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Intesa tra Assobioplastiche e Federdistribuzione nel segno dell’economia circolare












Il protocollo di intesa siglato da Assobioplastiche e Federdistribuzione mira a un coinvolgimento attivo del cittadino-consumatore, rendendolo parte integrante nella transizione verso modelli di sostenibilità

Diffondere la cultura dell’economia circolare, privilegiando 

Intesa tra Assobioplastiche e Commissione Ecomafie

Al centro dell'accordo scambio di informazioni, supporto nello svolgimento di attività di accertamento di illeciti e collaborazione in iniziative formative.












L’Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili (Assobioplastiche) ha siglato un protocollo d'intesa tra la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie), che ha come oggetto tre filoni: scambio di informazioni, supporto nello svolgimento di attività di accertamento di illeciti, collaborazione in iniziative di formazione. Il documento è stato sottoscritto oggi dal Presidente della Commissione On. Stefano Vignaroli e dal Presidente di Assobioplastiche Marco Versari.


Tra gli obiettivi dell'intesa, la messa a punto di misure più efficaci volte alla prevenzione e al contrasto degli illeciti, nonché alla tutela dell’ambiente e dei consumatori, partendo dalla formazione del personale degli organi accertatori sui temi della produzione, distribuzione e utilizzazione delle bioplastiche.
Versari sottolinea, tra gli scopi del protocollo, il contrasto al fenomeno degli shopper illegali, definito "Un mondo parallelo di commercio di prodotti fuori legge, venduti in nero, talora in connessione con la malavita organizzata, con danni incalcolabili per l’ambiente, l’economia, l’erario e i cittadini, che continua ad avere dimensioni drammaticamente ingenti". "Contiamo molto sulla collaborazione con la Commissione Ecomafie - aggiunge il Presidente di Assobioplastiche - per ripristinare quella legalità indispensabile a tutelare l’ambiente naturale, gestire correttamente il ciclo dei rifiuti e assicurare le corrette condizioni di mercato ad una filiera industriale, leader in Europa, in grado di generare nuova occupazione e ingenti investimenti in innovazione".

"La Commissione sta svolgendo un’inchiesta per approfondire gli illeciti nel settore degli shopper e identificare le falle che ancora oggi non consentono di sconfiggere del tutto questo fenomeno - sottolinea il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli -. A questo scopo, la collaborazione è fondamentale. Per questo reputo particolarmente importante il protocollo d’intesa con Assobioplastiche, che è il risultato di un dialogo avviato da tempo con l’associazione e segue a quelli firmati a giugno scorso con il Comune e la Città metropolitana di Napoli".

Le Parti si sono impegnate anche "per un fruttuoso scambio informativo": a questo fine, Assobioplastiche metterà a disposizione della Commissione Ecomafie la propria banca dati, nel rispetto della normativa sulla privacy. Infine, una collaborazione sarà avviata anche nelle attività di accertamento di illeciti promosse dalla Commissione direttamente o nell’ambito di suoi protocolli di intesa con forze di polizia.


fonte: www.polimerica.it


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Bioplastiche: Nuovi modelli di produzione e consumo

















Il 2021 sarà l'anno dell'addio alle plastiche monouso e dell'aumento di quelle biodegradabili, ma per favorire la svolta sostenibile serve investire su ricerca e comunicazione al cittadino



fonte: Ricicla.tv

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Biorepack, arriva il settimo consorzio Conai

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto di approvazione dello statuto del Consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile.

















Biorepack è ufficialmente il settimo consorzio di filiera Conai: l'approvazione dello statuto del Consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile da parte del Ministro dell'Ambiente e del Ministro dello Sviluppo Economico è stata sancita con la pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale di sabato 14 novembre (vedi testo).

Costituito a Roma il 26 novembre 2018 da sei tra i principali produttori e trasformatori di bioplastiche – Ceplast, Ecozema-Fabbrica Pinze Schio, Ibi plast, Industria Plastica Toscana, Novamont e Polycart – Biorepack si occuperà della gestione a fine vita degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile che possono essere riciclati con la raccolta della frazione organica dei rifiuti e trasformati, con specifico trattamento industriale, in compost o biogas.

