse”. In questi mesi, sono stati numerosi gli incontri fatti con l’atelier per lavorare insieme sul nuovo design delle borse, usando delle tele di arredamento colorate e resistenti e il cotone rigenerato per le tracolle, “che prima erano in polietilene”, aggiunge Annarita. “Pensiamo che ci siano tutte le premesse perché questa nuova collaborazione possa essere a lungo termine, per incidere davvero sostenendo il lavoro dell’associazione ‘Il mondo nella città’ e continuando insieme a diffondere il progetto ‘Altreborse’”. Fino a oggi i sarti di “Nuele” sono arrivati a confezionare sette diversi modelli di borse (prima erano 22), ciascuna con il nome di un albero: un primo passo per un progetto che metterà radici nei prossimi mesi.

fonte: www.altraeconomia.it