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Piccola guida per realizzare sistemi di riuso degli imballaggi efficaci

Dalle relazioni con le istituzioni alla scelta strategica dei partner (soprattutto logistici) e dei materiali, con la stella polare della semplicità e della convenienza: un report del Center for the Circular Economy di Closed Loop Partners analizza le best practice dei sistemi di riuso degli imballaggi e identifica indicazioni e criteri chiave di cui fare tesoro nel disegnare un modello di riuso efficace




Nonostante qualche difficoltà ad affermarsi in un modello di consumo basato sulla funzionalità e sulla comodità offerta dagli imballaggi usa e getta, la transizione verso nuovi modelli basati sul riuso dei contenitori e degli imballaggi è già partita. Non passa settimana senza che si registri la nascita di nuove iniziative che interessano anche le grandi marche multinazionali, per ora soprattutto all’estero. Tra le ragioni ci sono certamente i nuovi ambiziosi obiettivi sul clima e sulla sostenibilità complessiva da raggiungere entro i prossimi 5-10 anni. Sia quando applicati agli imballaggi industriali (business to business, B2B) per movimentare le merci in entrata e uscita dai centri produttivi e commerciali, sia per gli imballaggi primari (business to consumer, B2C), i modelli di riutilizzo offrono ampie opportunità e potenzialità nel supportare questi obiettivi.

Esperimenti e concorsi all’insegna del riutilizzo

Il Center for the Circular Economy di Closed Loop Partners, società di investimento newyorkese in prima linea nello sviluppo dell’economia circolare, ha recentemente pubblicato un rapporto che descrive le modalità da seguire per implementare sistemi efficaci basati su contenitori riutilizzabili e durevoli. Nel rapporto, intitolato Bringing Reusable Packaging Systems to Life. Lessons Learned from Testing Reusable Cups, gli autori attingono alle intuizioni e ai risultati emersi dai diversi progetti pilota di tazze riutilizzabili realizzati in gruppi (cluster) di locali nelle città di Palo Alto e San Francisco. Questi progetti hanno coinvolto startup come Recup, CupClub e Muuse, già operative nei rispettivi Paesi e vincitrici della Next Generation Cup Challenge, il concorso di progettazione globale promosso da NextGen Consortium.

“I modelli di riutilizzo sono uno strumento fondamentale nella lotta contro i rifiuti di plastica e vengono riconosciuti dalle aziende sempre più come una valida strategia di riduzione dei rifiuti”, spiega Kate Daly, che guida il Center for the Circular Economy. “Gli imballaggi e i bicchieri riutilizzabili rappresentano solamente un inizio; i modelli di ricarica e di noleggio che mantengono a lungo i materiali nei cicli economici sono pronti e si prestano a reinventare tutti i tipi di formati necessari ai prodotti e in più settori. Il futuro del riutilizzo è radioso e dobbiamo ora lavorare in modo collaborativo per raggiungerlo”.

A Daly si associa anche Chris Krohn, responsabile del progetto per OpenIDEO, piattaforma collaborativa per l’innovazione sociale. “Questo è il momento perfetto per progettare, implementare e scalare i modelli di riuso – commenta Krohn – poiché gli sviluppi tecnologici, la pressione normativa e la domanda di alternative più ecocompatibili da parte dei consumatori convergono. I risultati delle esperienze pilota aiutano a progettare al meglio un sistema che funzioni per tutti”.

Le lezioni chiave che sono emerse per i modelli “return from home” e “return on the go” possono interessare il settore della ristorazione nelle sue diverse forme ma anche i rivenditori di prodotti alimentari e non. I sistemi di tazze e bicchieri riutilizzabili sono un’opzione praticabile per aziende di tutte le forme e dimensioni e non solamente nel settore Horeca (alberghiero ristorazione e catering).

Queste indicazioni e criteri chiave di cui fare tesoro nel disegnare un modello di riuso efficace degli imballaggi coprono i seguenti ambiti: il coinvolgimento dei diversi stakeholder, le scelte da intraprendere sui contenitori e materiali, la selezione dei luoghi e dei circuiti appropriati per implementare un sistema, la scelta del giusto modello di pagamento e l’ottimizzazione dei protocolli di salute e sicurezza.


Prima regola: facilità e convenienza

Su un punto il report non ha dubbi: il prerequisito che tutti i sistemi di riuso degli imballaggi devono soddisfare è quello della facilità d’uso. Per promuovere una transizione dal monouso ai sistemi riutilizzabili l’interazione deve essere semplice e fornire un’esperienza senza interruzioni per aziende e clienti, oltre che conveniente.

Il sistema deve essere facilmente accessibile ed utilizzabile perché deve competere in primis con la convenienza e l’onnipresenza delle alternative monouso.

Quando si progetta o si implementa un sistema riutilizzabile per tazze o altri contenitori va tenuto presente che ogni fase è parte integrante del successo totale del sistema. Tutti i passaggi: dalla fase di informazione all’adesione al sistema, all’ordinazione e riconsegna del contenitore, e per finire con la fase di recupero, sanificazione e consegna del contenitore pulito vanno pianificate con cura. In particolare per affrontare quelle criticità che abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, sia sul fronte dei consumatori che degli altri soggetti coinvolti.



Scegliere i partner per gestire un modello efficace

I modelli di riutilizzo seppur nelle loro differenze (“refill at home”, “refill on the go”, “return from home”, “return on the go”) richiedono una logistica unica e complessa per mantenere la circolazione degli imballaggi per i diversi utilizzi ad un livello ottimale sia in termini di disponibilità che di requisiti igienici, funzionali ed estetici.



Essendo la fase di consegna dei contenitori ai punti di vendita al dettaglio maggiormente complessa, il ricorso a partner terzi specializzati in ritiro, trasporto e logistica inversa può rappresentare la strada da percorrere in molti casi.

In tal caso l’identificazione e la scelta di partner logistici che aderiscono a rigorosi protocolli di igiene e sicurezza, che hanno in essere meticolosi controlli di qualità è un fattore di importanza fondamentale che contribuisce al successo sul lungo termine di un modello.

Tra i principali attori che vengono solitamente coinvolti in un modello di riuso come logistica ci sono le aziende che operano nei settori della produzione e approvvigionamento degli alimenti oggetto del servizio e nella gestione dei contenitori.

