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“Pronti a gestire il vuoto a rendere di qualsiasi oggetto”. Parla Lorenzo Pisoni di Pcup

Il cambiamento degli stili di consumo e dei modelli di business per passare dal paradigma lineare a quello dell’economia circolare, dall’usa e getta al riutilizzo, ha bisogno non solo di tecnologie, di innovazione, di fondi, di politiche. Ha bisogno anche di “educazione”. Il punto di vista di Lorenzo Pisoni co-founder di Pcap, la startup che ha inventato il bicchiere smart




Gli Stati Uniti non sono famosi per le buone abitudini alimentari e la dieta dell’americano medio è costituita in buona parte da cibo altamente processato e preconfezionato. Secondo un articolo di The New York Times del 2014, la quantità di cibi confezionati che gli americani consumano è del 31 per cento maggiore rispetto a quella di cibo fresco. Oltreoceano, poi, si mangia più spesso in giro e senza sedersi a tavola: si stima che gli americani consumino il 20% dei propri pasti in auto. Spesso si tratta di cibo da asporto preso dal ristorante di quartiere o, come accade sempre più di frequente per via del recente boom delle app di food delivery, di cibo consegnato a domicilio.

È una delle cose che più sorprende noi italiani quando ci ritroviamo a vivere o viaggiare negli Usa: l’onnipresenza del cibo da asporto. Anche la più classica delle cene in famiglia spesso consiste nell’ordinare piatti preparati al ristorante e consegnati a casa dei consumatori in una varietà di contenitori di materiali diversi, dalla plastica al polistirolo, dalla carta all’alluminio.

Pandemia di rifiuti

La pandemia ha peggiorato le cose: The International Solid Waste Association stima che l’emergenza sanitaria abbia fatto aumentare del 250-300% l’utilizzo di plastica monouso e uno dei motivi principali di questo aumento sarebbe la dipendenza dai contenitori usa e getta per alimenti da parte dei ristoranti che, costretti a chiudere al pubblico, potevano offrire solamente asporto o consegna a domicilio.

Tutto ciò produce grossi quantitativi di rifiuti, in particolare rifiuti plastici: secondo National Geographic, gli Stati Uniti usano circa 36 miliardi di utensili usa e getta all’anno. Insomma, ordinare pasti a domicilio equivale a ordinare spazzatura a domicilio. Lo scorso settembre, dopo 6 mesi di pandemia, il critico gastronomico di The Washington Post, Tom Sietsema, ha scritto un articolo in proposito, spiegando di aver conservato tutti i contenitori in cui gli era stato consegnato il cibo nei mesi precedenti e averne accumulati tanti da riempire un bidone da quasi 400 litri.

E, se è vero che molte città stanno progressivamente mettendo fuori legge i contenitori in materiali impossibili da riciclare, come quelli in polistirolo, è anche vero che le percentuali di riciclo sono ancora basse, oltre al fatto che il processo consuma energia. Meglio, quindi, sarebbe eliminare del tutto i contenitori usa e getta. Alcune aziende stanno iniziando ad affrontare il problema proponendo alternative al contenitore monouso, senza dover rinunciare alla comodità del pasto da asporto o consegnato alla porta di casa. Le idee sono tante e diversi sono gli approcci possibili.

Consegne senza peccato

A New York, una città che usa 200 milioni di chili di utensili usa e getta per ristoranti ogni anno, dopo qualche tentativo di programma pilota organizzato da agenzie della città, è nato di recente Deliverzero, un servizio di consegne a domicilio che mette a disposizione dei ristoranti contenitori riutilizzabili che poi lo stesso servizio ritira dalle case dei consumatori all’ordine successivo. In alternativa i clienti possono riportare i contenitori direttamente all’attività commerciale. È il ristorante che si occupa poi di lavare e sanificare i contenitori forniti da Deliverzero, come farebbe con piatti e altri utensili utilizzati all’interno del locale. Questa soluzione è pensata specificamente per New York, una città dove il ricorso alle app di food delivery è enorme e dove nessuno rinuncia facilmente alle comodità.

Con Deliverzero il consumatore usa la app come utilizzerebbe qualsiasi altra app per le consegne e i ristoranti possono scegliere di essere presenti su Deliverzero come su altre app. Il costo del servizio è molto contenuto (considerando anche che fa risparmiare al ristorante il costo dei contenitori usa e getta) e viene calcolato in base all’uso dei contenitori.

Vuoto a rendere

Diverso l’approccio di un’azienda della West Coast: a Portland, GoBox offre la possibilità di prendere in prestito contenitori riutilizzabili, in specifici punti vendita o ristoranti dove il consumatore acquista cibo, per poi restituirli. È poi il servizio stesso ad occuparsi di lavare e sanificare i contenitori che vengono poi distribuiti nuovamente a ristoranti e negozi. L’utente va sulla app solo per prenotare i contenitori, non per ordinare il cibo. Sarà poi il ristoratore che, alla consegna, confezionerà il cibo nei contenitori GoBox anziché in quelli usa e getta. Il servizio funziona con una sottoscrizione mensile che offre diverse opzioni a seconda delle necessità dell’utente.

Ha punti vendita in diverse zone del paese, invece, Just Salad, un’azienda che offre un approccio ancora diverso. Si tratta di una catena di fast food salutari dove il cibo da asporto e quello in consegna viaggiano all’interno di contenitori riutilizzabili. I consumatori ordinano online e poi riconsegnano i contenitori in uno dei punti vendita della catena che si occupa di lavarli e rimetterli in circolo. In questo caso, la possibilità per il consumatore di “fare la cosa giusta” è legata alla scelta di un marchio e di prodotti specifici. Il concetto è lo stesso anche nel caso di Fresh Bowl, che però non è una catena di ristoranti bensì di distributori automatici da cui il consumatore può acquistare insalate e altri cibi freschi in contenitori che poi possono essere restituiti al distributore stesso, guadagnando credito per acquisti successivi. Durante la pandemia, tuttavia, l’azienda ha sospeso il servizio e non è chiaro se riprenderà.

