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Adottati i criteri ambientali minimi per forniture e noleggio di prodotti tessili



Pubblicato nella G.U. del 30 giugno 2021 il Decreto del Ministero della Transizione ecologica (MiTE) "Adozione dei criteri ambientali minimi per forniture e noleggio di prodotti tessili, ivi inclusi mascherine filtranti, dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale nonché ...

Il cartoccio tutto italiano realizzato con le bucce di patate per dire addio alla plastica nello street food

Un nuovo uso alle bucce di patate! Peel Saver, il packaging ecologico per patatine fritte costituito da componenti 100% naturali


Negli ultimi anni fortunatamente le innovazioni vanno a braccetto con l’ambiente e spesso sono legate ai nostri “rifiuti”. Questa volta a confermare questo trend verso un’economia circolare sono Paolo Stefano Gentile, Simone Caronni e Pietro Gaeli, tre giovani designer che con il loro progetto Peel Saver, recuperano le bucce di patata per trasformarle in un packaging 100% biodegradabile adatto per lo street food. 

“Può sembrare banale ma ci siamo ispirati alla natura. Infatti la buccia esiste per proteggere il suo contenuto proprio come un packaging dovrebbe fare”, ci racconta Paolo in un’intervista.

La buccia di patata è costituita da amidi e componenti di fibre che, dopo la macerazione e l’essiccazione naturale, acquisiscono la capacità di legarsi tra loro e di indurirsi, dando vita così ad un nuovo materiale sostenibile. Non solo, dopo l’utilizzo, l’imballaggio può essere tranquillamente reinserito nel ciclo biologico diventando cibo per gli animali o concime per le piante. Non è ancora stata scartata l’idea di renderlo commestibile, ma perché questo avvenga si dovrà tenere conto di alcune importanti valutazioni tra cui il sapore.


I tre designer si sono conosciuti mentre studiavano alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, ed è precisamente lì che è nato Peel Saver. Con gli anni sono riusciti a perfezionare il loro progetto e ora sono in una fase di sperimentazione per un’eventuale commercializzazione.

“Il progetto, in questi 3 anni, grazie a premi ed esposizioni ha fatto parlare di sé ponendo l’attenzione su quello che per noi è il vero problema: la plastica monouso. Siamo felici, con Peel Saver, di aver proposto un’alternativa a ciò che il mercato oggi propone”, dichiara Paolo.

Il tradizionale packaging per lo street food ha un tempo di utilizzo molto breve e, sebbene in commercio ora molti siano realizzati in carta, una volta unti di grassi non possono essere più riciclati. Con questa soluzione zero waste, le patate vengono servite all’interno dello stesso guscio che originariamente le proteggeva.




Questi giovani designer italiani hanno trovato una soluzione innovativa e sostenibile. Peel Saver è un progetto che si ispira alla natura, un ritorno alla semplicità e non vediamo l’ora di vederlo in commercio.

fonte: www.greenme.it


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Evitare l’usa e getta si può, se sai come farlo

I primi prodotti in plastica monouso sono arrivati sul mercato all’inizio del 1900 con le lamette Gillette e da quel momento non ne abbiamo più fatto a meno, con costi ambientali altissimi per la loro produzione e smaltimento. Le alternative però ci sono, e sono tantissime. A volte basta un semplice accorgimento















Avete mai pensato a quante volte al giorno usiamo prodotti monouso? Dai bicchieri di plastica, alle cannucce per le bevande, alla palettina per girare il caffè: i prodotti usa e getta sono parte integrante della nostra quotidianità. Il problema sono le enormi conseguenze sull’ambiente date dalla loro produzione e utilizzo. I primi prodotti in plastica monouso sono arrivati sul mercato all’inizio del Novecento con le lamette Gillette e da quel momento non ne abbiamo più fatto a meno, con costi ambientali altissimi per la loro produzione e smaltimento.

Secondo la Commissione Europea, il 70% dei rifiuti presenti in mare sono plastiche monouso, e tra i dieci oggetti in plastica più comunemente individuati nelle spiagge europee ci sono posate monouso, bottiglie, buste, contenitori di cibo. In Italia, ogni 100 metri fatti sulle spiagge del paese incontriamo 35 stoviglie di plastica (bicchieri, posate, cannucce) e 45 bottiglie. Dati che fanno capire la gravità della situazione e la necessità di dover cambiare le nostre abitudini: basta utilizzare stoviglie monouso che sembrano più comode.