Tra le attività di logistica inversa rientrano il ritiro e la riconsegna dei contenitori, la gestione delle scorte e del monitoraggio e tracciamento del sistema.

Indipendentemente dal fatto che un’azienda utilizzi dei partner esterni o sia totalmente autosufficiente, tutti i ruoli e procedure devono essere presidiati per garantire che tutti i passaggi cruciali non vengano trascurati. Ad esempio i passaggi come la gestione dell’inventario e il lavaggio dei contenitori offrono l’opportunità di individuare i manufatti non più idonei. Inoltre, è importante che vengano implementati i più alti gradi di standard igienici (ISO e antimicrobici) e includere nelle fasi di somministrazione e consegna i protocolli di sicurezza inclusi quelli anti- COVID-19.

Le partnership con il governo locale

In attesa di un quadro di riferimento nazionale che promuova e regolamenti i modelli di riutilizzo, lo stabilire collaborazioni con le amministrazioni comunali o altri enti e agenzie governative locali rappresenta la chiave per il successo dei modelli di riuso sul lungo termine. Tali collaborazioni possono portare anche allo sviluppo di misure normative ambientali locali.

Le misure vincolanti o volontarie già implementate con successo in alcuni Paesi promosse localmente possono includere:
Richiedere ai rivenditori di mettere a disposizione contenitori riutilizzabili per i clienti utilizzabili con l’addebito di una cauzione restituibile quando si riporta il contenitore vuoto. In alternativa vincolare i rivenditori a servirsi di fornitori di servizi basati sulla fornitura e ritiro di contenitori riutilizzabili come da modello PaaS (product as a service). Oppure accettare l’impiego di contenitori riutilizzabili da parte dei clienti prevedendo un’apposita procedura per prevenire eventuali rischi sanitari in concertazione con le autorità di riferimento come le Asl;
Concertare con i rivenditori un costo da addebitare sullo scontrino uguale per tutta la città per gli acquisti con imballaggio monouso e uno sconto per chi si serve di un contenitore riutilizzabile;
Emettere specifiche ordinanze che vietino il consumo di bevande e cibo da asporto all’interno di eventi o zone a rischio di dispersione di rifiuti nell’ambiente come parchi e riserve predisponendo l’accesso ad opzioni alternative per la fornitura degli stessi servizi di ristorazione normati da bandi di circular procurement.

Inoltre i governi locali possono promuovere con altre iniziative politiche la nascita di modelli di riuso: definendo standard operativi e sanitari che servano da riferimento e mettendo a disposizione risorse e strutture pubbliche che favoriscano l’insediamento di infrastrutture necessarie a livello di logistica come punti di riconsegna o per la sanificazione dei contenitori.

I sistemi di riuso possono rappresentare una risposta per i governi locali che hanno l’esigenza di ridurre i rifiuti e i costi di gestione correlati. In particolare i rifiuti da asporto sono una vera sfida al decoro urbano che assorbe risorse importanti agli enti locali. Nella città di Palo Alto, Chuck Muir, Manager dei Programmi Rifiuti Zero, dove hanno avuto luogo le sperimentazioni, ha rimarcato che la partecipazione dell’amministrazione al programma ha contribuito allo sviluppo di politiche a lungo termine messe in campo dall’ente per affrontare al meglio questo flusso di rifiuti.

“La collaborazione con i governi locali – ha dichiarato Brian Reilly, AD di Muuse, altro sistema di tazze riutilizzabili testato a Paolo Alto – può creare un vento oltremodo favorevole per i sistemi di riutilizzo e ispirare allo stesso tempo le loro politiche future. La politica, che rappresenta spesso l’anello mancante, può fare invece la differenza tra un’adesione del 10% o dell’80% dei soggetti potenzialmente coinvolgibili“.

Materiali adatti a garantire la durata

Il materiale e la tipologia di contenitore scelto è un altro elemento chiave nella progettazione di un sistema di riuso che ne determina anche il suo impatto ambientale.

L’opzione che si va ad individuare – considerando che tutti i materiali hanno un impatto ambientale e non esistono materiali sostenibili ma cicli di utilizzo sostenibili – dovrebbe garantire:
il maggior numero di utilizzi possibile;
la possibilità di essere rigenerato o ricondizionato;
la facilità di riciclo al termine della sua vita utile;
un’esperienza di consumo affidabile e piacevole per i clienti, in linea con le caratteristiche del marchio che l’adotta.

Sono diversi i materiali che vengono impiegati nella produzione di contenitori riutilizzabili in tutto il mondo a seconda dei diversi settori e delle caratteristiche dei prodotti. In generale si riscontra una prevalenza dei materiali plastici nei diversi settori che includono anche gli imballaggi del circuito industriale e commerciale. Trend che si registra anche nella ristorazione con una presenza minoritaria di contenitori in vetro e acciaio inossidabile.

Il modello di pagamento e di incentivi conta

Al fine di consentire e incoraggiare un uso regolare dei servizi che gestiscono gli imballaggi riutilizzabili l’utilizzo dei “giusti” incentivi economici, sistemi di pagamento e degli addebiti per i contenitori non restituiti, sono elementi fondamentali per determinare il successo di modelli che devono essere economicamente sostenibili anche sul lungo termine. Le entrate di questi modelli provengono da due fonti principali: transazioni con i clienti e le commissioni sostenute dalle aziende che utilizzano il servizio.

Per quanto riguarda i clienti i modelli sono basati sul pay-per-use o con il modello abbonamento (subscription). Da indagini effettuate dal progetto di Closed Loop risulta che due terzi dei rispondenti preferisca il primo modello che permette una maggiore flessibilità nell’utilizzo senza rischiare di pagare per un servizio che non usufruiscono, al contrario degli utilizzatori frequenti che preferiscono il secondo modello. La maggior parte dei servizi basati su contenitori riutilizzabili include una commissione per ogni utilizzo che non deve essere sovradimensionata rispetto ai costi sostenuti per non scoraggiare la partecipazione degli esercizi al sistema. Il processo di pagamento è un’area in cui l’integrazione e la compatibilità con sistemi operativi (in particolare POS e app/pagamenti mobili) più utilizzati dai bar e dalle attività commerciali.