Mercato e regole

Altre aziende stanno sperimentando, a livello locale, soluzioni simili, ma quelli che abbiamo selezionato sono esempi che offrono una panoramica sui diversi possibili approcci al problema. Per evitare che una comodità si trasformi in disastro ambientale, le idee sono tante e diverse, ma per il momento le opzioni a disposizione del pubblico sono ancora limitate, si affidano all’iniziativa privata e lasciano al consumatore la responsabilità di fare la scelta più etica.

Sarà il mercato a decretare quali di questi modelli si diffonderanno, ma una spinta legislativa in questo senso potrebbe fare la differenza. In questo l’Europa sembrerebbe andare in una direzione diversa rispetto all’America, tradizionalmente più portata a farsi influenzare dal mercato che non da regolamentazioni dall’alto. Ma se è vero che nel vecchio continente tendiamo a prendere tutte le cattive abitudini del nuovo, dovremo esplorare anche le soluzioni ai problemi che quelle cattive abitudini generano.

fonte: economiacircolare.com




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HubWater: acqua corrente contro il monouso



Hubwater è una startup torinese che fa della transizione green e della lotta alle bottigliette monouso il suo core business. Valorizzando l’acqua corrente, quella erogata quotidianamente dai nostri rubinetti, e creando reti di distributori pronti ad offrire un refill gratuito della borraccia degli utenti, punta alla minimizzazione della plastica utilizzata e troppo spesso dispersa in ambiente. Risultato? Nel primo anno di attività si stima una riduzione della plastica immessa sul mercato pari a 200 tonnellate.

Ne parliamo con Filippo Quercetti, CEO e founder di HUB

Buongiorno Filippo. Cos’è Hub e quando nasce?

Hub è un approccio differente al consumo di acqua.
L’Italia è al secondo posto mondiale nel consumo di consumo di acqua in bottiglia dopo il Messico. Eppure l’acqua corrente italiana ha una qualità mediamente molto elevata. Hub cerca di fare in modo che l’acqua corrente torni ad essere un bene godibile e gratuito, e che chi eroga gratuitamente questo bene (ad Hub aderiscono bar e ristoranti) possa avere una visibilità maggiore e maggiori flussi di persone all’interno dei propri esercizi. Il servizio offerto diventa dunque un mezzo promozionale, attira clienti nuovi, facendo in modo che, a fronte della perdita di quel poco di fatturato che deriva dalla vendita di acqua in bottiglia, si riesca a generare maggior un maggior flusso e maggior volume di affari nel locale spostando le vendite su beni a più alta marginalità.

Durante i miei sei mesi all’Università di Berkley, in California, ho notato come l’utilizzo di borracce fosse estremamente diffusi e trasversale a classi sociali e generazioni. Ho visto una grande opportunità per generare qualcosa di utile anche in Italia ed Europa.
Abbiamo pensato di creare un network di locali che potesse distribuire gratuitamente ai nostri utenti acqua depurata, refrigerata ed eventualmente gassata, così da coprire il più ampio ventaglio di opzioni possibili per poter essere sostenibili nel proprio consumo d’acqua.
Hub è innanzitutto una sfida culturale: l’acqua corrente ha una qualità molto alta, ma per decenni siamo stati bombardati da pubblicità e azioni di marketing che ci hanno fatto passare il messaggio che la qualità dell’acqua imbottigliata è molto migliore di quella dell’acqua corrente. Messaggio assolutamente non realistico. Siamo cresciuti col dogma che l’acqua imbottigliata abbia una qualità maggiore. La nostra sfida è quella di spostare il consumo verso l’acqua corrente che ha una qualità nella peggiore delle ipotesi, pari a quella imbottigliata, ma ci risparmia il consumo di quei dieci grammi di plastica rappresentati dalla bottiglietta, oltre a consentirci un risparmio notevole.

Come si può aderire ad HubWater?

È molto semplice: per accedere al servizio, ovvero per poter avere diritto al refill nel locali convenzionati, è necessario avere la nostra borraccia, acquistabile nei nostri e-commerce o presso i nostri vari distributori. Il servizio è del tutto gratuito. L’utente, dopo aver acquistato la nostra borraccia, potrà consultare la nostra applicazione dove sono segnalati tutti gli esercizi aderenti alla rete di HubWater che tra l’altro sono caratterizzati da una decalcomania sulla vetrina. Sarà sufficiente presentare la nostra borraccia, il ristoratore la riconoscerà e procederà al refill gratuito.

Ad oggi lavoriamo solo su Torino ed abbiamo circa una novantina di locali convenzionati.

Quando è partito operativamente il progetto hub?

Abbiamo cominciato a sviluppare a maggio 2020 e siamo entrati sul mercato ad ottobre.

Hai detto che al momento Hub è solo su Torino. È in previsione uno sviluppo oltre i confini sabaudi?

Certamente pensiamo a potenziare la rete torinese, ma anche ad allargarci ad altri territori.
Il prossimo step, che salvo brutte sorprese dovrebbe compiersi agli inizi del 2022, sarà Milano.

Dopodiché ci sarà Roma. Una volta completato il trittico Torino, Milano e Roma, procederemo con l’estensione privilegiando tutti i poli universitari italiani.

Quanta plastica ha evitato Hub?

