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Rifiuti nucleari tra spese e ritardi in attesa del deposito nazionale

 













“Realizzare il Deposito nazionale, completare il più rapidamente possibile lo smantellamento degli impianti nucleari, mettere l’autorità di controllo nelle condizioni di operare con la massima efficacia: sono queste le priorità oggi in materia di radioattivi, a cui l’Italia non può sottrarsi”. È la sintesi del presidente della Commissione bicamerale Ecomafie, Stefano Vignaroli, alla presentazione della relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia, approvata ieri all’unanimità dalla Commissione e trasmessa ai presidenti delle Camere.

La relazione è giustamente impietosa: la gestione dei rifiuti radioattivi in Italia è un mezzo disastro. Manca un deposito nazionale adeguato, le scorie stanno sparse in tanti siti poco sicuri. I controlli sono carenti, la gestione discutibile, mancano perfino le normative.

La situazione dei depositi delle scorie

I siti che attualmente custodiscono le scorie sono sparsi lungo la Penisola, costano fino a 10 milioni all’anno l’uno, ma spesso sono vecchi, malridotti e insicuri. I casi più eclatanti sono gli impianti di Saluggia (Vercelli), il sito ITREC di Rotondella (Matera), il CEMERAD di Taranto (quest’ultimo addirittura un capannone abbandonato, senza sorveglianza).

La Commissione non usa parole lusinghiere per la società pubblica che gestisce gli impianti e le scorie nucleari, la Sogin, che negli anni ha visto “considerevoli aumenti di tempi e di costi, a carico della collettività”. E i costi e i tempi del decommissioning delle centrali nucleari (attualmente 7,9 miliardi di euro, con fine dello smantellamento nel 2035) rischiano di aumentare, se non si realizza presto il Deposito nazionale. Quanto all’ente di controllo sul nucleare in Italia, l’Isin, secondo l’Ecomafie soffre di cronica carenza di personale: “Appare quanto mai necessario un aumento delle risorse”.

Il Deposito nazionale

Sul tavolo della relazione, ovviamente, anche il deposito unico nazionale, per il quale a inizio anno è stata finalmente pubblicata la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), ossia la mappa che individua le località che rispondono ai requisiti per ospitare l’infrastruttura. Una mappa temutissima, che ha messo in agitazione i Comuni che amministrano le 67 aree candidate. Le levate di scudi dei sindaci hanno indotto il Parlamento a concedere una proroga dei tempi per presentare le contro-deduzioni a Sogin. Ma si rischiano nuovi ritardi.

L’impianto è un’infrastruttura critica e urgente, prevede un investimento da 900 milioni e darebbe da lavorare a 4.000 persone all’anno nella costruzione e a 1000 persone nella gestione. È destinato ad accogliere 78mila metri cubi di rifiuti a bassa e media intensità. Non solo l’eredità del nucleare italiano, ma anche gli scarti che tuttora generano industrie, laboratori di ricerca o applicazioni sanitarie negli ospedali. Nel depositato finiranno anche i rifiuti che l’Italia ha spedito temporaneamente all’estero, dietro pagamento. E che ora, visti i ritardi, gli altri Paesi tentennano ad accollarsi. La Francia ha interrotto il trasferimento di 13 tonnellate di rifiuti dal deposito di Avogadro, in Piemonte, propria per via dell’incertezza sulla costruzione del deposito.

Le norme (dis)attese

Sui rifiuti radioattivi mancano pure le norme: l’anno scorso sono stati approvati il Programma Nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi e la Cnapi. Ma mancano ancora numerosi decreti attuativi. Il risultato è che spesso i vari enti pubblici non riescono a coordinarsi fra di loro e finiscono per non fare nulla.

fonte: www.recoverweb.it




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Intesa tra Assobioplastiche e Commissione Ecomafie

Al centro dell'accordo scambio di informazioni, supporto nello svolgimento di attività di accertamento di illeciti e collaborazione in iniziative formative.












L’Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili (Assobioplastiche) ha siglato un protocollo d'intesa tra la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie), che ha come oggetto tre filoni: scambio di informazioni, supporto nello svolgimento di attività di accertamento di illeciti, collaborazione in iniziative di formazione. Il documento è stato sottoscritto oggi dal Presidente della Commissione On. Stefano Vignaroli e dal Presidente di Assobioplastiche Marco Versari.


Tra gli obiettivi dell'intesa, la messa a punto di misure più efficaci volte alla prevenzione e al contrasto degli illeciti, nonché alla tutela dell’ambiente e dei consumatori, partendo dalla formazione del personale degli organi accertatori sui temi della produzione, distribuzione e utilizzazione delle bioplastiche.
Versari sottolinea, tra gli scopi del protocollo, il contrasto al fenomeno degli shopper illegali, definito "Un mondo parallelo di commercio di prodotti fuori legge, venduti in nero, talora in connessione con la malavita organizzata, con danni incalcolabili per l’ambiente, l’economia, l’erario e i cittadini, che continua ad avere dimensioni drammaticamente ingenti". "Contiamo molto sulla collaborazione con la Commissione Ecomafie - aggiunge il Presidente di Assobioplastiche - per ripristinare quella legalità indispensabile a tutelare l’ambiente naturale, gestire correttamente il ciclo dei rifiuti e assicurare le corrette condizioni di mercato ad una filiera industriale, leader in Europa, in grado di generare nuova occupazione e ingenti investimenti in innovazione".

"La Commissione sta svolgendo un’inchiesta per approfondire gli illeciti nel settore degli shopper e identificare le falle che ancora oggi non consentono di sconfiggere del tutto questo fenomeno - sottolinea il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli -. A questo scopo, la collaborazione è fondamentale. Per questo reputo particolarmente importante il protocollo d’intesa con Assobioplastiche, che è il risultato di un dialogo avviato da tempo con l’associazione e segue a quelli firmati a giugno scorso con il Comune e la Città metropolitana di Napoli".