“Siamo estremamente soddisfatti – commenta Marco Versari, presidente di Biorepack (oltre che di Assobioplastche) - perché con l’approvazione dello Statuto viene riconosciuta la specificità di un materiale con un fine vita del tutto peculiare rispetto a quello degli altri presidiati dagli attuali sei consorzi di filiera del Conai. Essere il primo consorzio europeo per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica significa fare un passo avanti senza confronti nel campo del riconoscimento del valore del riciclo biologico e consentire al nostro Paese di rafforzare la sua leadership nel settore della bioeconomia circolare".
"Siamo pronti sin da subito a collaborare con Conai, con gli altri consorzi e con ANCI per coordinare e ottimizzare la gestione del riciclo, affinché i cittadini possano conferire correttamente nella raccolta dell’umido domestico gli imballaggi in bioplastica e l’Italia incrementare i risultati di riciclo”, conclude Versari.

fonte: www.polimerica.it


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Ma le biobottiglie producono microplastiche? I dubbi di un lettore e la risposta di Assobioplastiche

















Un lettore ci scrive per cercare di risolvere i suoi dubbi sulle cosiddette biobottiglie e sugli effetti sulla salute che il loro utilizzo può comportare. Ecco la lettera.
Le biobottiglie rilasciano microparticelle come quelle di plastica? Ritengo che, se la biobottiglia non costituisce pericoli per la salute, il suo uso potrebbe essere incentivato e che il maggior costo sarebbe accettato dalla maggioranza dei consumatori.
Lettera firmata
Alla domanda del nostro lettore risponde Carmine Pagnozzi, direttore di Assobioplastiche.
Se per biobottiglie si intendono i contenitori certificati EN 13432 e, quindi, realizzati con polimeri biodegradabili e compostabili, il prodotto si trasforma in compost insieme alla frazione organica dei rifiuti urbani senza generare accumulo di microplastiche (il miglior comportamento ambientale dei prodotti certificati EN 13432 è, infatti, garantito sempre all’interno della gestione e raccolta delle frazione organica). Occorre però sottolineare che non esistono soluzioni miracolose alla non corretta gestione del fine vita delle bottiglie dell’acqua. 
Più che all’idea della sostituzione 1:1 (biobottiglia invece delle bottiglia in PET) occorre guardare ad iniziative come quella della cosiddetta ‘acqua del Sindaco’, all’utilizzo di borracce e/o contenitori riutilizzabili e, soprattutto, ai comportamenti responsabili dei cittadini e alle corrette raccolte dei rifiuti. Non dobbiamo dimenticare che l’inquinamento ambientale non dipende mai dai materiali in sé ma solo dall’utilizzo che di questi ne fa l’uomo quando diventano rifiuto. Peraltro, occorre anche riconoscere che, nell’amplissimo mondo dei manufatti in plastica, le bottiglie in PET sono quelle che hanno flussi di raccolta ben definiti e che più di altri possono assicurare il riciclo del materiale.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Se disperse anche le buste biodegradabili inquinano: individuati effetti tossici sulle piante

Assobioplastiche: «Sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale. Non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali»

Non basta sostituire la plastica tradizionale con altri prodotti. Lardicci (Università di Pisa): «Importante informare adeguatamente sulla necessità di smaltire correttamente questi materiali»





Per risolvere i danni provocati dall’inquinamento da plastica non basta limitarsi a sostituire le buste tradizionali (come anche altri imballaggi o prodotti monouso) con quelle biodegradabili, perché anche queste ultime provocano danni se disperse nell’ambiente – e non solo a quello marino come ormai ampiamente documentato (si veda ad esempio qui, qui, qui e qui), ma anche a quello terrestre. È la conclusione cui è giunto un team di ricercatori dell’Università di Pisa, che ha pubblicato sulla rivista scientifica “Ecological indicators” uno studio incentrato sulle tradizionali shopper non-biodegradabili realizzate con polietilene ad alta densità (Hdpe) e quelle di nuova generazione, biodegradabili e compostabili, realizzate con una miscela di polimeri a base di amido.

I ricercatori hanno esaminato in particolare gli effetti fitotossici del lisciviato, ossia della soluzione acquosa che si forma in seguito all’esposizione delle buste agli agenti atmosferici e alle precipitazioni; da quanto è emerso, entrambe le tipologie di shopper rilasciano in acqua sostanze chimiche fitotossiche che interferiscono nella germinazione dei semi, con la differenza che i lisciviati da buste non-biodegradabili agiscono prevalentemente sulla parte aerea delle piante mentre quelli delle buste compostabili sulla radice.

«Nella maggior parte degli studi condotti finora sull’impatto della plastica sull’ambiente, gli effetti delle macro-plastiche sulle piante superiori sono stati ignorati – spiega il professore Claudio Lardicci dell’Ateneo pisano, che l’anno scorso aveva condotto uno studio sugli impatti delle buste biodegradabili in ambiente marino – La nostra ricerca ha invece dimostrato che la dispersione delle buste, sia non-biodegradabili che compostabili, nell’ambiente può rappresentare una seria minaccia, dato che anche una semplice pioggia può causare la dispersione di sostanze fitotossiche nel terreno».

