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Intesa tra Assobioplastiche e Commissione Ecomafie

Al centro dell'accordo scambio di informazioni, supporto nello svolgimento di attività di accertamento di illeciti e collaborazione in iniziative formative.












L’Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili (Assobioplastiche) ha siglato un protocollo d'intesa tra la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie), che ha come oggetto tre filoni: scambio di informazioni, supporto nello svolgimento di attività di accertamento di illeciti, collaborazione in iniziative di formazione. Il documento è stato sottoscritto oggi dal Presidente della Commissione On. Stefano Vignaroli e dal Presidente di Assobioplastiche Marco Versari.


Tra gli obiettivi dell'intesa, la messa a punto di misure più efficaci volte alla prevenzione e al contrasto degli illeciti, nonché alla tutela dell’ambiente e dei consumatori, partendo dalla formazione del personale degli organi accertatori sui temi della produzione, distribuzione e utilizzazione delle bioplastiche.
Versari sottolinea, tra gli scopi del protocollo, il contrasto al fenomeno degli shopper illegali, definito "Un mondo parallelo di commercio di prodotti fuori legge, venduti in nero, talora in connessione con la malavita organizzata, con danni incalcolabili per l’ambiente, l’economia, l’erario e i cittadini, che continua ad avere dimensioni drammaticamente ingenti". "Contiamo molto sulla collaborazione con la Commissione Ecomafie - aggiunge il Presidente di Assobioplastiche - per ripristinare quella legalità indispensabile a tutelare l’ambiente naturale, gestire correttamente il ciclo dei rifiuti e assicurare le corrette condizioni di mercato ad una filiera industriale, leader in Europa, in grado di generare nuova occupazione e ingenti investimenti in innovazione".

"La Commissione sta svolgendo un’inchiesta per approfondire gli illeciti nel settore degli shopper e identificare le falle che ancora oggi non consentono di sconfiggere del tutto questo fenomeno - sottolinea il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli -. A questo scopo, la collaborazione è fondamentale. Per questo reputo particolarmente importante il protocollo d’intesa con Assobioplastiche, che è il risultato di un dialogo avviato da tempo con l’associazione e segue a quelli firmati a giugno scorso con il Comune e la Città metropolitana di Napoli".

Le Parti si sono impegnate anche "per un fruttuoso scambio informativo": a questo fine, Assobioplastiche metterà a disposizione della Commissione Ecomafie la propria banca dati, nel rispetto della normativa sulla privacy. Infine, una collaborazione sarà avviata anche nelle attività di accertamento di illeciti promosse dalla Commissione direttamente o nell’ambito di suoi protocolli di intesa con forze di polizia.


fonte: www.polimerica.it


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Ambiente, cambiano i controlli sul territorio

Ok allo schema di decreto sul regolamento del personale ispettivo del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente. Le ispezioni potranno anche essere sollecitate online dai cittadini


















Il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente punta sulle sentinelle del territorio. La decisione arriva con il via libera in Consiglio dei ministri dello schema di decreto del Presidente della Repubblica sul regolamento del personale ispettivo del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA).
Lo schema di decreto adottato, in pratica, disciplina le modalità di individuazione del personale incaricato degli interventi ispettivi, le competenze, i criteri generali per lo svolgimento delle attività e le modalità per la segnalazione di illeciti ambientali da parte di enti e di cittadini, singoli o associati. Il provvedimento adotta inoltre il codice etico concernente il personale ispettivo del SNPA.
Gli addetti agli interventi ispettivi saranno individuati da ISPRA e ARPA tra il personale in possesso di adeguata qualificazione comprovata dai titoli di studio e dall’esperienza maturata nei settori specifici di attività. Una volta superata la  selezione per titoli di studio ed esperienza, ci sarà un apposito percorso formativo che prevede anche l’affiancamento al personale in servizio, al termine del quale sarà acquisita la qualifica di ispettore. La formazione non si limita alla fase iniziale, ma è continua: il personale incaricato degli interventi ispettivi dovrà infatti seguire percorsi di aggiornamento annuale.
Nel dettaglio, ISPRA e ARPA sceglieranno come personale ispettivo coloro che, nell’esercizio della funzione, assumeranno la qualifica di polizia giudiziaria con incremento dell’azione di contrasto agli illeciti ambientali.
Il provvedimento specifica anche i criteri per lo svolgimento dell’attività ispettiva. Il personale, inoltre, deve essere dotato di un tesserino di riconoscimento da esibire al momento dell’accesso a siti o impianti.
La questione non è meramente tecnica e riguarda tutti, anche i cittadini. Il decreto stabilisce infatti che chiunque, in forma singola o associata, possa segnalare a ISPRA e ARPA gli illeciti ambientali utilizzando un modulo disponibile sui siti istituzionali degli enti. Le segnalazioni dovranno essere circostanziate e riguardare fatti riscontrabili e conosciuti direttamente dal denunciante, tempo e luogo e ogni altro elemento utile ad identificare chi ha posto in essere l’illecito, inclusa eventuale documentazione fotografica.
“Si tratta – ha commentato il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa – di un importante passo in avanti nel contrasto all’azione di chi pone in essere condotte che danneggiano ambiente. Da oggi avremo a nostra disposizione uno strumento in più, certi di poter contare sull’esperienza e sulla passione di chi già da tempo si occupa di ambiente. Non solo. Con questo decreto abbiamo fornito uno strumento ulteriore ai cittadini, agli enti e alle associazioni che vorranno denunciare gli illeciti ambientali. Un’azione in più per scoraggiare chiunque pensi di poter inquinare, deturpare, distruggere il nostro ambiente facendola franca”.