Dalla creatività fatta in casa ai materiali sostenibili

E’ bene ricordare che il monouso, anche quello realizzato con materiale biodegradabile, dovrebbe essere sempre evitato: le risorse che servono per produrlo sono comunque sproporzionate rispetto all’utilizzo. Chi ama fare picnic o spuntini fuori casa, può sempre fare affidamento su stoviglie e contenitori lavabili e riutilizzabili. C’è poi la possibilità di utilizzare i classici barattoli vuoti della marmellata per portare con sé qualcosa da mangiare senza la necessità di utilizzare contenitori usa e getta. Nelle vostre case troverete sempre qualcosa di più resistente, meno nocivo alla salute e meno inquinante di prodotti in plastica usa e getta. Nel caso delle bottiglie d’acqua, l’alternativa per eccellenza è la borraccia.

In molti contesti però è difficile eliminare del tutto i prodotti monouso, come nella ristorazione, negli eventi e nelle mense. Esistono numerose alternative plastic-free tra cui poter scegliere ma è sempre importante tenere a mente anche la sostenibilità dei processi produttivi e le procedure per lo smaltimento successivo di questi materiali alternativi. Per bar e eventi una soluzione possibile per eliminare la plastica usa e getta è avere dei prodotti resistenti e riutilizzabili che possono essere forniti al cliente come un servizio. Un’alternativa già utilizzata in alcuni locali e durante eventi è il noleggio di bicchieri o boccali per la birra: questa strategia incentiva i clienti a non rompere il bene e ovviamente toglie dalla circolazione prodotti monouso. Nel caso della realtà PCUP, i bicchieri restituiti vengono sterilizzati e riutilizzati oltre 2000 volte.

fonte: economiacircolare.com


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In un anno 250 mila pasti ''plastic free'' nelle scuole di Poggibonsi

Il percorso di sostituzione dei monouso ha coinvolto gradualmente nel complesso oltre 2.000 utenti. Con un supplemento di lavori che si è svolto nelle ultime settimane è oggi completo




“Numeri importanti e di forte impatto anche in chiave di sostenibilità ambientale – spiega l’assessore alle Politiche educative Susanna Salvadori -. Nelle nostre scuole la plastica ha lasciato da tempo il posto al materiale biodegradabile e compostabile ovvero a piatti, bicchieri e posate in materbì. Due anni fa, nella fase di rinnovo dell’affidamento, è stato introdotto ulteriore salto di qualità legato alla progressiva dismissione dei monouso a favore delle stoviglie riutilizzabili. Questo percorso si è sviluppato gradualmente interessando tutti i plessi già alla fine del precedente anno scolastico. Con un supplemento di lavori che si è svolto nelle ultime settimane alla scuola Marmocchi il percorso è oggi completo”. In ogni scuola infatti l’introduzione di piatti in ceramica e di bicchieri di vetro è stata conseguente all’allestimento da parte del gestore dell’apposita zona con attrezzature per il lavaggio delle stoviglie, condizione necessaria per dismettere i monouso in materbì. Tale allestimento si è completato anche alla Marmocchi dove dalla prossima settimana il servizio mensa vedrà l’introduzione di questa novità nelle stoviglie.

Tutti i lavori rientrano nel progetto del gestore del servizio di refezione, CIR food, per come definito nel capitolato di gara. Un complesso di lavori realizzati con progettazione concordata con l’Amministrazione, dal valore di oltre 250mila euro che si sono avviati negli anni scorsi con la ristrutturazione della cucina comunale, con installazione di nuove attrezzature, lavori per la dispensa e realizzazione di spogliatoi e servizi per i dipendenti.

“Interventi strutturali che hanno portato a migliorare gli spazi e le attrezzature e che si sono accompagnati anche ad altre scelte e azioni. Una di queste è stata la graduale dismissione delle stoviglie monouso in tutte le scuole che è andata di pari passo con l’introduzione dei fontanelli e delle brocche che hanno consentito di dimettere le bottiglie di plastica”, ricorda l’assessore. I fontanelli presenti nei plessi poggibonsesi sono diciassette ed erogano acqua microfiltrata. Sono stati installati modelli a colonna e sotto lavello a seconda delle possibilità dei singoli refettori, uno per ogni scuola dell’infanzia e in numero variabile (legato al numero di studenti e studentesse) alle Marmocchi, alle Calamandrei, alle Vittorio Veneto e alle Pieraccini. La presenza di acqua in bottiglie ad oggi è legata ai soli asili nido (dove viene mantenuta) ed è funzionale alla sola emergenza in caso di malfunzionamento degli impianti. “Il percorso di migliore prosegue – chiude l’assessore - parallelamente ad altre azioni promosse sempre tenendo presenti aspetti del servizio che ci vedono impegnati nel percorso costante in seno al Comitato mensa. Gli obiettivi sono quelli di migliorare la qualità del servizio e di valorizzare la corretta alimentazione anche facendo sensibilizzazione e promozione sulle buone pratiche alimentari e ambientali”.