L’allineamento degli incentivi presenti nei programmi dei singoli esercizi – parte di un circuito di esercizi commerciali che utilizza lo stesso servizio – renderà più facile ai nuovi clienti l’adesione e migliorerà la fidelizzazione. A loro volta gli incentivi/disincentivi scelti dovrebbero essere allineati alle politiche ambientali correlate al riuso e alla riduzione dei rifiuti da monouso eventualmente in vigore nei territori (di cui al punto sulla collaborazione con gli enti locali).

Un grande impulso allo sviluppo di sistemi riutilizzabili arriva dall’uso di tecnologie che utilizzano l’Internet of Things e tecnologie come Rfid. I cosiddetti “contenitori intelligenti” contengono un chip leggibile da tutti gli smartphone una volta installata l’applicazione. Questi sistemi non permettono solamente il tracciamento del contenitore durante le varie fasi del ciclo d’uso, ma anche la raccolta di dati interessanti sotto il profilo ambientale (in termini di rifiuti ridotti ed emissioni di CO2 evitate) ed economico.

Tra le funzioni più interessanti dal punto di vista dell’utilizzatore del servizio c’è la possibilità di effettuare pagamenti cashless/contactless, molto utilizzata durante la pandemia. Ma è molto apprezzata anche la veloce restituzione del contenitore tramite una scansione che conferma in tempo reale l’avvenuta registrazione del reso, insieme all’eventuale restituzione della cauzione quando prevista.

Monitorare e misurare gli impatti e le prestazioni del sistema di riuso degli imballaggi

Per promuovere i modelli di riuso è fondamentale mostrare il loro impatto netto positivo sull’ambiente e per farlo servono dati e metriche comuni che possano misurare le variabili, gli input energetici, gli indici di riutilizzo dei contenitori e altri aspetti. Nello studio si trova anche una sezione che suggerisce una serie di metriche da prendere in considerazione nello sviluppo di un approccio standard di misurazione per il settore suddivise in base ai quattro criteri chiave: fattibilità tecnica (come caratteristiche del sistema e del contenitore), sostenibilità economica (per i locali e per il partner logistico), circolarità del sistema, user desirability (realmente allineato alle esigenze dei soggetti che l’utilizzeranno).
Le parole di Matt Prindiville, ceo di Upstream, definiscono con chiarezza il ruolo che svolge la misurazione: “Con la scalabilità dei modelli di riutilizzo – commenta Prindiville -, la creazione di un quadro di misurazione standardizzato può aiutare ad allineare il settore nel suo complesso intorno a metriche importanti con progressi per la collettività. Con l’aiuto di un set standard di metriche, benchmarking (analisi comparative tra le diverse aziende di solito concorrenti, ndr) e raffronti con il baseline di partenza (misura di prestazione o indicatore che rappresenta ‘il punto di partenza’, ndr) sarà possibile valutare i progressi e fissare obiettivi ambientali più ambiziosi e raggiungibili.”

Gli Stati membri alla prova delle direttive Ue

Un grande assist verso l’adozione dei modelli di riuso nella formula Paas (product as a service, “prodotto come servizio” in italiano), si ritrova nel quadro di riferimento Europeo a supporto della transizione verso un’economia circolare. I modelli Paas sono espressamente richiamati dal Parlamento europeo all’interno della Risoluzione del 10 febbraio 2021 sul Pacchetto europeo per l’economia circolare nella relazione sul nuovo piano del 28 gennaio 2021) tra gli obiettivi dell’iniziativa.

Inoltre la promozione del modello “prodotto come servizio” in cui i produttori mantengono la proprietà del prodotto o la responsabilità delle sue prestazioni per l’intero ciclo di vita si ritrova anche all’interno dell’Iniziativa della Commissione sui prodotti sostenibili (Sustainable product Initiative) attualmente in fase di seconda consultazione.

fonte: economiacircolare.com



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Ricarica o riconsegna, in casa o in negozio… Ecco i 4 modelli di sistemi di riuso

Dai singoli prodotti venduti senza imballaggi – riso, pasta, cereali, frutta secca, detersivi ma anche dentifrici e cosmetici – ai sistemi di riuso che si diffondono in Europa, Usa, Giappone. Dal coinvolgimento della grande distribuzione fino alle start up. I sistemi di riuso, per ridurre gli imballaggi e riutilizzare quelli necessari, non sono più esperienze di nicchia ma avanguardie di un modo diverso di pensare i prodotti, i modelli di business e di consumo



Startup, progetti pilota, joint-venture tra piccole realtà innovative e grandi marchi interessati a sperimentare nuovi sistemi. A livello mondiale negli ultimi anni i progetti di riuso del packaging si sono moltiplicati e continuano ad aumentare ed evolversi in direzioni a volte molto diverse. Per mettere ordine tra le diverse opzioni disponibili, la Fondazione Ellen MacArthur (EMAF) ha ideato una classificazione che divide i sistemi di riuso dei contenitori in quattro tipologie, in base a dove si svolge la ricarica o a dove avviene la riconsegna dell’imballaggio vuoto.

Alcuni esempi non certamente esaustivi rispetto alla varietà di iniziative che crescono di settimana in settimana si possono trovare nel rapporto Upstream Innovation: a guide to packaging solutions della Emaf, un database di casi studio consultabile anche online. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le caratteristiche delle quattro diverse tipologie di sistemi.