fonte: www.rinnovabili.it

L’inceneritore Accam Di Busto Arsizio Nella Bufera Della Corruzione (E Non Solo)

























Non siamo riusciti, con i comitati, a chiuderlo entro i termini che si era data la stessa assemblea dei soci (i comuni tra altomilanese e basso varesotto) ovvero il 2021, hanno speso milioni di euro per riuscire ad abbassare le emissioni di ossidi di azoto entro i limiti della AIA (valori richiesti anni prima dai comitati e da Medicina Democratica) ed evitare la chiusura entro il 2018, hanno voluto ridargli vita con una previsione di chiusura al 2027 (e, ovviamente, oltre) motivandolo con la necessità di sanare gli enormi buchi di bilancio, sfidando anche la contrarietà di numerosi comuni (purtroppo non sufficienti, in termini di quote, per avere la maggioranza).
Alcuni di questi comuni, negli ultimi mesi, hanno abbandonato ACCAM e gli ultimi tempi erano trascorsi con richieste di una deroga governativa ad personam ai limiti di partecipazione pubblica per mantenere la società “in house”.
Hanno strombazzato i valori emissivi per “dimostrare” che le nostre erano fobie e allarmismi, a fronte di una indagine epidemiologica recente che, seppure parziale, evidenziava incrementi di alcune patologie associate alle ricadute dell’impianto.
Hanno respinto ogni idea di chiusura controllata con modifica del sistema di gestione e trattamento a freddo dei rifiuti, non avevano più abbastanza rifiuti da bruciare dai comuni del consorzio, il piano di rilancio prevedeva infatti l’arrivo di rifiuti da una area ben più vasta.
Hanno utilizzato i lavoratori per metterli contro la popolazione esposta e le associazioni ambientaliste (eccetto gli esponenti locali di Legambiente, strenui difensori da sempre dell’impianto).
Si sono “dimenticati” dell’episodio (2005 – “Operazione Grisù”) di smaltimento di rifiuti non autorizzati con relativo sequestro dell’impianto, come pure del blocco contemporaneo (!!) di entrambi i forni con arresto di emergenza con emissioni fuori controllo, che ben si guardarono di segnalarlo immediatamente agli enti nel novembre 2004. L’allora presidente dichiarò pubblicamente l’intenzione (non concretizzata) di denunciare di procurato allarme i cittadini che avevano chiamato i Vigili del Fuoco vedendo fumate anomale. Per non dire dei frequenti superamenti dei limiti di ossidi di azoto (tanto da determinare diverse diffide da parte della Provincia come nel 2009.
Ora il Presidente (Laura Bordonaro), il consigliere Antonio Bilardo e il loro mentore politico (Forza Italia) Nino Caianiello sono indagati per vari reati, in sostanza mediante consulenze e incarichi foraggiavano il “politico di riferimento”, utilizzando l’impianto e lo smaltimento dei rifiuti così virtuoso come “mucca da mungere” anzi una mensa da depredare.
L’ambito generale dell’inchiesta “Mensa dei poveri” ruota intorno ad alcuni esponenti di Forza Italia: sono ritenuti a vario titolo responsabili di associazione per delinquere aggravata dall’aver favorito un’associazione di tipo mafioso, e finalizzata al compimento di plurimi delitti di corruzione, finanziamento illecito ai partiti politici, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, false fatturazione per operazioni inesistenti, auto riciclaggio e abusi d’ufficio.
Tutto questo nell’ambito della ampia operazione che ha falcidiato politici lombardi e amministratori di società pubbliche con accuse analoghe.
Coinvolta anche la società ESTRO che ha stilato (senza neppure una formale approvazione da parte dell’assemblea) la perizia “decisiva” per dare nuova vita all’impianto (completamento del revamping) e cercare di zittire i contrari (ci avevano già provato nel 2014 ma allora andò buca).
Ora che abbiamo verificato che c’è un “giudice” (un pubblico ministero) a Milano potremo contare su un maggiore ascolto delle richieste delle associazione e dei residenti per la chiusura dell’impianto (in funzione dal 1972) e una rinnovata gestione dei rifiuti urbani ?
Marco Caldiroli
fonte: https://www.medicinademocratica.org