Le Parti si sono impegnate anche "per un fruttuoso scambio informativo": a questo fine, Assobioplastiche metterà a disposizione della Commissione Ecomafie la propria banca dati, nel rispetto della normativa sulla privacy. Infine, una collaborazione sarà avviata anche nelle attività di accertamento di illeciti promosse dalla Commissione direttamente o nell’ambito di suoi protocolli di intesa con forze di polizia.


fonte: www.polimerica.it


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Gli impatti ambientali dell’attività mineraria raccontati dall’Ispra

L'audizione in Commissione Ecomafia ha permesso ai ricercatori dell'Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale di fare chiarezza su un tema poco affrontato. In Italia dal 1870 ad oggi sono stati in attività 3.015 siti minerari, interessando tutte le Regioni, 93 province e 889 Comuni





Si è tenuta nei giorni scorsi in Commissione Ecomafia alla Camera dei deputati un’audizione sugli impatti ambientali dell’attività mineraria alla quale ha partecipato il direttore generale dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), Alessandro Bratti, e l’esperto Fiorenzo Fumanti, del dipartimento per il Servizio geologico d’Italia dell’ISPRA.

L’obiettivo era quello di fornire un quadro completo degli impatti ambientali dell’attività mineraria, di cui spesso si sono presi in considerazione gli aspetti economici più di quelli ecologici. Per capire come questo è stato monitorato – e soprattutto gestito – fino ad oggi.

Secondo le evidenze mostrate nel rapporto, il grande problema per l’ambiente è rappresentato dai siti abbandonati e dalle discariche minerarie. I dati ci dicono infatti che “le criticità ambientali sono connesse all’operatività delle miniere, ma ancor più alle centinaia di siti minerari abbandonati”.

Tanti siti e poca attenzione

In Italia dal 1870 ad oggi sono stati in attività 3.015 siti minerari, interessando tutte le Regioni, 93 province e 889 Comuni. Nel 2018, a fronte di 120 concessioni di miniera ancora in vigore, 69 risultavano realmente in produzione, soprattutto in Sardegna, Piemonte e Toscana.

Le miniere attualmente operanti sul territorio nazionale sono solo di minerali non metalliferi, la cui estrazione è meno impattante rispetto a quelli metalliferi. Tali siti sono soggetti ai controlli di polizia mineraria effettuati dalle Regioni, avvalendosi delle Arpa competenti relativamente ai controlli ambientali.

Riguardo ai siti oggi non più produttivi invece, il rapporto spiega che gran parte di essi sono stati gestiti con “scarsa attenzione alla prevenzione e al contenimento dell’impatto ambientale”. Nello specifico, spiega Fumanti, sono abbandonati “elevati quantitativi di metalli pesanti e sostanze tossiche sono contenuti nei bacini di decantazione dei fanghi di laveria, impianti in cui il materiale estratto veniva frantumato, macinato e flottato in acqua: tali bacini costituiscono potenziali sorgenti di danno ambientale per il possibile rilascio dei fanghi contaminati a causa di perdite o crollo delle strutture di contenimento”.

Ecco perché, secondo l’Ispra, i bacini di decantazione devono essere messi subito in sicurezza ed essere oggetto di continuo controllo. E qui c’è il secondo problema.
Chi se ne occupa?

Come ricorda lo stesso Fumanti infatti, “nel 2012 la proprietà delle miniere è stata trasferita dallo Stato alle Regioni, già competenti dal 1998 per la gestione amministrativa dei permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione”. Questi cambiamenti, secondo quanto riferito, “essendo avvenuti in assenza di un quadro normativo aggiornato e di indirizzo delle attività, hanno generato sia sistemi di pianificazione, autorizzazione e controllo diversificati che sistemi di raccolta e gestione delle informazioni eterogenei”.

Da questo dipende l’abbandono di ingenti quantitativi di scarti minerari. E il forte impatto ambientale al quale occorre porre rimedio. I dati parlano chiaro: con il decreto legislativo117/2008 l’Italia ha recepito l’apposita direttiva europea relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e istituito l’Inventario nazionale delle strutture di deposito dei rifiuti estrattivi, gestito da Ispra. E nel 2017, “erano presenti in Italia 321 strutture di deposito con rischio ecologico-sanitario da medio-alto ad alto”. È il momento di intervenire.

fonte: economiacircolare.com


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Il virus e i rifiuti. La Commissione Ecomafie approva la relazione

In aula alla Camera è stata approvata la relazione intitolata "Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti", già approvata al Senato il 5 agosto




La Camera dei Deputati ha approvato la relazione della Commissione Ecomafie (Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati) sul tema “Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti”. Il documento (relatori: Stefano Vignaroli, Massimo Berutti, Giovanni Vianello) era stato approvato dalla Commissione il giorno 8 luglio 2020 e dall’aula del Senato il giorno 5 agosto 2020.

La Commissione ha preso in esame il ciclo dei rifiuti nel periodo dell’emergenza, approfondendo sia il quadro dei provvedimenti normativi statali e regionali, sia l’operatività della gestione delle diverse tipologie di rifiuti. Attraverso il lavoro di analisi, si è riscontrato come lo strumento principale messo in atto sia stato quello delle deroghe ai limiti di deposito temporaneo e di stoccaggio dei rifiuti. Dagli approfondimenti della Commissione è emerso che durante l'emergenza COVID-19 il sistema di gestione dei rifiuti in Italia ha tenuto. La capacità impiantistica si è dimostrata adeguata, anche per il trattamento dei rifiuti sanitari a rischio infettivo (di cui si è registrato un aumento).

La Commissione si è inoltre soffermata sugli effetti dell’emergenza epidemiologica in termini di produzione dei rifiuti, sia sanitari, sia connessi a misure di contenimento del contagio e uso diffuso di dispositivi di protezione. Dagli approfondimenti della Commissione è emerso che durante la fase di lockdown si è osservata una decisa contrazione nella produzione dei rifiuti speciali di origine industriale e dei rifiuti urbani. Questi ultimi nel bimestre marzo-aprile 2020 sono diminuiti di circa il 10 per cento (meno 500mila tonnellate). Secondo le informazioni acquisite dalla Commissione, il volume stimato di rifiuti connessi all'utilizzo quotidiano di guanti e mascherine monouso per il periodo maggio-dicembre 2020 è pari a 300mila tonnellate (valore medio).