All’interno dell’App abbiamo un contatore che permette ad ogni singolo utente di tenere traccia della plastica evitata e dei soldi risparmiati. Purtroppo al momento i contatori non sono ancora “in rete”, non ne esiste uno generale. Stiamo ancora costruendo il database che ci permetterà di leggere questi dati. Possiamo però fare una stima: circa 200 tonnellate di plastica/anno su Torino. (S.C.)

fonte: esper.it


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Ricarica o riconsegna, in casa o in negozio… Ecco i 4 modelli di sistemi di riuso

Dai singoli prodotti venduti senza imballaggi – riso, pasta, cereali, frutta secca, detersivi ma anche dentifrici e cosmetici – ai sistemi di riuso che si diffondono in Europa, Usa, Giappone. Dal coinvolgimento della grande distribuzione fino alle start up. I sistemi di riuso, per ridurre gli imballaggi e riutilizzare quelli necessari, non sono più esperienze di nicchia ma avanguardie di un modo diverso di pensare i prodotti, i modelli di business e di consumo



Startup, progetti pilota, joint-venture tra piccole realtà innovative e grandi marchi interessati a sperimentare nuovi sistemi. A livello mondiale negli ultimi anni i progetti di riuso del packaging si sono moltiplicati e continuano ad aumentare ed evolversi in direzioni a volte molto diverse. Per mettere ordine tra le diverse opzioni disponibili, la Fondazione Ellen MacArthur (EMAF) ha ideato una classificazione che divide i sistemi di riuso dei contenitori in quattro tipologie, in base a dove si svolge la ricarica o a dove avviene la riconsegna dell’imballaggio vuoto.

Alcuni esempi non certamente esaustivi rispetto alla varietà di iniziative che crescono di settimana in settimana si possono trovare nel rapporto Upstream Innovation: a guide to packaging solutions della Emaf, un database di casi studio consultabile anche online. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le caratteristiche delle quattro diverse tipologie di sistemi.



1. Refill at home: la ricarica a casa tua

Si parla di sistemi “refill at home” quando il riempimento avviene a casa, usando ricariche spesso in formula concentrata confezionate da quello che viene definito “parent packaging” (letteralmente un ‘imballaggio genitore’) che si può acquistare online o in negozi fisici. In questo modello, il contenitore è di proprietà dell’utente: è lui a occuparsi del lavaggio e della eventuale igienizzazione. Sono un esempio di questa modalità i diversi prodotti del settore della detergenza per la casa e la cura del corpo che sono stati sviluppati da diverse startup negli ultimi 3-4 anni e più recentemente da multinazionali, come nel caso della linea Cif Refill di Unilever che impiega capsule di prodotto concentrato da sciogliere poi in acqua, oppure ricariche come nel caso dei deodoranti solidi della linea di Humankind. Per l’igiene dei denti ci sono gli esempi della statunitense Bite Toothpaste Bits e della britannica PÄRLA che hanno sviluppato delle pastiglie da usare al posto del dentifricio che possono essere acquistate online come sottoscrizione. In entrambi i casi si riceve un primo vasetto in vetro con la quantità di tavolette che coprono quattro mesi e successivamente le sole tavolette in confezione compostabile tramite servizio postale. Tra le diverse aziende che commercializzano detergenti concentrati con il servizio in abbonamento e con vendita online abbiamo tra le altre: Everdrop, Splosh e Blueland. Quest’ultima, ad esempio, vende contenitori riutilizzabili e tablet da sciogliere in acqua per ottenere detersivi e sapone per le mani: ogni compressa pesa due grammi e permette di ottenere più di mezzo litro di detergente. Lo stesso modello è adottato anche da Replenish, che però ha optato per una formula di concentrato liquido con ricariche che pesano poco più di 100 grammi sufficienti per realizzare sei flaconi di prodotto che vengono agganciate al flacone riutilizzabile con spruzzatore.
Alcuni dei grandi marchi che hanno sviluppato questi prodotti aderiscono anche ad altri modelli di riuso (li vedremo a seguire), che rendono gli stessi prodotti disponibili in negozi fisici (refill on the go) e/o distribuiti da piattaforme online come Loop. Questa piattaforma ha infatti come modello preponderante il “return from home”, ma ha integrato il business con i negozi fisici dei suoi partner del settore retail.

Questo dato fa capire quanto ampio sia il potenziale dei sistemi di riuso nello stimolare la collaborazione tra il mondo produttivo e distributivo tradizionale, nel liberare innovazione in nuovi modelli più circolari di erogazione dei prodotti, e nel contaminare positivamente tutti gli stakeholder per diventare parte del cambiamento verso una maggiore sostenibilità dei consumi.

2. Refill on the go: la ricarica la fai “in trasferta”

Con il sistema “refill on the go” è sempre l’utente a occuparsi del riempimento dei suoi contenitori, ma la ricarica avviene fuori casa, per esempio attraverso erogatori installati nei punti vendita. Qui gli esempi ispirati dalla filosofia Zero Waste sono molti anche in Italia, trattasi di negozi di prodotti sfusi legati sia a catene come Negozio leggero, sia negozi indipendenti che fanno capo alla rete dello sfuso o che sono mappati da Sfusitalia.it. Ma è in Francia che si registra un grande fermento con associazioni multi-stakeholder come la storica Réseau Consigne e Réseau Vrac che da un lustro promuove i modelli di vendita sfusa che sono entrati a pieno titolo nella legislazione francese in quanto tutti gli emendamenti proposti da Réseau Vrac sono stati adottati dall’Assemblea nazionale come parte del disegno di legge sul clima e la resilienza.