Dal sole alle rottamazioni: ecocriminali senza confini

COLLETTI BIANCHI - ORMAI LA DELINQUENZA ECONOMICA SI AFFIDA A GRANDI GRUPPI IMPRENDITORIALI E FIGURE DI ELEVATA PROFESSIONALITÀ





Il mondo del crimine ambientale si rinnova e amplia il tradizionale campo d’azione, specie nel settore dei rifiuti. Non solo la criminalità organizzata, che accaparra con corruzione e intimidazione lucrosi appalti per la raccolta di rifiuti solidi urbani, specula sullo smaltimento illecito di rifiuti, sull’abusivismo edilizio e sull’esportazione illegale di rifiuti; ma soprattutto la nuova criminalità economica che “fa capo a gruppi imprenditoriali di spessore, con interessi commerciali diversificati, i quali si avvalgono della competenza e delle prestazioni di figure di elevata professionalità, evitando contatti diretti con criminalità organizzata ed esponenti mafiosi”.

L’hanno detto, il 6 marzo, alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati, due persone che di queste cose se ne intendono: il generale Angelo Agovino, comandante dei Carabinieri Unità forestali, ambientali e agroalimentari, e il generale Maurizio Ferla, comandante dei Carabinieri per la tutela ambientale (Noe).

Non solo “ecomafia”, dunque, ma colletti bianchi, anche se spesso tutto finisce nel fumo degli incendi “liberatori” di rifiuti. E così diminuiscono i “roghi tossici” ma aumentano gli incendi di rifiuti regolarmente stoccati. Per dirla con il generale Agovino, “le criminali imprese di settore per il perseguimento dell’illecito profitto acquisiscono ingenti quantitativi di rifiuti anche a prezzi fuori mercato, omettono di sottoporli ai necessari trattamenti e li avviano a smaltimento e/o a riciclo, assegnando codici fasulli attraverso la tecnica del giro bolla o altre questioni che noi conosciamo. L’illecita esasperazione di simili condotte comporta alla fine l’eliminazione con il fuoco dei materiali giacenti”.

E ormai l’illegalità investe sempre più spesso anche la filiera dei rifiuti urbani il cui flusso cresce specie nel Nord. Con il coinvolgimento diretto di imprenditori titolari di impianti autorizzati, utilizzati come specchietto per le allodole, al fine di acquisire commercialmente le commesse sui rifiuti, per poi smaltirli abusivamente tal quali in capannoni dismessi, dislocati soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto, “di fatto delle discariche abusive che diventano poi bombe ecologiche” dove, spesso, il ciclo si chiude con il fuoco che cancella tutto. Perciò, s’assiste ormai a una ricerca “spasmodica” di capannoni in disuso.

Questo, a volte, con l’aiuto involontario di qualche legge, come lo Sblocca Italia: se prima i rifiuti solidi urbani potevano esser trattati solo all’interno del bacino di produzione, ora il decreto “ha aperto tali confini per supportare i bacini in situazioni d’emergenza nelle aree del Centro e del Sud e ha consentito l’esportazione in altre regioni, dove vengono stoccati in hangar dispersi sul territorio in quantità e modalità che non rispettano le norme”. Invertendo così il flusso dei rifiuti che prima andava dal Nord al Sud.

E l’illegalità aumenta, giungendo a lambire il settore delle energie alternative: il fotovoltaico, soprattutto, dove spesso gli ecocriminali, quando un pannello giunge a fine vita, “fanno una dichiarazione fasulla di sottoperformanza e quindi non è più un rifiuto, ma è un pannello che si può vendere come usato in altre parti del mondo, per cui si sono aperte rotte commerciali verso Paesi del terzo mondo”.