Il gruppo Novamont, leader nello sviluppo e nella produzione di bioplastiche, parla però di «dati fuorvianti» in quanto le metodologie adottate dall’Università di Pisa per arrivare a queste conclusioni sarebbero «non validate. Sono esperimenti una tantum – argomentano da Novamont – di cui non è stata determinata la sensibilità, la riproducibilità, l’affidabilità e soprattutto non è dato il quadro di riferimento, necessario per interpretare i risultati». Anche Assobioplastiche parla di «singolare approccio al metodo scientifico», e afferma che sarebbe interessante che il gruppo di ricerca pisano applicasse le stesse metodologie di ricerca adottate per indagare gli effetti causati sull’ambiente da altri «elementi e sostanze naturali (ad es., lignina, cellulosa, scarti organici etc.)».

Sta di fatto che la stessa Novamont sottolinea coma la normalità per la gestione delle buste biodegradabili, una volta diventate rifiuti, consista nell’essere avviate a compostaggio e non certo disperse nell’ambiente. «Le bioplastiche – ribadisce al proposito Marco Versari, presidente di Assobioplastiche – sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale. Non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali»

Se irresponsabilmente gettate nell’ambiente, infatti, anche le buste biodegradabili possono continuare a far danni. Da qui «l’importanza di informare adeguatamente sulla necessità di smaltire correttamente questi materiali, considerato anche che la produzione di buste compostabili è destinata a crescere in futuro e di conseguenza anche il rischio abbandonarle nell’ambiente», come sottolinea anche Lardicci. L’unico modo per risolvere alla radice il problema dell’inquinamento da rifiuti, infatti, non è quello di sostituire un materiale con un altro, ma evitare di gettarli in giro: per una loro adeguata gestione è necessaria dunque una robusta campagna di informazione e comunicazione alla cittadinanza, oltre all’implementazione sul territorio di un’adeguata presenza di impianti industriali per la selezione, avvio a recupero e/o smaltimento dei rifiuti raccolti.

fonte: www.greenreport.it

La lezione dell’Università di Plymouth sulle buste biodegradabili: non esistono pasti gratis

Anche il sacchetto biodegradabile e compostabile è «progettato per essere gestito nel circuito della raccolta dell’umido in appositi impianti industriali», spiegano da Assobioplastiche. Non si tratta di una panacea contro i rifiuti in plastica tradizionale




















