Un
gruppo di chimici giapponesi ha isolato da un impianto di riciclo della
plastica un batterio capace di abbattere e metabolizzare il
Polietilene tereftalato
Il batterio Ideonella sakaiensis ha un debole per il PET,
la plastica utilizzata per le bottiglie d’acqua. Al pari di alcuni
miceti infatti, questo microorganismo è in grado di rompere e
metabolizzare le catene polimeriche per soddisfare le sue esigenze
nutritive. A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori giapponesi
isolando per la prima volta il batterio da un impianto di riciclo della plastica.
Ora i ricercatori sono convinti di aver compiuto un importante
progresso nello sviluppo di nuovi metodi per biodegradare in sicurezza
il Polietilene tereftalato (PET).
Oggi il PET è utilizzato ovunque.
Europa, Nord America e Asia sono le regioni che maggiormente sfruttano
questo materiale per la produzione di imballaggi per bevande, ma dal
punto di vista del riciclo vi sono enormi differenze da territorio a
territorio. Senza contare che tuttora la biodegradazione non è tra le
strategie di smaltimento praticabili per i polimeri derivati dal
petrolio. Qualcosa potrebbe cambiare con il lavoro svolto dal chimico
Shosuke Yoshida e colleghi.
La speciale capacità enzimatica del microrganismo è stata scoperta dopo che gli scienziati hanno passato al setaccio 250 campioni di PET prelevati da differenti impianti di riciclo.
Quello che lascia più stupiti è come I.
sakaiensis si sia evoluto per nutrirsi di plastica in un tempo
brevissimo, dal momento che la produzione di polietilene tereftalato è
cominciata solo negli anni ‘70. In questo ridotto spazio temporale il
batterio ha fatto un salto evoluzionistico non indifferente, adattando
due suoi enzimi al metabolismo della plastica, che viene degradata in due monomeri eco-compatibili,
l’acido tereftalico e il glicole etilenico. Unico
inconveniente: l’intero processo dura nel migliore dei casi (ovvero
quando il materiale di partenza è un film plastico sottilissimo) ben sei
settimane.
E’ possibile, però, che gli scienziati siano in grado di accelerare il processo artificialmente intervenendo sull’ambiente o sulla genetica del microrganismo. “Abbiamo condiviso la possibilità del riciclo biologico della plastica”, spiega Yoshida, primo autore dell’articolo pubblicato su Scienze. “Vogliamo sviluppare questa scoperta in un’applicazione pratica. Questo è il primo passo”
fonte: www.rinnovabili.it