1. Refill at home: la ricarica a casa tua

Si parla di sistemi “refill at home” quando il riempimento avviene a casa, usando ricariche spesso in formula concentrata confezionate da quello che viene definito “parent packaging” (letteralmente un ‘imballaggio genitore’) che si può acquistare online o in negozi fisici. In questo modello, il contenitore è di proprietà dell’utente: è lui a occuparsi del lavaggio e della eventuale igienizzazione. Sono un esempio di questa modalità i diversi prodotti del settore della detergenza per la casa e la cura del corpo che sono stati sviluppati da diverse startup negli ultimi 3-4 anni e più recentemente da multinazionali, come nel caso della linea Cif Refill di Unilever che impiega capsule di prodotto concentrato da sciogliere poi in acqua, oppure ricariche come nel caso dei deodoranti solidi della linea di Humankind. Per l’igiene dei denti ci sono gli esempi della statunitense Bite Toothpaste Bits e della britannica PÄRLA che hanno sviluppato delle pastiglie da usare al posto del dentifricio che possono essere acquistate online come sottoscrizione. In entrambi i casi si riceve un primo vasetto in vetro con la quantità di tavolette che coprono quattro mesi e successivamente le sole tavolette in confezione compostabile tramite servizio postale. Tra le diverse aziende che commercializzano detergenti concentrati con il servizio in abbonamento e con vendita online abbiamo tra le altre: Everdrop, Splosh e Blueland. Quest’ultima, ad esempio, vende contenitori riutilizzabili e tablet da sciogliere in acqua per ottenere detersivi e sapone per le mani: ogni compressa pesa due grammi e permette di ottenere più di mezzo litro di detergente. Lo stesso modello è adottato anche da Replenish, che però ha optato per una formula di concentrato liquido con ricariche che pesano poco più di 100 grammi sufficienti per realizzare sei flaconi di prodotto che vengono agganciate al flacone riutilizzabile con spruzzatore.
Alcuni dei grandi marchi che hanno sviluppato questi prodotti aderiscono anche ad altri modelli di riuso (li vedremo a seguire), che rendono gli stessi prodotti disponibili in negozi fisici (refill on the go) e/o distribuiti da piattaforme online come Loop. Questa piattaforma ha infatti come modello preponderante il “return from home”, ma ha integrato il business con i negozi fisici dei suoi partner del settore retail.

Questo dato fa capire quanto ampio sia il potenziale dei sistemi di riuso nello stimolare la collaborazione tra il mondo produttivo e distributivo tradizionale, nel liberare innovazione in nuovi modelli più circolari di erogazione dei prodotti, e nel contaminare positivamente tutti gli stakeholder per diventare parte del cambiamento verso una maggiore sostenibilità dei consumi.

2. Refill on the go: la ricarica la fai “in trasferta”

Con il sistema “refill on the go” è sempre l’utente a occuparsi del riempimento dei suoi contenitori, ma la ricarica avviene fuori casa, per esempio attraverso erogatori installati nei punti vendita. Qui gli esempi ispirati dalla filosofia Zero Waste sono molti anche in Italia, trattasi di negozi di prodotti sfusi legati sia a catene come Negozio leggero, sia negozi indipendenti che fanno capo alla rete dello sfuso o che sono mappati da Sfusitalia.it. Ma è in Francia che si registra un grande fermento con associazioni multi-stakeholder come la storica Réseau Consigne e Réseau Vrac che da un lustro promuove i modelli di vendita sfusa che sono entrati a pieno titolo nella legislazione francese in quanto tutti gli emendamenti proposti da Réseau Vrac sono stati adottati dall’Assemblea nazionale come parte del disegno di legge sul clima e la resilienza.

Nella grande distribuzione generalista, esperienze molto interessanti si trovano principalmente in Gran Bretagna. Il marchio della grande distribuzione Waitrose ha avviato nel 2019 la sperimentazione Unpacked affiancando ai prodotti confezionati alternative sfuse, sia nel caso di freschi e gastronomia da asporto, sia per vino, birra e detergenti, con prezzi inferiori del 15%. Il progetto è iniziato in un supermercato di Oxford e, secondo quanto riportato sul sito web di Waitrose, coinvolge altri tre punti vendita. I risultati sono stati definiti da subito “fenomenali” dall’insegna: le performance di vendita dei prodotti sfusi registrate nei primi mesi di avvio del progetto sono state maggiori del 68% rispetto agli stessi prodotti confezionati. Dati più aggiornati vedono le vendite di prodotti ricaricabili cresciute in media del 9% in quattro dei suoi negozi Unpacked negli ultimi sei mesi, con le vendite relative a ortofrutta surgelata aumentate di oltre il 50%, le vendite di detergenti cresciuti del 24% mentre per legumi, pasta e cereali la crescita arriva a quasi l’8%.



Nel 2019 anche un’altra insegna britannica, Marks and Spencer, ha avviato il servizio Fill Your Own nel supermercato Hedge End e lo ha poi esteso ad altri due punti vendita. A un anno dall’avvio del progetto, l’azienda ha reso noto che oltre il 30% dei prodotti offerti in versione sfusa stavano vendendo più di quelli imballati. M&S ha appena annunciato l’intenzione di estendere l’iniziativa ad altri otto punti vendita sparsi nel Regno Unito visto il successo del pilota che consentirà ai clienti di acquistare sfuse più di 60 referenze di generi alimentari tra cui pasta, riso, cereali, noci, prodotti da forno e frutta congelata. La mossa supporta l’obiettivo dell’insegna di evitare l’impiego di oltre 300.000 unità di imballaggi monouso nei prossimi 12 mesi.

A questi si aggiunge un terzo progetto in ambito GDO, quello di Asda, che ha avviato una sperimentazione a Leeds a ottobre 2020 con l’obiettivo di capire meglio le tendenze di acquisto di prodotti sfusi ed estendere poi la nuova offerta ad altri punti vendita. Allo scopo di coinvolgere il maggior numero possibile di clienti Asda sta collaborando con diversi marchi che commercializza per trovare più opzioni di acquisto da implementare allo stesso tempo sempre basate sul concetto di ricarica e riuso, interagendo con i suoi clienti in diverse parti del Regno Unito. Sono quattro le nuove aperture previste di negozi che offrono le stesse opportunità di acquisto sfuso del punto vendita di Leeds nei prossimi mesi. In particolare aprirà a York in ottobre con 18 postazioni che offriranno oltre 70 prodotti di marca e a marchio proprio acquistabili con contenitori ricaricabili sia nel settore alimentare che della detergenza. Da quest’anno Asda ha inserito in tutti i suoi punti vendita sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta.

Sempre il modello “refill on the go” comprende progetti di refill avviati anche da insegne di profumerie, come The Body Shop o L’Occitane. Interessanti sono i modelli di joint-venture tra multinazionali e marchi della grande distribuzione, che ospitano erogatori per la ricarica di prodotti sfusi. È il caso degli shampoo Unilever venduti alla spina nei supermercati Walmart in Messico, dei detersivi Henkel nei supermercati Rossmann in Repubblica Ceca oppure dei detergenti We love Nature (Henkel) nei supermercati Kaufland in Germania.