La relazione dà inoltre conto di alcuni elementi strutturali e di tendenza riguardo a possibili fenomeni illeciti nel settore dei rifiuti connessi all’emergenza COVID-19. La relazione si conclude con una serie di raccomandazioni alle istituzioni per una gestione dei rifiuti che tenga in conto le esigenze sia di rispetto degli obiettivi di economia circolare nell’ambito di un ciclo dei rifiuti efficiente e focalizzato sul recupero di materia, sia di efficientamento del sistema dei controlli ambientali e di contrasto all’illegalità. “L’approvazione in aula a Montecitorio della relazione su emergenza COVID-19 e ciclo dei rifiuti arriva in un momento di nuova forte recrudescenza del virus. Auspico che questo lavoro possa essere di supporto a quanti dovranno occuparsi di gestione dei rifiuti nelle difficili settimane che abbiamo davanti. Auspico anche che le istituzioni, ognuna per la propria competenza, mantengano un occhio attento sul tema della prevenzione di rifiuti inutili, anche in una fase così critica. Da parte sua, la Commissione continuerà il lavoro di monitoraggio: tra le altre cose preoccupano i rischi di scorciatoie illegali e infiltrazioni di interessi illeciti in imprese in difficoltà”, dichiara il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.

Il parere della deputata ecologista Rossella Muroni

Sul tema è intervenuta anche la deputata ecologista Rossella Muroni, già presidente della Legambiente e ora parlamentare con Liberi e Uguali. Ha detto: “Nell’emergenza Covid l’uso di dispositivi di protezione individuale, spesso usa e getta, ha rischiato di mettere in crisi il sistema di gestione di rifiuti. Anche perché molte voci si sono levate per dire che servivano nuovi inceneritori o che non avremmo dovuto recepire la direttiva sulla messa al bando degli oggetti più diffusi di plastica usa e getta. Invece, il sistema impiantistico tiene, così come il cambiamento che ci chiede l’Europa e che ci spinge ad abbandonare la cultura della scarto in favore di un’economia circolare. Ma non dobbiamo nasconderci che, anche per contrastare le ecomafie abili ad infiltrarsi nel ciclo dei rifiuti specie dove ci sono punti di criticità, ci servono più impianti al servizio del riuso e del recupero dei materiali. Trasformare i rifiuti da problema a risorsa, ricavarne materia prima seconda, è strategico in un Paese storicamente povero di materie prime come il nostro perché crea filiere industriali innovative e sostenibili, quindi ricchezza e occupazione. La penso come don Ciotti: la moneta buona scaccia quella cattiva. Ed è quella dell’economia circolare la direzione indicata anche dalla approfondita relazione della Commissione Ecomafie sulle ricadute dell’emergenza epidemiologica nel settore dei rifiuti e dalla risoluzione di maggioranza. La direzione del futuro”.

fonte: www.e-gazette.it/


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Call di Sogin per la gestione dei rifiuti radioattivi. Il punto della situazione sul nucleare italiano

















Startup e PMI innovative cercasi, interessate a sviluppare tecnologie avanzate per la gestione dei rifiuti radioattivi. La Call lanciata da Sogin, società di Stato incaricata di smantellare gli impianti nucleari in Italia, punta a trovare nuove soluzioni nei processi di gestione dei rifiuti radioattivi, nella loro pianificazione, nella verifica dei risultati ottenuti e nella logistica.

Un lancio che arriva a stretto giro dalla recente audizione dei vertici di Sogin da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo di rifiuti (Commissione Ecomafie), presieduta da Stefano Vignaroli. L’incontro si è tenuto in vista dell’aggiornamento del “piano a vita intera” che Sogin conta di presentare entro il 30 giugno. Un programma a lungo termine (2035) per la gestione dell’eredità atomica. Da quanto emerso, la mancata realizzazione del deposito nazionale, il non recepimento della direttiva europea e i ritardi cronici delle autorizzazioni per i cantieri continuano ad avere conseguenze pesanti su tempi e costi di gestione del decommissioning nucleare.


Rifiuti radioattivi e come gestirli

Sono tre gli ambiti di concorso della Call for Innovation “SARR – Soluzioni Avanzate per i Rifiuti Radioattivi”, lanciata da Sogin e realizzata il supporto di Digital Magics.
Bridge di interfaccia, sviluppo di soluzioni tecnologiche dedicate all’acquisizione delle informazioni raccolte dalle interfacce dei diversi sistemi, coinvolti nei processi di smantellamento e gestione dei rifiuti, da poter integrare nella piattaforma AIGOR.
Sistemi di posizionamento, sviluppo di tecnologie utili all’informazione sulla posizione indoor degli oggetti, a supporto della pianificazione e del monitoraggio della logistica interna.
Smart monitoring, fornire tecnologie per la sicurezza dei lavoratori e l’automatizzazione dei processi operativi quali il controllo dei rifiuti stoccati, la loro classificazione, anche attraverso smart label.

Le aziende interessate dovranno registrarsi entro il 26 luglio 2020 su openinnovation.sogin.it. I dieci progetti selezionati potranno presentare il loro pitch durante l’Innovation Day, programmato il 14 ottobre 2020. La startup vincitrice si aggiudicherà un premio di 12.000 euro e collaborerà con la Sogin per lo sviluppo del progetto.

Il punto sul nucleare italiano

Le incognite che pesano sulla dismissione delle centrali nucleari in Italia e sulla gestione delle scorie radioattive sono sostanzialmente due. La mancata realizzazione del deposito nazionale, ovvero l’impianto dove centralizzare le scorie, per il quale non è stato mai nemmeno avviato l’iter di scelta del sito di costruzione. I ritardi, altrettanto cronici, con cui Sogin ottiene le autorizzazioni per i cantieri dagli organi di controllo.

Il “piano a vita intera” di Sogin vale già 7,2 miliardi di euro, ma dal 2001 al 2018 il programma di smantellamento è stato realizzato per circa un terzo delle attività con costi per 3,8 miliardi di euro. Dati che suggeriscono le difficoltà cui sta andando incontro l’operazione. Secondo Vignaroli, l’Italia paga il prezzo di non aver ancora recepito la direttiva europea 59 del 2013 (Euratom) sulla la gestione dell’atomo e invita “tutte le istituzioni a fare la propria parte con il massimo impegno, perché anche il nostro Paese possa gestire i rifiuti radioattivi in sicurezza e in efficienza”.