Un nuovo studio sugli imballaggi biodegradabili condotto dai ricercatori Imogen E. Napper e Richard C. Thompson dell’Università di Plymouth, i cui risultati sono stati divulgati ieri, aiuta a circoscrivere meglio il contributo che questi materiali possono dare nel gestire i nostri rifiuti, e in particolare a ridurre l’inquinamento da plastica, provando a rispondere a una semplice domanda: cosa accade in tre anni a un tipo di sacchetto in polietilene alta densità, due sacchetti oxo-degradabili, un sacchetto con sopra apposta la parola “biodegradabile” e, infine, un sacchetto biodegradabile e compostabile?
Queste buste sono state lasciate esposte all’aria aperta, nel suolo e in mare, ambienti che potrebbero potenzialmente incontrare se scartate – e non correttamente conferite nei rispettivi contenitori per l’immondizia – come rifiuti. Dopo 9 mesi tutte le buste esposte all’aria aperta si erano frammentate in pezzi più piccoli; se interrate o lasciate in mare, le buste biodegradabili, oxo-biodegradabili e convenzionali dopo 3 anni non solo erano integre, ma ancora in grado di essere usate per trasportare un carico; anche il sacchetto biodegradabile e compostabile, pur con qualche segno di deterioramento e incapace di trasportare un carico, è risultato presente nel sottosuolo dopo 27 mesi, mentre in ambiente marino si è disintegrato dopo 3 mesi.
«Questa ricerca – spiega Thompson – solleva una serie di domande su ciò che il pubblico potrebbe aspettarsi quando vede qualcosa etichettato come biodegradabile. Abbiamo dimostrato che i materiali testati non presentavano alcun vantaggio consistente, affidabile e rilevante contro i rifiuti marini. Mi interessa che questi nuovi materiali presentino anche sfide nel loro riciclaggio. Il nostro studio sottolinea la necessità di standard relativi ai materiali degradabili, delineando chiaramente il percorso di smaltimento appropriato e i tassi di degradazione che possono essere previsti».
È bene però precisare che non si tratta di una novità: come Assobioplastiche – l’Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili – asserisce sin dalla sua nascita è «scorretto utilizzare il termine “biodegradabile” rispetto a prodotti a base di polimeri tradizionali o con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (i cosiddetti oxo-degradabili). Gli unici prodotti a potersi fregiare correttamente di tale definizione sono quelli in bioplastica compostabile, come peraltro già chiarito nel 2015 in Italia dall’Agcm (direzione Tutela del consumatore) nel caso dei sacchetti oxo-degradabili, all’epoca utilizzati da alcune insegne della Gdo». Ed è vero che lo studio dell’Università di Plymouth ci dice che «solo il sacchetto biodegradabile e compostabile anche se erroneamente disperso nell’ambiente per effetto di cattive abitudini (littering), va incontro a totale decomposizione in ambiente marino in soli tre mesi e presenta un impatto ambientale ridotto».
Il fatto è che la biodegradabilità «non deve essere mai vista come una più comoda soluzione o una scusa per la disseminazione incontrollata nell’ambiente (che porterebbe al paradosso di legittimare ad esempio il littering degli scarti e residui organici in mare, in quanto biodegradabili)». Si tratta di un rischio cui il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) ha messo in guardia sin dal 2015; e che è stato affrontato con chiarezza nel 2017 da un gigante industriale del settore, l’italiana Novamont; la soluzione «non è la biodegradazione in quanto tale (che comunque i sacchetti in bioplastica compostabile possiedono a differenza degli altri), quanto la ricerca e l’applicazione di modelli di corretta gestione dei rifiuti organici», sottolinea oggi Assobioplastiche. Ricordando che anche gli imballaggi in materiali biodegradabili e compostabili «sono progettati per essere gestiti nel circuito della raccolta dell’umido in appositi impianti industriali». Cercare di affibbiare loro l’etichetta di panacea contro il problema dei rifiuti, marini in particolare, fa male alla credibilità del settore quanto alla salubrità dell’ambiente: è qui che si gioca il ruolo di una buona comunicazione in materia.
fonte: www.greenreport.it

Sacchetti. Studio Università di Plymouth: il punto di vista di Assobioplastiche

Assobioplastiche ritiene “inaccettabile che uno studio che conferma un’ulteriore distinzione netta tra materiali in termini di proprietà di biodegradazione e corretta utilizzabilità di tale caratteristica venga strumentalizzato per comunicare un messaggio scorretto”






















L’Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili interviene dopo la pubblicazione di alcuni articoli sullo studio ‘Environmental Deterioration of Biodegradable, Oxo-biodegradable, Compostable, and Conventional Plastic Carrier Bags in the Sea, Soil, and Open-Air Over a 3‑Year Period’ effettuato da di Imogen E. Napper e Richard C. Thompson dell’Università di Plymouth’. “Contrariamente a quanto riportato da alcune testate – fa sapere l’Associazione - lo studio, i cui risultati sono stati annunciati ieri, ci dice che solo il sacchetto biodegradabile e compostabile – progettato per essere gestito nel circuito della raccolta dell’umido in appositi impianti industriali – anche se erroneamente disperso nell’ambiente per effetto di cattive abitudini (littering), va incontro a totale decomposizione in ambiente marino in soli tre mesi e presenta un impatto ambientale ridotto”.
Lo studio ha esaminato un sacchetto in polietilene alta densità, due sacchetti oxo-degradabili, un sacchetto con sopra apposta la parola “biodegradable” e, infine, un sacchetto biodegradabile e compostabile. “Tale studio non ci dice nulla di nuovo, ma conferma – sottolinea Assobioplastiche - che è scorretto utilizzare il termine ‘biodegradabile’ rispetto a prodotti a base di polimeri tradizionali o con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (c.d. oxo-degradabili). Gli unici prodotti a potersi fregiare correttamente di tale definizione sono quelli in bioplastica compostabile, come peraltro già chiarito nel 2015 in Italia dall’AGCM (Direzione Tutela del Consumatore) nel caso dei sacchetti oxo-degradabili, all’epoca utilizzati da alcune insegne della GDO”.
Assobioplastiche ritiene “inaccettabile che uno studio che conferma un’ulteriore distinzione netta tra materiali in termini di proprietà di biodegradazione e corretta utilizzabilità di tale caratteristica venga strumentalizzato per comunicare un messaggio scorretto. La soluzione non è la biodegradazione in quanto tale (che comunque i sacchetti in bioplastica compostabile possiedono a differenza degli altri), quanto la ricerca e l’applicazione di modelli di corretta gestione dei rifiuti organici, di cui l’Italia è esempio virtuoso”.
“La biodegradabilità insomma, come lo studio lascia presumere, non deve essere mai vista come una più comoda soluzione o una scusa per la disseminazione incontrollata nell’ambiente (che porterebbe al paradosso di legittimare ad esempio il littering degli scarti e residui organici in mare, in quanto biodegradabili)” rimarca l’Associazione. “Assobioplastiche – come molte altre organizzazioni in Italia e in Europa – è da sempre impegnata nella vera sfida di questo momento straordinario: la ricerca e lo sviluppo di materiali innovativi, di nuovi modelli di produzione e di consumo consapevole, di sensibilizzazione e di efficienti sistemi di gestione dei rifiuti, nello spirito di quella economia circolare che l’Unione europea sta perseguendo”.