In Francia l’azienda cosmetica CoZie (Cosmétique Objectif Zéro Impact Environnemental ) ha sviluppato un sistema specifico denominato la Dozeuse per erogare prodotti cosmetici sfusi come creme, detergenti e altri prodotti per il viso che consente di acquistare piccole quantità di prodotto.

I diversi prodotti all’interno della macchina erogatrice sono contenuti in sacche sottovuoto che garantiscono una conservazione ottimale impedendo che il prodotto entri in contatto con la macchina, nel rispetto dei più rigorosi standard igienici e di tracciabilità per i prodotti cosmetici.

Con il primo acquisto viene aggiunto al prezzo del prodotto 1,5 euro che corrisponde al prezzo del flaconcino in vetro. Lo stesso importo viene detratto dall’acquisto successivo quando si riporta il contenitore vuoto nei negozi che vendono cosmetici CoZie. I contenitori vengono recuperati e lavati centralmente da CoZie che provvede a ridistribuirli ai punti vendita. Fino ad ora CoZie ha utilizzato le sue macchine solamente per i propri prodotti ma sta integrando la sua offerta con marchi esterni per altri prodotti come shampoo e gel doccia.

Indubbiamente CoZie ha il merito di avere aperto la strada alla vendita sfusa nel settore della cosmetica ed è probabile che altri marchi e prodotti del settore introducano prossimamente una tecnologia simile all’interno dei punti vendita.



Tra le joint venture che hanno coinvolto start up e grandi marchi di prodotti di consumo non si può non citare in termini di innovazione i casi studio delle start up Algramo e Miwa che continuano a perfezionare e implementare il proprio modello di business.

Algramo

Algramo è stata fondata nel 2013 in Cile da José Manuel Moller, con l’obiettivo di abbattere la cosiddetta “tassa sulla povertà” generata dall’alta incidenza del costo degli imballaggi sul prezzo dei prodotti. In alcuni anni erogatori di prodotti di vario tipo, dal riso ai detersivi, sono stati installati in oltre 2000 piccoli supermercati di quartiere. Nel 2018 ha preso il via la partnership con Unilever: accanto agli erogatori alla spina presenti nei negozi fisici, è nato anche un servizio di ricarica a domicilio che avviene prenotando tramite app il passaggio di stazioni di refill itineranti montate su un furgoncino e tre ruote. Ricarica e pagamento avvengono entrambi tramite l’app Algramo che si interfaccia con l’etichetta Rfid di cui il flacone è provvisto. Nel tempo la gamma dei prodotti e le partnership si sono ampliate e oggi tra le collaborazioni ci sono anche quelle con i marchi Colgate e Nestlè.


Miwa

Anche Miwa basa il suo funzionamento sull’internet delle cose: è un sistema di dispenser modulari da cui è possibili rifornirsi attraverso appositi contenitori riutilizzabili provvisti di un’etichetta Rfid che comunica con l’erogatore e la cassa del negozio: non c’è pertanto bisogno di pesare il contenuto o scansionare ulteriormente l’etichetta. L’app consente di pagare, ma fornisce anche informazioni sui prodotti acquistati. Creato nel 2014 nella Repubblica ceca, il sistema oggi è operativo a Praga e in diverse località della Svizzera. A maggio 2020 ha infatti preso il via la partnership con Nestlé, per la commercializzazione di cibo per animali e caffè solubile nei suoi punti vendita elvetici attraverso i dispenser del sistema Miwa. Partito come progetto pilota da tre negozi Nestlè, oggi è attivo in 15 punti vendita. Nestlé sta ora valutando la fattibilità di sfruttare la tecnologia degli erogatori per altre categorie di prodotti, oltre a testare la fattibilità operativa delle soluzioni nei supermercati più grandi lungo la sua catena di approvvigionamento. Miwa fornisce ai produttori (offerta B2B) i suoi contenitori intelligenti riutilizzabili che vengono riempiti per erogare merci sfuse come riso o detersivo per bucato e i moduli o scaffali intelligenti dotati di valvole di rilevamento a controllo elettronico con interfaccia utente. Ai clienti B2C viene offerto un imballaggio riutilizzabile e app corrispondente che collega tutti i moduli del sistema consentendo un riutilizzo in autonomia. Secondo la start up sulla base di una valutazione del ciclo di vita (LCA), la loro soluzione è progettata per ridurre l’impronta ambientale fino al 71% rispetto ai modelli di consumo lineare, utilizzando solo il 10% di materiali di imballaggio rispetto all’impiego monouso e con un 62% in meno di impronta di carbonio.



Tazze e bicchieri da passeggio

Abbiamo poi tutto il settore dei contenitori riutilizzabili dai bicchieri, alle tazze ai contenitori di varie forme e dimensioni che all’estero stanno vivendo un proprio boom negli ultimi 3 anni a partire dai sistemi di tazze riutilizzabili da passeggio (on the go). Ecco qualche iniziativa per rendere l’idea tra quelle attive in Europa che rendono possibile a singoli, aziende e istituzione varie l’utilizzo di tazze riutilizzabili anche in occasioni di eventi. Alcune sono partite con il sistema refill on the go in cui la proprietà del contenitore appartiene al cliente ma integrando anche altre formule a seconda dei clienti se singoli, aziende e istituzioni o organizzatori di eventi.

La catena indipendente di caffetterie Boston Tea Party è stata l’unica nel suo genere a interrompere definitivamente nel 2018 l’utilizzo di monouso e a servire le sue bevande calde e fredde in contenitori riutilizzabili nelle sue 23 caffetterie. I clienti portando la loro tazza ricevono 25 pence di sconto sul prezzo della bevanda e quando la dimenticano possono prenderne una a fronte di una cauzione che recuperano riportandola.

Segue menzione di alcune tra le iniziative in corso che possono includere sia il modello “refill on the go” in cui l’utente rimane proprietario del contenitore che il “return on the go” anche nella modalità del PaaS (Product as a service) dove una società terza gestisce le tazze per conto del rivenditore di bevande che paga una fee per ogni utilizzo della tazza. Nel Regno Unito: CupClub; in Germania: Freiburg Cup, ReCup, CupforCup, FairCup. Seguono altri esempi come : BillieCup (Belgio), Muuse (Singapore), Vessel (California).