Anche nel settore della rottamazione auto dove, alle illegalità esistenti, s’è aggiunto il “canale di demolizione illegale” per la “cannibalizzazione” di veicoli a fine vita, quando parti di veicoli illegalmente demoliti vengono dichiarate materiale usato, nascoste in container sotto pezzi di ricambio veri e mandate in Paesi terzi insieme a “rifiuti elettronici, batterie, oli usati, etc”.

Così vengono al pettine anche le carenze della nostra legge sugli ecoreati quando punisce l’inquinamento e il disastro ambientale solo se vengono provocati “abusivamente”. Delitti che, come dice il generale Ferla, “restano lettera morta o quasi, perché formulati con un preliminare ‘abusivamente’ che sta bloccando molte Procure, autorità e polizia giudiziarie…”.

Gianfranco Amendola

magistrato, esponente dei Verdi

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Shopper illegali. Assobioplastiche in Commissione Ecomafie: 'In Italia rimangono ancora oltre 40mila tonnellate di sacchetti non a norma'

La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha audito il presidente dell’associazione Assobioplastiche Marco Versari e il direttore Carmine Pagnozzi.

















La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati questo pomeriggio ha audito il presidente dell’associazione Assobioplastiche Marco Versari e il direttore Carmine Pagnozzi. Il tema dell’audizione sono stati gli illeciti legati alla contraffazione dei sacchetti biodegradabili e compostabili.

I due rappresentanti hanno delineato il fenomeno, dando alcuni numeri sulle dimensioni del mercato illegale delle buste. «Per la prima volta, il mercato legale ha di poco superato la quota del 50%. Tuttavia, in Italia rimangono ancora oltre 40mila tonnellate di sacchetti non a norma», ha dichiarato Versari. Secondo le informazioni riferite dagli auditi, la filiera legale oggi vale 550 milioni di euro, mentre il giro d’affari di quella illegale è stimabile in 400 milioni di euro.

Durante l’audizione, i due rappresentanti di Assobioplastiche hanno anche spiegato le dinamiche economiche che caratterizzano il mercato dei sacchetti illegali, oggi utilizzati quasi esclusivamente dai venditori ambulanti, nei mercati e nei piccoli negozi al dettaglio. Ambienti dove è più difficile fare informazione dei singoli esercenti. «La filiera è molto parcellizzata e caratterizzata da soggetti con sospetti legami con la criminalità organizzata. La distribuzione ai commercianti avviene attraverso operatori che vendono i sacchetti in contanti. Questi si approvvigionano da piccoli distributori in città, che a loro volta fanno capo a distributori più grandi. L’ultimo anello della distribuzione si rifornisce tramite importazione», ha spiegato Pagnozzi.

Nel tempo, secondo quanto dichiarato da Versari, anche le forme di illegalità si sono evolute. «All’inizio si mettevano in commercio prodotti che dissimulavano la conformità alla legge sulla compostabilità. Oggi, invece, si commercializzano prodotti fuori norma ma anonimi, limitando così le possibili conseguenze sul piano giuridico: in quest’ultimo caso, infatti, si dovrà rispondere solo di un illecito amministrativo».

«La Commissione intende accendere un faro su questa filiera invisibile: vogliamo risalire agli operatori che importano i sacchetti illegali, senza limitarci a colpire i piccoli commercianti che oggi ne fanno uso. Con questo obiettivo, stiamo già lavorando a un protocollo con Assobioplastiche e gli organi di controllo territoriali», ha dichiarato il Presidente della Commissione Stefano Vignaroli.

Link al video dell'audizione: https://webtv.camera.it/evento/13601

I trafficanti di rifiuti intercettano il 13% del mercato (quasi senza rischi)

Nel settore rifiuti opera una selva di microsocietà. Sfruttando le falle nei sistemi di tracciabilità e di controllo drena miliardi al mercato legale





Una fila di 181.287 tir, messi in fila uno dietro l’altro, carichi fino all’orlo con 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti, che da Trapani arriverebbe senza soluzione di continuità fino a Berlino. È una delle tante immagini contenute nel Rapporto Ecomafia 2018 di Legambiente per raccontare la pericolosità dei trafficanti di rifiuti. Questo contando solamente i quantitativi di veleni sequestrati in appena 54 inchieste per “traffico organizzato di rifiuti” chiuse nell’arco temporale che corre da gennaio 2017 a maggio 2018

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FONTE: Rapporto Ecomafia 2018