Shopper illegali. Assobioplastiche in Commissione Ecomafie: 'In Italia rimangono ancora oltre 40mila tonnellate di sacchetti non a norma'

La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha audito il presidente dell’associazione Assobioplastiche Marco Versari e il direttore Carmine Pagnozzi.

















La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati questo pomeriggio ha audito il presidente dell’associazione Assobioplastiche Marco Versari e il direttore Carmine Pagnozzi. Il tema dell’audizione sono stati gli illeciti legati alla contraffazione dei sacchetti biodegradabili e compostabili.

I due rappresentanti hanno delineato il fenomeno, dando alcuni numeri sulle dimensioni del mercato illegale delle buste. «Per la prima volta, il mercato legale ha di poco superato la quota del 50%. Tuttavia, in Italia rimangono ancora oltre 40mila tonnellate di sacchetti non a norma», ha dichiarato Versari. Secondo le informazioni riferite dagli auditi, la filiera legale oggi vale 550 milioni di euro, mentre il giro d’affari di quella illegale è stimabile in 400 milioni di euro.

Durante l’audizione, i due rappresentanti di Assobioplastiche hanno anche spiegato le dinamiche economiche che caratterizzano il mercato dei sacchetti illegali, oggi utilizzati quasi esclusivamente dai venditori ambulanti, nei mercati e nei piccoli negozi al dettaglio. Ambienti dove è più difficile fare informazione dei singoli esercenti. «La filiera è molto parcellizzata e caratterizzata da soggetti con sospetti legami con la criminalità organizzata. La distribuzione ai commercianti avviene attraverso operatori che vendono i sacchetti in contanti. Questi si approvvigionano da piccoli distributori in città, che a loro volta fanno capo a distributori più grandi. L’ultimo anello della distribuzione si rifornisce tramite importazione», ha spiegato Pagnozzi.

Nel tempo, secondo quanto dichiarato da Versari, anche le forme di illegalità si sono evolute. «All’inizio si mettevano in commercio prodotti che dissimulavano la conformità alla legge sulla compostabilità. Oggi, invece, si commercializzano prodotti fuori norma ma anonimi, limitando così le possibili conseguenze sul piano giuridico: in quest’ultimo caso, infatti, si dovrà rispondere solo di un illecito amministrativo».

«La Commissione intende accendere un faro su questa filiera invisibile: vogliamo risalire agli operatori che importano i sacchetti illegali, senza limitarci a colpire i piccoli commercianti che oggi ne fanno uso. Con questo obiettivo, stiamo già lavorando a un protocollo con Assobioplastiche e gli organi di controllo territoriali», ha dichiarato il Presidente della Commissione Stefano Vignaroli.

Link al video dell'audizione: https://webtv.camera.it/evento/13601

Cosa butto nell’umido?

Una campagna di Amsa, Assiobioplastiche e Comieco insegna a riconoscere e a differenziare in modo corretto i nuovi materiali compostabili che vanno smaltiti con la frazione organica















A finire nell’umido, per essere trasformati in compost, non sono più solo gli scarti di cucina, ma anche bicchieri e stoviglie, capsule e cialde del caff è , sacchi per la spesa, buste per il pane, per la frutta e per la verdura
  
E’ saltata la raccolta differenziata? Al contrario. Sono tutti oggetti che oggi vengono realizzati con polimeri compostabili, che vanno smaltiti con la frazione organica. Sono dunque recuperabili e riciclabili, e comportano una decisiva riduzione dell’impatto sull’ambiente. 

Ma come riconoscerli e distinguerli dagli altri? 
  