L’ex centrale nucleare nella frazione di Borgo Sabotino del Comune di Latina
Il deposito nazionale

L’assenza del deposito nazionale è il punto nevralgico – ribadito in audizione – attorno a cui ruota il problema: un progetto da 1,5 miliardi di euro da completare entro il 2025, senza ancora un’idea su dove realizzarlo. La Cnapi, Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito, a gennaio 2015 ha individuato 100 possibili siti, ma da allora è rimasta chiusa in un cassetto. Come si può intuire, la sua pubblicazione avrà ricadute politiche importanti, perché aprirà un confronto pesante con le comunità locali, ma è il punto di partenza necessario e non procrastinabile. In attesa del deposito, infatti, l’Italia paga lo stoccaggio delle scorie presso altri Paesi europei.

A questo proposito, sono in corso trattative per il prolungamento dei contratti di mantenimento del combustibile esausto stoccato in Francia e Regno Unito, e destinato al deposito nazionale. Mentre si monitorano Paesi con quantità ridotta di scorie – Spagna, Repubblica Ceca e Ungheria – per consorziarsi nella costruzione di un deposito geologico, dove tombare i rifiuti ad alta intensità, senza passare dal deposito nazionale.

I volumi dei rifiuti radioattivi

Il deposito nazionale dovrà ospitare 72 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, di cui il 60% dagli ex impianti nucleari e il 40% dalle aziende che producono rifiuti radioattivi, stimate da Sogin in circa 350 tra laboratori, imprese e ospedali. Proprio i volumi sono il tema su cui insiste Emanuele Fontani, amministratore delegato di Sogin, secondo cui “è importante ridurre i volumi che andranno a finire nel deposito, insistendo su efficienza, processamento innovativo dei materiali e riciclo”. Secondo Sogin, il decommissioning di otto siti nucleari, consentirebbe di riciclare oltre un milione di tonnellate di materiali, pari circa all’89% di quelli complessivamente smantellati. Sul tema del recupero di efficienza Sogin ha annunciato anche la redazione di un nuovo piano industriale mirato.
Il problema delle autorizzazioni

Il nuovo “piano a vita intera” passerà al vaglio dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera). Per metterlo in atto servirà l’autorizzazione dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), che da due anni lamenta gravi carenze di risorse e competenze in organico. Sono 119 le autorizzazioni che serviranno a Sogin nel prossimo quadriennio, alcune delle quali richieste nel 2012 e 2014, ma non ancora chiuse.

Per esempio, ci sono voluti dieci anni – sottolinea Wired – per svincolare il progetto di estrazione a secco di 64 barre di uranio-torio ad alta attività, arrivate negli anni Sessanta dalla centrale statunitense di Elk River a Rotondella, in Basilicata, per motivi di ricerca. E sono in attesa di autorizzazione gli impianti di Saluggia, Casaccia e Rotondella (che hanno chiuso i battenti negli anni Ottanta) oltre al Reattore Ispra-1, recentemente entrato nel perimetro Sogin.
Cantiere del complesso Cemex impianto Eurex di Saluggia
I progetti sul tavolo

Tra progetti sul tavolo di Sogin – e poi di Isin – ci sono anche:
la pubblicazione del bando di gara per il Cemex, il complesso di cementazione e stoccaggio dei rifiuti liquidi dell’Eurex di Saluggia;
l’avvio di bonifiche a carattere ambientale sui siti di Latina e di Bosco Marengo;
la realizzazione dell’impianto per il trattamento dei fanghi e delle resine SiCoMor, presso la centrale di Trino.
Lo sviluppo di AIGOR (Applicativo informatico di gestione oggetti radioattivi) che consente di estendere le procedure di gestione dei rifiuti radioattivi a tutte le sorgenti e a tutti i materiali potenzialmente rilasciabili, già prodotti o che verranno generati dalle future attività di decommissioning nucleare.

fonte: http://www.recoverweb.it
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Stoviglie in bar e ristoranti ai tempi del Coronavirus. Ministro Speranza: il lavaggio con acqua calda e detergente di quelle riutilizzabili assicura un’adeguata sicurezza biologica

Importante affermazione del ministro della Salute durante un'audizione in Commissione Ecomafie sulla gestione dei rifiuti collegata all'emergenza COVID-19





La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) ha audito il Ministro della Salute Roberto Speranza sulla gestione dei rifiuti collegata all'emergenza COVID-19.

Il Ministro, riconoscendo il ruolo della Commissione come importante articolazione del Parlamento, ha fornito informazioni in merito ai rifiuti sanitari e ai rifiuti derivanti dall’uso di guanti e mascherine. L’audito ha dichiarato che questi ultimi sono destinati ad aumentare e, nell’ottica di un bilanciamento tra i valori costituzionali di tutela della salute e dell’ambiente, ha dichiarato che è necessario mettere in campo misure per limitare l’impatto derivante dal ricorso diffuso e massivo a tali dispositivi.

Per quanto riguarda il riuso delle mascherine di comunità, adatte alla protezione individuale nella vita quotidiana, l’audito ha riferito che questo è possibile, attenendosi alle indicazioni fornite dal produttore anche sul numero di lavaggi. Rispetto invece alle mascherine chirurgiche, il Ministro ha spiegato che al momento non sono disponibili test sulle caratteristiche di prodotti monouso ricondizionati. Relativamente alle mascherine FFP2 ed FFP3, l’audito ha riferito che un loro ricondizionamento porta con sé numerose criticità, soprattutto di natura biologica e meccanica, oltre che di sicurezza degli operatori addetti alla sanificazione dei dispositivi, al momento non risolte. Secondo quanto riferito, sono in corso numerosi studi sul loro possibile ricondizionamento.