fonte: http://www.sienafree.it/

Sacchetti. Studio Università di Plymouth: il punto di vista di Assobioplastiche

Assobioplastiche ritiene “inaccettabile che uno studio che conferma un’ulteriore distinzione netta tra materiali in termini di proprietà di biodegradazione e corretta utilizzabilità di tale caratteristica venga strumentalizzato per comunicare un messaggio scorretto”






















L’Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili interviene dopo la pubblicazione di alcuni articoli sullo studio ‘Environmental Deterioration of Biodegradable, Oxo-biodegradable, Compostable, and Conventional Plastic Carrier Bags in the Sea, Soil, and Open-Air Over a 3‑Year Period’ effettuato da di Imogen E. Napper e Richard C. Thompson dell’Università di Plymouth’. “Contrariamente a quanto riportato da alcune testate – fa sapere l’Associazione - lo studio, i cui risultati sono stati annunciati ieri, ci dice che solo il sacchetto biodegradabile e compostabile – progettato per essere gestito nel circuito della raccolta dell’umido in appositi impianti industriali – anche se erroneamente disperso nell’ambiente per effetto di cattive abitudini (littering), va incontro a totale decomposizione in ambiente marino in soli tre mesi e presenta un impatto ambientale ridotto”.
Lo studio ha esaminato un sacchetto in polietilene alta densità, due sacchetti oxo-degradabili, un sacchetto con sopra apposta la parola “biodegradable” e, infine, un sacchetto biodegradabile e compostabile. “Tale studio non ci dice nulla di nuovo, ma conferma – sottolinea Assobioplastiche - che è scorretto utilizzare il termine ‘biodegradabile’ rispetto a prodotti a base di polimeri tradizionali o con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (c.d. oxo-degradabili). Gli unici prodotti a potersi fregiare correttamente di tale definizione sono quelli in bioplastica compostabile, come peraltro già chiarito nel 2015 in Italia dall’AGCM (Direzione Tutela del Consumatore) nel caso dei sacchetti oxo-degradabili, all’epoca utilizzati da alcune insegne della GDO”.
Assobioplastiche ritiene “inaccettabile che uno studio che conferma un’ulteriore distinzione netta tra materiali in termini di proprietà di biodegradazione e corretta utilizzabilità di tale caratteristica venga strumentalizzato per comunicare un messaggio scorretto. La soluzione non è la biodegradazione in quanto tale (che comunque i sacchetti in bioplastica compostabile possiedono a differenza degli altri), quanto la ricerca e l’applicazione di modelli di corretta gestione dei rifiuti organici, di cui l’Italia è esempio virtuoso”.
“La biodegradabilità insomma, come lo studio lascia presumere, non deve essere mai vista come una più comoda soluzione o una scusa per la disseminazione incontrollata nell’ambiente (che porterebbe al paradosso di legittimare ad esempio il littering degli scarti e residui organici in mare, in quanto biodegradabili)” rimarca l’Associazione. “Assobioplastiche – come molte altre organizzazioni in Italia e in Europa – è da sempre impegnata nella vera sfida di questo momento straordinario: la ricerca e lo sviluppo di materiali innovativi, di nuovi modelli di produzione e di consumo consapevole, di sensibilizzazione e di efficienti sistemi di gestione dei rifiuti, nello spirito di quella economia circolare che l’Unione europea sta perseguendo”.

Spazzolini biodegradabili!


Gli spazzolini in plastica dura hanno un pesante impatto ambientale, perché la plastica deriva dal petrolio  e  nel giro di 3 mesi diventano pessimi rifiuti indifferenziati. Manico e setole non si riciclano. Una soluzione intermedia è cambiare la testina (cosa che facevamo finora) ma in genere:
-testine e spazzolini sono acquistati in imballi in plastica più grossi di loro.
-a lungo andare, rimane sempre un po' di sporco tra testina e manico
-la testina va comunque getttata nell'indifferenziata.
Come fare? Abbiamo deciso di provare spazzolini 100 % biodegradabili e compostabili, in bambù, anche se siamo perplessi sulla provenienza del bambù.