Nella grande distribuzione generalista, esperienze molto interessanti si trovano principalmente in Gran Bretagna. Il marchio della grande distribuzione Waitrose ha avviato nel 2019 la sperimentazione Unpacked affiancando ai prodotti confezionati alternative sfuse, sia nel caso di freschi e gastronomia da asporto, sia per vino, birra e detergenti, con prezzi inferiori del 15%. Il progetto è iniziato in un supermercato di Oxford e, secondo quanto riportato sul sito web di Waitrose, coinvolge altri tre punti vendita. I risultati sono stati definiti da subito “fenomenali” dall’insegna: le performance di vendita dei prodotti sfusi registrate nei primi mesi di avvio del progetto sono state maggiori del 68% rispetto agli stessi prodotti confezionati. Dati più aggiornati vedono le vendite di prodotti ricaricabili cresciute in media del 9% in quattro dei suoi negozi Unpacked negli ultimi sei mesi, con le vendite relative a ortofrutta surgelata aumentate di oltre il 50%, le vendite di detergenti cresciuti del 24% mentre per legumi, pasta e cereali la crescita arriva a quasi l’8%.



Nel 2019 anche un’altra insegna britannica, Marks and Spencer, ha avviato il servizio Fill Your Own nel supermercato Hedge End e lo ha poi esteso ad altri due punti vendita. A un anno dall’avvio del progetto, l’azienda ha reso noto che oltre il 30% dei prodotti offerti in versione sfusa stavano vendendo più di quelli imballati. M&S ha appena annunciato l’intenzione di estendere l’iniziativa ad altri otto punti vendita sparsi nel Regno Unito visto il successo del pilota che consentirà ai clienti di acquistare sfuse più di 60 referenze di generi alimentari tra cui pasta, riso, cereali, noci, prodotti da forno e frutta congelata. La mossa supporta l’obiettivo dell’insegna di evitare l’impiego di oltre 300.000 unità di imballaggi monouso nei prossimi 12 mesi.

A questi si aggiunge un terzo progetto in ambito GDO, quello di Asda, che ha avviato una sperimentazione a Leeds a ottobre 2020 con l’obiettivo di capire meglio le tendenze di acquisto di prodotti sfusi ed estendere poi la nuova offerta ad altri punti vendita. Allo scopo di coinvolgere il maggior numero possibile di clienti Asda sta collaborando con diversi marchi che commercializza per trovare più opzioni di acquisto da implementare allo stesso tempo sempre basate sul concetto di ricarica e riuso, interagendo con i suoi clienti in diverse parti del Regno Unito. Sono quattro le nuove aperture previste di negozi che offrono le stesse opportunità di acquisto sfuso del punto vendita di Leeds nei prossimi mesi. In particolare aprirà a York in ottobre con 18 postazioni che offriranno oltre 70 prodotti di marca e a marchio proprio acquistabili con contenitori ricaricabili sia nel settore alimentare che della detergenza. Da quest’anno Asda ha inserito in tutti i suoi punti vendita sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta.

Sempre il modello “refill on the go” comprende progetti di refill avviati anche da insegne di profumerie, come The Body Shop o L’Occitane. Interessanti sono i modelli di joint-venture tra multinazionali e marchi della grande distribuzione, che ospitano erogatori per la ricarica di prodotti sfusi. È il caso degli shampoo Unilever venduti alla spina nei supermercati Walmart in Messico, dei detersivi Henkel nei supermercati Rossmann in Repubblica Ceca oppure dei detergenti We love Nature (Henkel) nei supermercati Kaufland in Germania.

In Francia l’azienda cosmetica CoZie (Cosmétique Objectif Zéro Impact Environnemental ) ha sviluppato un sistema specifico denominato la Dozeuse per erogare prodotti cosmetici sfusi come creme, detergenti e altri prodotti per il viso che consente di acquistare piccole quantità di prodotto.

I diversi prodotti all’interno della macchina erogatrice sono contenuti in sacche sottovuoto che garantiscono una conservazione ottimale impedendo che il prodotto entri in contatto con la macchina, nel rispetto dei più rigorosi standard igienici e di tracciabilità per i prodotti cosmetici.

Con il primo acquisto viene aggiunto al prezzo del prodotto 1,5 euro che corrisponde al prezzo del flaconcino in vetro. Lo stesso importo viene detratto dall’acquisto successivo quando si riporta il contenitore vuoto nei negozi che vendono cosmetici CoZie. I contenitori vengono recuperati e lavati centralmente da CoZie che provvede a ridistribuirli ai punti vendita. Fino ad ora CoZie ha utilizzato le sue macchine solamente per i propri prodotti ma sta integrando la sua offerta con marchi esterni per altri prodotti come shampoo e gel doccia.

Indubbiamente CoZie ha il merito di avere aperto la strada alla vendita sfusa nel settore della cosmetica ed è probabile che altri marchi e prodotti del settore introducano prossimamente una tecnologia simile all’interno dei punti vendita.



Tra le joint venture che hanno coinvolto start up e grandi marchi di prodotti di consumo non si può non citare in termini di innovazione i casi studio delle start up Algramo e Miwa che continuano a perfezionare e implementare il proprio modello di business.

Algramo

Algramo è stata fondata nel 2013 in Cile da José Manuel Moller, con l’obiettivo di abbattere la cosiddetta “tassa sulla povertà” generata dall’alta incidenza del costo degli imballaggi sul prezzo dei prodotti. In alcuni anni erogatori di prodotti di vario tipo, dal riso ai detersivi, sono stati installati in oltre 2000 piccoli supermercati di quartiere. Nel 2018 ha preso il via la partnership con Unilever: accanto agli erogatori alla spina presenti nei negozi fisici, è nato anche un servizio di ricarica a domicilio che avviene prenotando tramite app il passaggio di stazioni di refill itineranti montate su un furgoncino e tre ruote. Ricarica e pagamento avvengono entrambi tramite l’app Algramo che si interfaccia con l’etichetta Rfid di cui il flacone è provvisto. Nel tempo la gamma dei prodotti e le partnership si sono ampliate e oggi tra le collaborazioni ci sono anche quelle con i marchi Colgate e Nestlè.