Per agevolare i cittadini nello smaltimento di questa nuova tipologia di rifiuti Amsa, Assobioplastiche e Comieco hanno lanciato a Milano la campagna di comunicazione “Hai detto umido?” per scoprire e imparare a differenziare correttamente i nuovi polimeri. 

Per riconoscere i prodotti basta verificare che siano certificati secondo lo standard europeo EN13432 e che riportino almeno uno dei seguenti simboli, accompagnato dalla scritta “compostabile”. 
   
“Attività come la campagna sui nuovi materiali compostabili mirano a migliorare ulteriormente la raccolta differenziata, uno degli obiettivi previsti dal piano strategico per la città di Amsa e Comune di Milano” – ha dichiarato Mauro de Cillis, Direttore Operativo di Amsa, società del Gruppo A2A –. Nel mese di agosto Milano ha raggiunto il 59,5 per cento di raccolta differenziata, confermandosi tra le metropoli più virtuose in Europa nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti”. 

Tra i materiali che possono finire nell’umido ci sono anche certe tipologie di contenitori in carta e cartone. “Se la confezione è pulita e ben svuotata va buttata nel bidone bianco”, precisa Carlo Montalbetti, Direttore Generale di Comieco, “ma se è sporca di cibo può essere buttata nell’umido e riciclata insieme al resto della frazione organica, così nulla va sprecato”. 
  
“Ringrazio Amsa per questa campagna, la prima pensata appositamente per i manufatti compostabili, che darà un importante contributo alla diffusione di comportamenti virtuosi in una città che anno dopo anno è stata in grado di conseguire risultati da primato nella raccolta differenziata dei rifiuti organici. E’ anche con le buone pratiche dei piccoli gesti quotidiani, come quello di una corretta raccolta dell’umido, che si preserva l’ambiente, migliorando così la qualit à della vita delle persone”, ha commentato il presidente di Assobioplastiche Marco Versari.  
  
La campagna dedicata ai nuovi materiali compostabili verrà veicolata online e sul territorio attraverso l’Ufficio Mobile di Amsa, uno sportello itinerante presso cui è possibile richiedere informazioni, segnalare problematiche inerenti la raccolta, ricevere materiale informativo e prenotare il ritiro dei rifiuti ingombranti.  

Il calendario delle tappe previste dall’Ufficio Mobile è consultabile sul sito di Amsa al link: https://goo.gl/HMtkz9

fonte: www.lastampa.it

Milano, imparare a riconoscere i nuovi materiali compostabili, un’iniziativa di Amsa, Assibioplastiche e Comieco.

“Hai detto umido?”, parte la nuova campagna di comunicazione per imparare a differenziare i nuovi materiali compostabili e migliorare ulteriormente la raccolta differenziata.




















Bicchieri e stoviglie, capsule e cialde del caffè, sacchi per la spesa, buste per il pane e frutta e verdura e tanti altri oggetti che si trovano in commercio vengono oggi realizzati con polimeri compostabili. Per agevolare i cittadini nello smaltimento di questa nuova tipologia di rifiuti Amsa, Assobioplastiche e Comieco hanno lanciato a Milano la campagna di comunicazione “Hai detto umido?” per scoprire e imparare a differenziare correttamente i nuovi materiali compostabili.
 Gli oggetti realizzati con polimeri compostabili possono essere buttati nell’umido insieme agli scarti di cucina ed essere trasformati in compost, migliorando la raccolta differenziata e riducendo l’impatto ambientale dei rifiuti. Per riconoscere questi prodotti basta verificare che siano certificati secondo lo standard europeo EN13432 e che riportino almeno uno dei seguenti simboli, accompagnato dalla scritta “compostabile”.
 “Attività come la campagna sui nuovi materiali compostabili mirano a migliorare ulteriormente la raccolta differenziata, uno degli obiettivi previsti dal piano strategico per la città di Amsa e Comune di Milano” – ha dichiarato Mauro de Cillis, Direttore Operativo di Amsa, società del Gruppo A2A –.
Nel mese di agosto Milano ha raggiunto il 59,5 per cento di raccolta differenziata, confermandosi tra le metropoli più virtuose in Europa nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti”.
Tra i materiali che possono finire nell’umido ci sono anche certe tipologie di contenitori in carta e cartone. “Se la confezione è pulita e ben svuotata va buttata nel bidone bianco”, precisa Carlo Montalbetti, Direttore Generale di Comieco, “ma se è sporca di cibo può essere buttata nell’umido e riciclata insieme al resto della frazione organica, così nulla va sprecato”.
“Ringrazio Amsa per questa campagna, la prima pensata appositamente per i manufatti compostabili, che darà un importante contributo alla diffusione di comportamenti virtuosi in una città che anno dopo anno è stata in grado di conseguire risultati da primato nella raccolta differenziata dei rifiuti organici. È anche con le buone pratiche dei piccoli gesti quotidiani, come quello di una corretta raccolta dell’umido, che si preserva l’ambiente, migliorando così la qualità della vita delle persone”, ha commentato il presidente di Assobioplastiche Marco Versari.
La campagna dedicata ai nuovi materiali compostabili verrà veicolata online e sul territorio attraverso l’Ufficio Mobile di Amsa, uno sportello itinerante presso cui è possibile richiedere informazioni, segnalare problematiche inerenti la raccolta, ricevere materiale informativo e prenotare il ritiro dei rifiuti ingombranti. Il calendario delle tappe previste dall’Ufficio Mobile è consultabile sul sito di Amsa.
fonte: www.ecodalecitta.it