Li abbiamo comprati da Tea Natura, prodotti ad Ancona: sono totalmente fatti in bambù (sia setole sia manico) con marchio vegan ok e 100% biodegradabili e compostabili. Vanno cambiati ogni 2-3 mesi, come i normali spazzolini e si possono sotterrare in giardino o buttare nel compost. Anche il packaging è sobrio e sostenibile, fatto con carta riciclata. Il prezzo per pubblico è 3 euro a spazzolino, per i gruppi di acquisto è un po' inferiore. Il bambù, spiega la ditta produttrice, è la pianta con il miglior rapporto di resa legno per ettaro e non ha bisogno di fertilizzanti per la coltivazione. Ha grossi effetti di riduzione di CO2 dal momento che incamera quattro volte le emissioni di un gruppo di alberi di dimensioni simili. Inoltre il bamboo è naturalmente resistente ai batteri quindi è difficile che pericolosi germi prendano albergo nel nostro spazzolino ecologico.  Risulta quindi una pianta sostenibile per l'ambiente.


Il problema è la provenienza del bambù, non proprio a km zero...viene infatti da piantagioni della Cina! E' un po' triste che non ci sia niente di sostituibile e locale. Dalle schede tecniche delle piantagioni cinesi che Teanatura ha richiesto, si legge che non vengono usati concimi chimici, fertilizzanti, né pesticidi. Ma Tea Natura ammette di non essere mai andata a controllare. In Cina purtroppo, non ci sono certificazioni biologiche serie e garantite e anche per quel che riguarda le condizioni dei lavoratori non possiamo avere molte garanzie. 
Perché non provare a creare piantagioni di bambù in Italia, biologiche e sostenibili? Oppure creare manici con altro materiale biodegradabile locale?
Esistono anche altre marche, acquistabili on line, di spazzolini in bambù, ma tutti provengono dalla Cina e alcuni di questi non hanno setole compostabili:
Hydrophil, biodegradabile al 96%. E' un prodotto completamente vegan e formato da un manico in bambù e da setole in plastica biologica e biodegradabile (nylon 4) ma non compostabile.
Brogobushuno spazzolino fatto e ideato negli  USA e realizzato interamente in bambù dipinto con colori ad acqua e con setole in nylon biodegradabile (che a differenza del tradizionale nylon, per decomporsi impiega meno di un anno). Anche questo non è compostabile. Per ogni BogoBrush acquistato, la società ne donerà uno in beneficienza a persone bisognose di Detroit, Atlanta e Minnesota.
Woobamboo, proviene dagli USA ed ha solo il manico  in bambù biodegradabile. (Ma convenite che non ha molto senso comprare uno spazzolino fatto negli USA con bambù che viene dalla Cina!!!)
Jachandjiillkids, manico in amido di mais, setole in nylon non compostabile. 

Cosa mettere sopra lo spazzolini? dentifricio fai da te! per la ricetta clicca qui!

Linda Maggiori

fonte: http://famiglie-rifiutizero.blogspot.it

Addio alla plastica, sostituita da pellicole di latte

Sono commestibili, sul mercato fra 3 anni

 

Presto le confezioni di plastica per gli alimenti potrebbero diventare un ricordo, sostituite dalle pellicole ottenute con le proteine del latte, che non inquinano e che si possono perfino mangiare. E se oggi il sapore non è un proprio un granché, potranno diventare appetitosi con l'aggiunta di qualche additivo e più nutrienti, una volta arricchiti con vitamine. Gli imballaggi di nuova generazione e decisamente 'green' sono stati messi a punto presso il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti e presentati a Philadelphia, nel congresso della Società Americana di Chimica.

 

La fase di produzione è già cominciata, anche se è appena agli inizi, con una prima linea di produzione avviata in una piccola azienda texana, ma già altre aziende stanno guardando con interesse ai nuovi imballaggi. Tanto che i ricercatori, coordinati da Peggy Tomasula e Laetitia Bonnaillie, prevedono che le prime pellicole al latte possano arrivare sul mercato nell'arco dei prossimi tre anni.

"La pellicola fatta con le proteine del latte è anche molto efficace nel bloccare l'ossigeno, garantendo una migliore conservazione dei cibi nella catena della distribuzione e riducendo di conseguenza gli sprechi", ha osservato Tomasula. Si calcola infatti che queste pellicole 'da mangiare' blocchino il contatto dei cibi con l'ossigeno con un'efficacia 500 volte maggiore rispetto a quella della plastica. Risolverebbero inoltre uno dei maggiori problemi legati alle confezioni in plastica, vale a dire l'accumulo di tonnellate di rifiuti non biodegradabili, che occupano le discariche per anni.