Sul tema dell’uso diffuso di stoviglie usa e getta da parte delle attività di ristorazione per una percezione di maggiore sicurezza, il Ministro ha riferito che il lavaggio con acqua calda e detergente di quelle riutilizzabili assicura un’adeguata sicurezza biologica. L’audito ha riferito che è possibile attuare una campagna di sensibilizzazione delle attività di ristorazione in favore dell’uso di stoviglie riutilizzabili.

Per quanto riguarda il trattamento dei rifiuti sanitari prodotti dagli ospedali tramite la tecnica della sterilizzazione in situ, l’audito ha riferito che sul tema è in corso una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità.

«Ringrazio il Ministro Speranza per la disponibilità e la sensibilità dimostrata verso i temi ambientali. Ritengo necessario un bilanciamento tra esigenze sanitarie e problematiche ambientali. È fondamentale che la ripresa proceda di pari passo con misure che frenino la proliferazione dei rifiuti, in primo luogo promuovendo ove possibile il riuso delle mascherine e l'uso di stoviglie riutilizzabili nelle attività di ristorazione, in considerazione delle adeguate garanzie di sicurezza offerte. Anche sull’uso dei guanti può essere fatta una riflessione, per evitare utilizzi non necessari. Su questi aspetti la Commissione proseguirà anche il dialogo avviato con l’Istituto Superiore di Sanità», dichiara il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.

fonte: www.ecodallecitta.it


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Rifiuti, non si trasformi l’emergenza Covid-19 nell’ennesima zuffa sui termovalorizzatori

Brandolini (Utilitalia): «La crisi ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale»





















La commissione parlamentare Ecomafie, presieduta da Stefano Vignaroli (M5S), ha audito ieri Filippo Brandolini – vicepresidente di Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche – per capire come sta proseguendo la gestione dei rifiuti collegata all’emergenza Covid-19.
Due le buone notizie: il servizio essenziale di raccolta dei rifiuti è proseguito senza interruzioni, con una riorganzizazione del lavoro per garantire la sicurezza  degli operatori, e Brandolini ha dichiarato di non avere evidenze circa un aumento dei livelli di contagio tra i lavoratori delle aziende associate; inoltre i rifiuti attesi derivanti dall’uso di guanti e mascherine si prospettano in volumi tali – come già emerso in una precedente audizione Ispra – da non alterare gli equilibri del Paese in termini di smaltimento.
Un’osservazione che nasce dall’andamento delle diverse tipologie di rifiuti: in queste settimane si è osservata una decisa contrazione della produzione sia di rifiuti speciali di origine industriale, sia di rifiuti assimilati, mentre sono aumentati i rifiuti domestici e il rifiuto organico (pur a fronte di una carenza di rifiuto verde), così come anche i rifiuti sanitari a rischio infettivo. Scendendo nel dettaglio, Brandolini ha fornito alcuni dati aggregati raccolti da 44 aziende associate che forniscono il servizio di gestione rifiuti a un totale di circa 12 milioni di cittadini, principalmente nel centro-nord Italia: tra il 21 febbraio e il 9 maggio, si è osservata una diminuzione media della produzione totale di rifiuti di circa il 14%, delle quantità di rifiuti differenziati di quasi il 13% e di rifiuti indifferenziati del 14,5%. Il vicepresidente Utilitalia ha inoltre riferito che alcuni flussi di rifiuti (plasmix, scarti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, combustibile solido secondario, fanghi di depurazione, fanghi di cartiera) solitamente gestiti in impianti esteri hanno subito un blocco a causa della chiusura delle frontiere: la situazione, secondo quanto riferito, è in via di normalizzazione.
«Rispetto alla gestione dei rifiuti collegata all’emergenza Covid-19, prendo atto di come oggi negli impianti di trattamento dei rifiuti i rischi di contagio siano ridotti: il virus non può modificare la scelta della destinazione finale dei rifiuti, visto il suo relativamente breve tempo di permanenza sulle superfici. Abbiamo inoltre appreso dal presidente di Utilitalia che, anche sul fronte delle tipologie di rifiuto destinate spesso a impianti esteri, la situazione si sta di nuovo normalizzando. Auspico dunque che presto si possa tornare a operare senza bisogno di deroghe agli stoccaggi, e senza richieste immotivate di impianti particolari», commenta Vignaroli. E a chiarire di quali “impianti” si sta parlando arriva una nota firmata dagli esponenti M5S della commissione Ecomafie.
«Nelle scorse audizioni è già emerso come l’emergenza Covid non giustifichi la costruzione di nuovi inceneritori, in quanto – si legge nella nota – i quantitativi di rifiuti urbani prodotti sono considerevolmente diminuiti di ben mezzo milione di tonnellate in un paio di mesi, e quindi l’ennesimo appello di chi vorrebbe nuovi inceneritori si rivela ancora una volta infondato. Dall’audizione di oggi abbiamo appreso, inoltre, che i cicli che portano ad incenerimento incrementano il traffico di rifiuti verso l’estero. Il 45% di questi è costituito dai Css, prodotti proprio allo scopo di bruciare rifiuti; altri ancora sono rappresentati dalle ceneri degli stessi inceneritori».
Non sembra preoccupare il fatto che per chiudere il ciclo di gestione dei rifiuti italiani occorra spedirne una quota rilevante all’estero, anche a causa della mancanza di impianti di recupero energetico (il Css che produciamo lo spediamo all’estero) e di smaltimento per i rifiuti speciali. E si arriva dunque alla cattiva notizia messa in evidenza da Utilitalia, sottolineata dalla stessa Federazione in una nota.
«La crisi – spiega Brandolini – ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale, che definisca in una prospettiva di sistema Paese i fabbisogni regionali sulla base di criteri omogenei e di strategie gestionali affidabili». Per inciso, questo secondo la proposta avanzata a fine 2019 da Utilitalia significa anche che se il nord Italia resta autosufficiente in termini di termovalorizzazione, nuovi impianti sono necessari al centro e al sud.
Ma la dialettica inceneritori sì, inceneritori no resta controproducente e porta all’immobilismo. Occorre guardare agli obiettivi Ue: per i rifiuti urbani puntano per il 2035 al 65% di riciclo e al 10% di discarica, con dunque un 25% di rifiuti che dovrà essere avviato a valorizzazione energetica. Gli ultimi dati Ispra disponibili mostrano come tutto questo in Italia sia ancora lontano: nel 2018 in Italia il 49% dei rifiuti urbani è stato avviato a recupero di materia, il 18% a termovalorizzazione e il 22% in discarica. C’è chi pensa di colmare il gap senza ricorrere alla termovalorizzazione, come invece accade nel nord Europa e come suggeriscono le imprese di settore? La scelta dovrebbe spettare in ogni caso allo Stato, quel che occorre è appunto una strategia nazionale che – con pragmatismo e onestà intellettuale – sappia individuare e colmare lungo l’intero ciclo di gestione (dunque recupero di materia, di energia, smaltimento finale) i deficit impiantistici presenti lungo lo Stivale. Anche perché nel mentre i nostri rifiuti continuano a macinare 1,2 miliardi di km l’anno – pari a 175mila volte l’intera rete autostradale italiana, senza contare l’export – prima di trovare un impianto dove poter essere gestiti in sicurezza. E a guadagnarci in questo contesto, come messo nero su bianco dalla Direzione investigativa antimafia, è solo l’illegalità.
Se riuscissimo invece ad abbandonare la cultura del sospetto e i pregiudizi contro gli impianti utili all’economia circolare, la gestione rifiuti potrebbe trasformarsi in una formidabile leva di sviluppo sostenibile.
«Il settore – spiega nel merito Brandolini – può fornire un contributo importante alla ripresa economica dopo la pandemia nell’effettuare quegli investimenti funzionali al raggiungimento degli obiettivi dati dal pacchetto dell’economia circolare. La realizzazione degli impianti e l’infrastrutturazione delle filiere necessarie al pieno raggiungimento degli obiettivi del 2035 farebbero fronte al fabbisogno di trattamento della frazione organica per 3,2 milioni di tonnellate e di 2,5 milioni per il recupero energetico, per consentire l’autosufficienza con investimenti stimati in 6,6 miliardi di euro. Questi investimenti, oltre a contribuire alle ripresa economica e a ridurre la dipendenza dall’estero, sono indispensabili per la transizione all’economia circolare e forniscono un contributo per il rispetto degli impegni internazionali per la riduzione delle emissioni climalteranti».
Secondo Utilitalia tra le azioni da mettere in campo per la ripartenza del settore, fondamentali per la transizione all’economia circolare, c’è il «sostegno al mercato delle materie prime seconde, che storicamente va in crisi con il calo della crescita economica e la diminuzione del prezzo delle materie prime». È inoltre necessaria «una revisione sia del Codice appalti sia dei procedimenti autorizzativi, con particolare riguardo alla semplificazione e alla riduzione dei tempi nei procedimenti previsti dalle norme in materia ambientale ai fini di una rapida ripresa degli investimenti».
Va poi creato «un sistema di verifica per le Regioni che, a fronte della stima del fabbisogno impiantistico residuo necessario per raggiungere gli obiettivi delle direttive in tempi brevi, non provvedono alla realizzazione delle infrastrutture indispensabili, con la previsione di eventuali poteri sostitutivi». Anche l’attuale disciplina dell’End of waste va rivista «riducendo i tempi ed eliminando controlli ridondanti per le attività di riciclo che generano incertezza, aggravio di costi e disincentivo agli investimenti». Senza dimenticare l’importanza del ruolo di Arera nel proseguire «l’azione di Autorità di regolazione forte e indipendente, a tutela degli utenti e a garanzia degli operatori del settore, per l’attivazione degli investimenti necessari a traghettare l’Italia verso un’economia circolare e decarbonizzata e a migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi ambientali per cittadini e imprese».
fonte: www.greenreport.it