Miwa

Anche Miwa basa il suo funzionamento sull’internet delle cose: è un sistema di dispenser modulari da cui è possibili rifornirsi attraverso appositi contenitori riutilizzabili provvisti di un’etichetta Rfid che comunica con l’erogatore e la cassa del negozio: non c’è pertanto bisogno di pesare il contenuto o scansionare ulteriormente l’etichetta. L’app consente di pagare, ma fornisce anche informazioni sui prodotti acquistati. Creato nel 2014 nella Repubblica ceca, il sistema oggi è operativo a Praga e in diverse località della Svizzera. A maggio 2020 ha infatti preso il via la partnership con Nestlé, per la commercializzazione di cibo per animali e caffè solubile nei suoi punti vendita elvetici attraverso i dispenser del sistema Miwa. Partito come progetto pilota da tre negozi Nestlè, oggi è attivo in 15 punti vendita. Nestlé sta ora valutando la fattibilità di sfruttare la tecnologia degli erogatori per altre categorie di prodotti, oltre a testare la fattibilità operativa delle soluzioni nei supermercati più grandi lungo la sua catena di approvvigionamento. Miwa fornisce ai produttori (offerta B2B) i suoi contenitori intelligenti riutilizzabili che vengono riempiti per erogare merci sfuse come riso o detersivo per bucato e i moduli o scaffali intelligenti dotati di valvole di rilevamento a controllo elettronico con interfaccia utente. Ai clienti B2C viene offerto un imballaggio riutilizzabile e app corrispondente che collega tutti i moduli del sistema consentendo un riutilizzo in autonomia. Secondo la start up sulla base di una valutazione del ciclo di vita (LCA), la loro soluzione è progettata per ridurre l’impronta ambientale fino al 71% rispetto ai modelli di consumo lineare, utilizzando solo il 10% di materiali di imballaggio rispetto all’impiego monouso e con un 62% in meno di impronta di carbonio.



Tazze e bicchieri da passeggio

Abbiamo poi tutto il settore dei contenitori riutilizzabili dai bicchieri, alle tazze ai contenitori di varie forme e dimensioni che all’estero stanno vivendo un proprio boom negli ultimi 3 anni a partire dai sistemi di tazze riutilizzabili da passeggio (on the go). Ecco qualche iniziativa per rendere l’idea tra quelle attive in Europa che rendono possibile a singoli, aziende e istituzione varie l’utilizzo di tazze riutilizzabili anche in occasioni di eventi. Alcune sono partite con il sistema refill on the go in cui la proprietà del contenitore appartiene al cliente ma integrando anche altre formule a seconda dei clienti se singoli, aziende e istituzioni o organizzatori di eventi.

La catena indipendente di caffetterie Boston Tea Party è stata l’unica nel suo genere a interrompere definitivamente nel 2018 l’utilizzo di monouso e a servire le sue bevande calde e fredde in contenitori riutilizzabili nelle sue 23 caffetterie. I clienti portando la loro tazza ricevono 25 pence di sconto sul prezzo della bevanda e quando la dimenticano possono prenderne una a fronte di una cauzione che recuperano riportandola.

Segue menzione di alcune tra le iniziative in corso che possono includere sia il modello “refill on the go” in cui l’utente rimane proprietario del contenitore che il “return on the go” anche nella modalità del PaaS (Product as a service) dove una società terza gestisce le tazze per conto del rivenditore di bevande che paga una fee per ogni utilizzo della tazza. Nel Regno Unito: CupClub; in Germania: Freiburg Cup, ReCup, CupforCup, FairCup. Seguono altri esempi come : BillieCup (Belgio), Muuse (Singapore), Vessel (California).

Sempre in UK la piattaforma Loop che viene descritta nella sezione dedicata al modello “return from home” ha lanciato un progetto pilota in collaborazione con McDonald per testare l’impiego di tazze riutilizzabili in 6 punti vendita selezionati del Regno Unito allo scopo di ridurre i 2,5 miliardi di tazze di caffè monouso che finiscono in discarica ogni anno. I sei esercizi sono stati selezionati per la loro vicinanza al centro di lavaggio che serve la piattaforma Loop ma l’idea è quella di estenderlo a tutti i 1.300 ristoranti del gruppo del Regno Unito, e si spera anche ai 36.000 a livello globale. Per ovviare al fatto che i clienti dimenticano la propria tazza o non vogliono portarla in borsa dopo l’uso presso i caffè partecipanti della catena si otterrà uno sconto di 20 centesimi su ogni caffè, tè o cioccolata calda chiedendo una tazza riutilizzabile.

I clienti pagano un deposito di 1 sterlina che ricevono indietro, in contanti o come credito su un’app quando restituiscono la tazza. Quest’ultima può essere restituita immediatamente dopo la consumazione oppure in un momento successivo. I punti di consegna che verranno presto implementati includono anche postazioni ospitate nei supermercati della catena Tesco il partner della Gdo di Loop nel Regno Unito.

In Italia

Nel settore dei contenitori intelligenti l’apripista per l’Italia è stato Pcup, un bicchiere termico in silicone praticamente indistruttibile che è stato adottato in diversi eventi sparsi nella penisola. Il bicchiere realizzato in Italia contiene un chip sul fondo che consente di associare il bicchiere all’account dell’applicazione appoggiandolo sul telefono. Una volta che il bicchiere viene interfacciato con l’account è possibile ordinare le bevande da consumare per sé e altri utilizzando il credito caricato sull’app senza code alla cassa e ad accedere ad altre funzioni personalizzabili. I dati raccolti attraverso il bicchiere permettono di quantificare l’usa e getta risparmiato all’ambiente ma anche di acquisire informazioni interessanti per pianificare e progettare servizi mirati alle diverse tipologie di utilizzo tra eventi e applicazioni a locali della movida, ad esempio, ottimizzando i costi e prevenendo sprechi di ogni tipo.