Le uniche pellicole simili, ossia biodegradabili e commestibili, finora in commercio sono ottenute dall'amido delle patate. Ma queste sono più porose e lasciano penetrare più ossigeno, con scarsi risultati sulla capacità di conservare i cibi a lungo. A confronto, i pori delle pellicole ottenute dal latte, utilizzando la caseina, sono molto più piccoli e riescono a proteggere meglio i cibi. Per rendere le pellicole ancora più robuste, resistenti a umidità e temperatura e maneggevoli, è stata utilizzata la pectina estratta dai limoni.

Tra le prime applicazioni c'è il confezionamento di cibi in porzioni singole, ha detto Bonnaillie. Un altro vantaggio della plastica derivata dal latte è che può essere applicata come uno spray su cibi meno resistenti al contatto con l'umidità, come i cereali, oppure per conservare in modo ideale la pizza, evitando che il condimento si disperda.

 

 

fonte: www.ansa.it

Minimizzare il consumo di shopper è possibile: manca la volontà politica

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Ridurre drasticamente il consumo usa e getta, e in particolare lo shopper per la spesa, è stata la “missione impossibile” della nostra prima campagna nazionale Porta la Sporta lanciata nel 2009.
Nonostante tutti gli sforzi e l’impegno esercitato attraverso la nostra campagna e soprattutto dalle centinaia di iniziative affini intentate a livello nazionale, la battaglia resta, ad oggi tutt’altro che vinta. Per vincere definitivamente questa partita, oltre alla sensibilizzazione ambientale, serve la volontà politica. Questo vale sia per l’Italia che per l’estero, come vedremo nell’aggiornamento che vi proponiamo.
IL CASO ITALIANO: UN SUCCESSO A META’
Nonostante siano scattate dal 21 agosto 2014 (data di entrata in vigore della legge n. 116/2014, di conversione del D.L. 91), le sanzioni amministrative pecuniarie previste per la commercializzazione di shoppers monouso realizzati con polimeri non conformi alla norma tecnica UNI EN 13432:2002, i sacchetti di plastica “illegali” sono tutt’altro che spariti.
Come si può rilevare a colpo d’occhio, a parte i punti vendita della Distribuzione organizzata che si sono per lo più adeguati, nel commercio di prossimità (salvo alcune eccezioni), nei mercati e aziende agricole si utilizzano quasi esclusivamente sacchetti illegali non biodegradabili e compostabili.
Una situazione abbastanza prevedibile per un paese dove le leggi ci sono ma non si rispettano (confidando in controlli da inesistenti a improbabili) oppure dove, “fatta la legge trovato l’inganno”.
Neppure le operazioni di sequestro di intere partite di sacchetti illegali avvenute negli ultimi anni sono riuscite a scoraggiare questo mercato parallelo che ha recentemente escogitato un ulteriore sotterfugio. Su alcune piazze come quella di Torino sta prendendo piede una nuova tipologia di sacchetti di plastica, per lo più colore bianco o trasparenti che in realtà sarebbero permessi solamente per uso interno. Come si può leggere su Eco dalle Città diventa così ancora più complesso aggredire il fenomeno alla radice (con sequestri presso i produttori) poichè è il consumo che se ne fa ad essere illegale, non i sacchetti…
Come anticipato riteniamo che le campagne di sensibilizzazione come  SacchETICO,  rilanciata recentemente da Legambiente siano importanti, ma che per centrare l’obiettivo  debbano essere accompagnate da altre misure. Riteniamo che affidarsi esclusivamente alla buona volontà dei cittadini o dei negozianti, nel fare o meno la cosa giusta, sia una battaglia persa, soprattutto quando la premialità funziona al contrario. Ai rivenditori fa infatti comodo pagare gli shopper il meno possibile per poterli “regalare” ai clienti, nei quali predomina l’interesse a non pagarli.
Nel nostro piccolo abbiamo avuto modo di toccare con mano durante l’iniziativa di Sfida all’ultima sporta durata sei mesi nel 2013 che lo shopper è stato drasticamente ridotto solamente in quegli esercizi del piccolo commercio o punti vendita della distribuzione organizzata, dove lo shopper, veniva fatto pagare senza deroghe. Eloquente il caso che abbiamo potuto documentare comparando la performance di tre panetterie di uno stesso Comune che ha partecipato alla nostra competizione che avevano in essere un diverso approccio rispetto all’offerta dei sacchetti ai clienti. Nel caso A i sacchetti si pagavano, nel caso B la propietaria faceva quotidianamente azione di sensibilizzazione, e nel caso C i sacchetti non solamente NON si pagavano ma venivano offerti per default.
seguesfida - percentuale vendita nei panificipanifici