Compostabilità, biodegradabilità e rinnovabilità dei sacchetti: facciamo chiarezza










Torniamo sulla questione della comunicazione dei sacchetti biodegradabili. Oggi ci occupiamo di “codice comunicativo”, ovvero di come l’utilizzo di un certo lessico possa essere da ostacolo o rallentamento nel recapitare il messaggio al target.
Per farlo usiamo le parole di Assobioplastiche, l’Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili, in seguito a quanto emerso a inizio mese nel corso della trasmissione radiofonica “24 mattino con Oscar Giannino”, ripresa da altri organi di informazione e poi diffuso sul web. Ciò che si denota in generale è una scarsa conoscenza dei termini compostabilità, rinnovabilità e biodegradabilità di un sacchetto di bioplastica, in quanto le bioplastiche sono sia estratte dalle materie prime della terra sia da fonti fossili.
Ma vediamo cosa ha detto Assobioplastiche. L’associazione ha precisato che le borse per alimenti sfusi utilizzate come imballaggio primario, oltre a dover essere di spessore inferiore i 15 micron, biodegradabili e compostabili conformemente allo standard UNI EN 13432 e quindi riutilizzabili per la raccolta dell’umido, “devono avere un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40%”.
Tale percentuale (40%), pertanto, fa riferimento al contenuto di materia prima rinnovabile (origine delle materie prime con cui è realizzato il prodotto), ossia al contenuto di carbonio organico, e non già alla compostabilità o alla biodegradabilità (fine vita del prodotto) che, invece, non solo devono essere superiori al 90% ma anche certificate conformi allo standard internazionale UNI EN 13432 dagli organismi accreditati.
Assobioplastiche, inoltre, precisa il corretto significato dei termini:
BIODEGRADABILITA’
La  biodegradabilità è la capacità di un materiale di essere degradato in sostanze più semplici mediante l’attività enzimatica di microorganismi. Al termine del processo di biodegradazione le sostanze organiche di partenza vengono trasformate in molecole inorganiche semplici: acqua, anidride carbonica e  metano, senza il rilascio di sostanze inquinanti.
Questa caratteristica non dipende dalla materia prima ma dalla natura chimica della materia prima, ragion per cui si può avere un prodotto da rinnovabile non biodegradabile e un prodotto da petrolio biodegradabile.
COMPOSTABILITA’
La compostabilità – che riguarda il fine vita di un prodotto – è la capacità di un materiale organico di essere riciclato organicamente assieme all’umido trasformandosi  in compost mediante il compostaggio, un processo di decomposizione biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate. Al termine del processo di compostaggio si ottiene un prodotto biologicamente stabile, inerte e inodore. in cui la componente organica presenta un elevato grado di maturazione. Ricco in humus, in flora microbica attiva e in microelementi, il compost è la soluzione ideale contro la desertificazione dei suoli e l’impoverimento di carbonio nonché un  prodotto di impiego agronomico (fertilizzante per florovivaismo, colture praticate in campo).
RINNOVABILITA’
Riguarda l’origine di un prodotto e in particolare la caratteristica di quelle materie prime – prevalentemente di origine vegetale e animale – di rigenerarsi in tempi brevi (piante, alberi, loro derivati e scarti), in opposizione alle materie prime da fonte fossile (petrolio).
fonte: http://www.envi.info

Corepla e Assobioplastiche unite per distinguere i sacchetti. Cifre e spunti dal convegno di Milano