Contenitori da asporto

Nel settore dei contenitori per cibo da asporto – non ancora affollato come il settore delle tazze – ci sono operatori della ristorazione pionieri come Just Salad che iniziò già nel 2006 a mettere a disposizione dei clienti un’alternativa riutilizzabile per l’asporto nei suoi ristoranti a New York. Recentemente ha sviluppato un programma di ordinazione online che prevede un servizio di consegna con ciotole riutilizzabili sia nella formula “return from home” che “return on the go”, che viene spiegata nella seconda parte dell’articolo.

Nella formula “Return on the go” il cliente è tenuto a riportare la ciotola entro due settimane dall’ordine per non incorrere nell’addebito di una piccola fee per ogni giorno in più che passa dal 14° giorno.

Tra le new entry che meritano una speciale menzione abbiamo ShareWare una piattaforma appena lanciata a Vancouver che offre a singoli e aziende la possibilità di aderire tramite un’app per potere usufruire di un servizio di noleggio di contenitori riutilizzabili – sia per cibo che bevande da asporto – che vengono poi recuperati, igienizzati e rimessi in circolazione. L’aspetto interessante del modello di ShareWare sta nel servizio di wash-as-a-service che mettono a disposizione di altre aziende con sede a Vancouver che sono alla ricerca di un partner di lavaggio su scala commerciale per i loro contenitori.

ReCIRCLE è nata nel 2016 in Svizzera come prima impresa sociale specializzata nella fornitura di contenitori riutilizzabili per piatti e bevande da asporto a ristoranti, campus universitari, aziende ed altri soggetti. Al momento è operativa e consolidata in Svizzera e Germania ma con l’ambizione di esportare il modello in altri paesi con alcune iniziative in fase di definizione o in partenza in Estonia, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Italia.

Il sistema basato sul modello product as a service vede gli utilizzatori del servizio pagare una commissione sull’utilizzo dei contenitori scegliendo la tipologia di contratto più congeniale alla loro attività. Anche ReCIRCLE sta passando per una parte dei suoi contenitori a una gestione digitale del deposito tramite la ReCIRCLE APP che permette altre funzioni come accedere alla lista di locali che aderiscono al sistema o aderire a programmi di fidelizzazione.

Per quanto riguarda l’Italia l’iniziativa in collaborazione con ReCIRCLE prevede la creazione di circuiti di riutilizzo dei contenitori in alcune attività di ristorazione (NoPla Take Away) e nei bar (NoPla Drink). Il progetto parte a Milano dove coinvolgerà una quarantina di ristoratori e una ventina di bar.

Per citare qualche caso studio europeo – partendo dalla Germania e Olanda dove c’è particolare fermento – non c’è che l’imbarazzo della scelta. In Germania opera Rebowl, in Olanda abbiamo Ozarka ora in partnership con Deliverzero, PackBack, Swap-box in fase di lancio ad Amsterdam e Deliveroo operativo anche in Belgio.

Come nel caso delle tazze da passeggio queste iniziative che coinvolgono i contenitori da asporto possono operare sia nella formula “refill on the go” che “return from home” .

3. Return from home: il vuoto si ritira a domicilio

Nel caso in cui la ricarica dei contenitori non venga effettuata direttamente dagli utenti, ma siano le aziende a riempirli (soprattutto se serve l’igienizzazione), le alternative sono due, e qui arriviamo al terzo e al quarto modello applicabile ai sistemi di riuso e ricarica degli imballaggi: “return from home” e “return on the go”. In entrambi i casi i contenitori non sono di proprietà degli utenti e vengono caricati di una cauzione che viene riaccreditata ad avvenuta restituzione dei contenitori. Nei sistemi che seguono il modello “return from home”, il contenitore vuoto viene ritirato a domicilio da un’impresa incaricata, per esempio in occasione della consegna di nuovi prodotti, e in molti casi attraverso servizi in abbonamento che consentono una fidelizzazione del cliente e un’ottimizzazione delle operazioni di ritiro e sanificazione degli imballaggi.




Il progetto Loop basa il suo funzionamento su entrambi i modelli dal momento che i clienti della piattaforma possono non muoversi da casa (return from home) oppure rendere i contenitori vuoti presso i punti vendita che fanno parte della rete attraverso apposite reverse vending machine posizionate allo scopo (return on the go). Nonostante sia passato poco più di un anno dal suo lancio nei primi Paesi il sistema, che coinvolge grandi marchi leader dei prodotti di largo consumo, ha già fatto scuola nel suo genere. Si tratta di una piattaforma che permette di acquistare sul proprio shop online più di 500 prodotti dei marchi più noti a livello globale: quando il prodotto è finito, l’imballaggio viene ritirato a casa dell’utente, può essere portato in un punto UPS oppure presso negozi fisici. I contenitori vengono successivamente igienizzati, ricaricato e messi nuovamente in commercio.

Una parte importante del progetto ha riguardato la completa riprogettazione degli imballaggi avvenuta in collaborazione con i diversi marchi. Se l’imballaggio primario dei prodotti è stato ripensato per poter essere sottoposto a numerosi cicli di riuso anche l’imballaggio secondario che contiene i prodotti acquistati ha cambiato pelle: a casa dei destinatari non arriva più una scatola in cartone da smaltire ma una box riutilizzabile, da usare per la restituzione dei contenitori vuoti. L’utente paga una quota di deposito per i contenitori che viene riaccreditata quando vengono restituiti: il credito può essere gestito facilmente tramite app e utilizzato per nuovi acquisti.