Giornata Mondiale della Terra: Eco-consigli per far bene alla terra grazie al compost

 © ANSA
Preferire vini con tappi di sughero a quelli in plastica, verificare la dicitura 'compostabile' sullo shopper e leggere etichette e confezioni per accertarsi che siano prodotti che possono "tornare alla terra senza causare inquinamento e aumento dei rifiuti". Sono alcuni degli 'Eco-consigli per una buona raccolta differenziata dell'umido e per far bene alla terra grazie al compost, fertilizzante organico' che il Consorzio Italiano Compostatori (CIC) svela in occasione della Giornata Mondiale della Terra che si celebra il 22 aprile.

Infatti - come spiega Cic - oltre agli scarti di frutta e verdura, base per un ottimo compost, anche i tappi di sughero, resti di cibo secco degli animali, fiori appassiti o morti, carta usata di fazzolettini o tovaglioli possono essere compostati; le materie prime per la produzione del terriccio compostato sono tutti gli scarti, residui ed avanzi di ogni tipo organico biodegradabile. Vanno invece evitati rifiuti non biodegradabili, o contaminati da sostanze tossiche o nocive. L'impiego del compost - sottolinea il Cic - svolge nel terreno una triplice azione: reintegra la sostanza organica (carbonio) e gli elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio); aumenta la porosità, rendendolo più lavorabile; riavvia i cicli biologici favorendo la presenza di batteri e lombrichi. Come spiega Massimo Centemero, direttore del Cic, "l'Italia è leader in Europa nel compostaggio e in questo settore applica in pieno i principi della Circular Economy: studiare i modelli della natura per applicarli alle attività umane" e "trasformare gli scarti organici in compost è uno dei modi per contribuire all'uso sostenibile delle risorse".

Il compost - specifica il Cic - è un fertilizzante organico per l'orto, nella semina dei tappeti erbosi, nei trapianti di pomodori, zucchine ed altri ortaggi ma anche per le piante ornamentali e per piantare alberi e arbusti; si usa anche per la pacciamatura e quindi per il controllo della crescita delle erbe infestanti.

fonte: http://www.ansa.it

Plastica compostabile, il mercato Ue cresce



Se la legislazione Ue fosse più favorevole il mercato dei prodotti biocompostabili potrebbe andare ben oltre le 100.000 tonnellate del 2015 secondo lo Studio di mercato di Nova-Institute presentato il 5 aprile 2016.
Lo "Studio di mercato sul consumo di prodotti di plastica biodegradabili e compostabili in Europa" ha rilevato un'impennata nel 2015 di tali prodotti: circa i due terzi sono sacchetti compostabili utilizzati principalmente per la spesa o la raccolta dei rifiuti organici. L'Italia — rileva questa analisi di mercato che ha toccato diversi Paesi Ue — grazie a una legge favorevole (leggi 296/2006 e Dl 2/2012 convertito in legge 27/2012) è leader di mercato mentre il mercato tedesco – patria del Nova-Institute — è stato ostacolato da una legislazione sfavorevole sui rifiuti organici.
A livello Ue c'è la direttiva 2015/720/Ue sulla riduzione dei sacchetti di plastica leggeri.
Lo Studio rileva come una legislazione Ue più favorevole di quella attuale verso i prodotti di plastica biodegradabili e compostabili potrebbe fare crescere la domanda fino a oltre 300.000 tonnellate nel 2020. Nova-Institute è un istituto di ricerca tedesco privato e indipendente fondato nel 1994 che fa ricerca e consulenza in particolare sull'economia "bio-based" and "CO2-based" nel campo delle materie prime.