Sempre in UK la piattaforma Loop che viene descritta nella sezione dedicata al modello “return from home” ha lanciato un progetto pilota in collaborazione con McDonald per testare l’impiego di tazze riutilizzabili in 6 punti vendita selezionati del Regno Unito allo scopo di ridurre i 2,5 miliardi di tazze di caffè monouso che finiscono in discarica ogni anno. I sei esercizi sono stati selezionati per la loro vicinanza al centro di lavaggio che serve la piattaforma Loop ma l’idea è quella di estenderlo a tutti i 1.300 ristoranti del gruppo del Regno Unito, e si spera anche ai 36.000 a livello globale. Per ovviare al fatto che i clienti dimenticano la propria tazza o non vogliono portarla in borsa dopo l’uso presso i caffè partecipanti della catena si otterrà uno sconto di 20 centesimi su ogni caffè, tè o cioccolata calda chiedendo una tazza riutilizzabile.

I clienti pagano un deposito di 1 sterlina che ricevono indietro, in contanti o come credito su un’app quando restituiscono la tazza. Quest’ultima può essere restituita immediatamente dopo la consumazione oppure in un momento successivo. I punti di consegna che verranno presto implementati includono anche postazioni ospitate nei supermercati della catena Tesco il partner della Gdo di Loop nel Regno Unito.

In Italia

Nel settore dei contenitori intelligenti l’apripista per l’Italia è stato Pcup, un bicchiere termico in silicone praticamente indistruttibile che è stato adottato in diversi eventi sparsi nella penisola. Il bicchiere realizzato in Italia contiene un chip sul fondo che consente di associare il bicchiere all’account dell’applicazione appoggiandolo sul telefono. Una volta che il bicchiere viene interfacciato con l’account è possibile ordinare le bevande da consumare per sé e altri utilizzando il credito caricato sull’app senza code alla cassa e ad accedere ad altre funzioni personalizzabili. I dati raccolti attraverso il bicchiere permettono di quantificare l’usa e getta risparmiato all’ambiente ma anche di acquisire informazioni interessanti per pianificare e progettare servizi mirati alle diverse tipologie di utilizzo tra eventi e applicazioni a locali della movida, ad esempio, ottimizzando i costi e prevenendo sprechi di ogni tipo.

Contenitori da asporto

Nel settore dei contenitori per cibo da asporto – non ancora affollato come il settore delle tazze – ci sono operatori della ristorazione pionieri come Just Salad che iniziò già nel 2006 a mettere a disposizione dei clienti un’alternativa riutilizzabile per l’asporto nei suoi ristoranti a New York. Recentemente ha sviluppato un programma di ordinazione online che prevede un servizio di consegna con ciotole riutilizzabili sia nella formula “return from home” che “return on the go”, che viene spiegata nella seconda parte dell’articolo.

Nella formula “Return on the go” il cliente è tenuto a riportare la ciotola entro due settimane dall’ordine per non incorrere nell’addebito di una piccola fee per ogni giorno in più che passa dal 14° giorno.

Tra le new entry che meritano una speciale menzione abbiamo ShareWare una piattaforma appena lanciata a Vancouver che offre a singoli e aziende la possibilità di aderire tramite un’app per potere usufruire di un servizio di noleggio di contenitori riutilizzabili – sia per cibo che bevande da asporto – che vengono poi recuperati, igienizzati e rimessi in circolazione. L’aspetto interessante del modello di ShareWare sta nel servizio di wash-as-a-service che mettono a disposizione di altre aziende con sede a Vancouver che sono alla ricerca di un partner di lavaggio su scala commerciale per i loro contenitori.

ReCIRCLE è nata nel 2016 in Svizzera come prima impresa sociale specializzata nella fornitura di contenitori riutilizzabili per piatti e bevande da asporto a ristoranti, campus universitari, aziende ed altri soggetti. Al momento è operativa e consolidata in Svizzera e Germania ma con l’ambizione di esportare il modello in altri paesi con alcune iniziative in fase di definizione o in partenza in Estonia, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Italia.

Il sistema basato sul modello product as a service vede gli utilizzatori del servizio pagare una commissione sull’utilizzo dei contenitori scegliendo la tipologia di contratto più congeniale alla loro attività. Anche ReCIRCLE sta passando per una parte dei suoi contenitori a una gestione digitale del deposito tramite la ReCIRCLE APP che permette altre funzioni come accedere alla lista di locali che aderiscono al sistema o aderire a programmi di fidelizzazione.

Per quanto riguarda l’Italia l’iniziativa in collaborazione con ReCIRCLE prevede la creazione di circuiti di riutilizzo dei contenitori in alcune attività di ristorazione (NoPla Take Away) e nei bar (NoPla Drink). Il progetto parte a Milano dove coinvolgerà una quarantina di ristoratori e una ventina di bar.

Per citare qualche caso studio europeo – partendo dalla Germania e Olanda dove c’è particolare fermento – non c’è che l’imbarazzo della scelta. In Germania opera Rebowl, in Olanda abbiamo Ozarka ora in partnership con Deliverzero, PackBack, Swap-box in fase di lancio ad Amsterdam e Deliveroo operativo anche in Belgio.

Come nel caso delle tazze da passeggio queste iniziative che coinvolgono i contenitori da asporto possono operare sia nella formula “refill on the go” che “return from home” .

3. Return from home: il vuoto si ritira a domicilio

Nel caso in cui la ricarica dei contenitori non venga effettuata direttamente dagli utenti, ma siano le aziende a riempirli (soprattutto se serve l’igienizzazione), le alternative sono due, e qui arriviamo al terzo e al quarto modello applicabile ai sistemi di riuso e ricarica degli imballaggi: “return from home” e “return on the go”. In entrambi i casi i contenitori non sono di proprietà degli utenti e vengono caricati di una cauzione che viene riaccreditata ad avvenuta restituzione dei contenitori. Nei sistemi che seguono il modello “return from home”, il contenitore vuoto viene ritirato a domicilio da un’impresa incaricata, per esempio in occasione della consegna di nuovi prodotti, e in molti casi attraverso servizi in abbonamento che consentono una fidelizzazione del cliente e un’ottimizzazione delle operazioni di ritiro e sanificazione degli imballaggi.