Creato dalla società di riciclo Terracycle, Loop ha avviato i primi progetti pilota di commercializzazione di prodotti in imballaggi riutilizzabili nel periodo dello scoppio della pandemia, tra marzo e aprile 2020, a Parigi e New York. Ad oggi sono attive partnership con più di 30 marchi, sia di prodotti di largo consumo come Pantene, Purina, Tide, sia di insegne della grande distribuzione tra cui Tesco in UK, Kroger e Walgreens in USA , Aeon in Giappone e Carrefour in alcune aree della Francia. Il lancio in Canada, Germania e Australia è previsto a metà del 2021, mentre già da ottobre 2020 è stato avviato, a partire dalla Francia, lo sviluppo del progetto con postazioni Loop nei negozi fisici. Anche in Giappone sono 19 i punti vendita dell’insegna Aeon ad ospitare una postazione Loop.



Un esempio che arriva dal Regno Unito è il servizio Club Zero sviluppato dal rivenditore online Abel & Cole che permette ai suoi clienti di acquistare alimenti secchi come cereali, legumi, cioccolato, riso e pasta in semplici contenitori riutilizzabili low cost senza addebito di deposito. I contenitori sono stati disegnati con in mente la funzionalità nel trasporto evitando così che i clienti siano tentati di trattenerli. I contenitori vuoti vengono riconsegnati all’interno di una box riutilizzabile quando ricevono una nuova consegna.

Anche il progetto olandese Pieter Pot, ricalca il modello “return from home”. Si tratta di un circuito che commercializza prodotti alimentari secchi in barattoli e bottiglie di vetro, permettendo agli utenti di riconsegnare quelli vuoti alla consegna dell’ordine successivo: il consumatore paga un deposito che viene riaccreditato una volta che restituisce i vuoti. Al momento il sistema, attivo in alcune zone dei Paesi Bassi, ha 3.000 utenti sta riscuotendo parecchio interesse al punto che conta una lista di attesa di altri 30.000.

4. Return on the go: usa il contenuto e riporta il contenitore

Nel modello “return on the go”, come accennato, i consumatori acquistano un prodotto in un contenitore riutilizzabile che non rimane in loro proprietà ma va restituito presso punti vendita (possono essere più di uno e parte di una rete) o altri luoghi di raccolta anche tramite reverse vending machine (RVM) o distributori automatici inversi.

Qualora assoggettati ad una cauzione, la medesima viene riaccreditata una volta che i contenitori vengono restituiti. I contenitori usati vengono raccolti igienizzati e redistribuiti nei punti vendita al dettaglio o dove avviene la somministrazione dei prodotti che veicolano.

Sono comunque diverse le iniziative “ibride” anche tra quelle accennate in precedenza che non possono essere inserite in una sola categoria in quando permettono più modalità nella resa e gestione dei contenitori che può essere decisa dall’operatore. È sicuramente il caso delle tazze da passeggio che per comodità sono state raccolte nella sezione “refill on the go”.

Esempi nel servizio ristorazione sono Dabbadrop nel Regno Unito e Belgio, Reusabol a Barcellona, Relevo e Vytal che sono attivi in diverse città della in Germania. Quest’ultimo non offre solamente tazze e contenitori nei formati classici per piatti pronti e prodotti di gastronomia ma anche contenitori adatti per l’asporto di pizze e sushi.

Al sistema esistente prima della pandemia si è affiancato un nuovo servizio che prevede anche la consegna e ritiro dei contenitori: Vytal, Reusable Packaging-as-a-Service. Dalla scorsa estate è in essere una collaborazione con Rewe (seconda catena della GDO tedesca per fatturato) per rendere disponibile il riutilizzo dei contenitori nelle postazioni salad bar a libero servizio dell’insegna. Vytal ha posizionato allo scopo delle reverse vending machine (RVM) nei sei punti vendita che partecipano al pilota per ritirare i contenitori puliti e rendere quelli usati da igienizzare con una procedura digitale gestita tramite un’App e la scannerizzazione del QR code che include il pagamento alla cassa. Un’ultima collaborazione raggiunta con Gorillas, un servizio consegna spesa a casa in bici, permette l’impiego dei contenitori riutilizzabili per alcune referenze vendute sfuse dal rivenditore nel negozio fisico.

Un altro esempio per questo modello ancora nella ristorazione è il sistema statunitense OZZI, pensato per garantire un ciclo chiuso per i contenitori per i pasti fuori casa, con macchine per il deposito dei contenitori vuoti e un sistema per il riaccredito della cauzione pagata dal consumatore. Il sistema è pensato sia per ristoranti con pasti da asporto, sia per luoghi pubblici come college, università, mense aziendali, ospedali.



Altri esempi di riutilizzo dei contenitori che ricalcano il vecchio vuoto a rendere delle bottiglie del latte arrivano dalla Germania dove tradizionalmente esiste un sistema di vuoto a rendere di vasetti in vetro utilizzati per gli yogurt da alcune importanti aziende lattiero-casearie in Germania. Recentemente alcune aziende come Bananeira, Unverpackt für Alle e Fairfood hanno aderito al sistema (e all’infrastruttura esistente di recupero e riutilizzo di questi contenitori) impiegandoli per loro prodotti che non richiedono refrigerazione, venduti principalmente nei negozi biologici. I consumatori possono restituire i contenitori vuoti grazie a una rete di distributori automatici inversi (reverse vending machine) presenti nei supermercati, in modo che possano essere riconsegnati ai produttori che li utilizzano e che sono responsabili dell’igienizzazione prima della ricarica.




fonte: economiacircolare.com


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Città circolari per cambiare il sistema alimentare. Spazio alle giovani start up

Entro il 2050 l'80% di tutto il cibo sarà consumato nelle città, dicono le stime. Per questo l'Università di Torino in collaborazione con Leadership Group on Food waste, food systems and the bioeconomy e ECESP hanno organizzato un evento #EUCircularTalks sul ruolo delle città nella transizione circolare nei sistemi alimentari.