fonte: http://www.reteambiente.it/

La bottiglia di alghe biodegradabile che si decompone quando si svota

bottiglialghe
Ari Jónsson, product designer attualmente studente alla Iceland Academy of the Arts, ha una soluzione al problema dell’inquinamento dovuto alle bottiglie di plastica: si chiama “agar agar” ed è una sostanza ricavata dalle alghe non del tutto sconosciuta, anzi, che può essere usata per creare bottiglie ecofriendly.
Ci vogliono centinaia di anni perché una bottiglia di plastica si decomponga in una discarica. E solitamente ogni bottiglia viene utilizzata una volta sola, uno spreco quotidiano a cui purtroppo spesso non facciamo più caso.
Ari Jónsson ha mostrato in anteprima al DesignMarchun festival di design di Reykjavik, il suo progetto: una bottiglia d’acqua biodegradabile realizzata partendo dalle alghe.
“Ho sentito un bisogno molto forte di sostituire la grandissima quantità di plastica che produciamo e utilizziamo e poi buttiamo via. Perché usiamo materiali che impiegano centinaia di anni per decomporsi se beviamo una volta soltanto e poi li gettiamo?, dice Jónsson.
Così ha iniziato a studiare la resistenza di vari materiali per capire quale fosse il migliore per diventare una bottiglia, poi si è imbattuto nella polvere di agar agar, un gelificante ottenuto dalle alghe e già molto utilizzato ad esempio nella cucina vegana come sostituto della colla di pesce.
Finché la bottiglia è piena d’acqua mantiene la sua forma, mentre si svuota invece inizia a decomporsi. Se cade o il fondo è troppo sottile o se c’è un buco, si scalda e le si ridà forma.
Ovviamente, essendo composta da materiali naturali, è possibile bere l’acqua con cui viene riempita, anche se tende ad acquisire un gusto particolare, comunque apprezzato da chi ha provato ad assaggiarla. Addirittura, teoricamente, la bottiglia potrebbe essere mangiata dopo aver bevuto l’acqua che contiene.

fonte: www.greenbiz.it

Riciclo della plastica? Ci pensa il batterio mangia-PET

Un gruppo di chimici giapponesi ha isolato da un impianto di riciclo della plastica un batterio capace di abbattere e metabolizzare il Polietilene tereftalato

Riciclo della plastica? Ci pensa il batterio mangia-PET

Il batterio Ideonella sakaiensis ha un debole per il PET, la plastica utilizzata per le bottiglie d’acqua. Al pari di alcuni miceti infatti, questo microorganismo è in grado di rompere e metabolizzare le catene polimeriche per soddisfare le sue esigenze nutritive. A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori giapponesi isolando per la prima volta il batterio  da un impianto di riciclo della plastica. Ora i ricercatori sono convinti di aver compiuto un importante progresso nello sviluppo di nuovi metodi per biodegradare in sicurezza il Polietilene tereftalato (PET).

Oggi il PET è utilizzato ovunque. Europa, Nord America e Asia sono le regioni che maggiormente sfruttano questo materiale per la produzione di imballaggi per bevande, ma dal punto di vista del riciclo vi sono enormi differenze da territorio a territorio. Senza contare che tuttora la biodegradazione non è tra le strategie di smaltimento praticabili per i polimeri derivati dal petrolio. Qualcosa potrebbe cambiare con il lavoro svolto dal chimico Shosuke Yoshida e colleghi.

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La speciale capacità enzimatica del microrganismo è stata scoperta dopo che gli scienziati hanno passato al setaccio 250 campioni di PET prelevati da differenti impianti di riciclo.
Quello che lascia più stupiti è come I. sakaiensis si sia evoluto per nutrirsi di plastica in un tempo brevissimo, dal momento che la produzione di polietilene tereftalato è cominciata solo negli anni ‘70. In questo ridotto spazio temporale il batterio ha fatto un salto evoluzionistico non indifferente, adattando due suoi enzimi al metabolismo della plastica, che viene degradata in due monomeri eco-compatibili, l’acido tereftalico e il glicole etilenico. Unico inconveniente: l’intero processo dura nel migliore dei casi (ovvero quando il materiale di partenza è un film plastico sottilissimo) ben sei settimane.

E’ possibile, però, che gli scienziati siano in grado di accelerare il processo artificialmente intervenendo sull’ambiente o sulla genetica del microrganismo. “Abbiamo condiviso la possibilità del riciclo biologico della plastica”, spiega Yoshida, primo autore dell’articolo pubblicato su Scienze. “Vogliamo sviluppare questa scoperta in un’applicazione pratica. Questo è il primo passo”

fonte: www.rinnovabili.it

Bio-on: a Bologna nasce la plastica green per i giocattoli, biodegradabile al 100%

I laboratori bolognesi di Marco Astorri e del suo team hanno realizzato un nuovo tipo di bio plastica, progettata per i giocattoli del futuro. Ecco come rispettare l’ambiente senza rinunciare ad estetica e funzionalità.