Il progetto Loop basa il suo funzionamento su entrambi i modelli dal momento che i clienti della piattaforma possono non muoversi da casa (return from home) oppure rendere i contenitori vuoti presso i punti vendita che fanno parte della rete attraverso apposite reverse vending machine posizionate allo scopo (return on the go). Nonostante sia passato poco più di un anno dal suo lancio nei primi Paesi il sistema, che coinvolge grandi marchi leader dei prodotti di largo consumo, ha già fatto scuola nel suo genere. Si tratta di una piattaforma che permette di acquistare sul proprio shop online più di 500 prodotti dei marchi più noti a livello globale: quando il prodotto è finito, l’imballaggio viene ritirato a casa dell’utente, può essere portato in un punto UPS oppure presso negozi fisici. I contenitori vengono successivamente igienizzati, ricaricato e messi nuovamente in commercio.

Una parte importante del progetto ha riguardato la completa riprogettazione degli imballaggi avvenuta in collaborazione con i diversi marchi. Se l’imballaggio primario dei prodotti è stato ripensato per poter essere sottoposto a numerosi cicli di riuso anche l’imballaggio secondario che contiene i prodotti acquistati ha cambiato pelle: a casa dei destinatari non arriva più una scatola in cartone da smaltire ma una box riutilizzabile, da usare per la restituzione dei contenitori vuoti. L’utente paga una quota di deposito per i contenitori che viene riaccreditata quando vengono restituiti: il credito può essere gestito facilmente tramite app e utilizzato per nuovi acquisti.

Creato dalla società di riciclo Terracycle, Loop ha avviato i primi progetti pilota di commercializzazione di prodotti in imballaggi riutilizzabili nel periodo dello scoppio della pandemia, tra marzo e aprile 2020, a Parigi e New York. Ad oggi sono attive partnership con più di 30 marchi, sia di prodotti di largo consumo come Pantene, Purina, Tide, sia di insegne della grande distribuzione tra cui Tesco in UK, Kroger e Walgreens in USA , Aeon in Giappone e Carrefour in alcune aree della Francia. Il lancio in Canada, Germania e Australia è previsto a metà del 2021, mentre già da ottobre 2020 è stato avviato, a partire dalla Francia, lo sviluppo del progetto con postazioni Loop nei negozi fisici. Anche in Giappone sono 19 i punti vendita dell’insegna Aeon ad ospitare una postazione Loop.



Un esempio che arriva dal Regno Unito è il servizio Club Zero sviluppato dal rivenditore online Abel & Cole che permette ai suoi clienti di acquistare alimenti secchi come cereali, legumi, cioccolato, riso e pasta in semplici contenitori riutilizzabili low cost senza addebito di deposito. I contenitori sono stati disegnati con in mente la funzionalità nel trasporto evitando così che i clienti siano tentati di trattenerli. I contenitori vuoti vengono riconsegnati all’interno di una box riutilizzabile quando ricevono una nuova consegna.

Anche il progetto olandese Pieter Pot, ricalca il modello “return from home”. Si tratta di un circuito che commercializza prodotti alimentari secchi in barattoli e bottiglie di vetro, permettendo agli utenti di riconsegnare quelli vuoti alla consegna dell’ordine successivo: il consumatore paga un deposito che viene riaccreditato una volta che restituisce i vuoti. Al momento il sistema, attivo in alcune zone dei Paesi Bassi, ha 3.000 utenti sta riscuotendo parecchio interesse al punto che conta una lista di attesa di altri 30.000.

4. Return on the go: usa il contenuto e riporta il contenitore

Nel modello “return on the go”, come accennato, i consumatori acquistano un prodotto in un contenitore riutilizzabile che non rimane in loro proprietà ma va restituito presso punti vendita (possono essere più di uno e parte di una rete) o altri luoghi di raccolta anche tramite reverse vending machine (RVM) o distributori automatici inversi.

Qualora assoggettati ad una cauzione, la medesima viene riaccreditata una volta che i contenitori vengono restituiti. I contenitori usati vengono raccolti igienizzati e redistribuiti nei punti vendita al dettaglio o dove avviene la somministrazione dei prodotti che veicolano.

Sono comunque diverse le iniziative “ibride” anche tra quelle accennate in precedenza che non possono essere inserite in una sola categoria in quando permettono più modalità nella resa e gestione dei contenitori che può essere decisa dall’operatore. È sicuramente il caso delle tazze da passeggio che per comodità sono state raccolte nella sezione “refill on the go”.

Esempi nel servizio ristorazione sono Dabbadrop nel Regno Unito e Belgio, Reusabol a Barcellona, Relevo e Vytal che sono attivi in diverse città della in Germania. Quest’ultimo non offre solamente tazze e contenitori nei formati classici per piatti pronti e prodotti di gastronomia ma anche contenitori adatti per l’asporto di pizze e sushi.

Al sistema esistente prima della pandemia si è affiancato un nuovo servizio che prevede anche la consegna e ritiro dei contenitori: Vytal, Reusable Packaging-as-a-Service. Dalla scorsa estate è in essere una collaborazione con Rewe (seconda catena della GDO tedesca per fatturato) per rendere disponibile il riutilizzo dei contenitori nelle postazioni salad bar a libero servizio dell’insegna. Vytal ha posizionato allo scopo delle reverse vending machine (RVM) nei sei punti vendita che partecipano al pilota per ritirare i contenitori puliti e rendere quelli usati da igienizzare con una procedura digitale gestita tramite un’App e la scannerizzazione del QR code che include il pagamento alla cassa. Un’ultima collaborazione raggiunta con Gorillas, un servizio consegna spesa a casa in bici, permette l’impiego dei contenitori riutilizzabili per alcune referenze vendute sfuse dal rivenditore nel negozio fisico.

Un altro esempio per questo modello ancora nella ristorazione è il sistema statunitense OZZI, pensato per garantire un ciclo chiuso per i contenitori per i pasti fuori casa, con macchine per il deposito dei contenitori vuoti e un sistema per il riaccredito della cauzione pagata dal consumatore. Il sistema è pensato sia per ristoranti con pasti da asporto, sia per luoghi pubblici come college, università, mense aziendali, ospedali.