Dialogo, proposte, iniziative e soluzioni. Per trasformare in chiave circolare il sistema alimentare delle nostre città, l’Università di Torino in collaborazione con Leadership Group on Food waste, food systems and the bioeconomy e ECESP hanno organizzato un evento #EUCircularTalks sul ruolo delle città nella transizione circolare nei sistemi alimentari. Lo scopo di questi incontri non è solo ricordare l’insostenibilità del sistema alimentare europeo attuale – gestioni rifiuti, spreco, emissioni di CO2 – elencando solo le possibili soluzioni, ma anche condividere informazioni e buone pratiche che guidino la transizione nella direzione giusta.
Visione olistica, economia circolare e dialogo tra gli stakeholder

“Cambiare il sistema alimentare è molto complesso – spiega a EconomiaCircolare.com Paola De Bernardi, organizzatrice dell’evento e docente di Circular Economy Management all’Università di Torino – perché è costituito da parti interconnesse fra loro che spesso e volentieri presentano dei paradossi. Quando si risolve un aspetto, ci sono spesso conseguenze negative su altri aspetti su diversi ambiti. C’è sempre una fase di sperimentazione che richiede dei tentativi”.

“Durante la pandemia l’unica filiera funzionante è stata quella del cibo e questa è una buona notizia – dice all’#EUCircularTalks Peter Schmidt del Comitato Economico e Sociale Europeo (EESC) –. Già nel 2016 si parlava di un approccio olistico al fine di implementare un sistema alimentare sostenibile. Le politiche alimentari in territorio urbano non sono uniformi a livello europeo. La domanda è come ottenere politiche alimentari globali?”. Quello che serve è una visione olistica che coinvolga gli imprenditori in grado di creare virtuose simbiosi. “La visione olistica da adottare può avvenire solo con la partecipazione di tutti gli stakeholder che gravitano attorno al food system, non soltanto chi produce – aggiunge Paola De Bernardi –: la logica della visione sistemica della transizione verso un’economia circolare va intesa sui più livelli e più stakeholder”.

Il potenziale del sistema alimentare in città circolari

Nel sistema alimentare esistono criticità nelle fasi di produzione e consumo delle risorse. Si riscontrano impatti negativi nel consumo di cibo come obesità, malnutrizione e fame, ma anche nella produzione con effetti economici, ambientali e di salute. “Eliminare i rifiuti e l’inquinamento, tenere i materiali in vita, e rigenerare i sistemi naturali attraverso le biomasse – sottolinea Emma Chow della Ellen MacArthur Foundation Food initiative citando il report Cities and Circular Economy for Food uscito nel 2019”. Dal momento che l’80% di tutto il cibo sarà consumato nelle città entro il 2050, il documento sottolinea l’importanza fondamentale nell’attuare un sistema rigenerativo per il lungo termine. “Emergono tre ambizioni principali – aggiunge Emma Chow –: procurarsi cibo coltivato in modo rigenerativo e a livello locale; valorizzare il cibo; progettare e commercializzare prodotti alimentari più sani. Queste tre ambizioni avranno un impatto maggiore se perseguite contemporaneamente ed entro il 2050 potrebbero sbloccare benefici complessivi per un valore di 2,7 trilioni di dollari all’anno”. Ne trarrebbe giovamento anche l’ambiente “con una riduzione delle emissioni di gas serra di 4,3 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2, una riduzione dei costi sanitari associati all’uso di pesticidi di 550 miliardi di dollari, insieme ad altri benefici per la salute e un’opportunità economica per le città di ridurre lo spreco alimentare e fare un uso migliore dei sottoprodotti alimentari, per un valore di 700 miliardi di dollari”.

Spazio alle giovani startup

Questa EU Circular Talk è stata anche l’occasione per dare spazio alle iniziative lanciate dalle giovani startup che nei tavoli delle grandi corporate hanno poca voce in capitolo. “La loro testimonianza non è soltanto una presentazione di modello di business che funziona ed è profittevole – sottolinea Paola De Bernardi che sta gestendo diversi progetti circolari tra cui Girl on Circular, che mira a fornire a 50mila studentesse di età compresa tra 14 e 18 anni in tutta Europa competenze digitali e imprenditoriali – sono progetti che al loro interno creano modelli di educazione e di consapevolezza, il loro obbiettivo è influenzare il consumatore, il cittadino e il cliente grazie alla motivazione di fondo della start up”. Uno dei giovani italiani a partecipare all’incontro è stato Alessio D’Antino, CEO della Forward Fooding che grazie ai Big Data e tecnologie all’avanguardia supporta la riprogettazione del modo in cui le start up del cibo innovano.

“Bisogna ascoltare di più queste piccole realtà e supportarle dove sia possibile – conclude la professoressa De Bernardi –. Il grande cambiamento è guidato sempre dalle grandi aziende. Tuttavia si parte sempre dalla società civile, la partecipazione del cittadino è fondamentale per cambiare mentalità. Queste talk hanno la finalità di educare e creare consapevolezza”.

fonte: economiacircolare.com


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#VivoGreen: il #Negozio del #Futuro #Presente a #Terni

#RifiutiZeroUmbria @Cru_rz ha fatto la sua visita al negozio #VivoGreen di #Terni.









E' il #Negozio del #Futuro, dove si prova a #ridurre al #minimo gli #imballaggi, dove trovare #prodottisfusi o #prodottiallaspina, a #kmzero, dove viene #regalata #acqua alla #spina, un futuro che torna dal passato e che speriamo diventi #presente prima possibile #nonsoloaTerni per #ridurre #azzerare l'#impatto della #piccola e #grandedistribuzione che possiamo annoverare tra i #maggioriresponsabili della #produzionerifiuti #daimballaggio

Anna Rita Guarducci intervista David Milani, responsabile del negozio #VivoGreen


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