Marco Astorri e il suo socio francese Guy Cicognani nel 2006 avevano scoperto via Internet un gruppo di ricercatori che stava sperimentando un modo per creare la plastica con il melasso, un residuo da smaltire della produzione dello zucchero da barbabietola e canna. E videro che prima di loro, dal lontano 1990, Catia Bastioli negli stabilimenti della Novamont a Terni, ha iniziato a produrre la MaterBi, plastica a base di amido di mais (fornendo poi piatti, bicchieri e posate per le Olimpiadi di Londra 2006).
Marco e Guy si sono interessati alla plastica, e alle soluzioni innovative per rimpiazzarla, dopo la loro esperienza lavorativa in montagna. La loro attenzione si era posata sugli skipass che venivano abbandonati sulle piste, i quali sarebbero rimasti lì anche dopo che la neve si fosse sciolta.
Con i loro risparmi (circa 250 mila euro) acquistarono i brevetti di quel gruppo di ricercatori trovati via web, e di altri sparsi nel mondo, e iniziarono a produrre nei propri laboratori di Minerbio, a circa 40 chilometri da Bologna.

Marco e Guy, a digiuno di chimica e modelli matematici, coinvolsero nel progetto Simone Begotti, scienziato trovato anche lui navigando in rete.
Nel 2007 nacque così Bio-on, con l’obiettivo di ricreare la molecola descritta dal biologo francese Maurice Lemoigne nel lontanissimo 1926: il PHA.
Bio-on: a Bologna nasce la plastica green per i giocattoli, biodegradabile al 100%

Bio-on e la molecola per la plastica eco-friendly

Il PHA, ovvero il poliidrossialcanoato, è una molecola di origine batterica. La sua scoperta nel ’26 non trovò particolari impieghi nell’industria: a quei tempi produrre plastica dal petrolio era molto economico, e i costi per l’ambiente non erano presi in considerazione. Ora i costi ambientali non possono essere più sottovalutati: la ricerca sui PHA ha dunque ripreso vigore e ha reso possibile la scoperta, da parte di un’équipe di ricercatori australiani, di un modo semplice ed economico per produrre queste molecole.
Il segreto è il melasso, uno scarto della lavorazione dello zucchero. Con l’acquisto dei brevetti da parte di Astorri e Cicognani, e la costituzione di Bio-on, l’Italia è diventato il primo Paese produttore di questo tipo di plastica biodegradabile al 100%. Ma come avviene il processo? Simone Begotti, a “la Repubblica”, lo spiega cosi: «si tratta di affamare e poi far ingrassare dei batteri. In poche ore quel grasso diventa la polvere con cui facciamo la plastica».
Bio-on: a Bologna nasce la plastica green per i giocattoli, biodegradabile al 100%

La Minerv PHA Supertoys e i giocattoli del futuro

Qualche giorno fa i laboratori Bio-on hanno lanciato, con un comunicato stampa, un nuovo tipo di bio plastica, progettata per i giocattoli del futuro: il grado speciale Minerv PHA Supertoys, che è stato utilizzato per la prima volta nella fabbricazione di mattoncini per costruzioni (come quelli Lego).
Bio-on: a Bologna nasce la plastica green per i giocattoli, biodegradabile al 100%
Basata sul rivoluzionario bio polimero Bio-on (già testato in decine di applicazioni, dall’automotive, al design fino al biomedicale), Supertoys è sicura, igienica, biodegradabile al 100%, rispetta e va oltre le disposizioni della recente Direttiva Europea 2009/48/CE, comunemente denominata TDS (Toy Safety Directive), recepita ed implementata nella procedura standard internazionale per la valutazione della sicurezza dei giocattoli.
Il progetto Minerv PHA Supertoys a oggi non ha alcuno scopo commerciale ed è volto alla sola dimostrazione che è possibile realizzare formulazioni specifiche, eco sostenibili, completamente biodegradabili per realizzare giocattoli che rispettano i bambini e l’ambiente senza rinunciare a funzionalità ed estetica del prodotto finale.

Bio-on, i giocattoli e il futuro

Il progetto è cominciato nel gennaio 2014 e l’obiettivo è la sua conclusione entro il dicembre 2017, con la creazione di due differenti tipi di plastica: Minerv Supertoys type “R” con forte rigidità e resistenza, e Minerv Supertoys type “F” con grande flessibilità e duttilità. Il team di ricerca e sviluppo è aperto a chiunque abbia la voglia e la possibilità di portare esperienze, idee ed entusiasmo: Bio-on può essere contattata con una mail a info@bio-on.it, indicando nell’oggetto della mail “MinervSupertoys – friendly”.
L’intento è quello di introdurre una nuova metodologia di sviluppo che metta in secondo piano l’aspetto economico-finanziario e si concentri invece sull’aspetto di social innovation.
Insomma, Bio-on vuole costruire un futuro migliore, green e libero dalla plastica che siamo abituati a conoscere, mattoncino dopo mattoncino.

fonte: http://thenexttech.startupitalia.eu

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