Altri esempi di riutilizzo dei contenitori che ricalcano il vecchio vuoto a rendere delle bottiglie del latte arrivano dalla Germania dove tradizionalmente esiste un sistema di vuoto a rendere di vasetti in vetro utilizzati per gli yogurt da alcune importanti aziende lattiero-casearie in Germania. Recentemente alcune aziende come Bananeira, Unverpackt für Alle e Fairfood hanno aderito al sistema (e all’infrastruttura esistente di recupero e riutilizzo di questi contenitori) impiegandoli per loro prodotti che non richiedono refrigerazione, venduti principalmente nei negozi biologici. I consumatori possono restituire i contenitori vuoti grazie a una rete di distributori automatici inversi (reverse vending machine) presenti nei supermercati, in modo che possano essere riconsegnati ai produttori che li utilizzano e che sono responsabili dell’igienizzazione prima della ricarica.




fonte: economiacircolare.com


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Aeroporti, lotta alle bottigliette di plastica: sempre più scali adottano fontanelle per il refill

L'ultimo è Manchester, dove chi ha la propria borraccia ricarica ai bar. Un sistema anche per abbattere i costi elevati delle bottigliette negli scali. Ma in Italia siamo indietro














FORSE potremmo presto dire addio all'inutile e dispendiosa scenetta che si ripete di aeroporto in aeroporto. Ad ogni viaggio, fatto il check-in si arriva ai controlli e puntualmente cartelli e contenitori ci ricordano che è vietato imbarcare la bottiglietta d'acqua che ci siamo portati da casa. Così la si trangugia in tutta fretta per poi buttarla, si passano gli scanner e si sbuca al gate dove per bere è necessario riacquistare una bottiglia "salatissima". I prezzi di una singola bottiglietta d'acqua infatti, all'interno degli aeroporti internazionali, non sono certo a buon mercato: in alcuni casi costano perfino 3,50 euro.

Grazie a una nuova attenzione per l'ambiente e al tentativo di combattere l'inquinamento da plastica da qualche tempo però gli aeroporti internazionali si stanno attrezzando per il refill. In sostanza, chi è abituato a viaggiare con la propria borraccia di alluminio può riempirla gratuitamente appena dopo i controlli, un sistema sempre più diffuso in diverse città del mondo.


Fra gli ultimi a sposare questo tipo di soluzione che va incontro sia alle tasche sia alla salute dei passeggeri è l'aeroporto di Manchester. I primi di maggio lo scalo inglese ha infatti annunciato di aver aderito alla campagna di Refill, associazione inglese che con app e mappe promuove la possibilità di rinunciare alle bottigliette di plastica indicando fontanelle, punti d'acqua e zone dove si può riempire la propria borraccia.

Nell'aeroporto inglese i viaggiatori potranno dunque "ricaricare" in diverse zone e anche in tutti e 33 i punti che comprendono bar e aree ristoro: basterà chiedere di farsi fare il "pieno" d'acqua gratuitamente. Un servizio che si aggiunge a quello delle fontanelle già presenti e che, ricorda l'associazione, contribuirà a porre un freno al consumo di 7,7 miliardi di bottiglie d'acqua in plastica acquistate in tutto il Regno Unito di cui si riesce concretamente a riciclare solo una piccola percentuale.

Mike Ward, Head of Retail dell'aeroporto di Manchester, è soddisfatto: "Sappiamo che molti passeggeri adesso viaggiano con le proprie borracce. Questo schema renderà ancora più facile per loro riempirle e garantire che siano idratati durante i loro voli ".

In Gran Bretagna sono già migliaia le ricariche d'acqua gratuite realizzate negli ultimi mesi con lo scopo di combattere una plastica che, se mal gestita, finisce per devastare i nostri oceani. Circa metà degli aeroporti del Paese, Londra compresa, si è dunque ora attrezzata per garantire acqua gratuita.

Più in generale diversi scali del mondo - con i viaggiatori che seguendo la filosofia #plasticfree si abituano a girare con la propria borraccia - si stanno adeguando alle richieste dei passeggeri fornendo acqua da fontanelle. Esempi si contano ovunque, da Varsavia a Sydney, ma anche San Francisco o i paesi scandinavi dove per esempio Oslo e Helsinki forniscono mappe delle aree aeroportuali dove poter effettuare la ricarica d'acqua.

La questione acqua però non è solamente legata alla lotta all'inquinamento da plastica, ma è anche una sorta di "battaglia" etica che chiede di inquadrare il bene acqua come gratuito o per lo meno a prezzi contenuti. Nel 2015 l'Airports Council International (Aci), allarmato da alcuni costi esorbitanti delle singole bottigliette, ha raccomandato agli operatori aeroportuali di garantire che ci fosse un adeguato rifornimento di bottigliette al prezzo massimo di 1 euro. Una raccomandazione che la Spagna sembra aver raccolto mentre diversi altri aeroporti europei, Italia compresa, hanno ancora prezzi troppo elevati.

Un buon sistema per risparmiare denaro ed evitare spiacevoli scene come quella di gettare l'acqua portata da casa prima di entrare al gate è dunque quella di incentivare negli aeroporti la presenza di fontanelle o punti per il refill. Un sito, che si chiama Wateratairports, su segnalazione dei viaggiatori prova a raccogliere le informazioni su tutti gli aeroporti dotati di fontanelle o acqua pubblica per poter riempire la propria borraccia (@wateratairports). In Italia, il portale indica la presenza di fontanelle solo negli scali di RomaNapoli Catania.

Davvero pochi,se si pensa che il nostro Paese è in prima linea nella battaglia all'inquinamento da plastica, dai divieti dei sacchetti non compostabili sino all'abbandono dei monouso. Soltanto negli ultimi mesi la maggior parte delle università italiane hanno aderito a una campagna di Marevivo regalando migliaia di borracce agli studenti, ad esempio 36mila a Roma Tre o 10mila alla Luiss. Come faranno a riempirle quando viaggeranno per gli aeroporti del nostro Paese? Cercasi refill disperatamente.


fonte: https://www.repubblica.it