Traffici finiti incollati nelle ragnatele degli inquirenti di ogni parte d’Italia, messi all’indice dal nostro sistema normativo solo dal 2001, anno di entrata in vigore di quello che è stato almeno fino al 2015 l’unico delitto ambientale, quello di traffico organizzato di rifiuti, codificato nell’allora decreto Ronchi all’art. 53bis, poi confluito nell’attuale Testo unico ambientale (art. 236 Dlgs 152/2006) fino al suo recentissimo inserimento nel codice penale all’art. 452 quaderdecies (introdotto con il Dlgs 1 marzo 2018, n. 21).
Il traffico va dove si guadagna di più

Non è mancata la sorpresa, almeno all’inizio, per gli investigatori che hanno messo il naso dentro quei camion o nei piazzali pronti per il carico e scarico. Ci hanno trovato rifiuti raccolti in maniera differenziata, plastica, carta e cartone, metalli (ferrosi e non), parti d’autoveicoli rottamati, Raee, vetro. Mai scarti organici, che rilasciano odori, tracce di percolato e non valgono granché (salvo i rari casi di digestione anaerobica). I trafficanti intercettano frazioni di scarti sottraendoli ai circuiti ufficiali, spesso togliendo le castagne dal fuoco di gestioni inefficienti in mano a società in difficoltà (economiche e logistiche), di piattaforme poco controllate, di bilanci sempre in bilico.


Ogni difficoltà dei circuiti legali è l’occasione propizia per i trafficanti.

Non dovendo rispettare alcuna legge sono imbattibili sul mercato. Offrono servizi a scatola chiusa. Si muovono a colpo sicuro, tanto che è difficile beccarli.


Come operano i trafficanti

Il sistema è sempre quello di falsificare i documenti, i Fir e le bolle di carico e scarico, facendo passare un rifiuti per qualcos’altro, come un ammendante o semplice roccia da scavo. Il mercato nero del riciclo nasce da qui. Nasce e prolifera nelle falle dei sistemi di gestione e nelle zone grigie dei mercati delle materi prime seconde i trafficanti ci mettono lo zampino.


Non è solo la presenza di reti criminali a fare la differenza, determinanti sono i meccanismi di compliance, tracciabilità e trasparenza.

Sotto questo punto di vista le politiche di end of waste se, da una parte, sono l’unica strada possibile per facilitare l’economia circolare, dall’altra aprono ancora di più quelle stesse maglie che i trafficanti hanno sfruttato fino a oggi.

Per stare sulla breccia sanno di dover cambiare costantemente pelle. Se prima vestivano i panni, semplici, delle società di trasporto e di gestione di discariche o di buche, oggi sono società cartiere, emettono fatture false, controllano impianti di riciclo e inquinano il mercato dell’economia circolare.

Una selva di piccole Srl

L’alto tasso di illegalità nel settore è spiegato, almeno in parte, dalle risorse economiche in ballo. Se il mercato legale dei rifiuti ogni anno supera i 23 miliardi di euro di fatturato, quello illegale – sicuramente più difficile da stimare – supera i 3 miliardi e attira come una carta moschicida vecchi e nuovi trafficanti. In poche parole: controllano almeno il 13% del mercato.

Una selva di società, soprattutto società a responsabilità limitata, con pochi euro di capitali e fideiussioni posticce, si muovo con passi felpati aggirando le regole, mettendo il cuneo nelle falle dei sistemi di regolazione, contando nell’oggettiva impossibilità per le autorità di controllo di poter verificare ogni passaggio che accompagna la gestione degli oltre 160 milioni di tonnellate di rifiuti che produciamo ogni anno, tra speciali, urbani e 
assimilati (agli urbani).16 anni di inchieste sui rifiuti.









FONTE: elaborazione Legambiente su dati del Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari Carabinieri (CUTFAA), Guardia di finanza, Capitanerie di porto, Corpi forestali delle regioni a statuto speciale, Polizia dello Stato, Agenzie delle Dogane e Polizia Provinciale.

Oltre ai danno ambientali e sanitari, i trafficanti drenano risorse economiche importanti.
Eppure il settore del riciclo cresce

Nonostante le loro ruberie, nel 2011 l’industria italiana ha impiegato nei suoi cicli produttivi, dati Istat, circa 35 milioni di tonnellate di materie prime seconde, cioè materie provenienti dal recupero dei rifiuti. Il settore del riciclo negli ultimi dieci anni è aumentato a ritmo vertiginoso: il numero delle aziende è lievitato da 2.183 a 3.034 (+39%), raddoppiando il numero degli occupati, da 12mila a più di 24mila. È anche di questo che stiamo parlando.

fonte: www.valori.it