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Gestione rifiuti e Covid19: l'audizione del Ministro dell'Ambiente Sergio Costa in Commissione Ecomafie

Secondo il Ministro l'impiego mensile delle mascherine protettive si ridurrà a un terzo di quanto previsto grazie a quelle riutilizzabili. Costa ha anche fatto riferimento all'ipotesi di installare nelle aree urbane appositi contenitori per la raccolta di mascherine e guanti


















La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) ha audito oggi il Ministro dell'Ambiente Sergio Costa. L'audizione rientra nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei rifiuti collegata all'emergenza COVID-19.
L'audito ha fatto una panoramica dei diversi atti di Istituto Superiore di sanità (Iss), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), Ministero dell'Ambiente e Commissione Europea concernenti la gestione dei rifiuti nell'emergenza COVID-19. Il Ministro ha inoltre richiamato le modifiche introdotte dalla legge di conversione del decreto legge «Cura Italia», che all'articolo 113-bis consente il deposito temporaneo di rifiuti fino ad un quantitativo massimo doppio rispetto a quanto previsto dal Testo unico ambientale, e con un limite temporale massimo di durata non superiore a 18 mesi.
Il Ministro ha riferito che negli impianti di incenerimento per rifiuti sanitari è al momento presente una capacità inutilizzata di 200mila tonnellate annue, mentre alcune aziende italiane avrebbero già messo a punto metodi di sanificazione per l'avvio al riciclo dei dispositivi di protezione individuale. Sempre secondo quanto riferito, l'impiego mensile delle mascherine si ridurrà a un terzo di quanto previsto grazie a quelle riutilizzabili. L’audito ha anche fatto riferimento all'ipotesi di installare nelle aree urbane appositi contenitori per la raccolta di mascherine e guanti.
Sempre sul fronte della gestione dei rifiuti collegata all’emergenza COVID-19, secondo quanto riferito dall'audito, il Ministero dell'Ambiente all'inizio dell'epidemia ha segnalato alla Commissione europea la chiusura delle frontiere da parte di alcuni Paesi membri a rifiuti italiani già trattati e pronti per l'avvio al riciclo. Il Ministro ha dichiarato che in risposta alla segnalazione la Commissione ha equiparato i rifiuti pronti per il riciclo a merci e ribadito l'impossibilità per gli stati europei di chiudere le frontiere ai flussi italiani. L’audito ha inoltre espresso la volontà di istituire un tavolo con rappresentanti di Ministero dell'Ambiente, Iss, Ispra e operatori del settore rifiuti, con l'obiettivo di monitorare i flussi di rifiuti indifferenziati, rifiuti da raccolta differenziata e rifiuti sanitari, elaborare eventuali nuove linee guida e attuare azioni di comunicazione.
L’audito ha inoltre riferito di aver attivato Ispra, le Arpa e le forze di polizia per i controlli di rispettiva competenza sulla gestione delle acque reflue e dei fanghi di depurazione. Sulle possibili correlazioni tra inquinamento atmosferico e contagi da COVID-19, il Ministro ha dichiarato di aver dato mandato all’Ispra di approfondire la questione.
«L’audizione del Ministro Costa rientra nell’inchiesta che la Commissione Ecomafie sta conducendo sulla gestione dei rifiuti correlata all’emergenza coronavirus. Il lavoro prosegue con altre audizioni e l’acquisizione di documenti. Vorrei intanto sottolineare l’importanza di una ripartenza sostenibile, a cominciare dai rifiuti. È auspicabile che la raccolta differenziata ricominci il prima possibile anche per gli italiani positivi al COVID-19: la stessa Commissione europea, nelle sue linee guida, non ne raccomanda infatti la sospensione come invece si è fatto in Italia», dichiara il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli. «Ancora più importante è il futuro: pur rispettando tutte le norme igieniche necessarie a evitare ogni possibile contagio, non dobbiamo esasperarle, altrimenti ci ritroveremo sommersi di rifiuti. Significa trovare soluzioni che, pur garantendo la massima protezione delle persone, evitino un proliferare senza criterio dell’usa e getta, visto che nella maggior parte dei casi non dà maggiori garanzie dei prodotti riutilizzabili. Questi ultimi rimangono sempre, ove possibile, da privilegiare, e la loro produzione va incentivata senza troppa burocrazia», conclude il Presidente Vignaroli.
Qui link alla registrazione: https://webtv.camera.it/evento/16158#
fonte: www.ecodallecitta.it