Il workshop milanese del 9 ottobre ha mostrato l'alleanza tra Corepla e Assobioplatiche nel perseguimento di un obiettivo comune: evitare che si faccia confusione nel conferimento degli imballaggi in plastica e bioplastica. Quest'ultima va buttata sempre nell'umido 

















Durante il workshop milanese di lunedì 9 ottobre, dedicato al progetto “Dicheplastica6”, sono stati presentati i dati delle ricerche sulla gestione e separazione delle plastiche e bioplastiche anche rispetto alla raccolta dell’umido. Un momento di alleanza tra Corepla e Assobioplatiche, tra interessi e settori che in passato non sempre erano andati d'accordo. Uno dei principali obiettivi comuni è evitare che si faccia confusione nel conferimento degli imballaggi. È importante separare la plastica dalla bioplastica e quest'ultima, lo ricordiamo, deve essere conferita sempre nell'umido. Una regola che vale sia per gli imballaggi flessibili, come i sacchetti in bioplastica, sia per gli imballaggi rigidi, per esempio le stoviglie mono uso in bioplastica biodegradabile e compostabile.

COSA ACCADE NELLA PRATICA? COME RISPONDONO I CITTADINI?
Claudia Anna Beretta di Corepla ha illustrato i dati dei monitoraggi  presso alcuni impianti di selezione della raccolta differenziata degli imballaggi in plastica (quelli ritenuti più rappresentativi) che mostrano la presenza di minime percentuali di imballaggi compostabili (UNI EN 13432) nei flussi di raccolta urbana e all’interno dei flussi di prodotti selezionati in uscita dagli impianti.

I dati sono stati rilevati nel periodo ottobre-novembre 2016 e marzo 2017. Nel primo periodo la  percentuale di imballaggi in plastica compostabile - sul quantitativo stimato di imballaggi in plastica - era dello 0,84%, mentre nel secondo periodo si è registrata una percentuale dello 0,85%. Sono soprattutto imballaggi a base di film di piccole/medie dimensioni, trattandosi prevalentemente di sacchetti e shoppers che per errore vanno a finire nella plastica da avviare al riciclo. La stessa Beretta durante una nostra intervista ci dice che "una piccola parte della bioplastica immessa al  consumo la ritroviamo nella plastica da avviare alla raccolta differenziata ma questa bioplastica non può essere riciclata e va rimossa così come va rimossa la plastica tradizionale che va a finire nella raccolta dell’umido”.

NEL CORSO DELLA PRESENTAZIONE MILANESE È STATA PIÙ VOLTE SOTTOLINEATA L’IMPORTANZA DEL COMPOST.
Gli enti di ricerca coinvolti, l'Università degli Studi di Milano, il Politecnico e la Scuola agraria del Parco di Monza, hanno messo in evidenza il valore del compost non solo perché riduce i rifiuti da avviare in discarica. Concimare il terreno con il compost aiuta a combattere il cambiamento climatico, perché un terreno ben concimato richiede meno acqua e un uso limitato di macchinari,
contribuendo al risparmio dei carburanti.

MA IL COMPOST DEVE ESSERE DI BUONA QUALITÀ.

Il Consorzio italiano compostatori ha condotto una ricerca sulla purezza merceologica del compost prodotto in Italia e dai dati diffusi “si stima che negli impianti dedicati alla produzione di compost ogni anno arrivino, al netto dell’umidità, circa 31.000 tonnellate di bioplastica (che, tramite il processo di compostaggio vengono trasformate in compost) ma ancora arrivano 73.500 tonnellate di plastica (imballaggi e non) che gli impianti devono opportunamente separare ed estrarre per produrre compost di qualità.” Massimo Centemero, presidente del CIC, nel complesso esprime un parere positivo sulla qualità del compost prodotto, che ha “una purezza superiore al 95%, ma ribadisce che “bisogna insistere sulle campagne di comunicazione.”

OBBLIGO DI SACCHETTI COMPOSATBILIA ANCHE ALL'ORTOFRUTTA
Come si sta preparando il mercato degli imballaggi compostabili in vista del divieto di commercializzare anche i sacchetti non compostabili dell'ortofrutta dal 2018? I dati della ricerca che Corepla ha commissionato alla società Plastic Consult mostrano che la percentuale degli imballaggi compostabili immessi al consumo nel 2016 è aumentata del 12% rispetto al  2015. . Ma la crescita del mercato degli imballaggi compostabili è certamente destinata a migliorare proprio in vista dell'entrata in vigore della normativa che dal 2018 imporrà l'uso dei soli sacchetti biodegradabili anche per l'ortofrutta.  


fonte: http://www.ecodallecitta.it/