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Audizione Ispra alla Commissione Ecomafie sui Pfas












La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha audito sul tema della contaminazione ambientale da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) il direttore generale di Ispra Alessandro Bratti, accompagnato dal responsabile area per la Formazione tecnica e ambientale Alfredo Pini, dalla responsabile Centro per la rete nazionale dei laboratori Stefania Balzamo e dalla tecnica della sezione Sostanze pericolose Emanuela Pace.


Gli auditi hanno ripercorso la storia dei Pfas, dalle prime produzioni in Italia nel 1965 alla presa di coscienza nel nostro Paese della loro presenza nei corpi idrici e della loro pericolosità a partire dal 2006.
I rappresentanti di Ispra hanno spiegato che i Pfas sono sostanze stabili e persistenti, resistenti all’attacco fisico, chimico, biologico. Secondo quanto riferito, al momento non ci sono metodi consolidati di trattamento di reflui contenenti Pfas, con il risultato che queste sostanze rimangono stabili nell’ambiente. Possibili occorrenze di Pfas o di prodotti contenenti Pfas possono verificarsi, secondo quanto riferito, in stabilimenti dell’industria cartaria, tessile, conciaria e del settore galvanico, oltre che in impianti di trattamento di acque reflue urbane e industriali e in discariche.
Gli auditi hanno inoltre riferito in merito ai risultati dello screening preliminare effettuato da Ispra nel 2018 sulla presenza dei composti Pfas nei corsi d’acqua e nelle falde del nostro Paese.
I dati sono contenuti nel rapporto «Indirizzi per la progettazione delle reti di monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nei corpi idrici superficiali e sotterranei», liberamente accessibile on line sul sito dell’Ispra e Snpa.
Si tratta un’indagine preliminare a livello nazionale che permetterà alle Regioni la programmazione del monitoraggio dei Pfas secondo la direttiva quadro Acque.
Dal 2019, secondo quanto riferito dagli auditi, a seguito del monitoraggio di questi composti molti corsi d’acqua vedranno modificato in senso negativo il loro stato di qualità. I rappresentanti di Ispra hanno inoltre espresso la necessità di mettere in piedi un osservatorio sui Pfas e su tutte le sostanze chimiche emergenti, in modo da poter intercettare la loro presenza nell’ambiente in maniera tempestiva. Accanto ai Pfas diffusi da più tempo, infatti, ci sono nuove sostanze perfluoroalchiliche come GenX e C6O4, per le quali al momento non c’è metodologia analitica condivisa.
Sul fronte di valori di riferimento e dei limiti autorizzativi, gli auditi hanno spiegato che le soglie di qualità ambientale relativi alla concentrazione di Pfas nelle acque esistono solo per poche di queste sostanze e in alcuni casi risultano superate. Per quanto riguarda invece gli scarichi, al momento, hanno riferito gli auditi, non esistono limiti nazionali su cui possano basarsi le autorizzazioni.
«La vicenda della contaminazione da Pfas mostra chiaramente che prodotti utili come tessuti impermeabili e padelle antiaderenti hanno spesso un rovescio della medaglia sul fronte ambientale e della salute. Gli organi di tutela ambientale spesso se ne rendono conto solo quando il danno è già avvenuto e rimediare diventa sempre più difficile. I Pfas, per la loro elevata persistenza, sono infatti ormai molto diffusi nell’ambiente e mettere in atto una bonifica non è semplice tecnicamente», ha dichiarato il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.
fonte: http://www.snpambiente.it

Sentieri, dove senza bonifiche i Siti d’interesse nazionale (e regionale) uccidono

Il quinto rapporto promosso dal ministero della Salute è dedicato a 45 tra Sin e Sir, dove in 8 anni sono stati individuati 12mila morti in eccesso, di cui oltre 5mila per tumori maligni: sempre più urgenti bonifiche e migliore comunicazione ambientale





















Il programma di sorveglianza epidemiologica nei siti contaminati finanziato dal ministero della Salute ha partorito ieri il V rapporto Sentieri,  prendendo in esame 45 Siti di interesse per le bonifiche – di cui 38 d’interesse nazionale (Sin) e 7 riclassificati come d’interesse regionale (Sir) – e mettendo purtroppo in evidenza dati da emergenza sanitaria oltre che ambientale. Nel periodo 2006-2013 per l’insieme dei 45 siti sono stati stimati infatti 5.267 decessi in eccesso per tutte le cause negli uomini (+4%) e 6.725 nelle donne (+5%); di questi, 3.375 decessi per tutti i tumori maligni in eccesso negli uomini (+3%), e 1.910 nelle donne (+2%).
Per quanto riguarda invece l’incidenza tumorale globale – ovvero quanti nuovi casi di tumore vengono diagnosticati – è stato stimato un eccesso di 1.220 casi negli uomini e 1.425 nelle donne. Prendendo in considerazione nella popolazione generale le patologie di interesse a priori, ed esaminando l’insieme dei 45 siti studiati, si osserva che gli eccessi più frequenti per i diversi esiti studiati sono relativi ai tumori maligni della pleura/mesoteliomi maligni, tumore maligno del polmone, malattie dell’apparato respiratorio, tumori maligni del colon retto e dello stomaco. Tali eccessi, variamente combinati per patologia, esito, genere, si osservano in 35 siti, le cui fonti di esposizione ambientale più ricorrenti sono rappresentate da impianti chimici, aree portuali, impianti petrolchimici e/o raffinerie, amianto.
Una situazione drammatica che Sentieri è chiamato a studiare e documentare, ma non a risolvere. Per questo servirebbe concludere effettivamente le bonifiche nei Sin e Sir, spesso noti e perimetrati da decenni ma ancora liberi di inquinare. Solo poche settimane fa è stata direttamente l’Ispra – l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – a fare il punto della situazione durante un’audizione parlamentare per la commissione Ecomafie, e i numeri testimoniano lo stallo di sempre.
Ad oggi in Italia ci sono 41 Sin, per una superficie totale a terra di 171.268 ettari e a mare di 77.733 ettari, e sul totale della superficie terrestre dei Sin (esclusi 6 siti con caratteristiche peculiari) gli interventi di bonifica o messa in sicurezza si sono concluse per appena il 15% dei suoli e il 12% delle acque sotterranee. Rinunciando così non solo a un’imprescindibile riduzione dei fattori d’inquinamento locali, ma anche a una preziosa occasione di sviluppo sostenibile. Come già documentato su queste pagine secondo le stime fornite da Confindustria per concludere le bonifiche sarebbero necessari investimenti pari a circa 10 miliardi di euro, mentre finora lo Stato ha stanziato risorse «nell’ordine di milioni di euro». Eppure investendo nelle bonifiche dei Sin questi 10 miliardi di euro Confindustria stima che il livello della produzione aumenterebbe di oltre il doppio, innescando 200.000 posti di lavoro in più e ripagandosi in gran parte da solo: tra imposte dirette, indirette e maggiori contributi sociali allo Stato rientrerebbero 4,7 miliardi di euro, oltre all’inestimabile valore di un ambiente finalmente sano.
Sono passati ormai tre anni dalla pubblicazione dello studio confindustriale, ma nonostante il cambio Governo le bonifiche sono rimaste come sempre al palo, alimentando un giustificato clima di crescente sfiducia sul territorio. È in questo difficile contesto che s’inserisce anche il capitolo della comunicazione, affrontato con dovizia di dettagli anche all’interno dello studio Sentieri, che ne sottolinea l’importanza capitale: «Occorre mettere in opera piani di comunicazione con la popolazione residente nei siti, fornendo indicazioni operative per evitare, o quanto meno mitigare, le circostanze di esposizione, e contribuire a rafforzare la rete di relazioni tra istituzioni e cittadini residenti, anche per quanto attiene ai processi decisionali che riguardano l’interconnessione ambiente e salute». Perché senza consapevolezza è assai difficile che possa maturare una qualsiasi forma di sviluppo sostenibile.
fonte: www.greenreport.it

Passo avanti nell’iter per il deposito dei rifiuti radioattivi

Passate le elezioni, l’ISPRA trasmette al governo la carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi

















“L’ISPRA ha consegnato nei giorni scorsi al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare e al Ministero dello Sviluppo Economico un aggiornamento della relazione prevista dal D.Lgs. n.31/2010 sulla proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) alla localizzazione del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi predisposta dalla Sogin SpA”.
Comincia così il comunicato dell’ISPRA uscito il giorno dopo le elezioni, e forse per questo sfuggito ai media. La pubblicazione della carta era stata promessa prima della tornata elettorale dal Ministro Calenda, titolare del dicastero dello Sviluppo Economico. Ma i tempi stretti, e soprattutto l’opportunità politica di mettere un simile tema nelle urne, hanno portato ad uno spostamento.


La relazione dell’ISPRA al governo, così come la proposta di CNAPI avanzata da Sogin, è stata classificata come riservata. Manterrà questa segretezza fino alla pubblicazione (a cura di Sogin) a seguito del nulla osta rilasciato dai Ministeri coinvolti. Da qui inizierà un percorso così strutturato: dopo quattro anni di consultazioni con le comunità locali nelle aree considerate idonee ad ospitare le scorie nucleari italiane, bisognerà individuare il sito per la costruzione del deposito. Le operazioni richiederanno altri quattro anni, perciò – se la carta delle aree idonee sarà pubblicata nei prossimi mesi, entro il 2026 l’iter si dovrebbe concludere.
In realtà, è ragionevole pensare che ci vorrà più tempo: non è affatto semplice far digerire a una comunità la costruzione di un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, non è semplice costruirlo con appalti trasparenti e non è detto che bastino quattro anni a finire i lavori. Intanto, però, i siti temporanei si avvicinano alla capienza massima. Come ha ricordato la presidente della Commissione Ecomafie, Chiara Braga, ad esempio, “lo stoccaggio a medio termine dei rifiuti sanitari radioattivi contenenti radionuclidi avviene nel deposito temporaneo Nucleco in Casaccia, ed è del tutto evidente che la continua e costante produzione negli anni di rifiuti radioattivi in ambito sanitario porterà ad un ulteriore aggravamento della già difficile capacità di gestione dei volumi prodotti”.

fonte: www.rinnovabili.it