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Sacchetti ortofrutta riutilizzabili: boom all’estero e al palo in Italia

 














A distanza di tre anni dal provvedimento entrato in vigore nel gennaio del 2018 che vietando l’utilizzo dei sacchetti sottili in plastica ha finito per vietare anche i sacchetti riutilizzabili, tutto tace.

Nessun ulteriore chiarimento o ripensamento è arrivato infatti da parte dei due ministeri, che si sono defilati dopo essersi rimpallati la decisione se ammettere o meno i sacchetti riutilizzabili almeno nel reparto ortofrutta.

Come abbiamo raccontato in precedenti post su questa questione siamo ancora fermi ad una circolare del 2018 del Ministero alla Salute, chiamato ad esprimersi dal Ministero all’Ambiente allora presieduto da Galletti, che ha escluso di fatto la possibilità di utilizzare sacchetti che non fossero monouso, onde prevenire gravi rischi sanitari.

Neanche l’ex ministro all’Ambiente Sergio Costa, che è stato il primo ad entrare nel dettaglio di possibili azioni che i singoli possono compiere nel quotidiano per ridurre l’impatto ambientale della plastica con le iniziative Plastic-free, non ha voluto o potuto prendersi a cuore la questione.

L’Italia rimane così l’unico paese al mondo dove è obbligatorio usare esclusivamente sacchetti monouso (e guanti) nel settore ortofrutta dei supermercati. Nonostante non sia mai stata presentata alcuna evidenza scientifica che dimostri che queste misure abbiano prodotto benefici in termini di minori tossinfezioni nella commercializzazione dell’ortofrutta. Quello che è certo è che le fonti di tossinfezioni documentate derivano invece dai prodotti, più che dal contenitore. Anche quando confezionati.

Neanche la “sfida” di buon senso lanciata da NaturaSì che ha adottato sacchetti riutilizzabili per ortofrutta e per il pane nei suoi punti vendita è servita per provocare qualche reazione. Si rimane pertanto appesi in una tipica situazione pilatesca all’italiana dove si lasciano gli operatori commerciali nel limbo delle possibili interpretazioni. Con il risultato che non si procede ad alcun controllo (ad esempio sulla battitura a scontrino del costo del sacchetto) e i provvedimenti legislativi possono essere disattesi senza conseguenze.

Assodato che prevenzione e riuso sono strategie portanti dei modelli di business circolari non sarebbe questa un’occasione di intervento facile facile per le Direzioni per l’Economia Circolare, istituite nei Ministeri proprio per creare una task force interdisciplinare che promuova una exit strategy dai vecchi modelli di business lineari?

Il consumo di imballaggi non è diminuito

Considerando che i sacchetti leggeri e ultraleggeri in plastica usati all’interno dei reparti dei supermercati e nei negozi di alimentari sono stati sostituiti con opzioni in carta e bioplastica compostabile non può essersi verificata una riduzione del consumo. Non è pertanto possibile affermare con rigore scientifico che dal 2018 ad oggi questa sostituzione di materiale abbia comportato dei benefici per l’ambiente in termini di riduzione di rifiuti evitabili ed emissioni di CO2. In compenso quello che studi di settore hanno rilevato è stato un aumento del consumo complessivo di packaging nel settore alimentare dovuto ad un maggiore consumo di cibi freschi pronti al consumo spesso in monoporzione. Nel settore ortofrutta è aumentata sia la quota di ortofrutta comprata confezionata che il consumo di ortofrutta di IV gamma come ad esempio le buste di insalata e spinaci già lavate o le vaschette di frutta a cubetti pronta al consumo.

Cessione onerosa obbligatoria dei sacchettini non sempre avviene

Se la maggior parte dei punti vendita della GDO addebita ormai per i sacchetti compostabili un importo inferiore al prezzo di acquisto che va da 0,01 a 0,02 € , altri rivenditori fuori dal circuito della distribuzione organizzata cedono ormai questi sacchetti ultraleggeri “gratuitamente”.

Non addebitare il costo dei sacchetti ai clienti, come avviene nella quasi totalità delle farmacie, del commercio ambulante, e in misura minore nei negozi di prossimità, significa non disincentivare il consumo usa e getta. Significa soprattutto non avere chiaro che dobbiamo decarbonizzare gli stili di vita e i modelli di consumo attuali perché non sono compatibili con l’obiettivo della neutralità climatica al 2050. Per non parlare dell’impegno sul fronte del perseguimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese) entro il 2030 e in particolare per gli obiettivi nr. 12 (Consumo e sviluppo responsabili) e 13 (Lotta al cambiamento climatico).

FRANCIA AVANGUARDIA DEL RIUSO


Decisamente un’altra attenzione stanno guadagnando i modelli di riuso nella vicina Francia dove la quota di mercato riferita alle vendite di prodotti sfusi è aumentata del 40% tra il 2018 e il 2019.

Nel 2020 la Francia contava già oltre 560 negozi specializzati nella vendita di prodotti sfusi, ma se il disegno di legge sul clima e la resilienza che ha ottenuto il via libera dall’assemblea nazionale il 29 marzo verrà approvato anche al senato, questa modalità di acquisto potrebbe conoscere un vero boom negli anni a seguire. La Francia diventerà il primo paese a rendere la vendita sfusa materia di legge, anche se gli operatori commerciali e i grandi marchi non ne sono entusiasti per paura di perdere gli spazi conquistati a scaffale e le vendite correlate.

L’articolo 11 al Titolo 1 del DDL intitolato “Consumare” impone infatti ai negozi di oltre 400 mq di dedicare alla vendita di prodotti sfusi il 20% della superficie di vendita entro il 2030. Il testo prevede inoltre che gli imballaggi riutilizzabili possano essere forniti dal cliente che diventa il soggetto responsabile dell’igiene e dell’idoneità degli stessi. Dal canto suo il rivenditore può rifiutarli qualora non conformi.

Obiettivo del DDL è quello di supportare i cittadini nelle loro scelte di consumo sostenibile quotidiane attraverso misure che riguardano l’educazione ambientale, la pubblicità (come riduzione e regolamentazione del greenwashing), l’etichettatura ambientale obbligatoria e l’economia circolare.

Presentato da Barbara Pompili, Ministro della Transizione Ecologica, il testo del DDL prevede che i punti vendita coinvolti debbano dedicare almeno il 20% della loro superficie di vendita a prodotti venduti senza imballaggio oppure utilizzare altre metriche di rendicontazione come il numero di referenze di prodotti venduti sfusi versus confezionati, oppure in termini di percentuali di fatturato di prodotti venduti sfusi e non, che possano dimostrare il rispetto della legge. L’obbligo riguarda sia i punti vendita con servizio assistito che self service, e anche il settore del commercio online. Questo obbligo coprirebbe inoltre tutti i prodotti di consumo per l’uso quotidiano, ad eccezione dei medicinali e prodotti che non possono essere venduti sfusi per motivi di salute e sicurezza. Inoltre, per scoraggiare l’uso di bicchieri usa e getta, il disegno di legge prevede che i venditori di bevande da asporto debbano praticare prezzi più bassi sulle bevanda vendute in contenitori riutilizzabili quando forniti dai consumatori.

Albert Heijn verso l’azzeramento dei sacchetti ortofrutta monouso

L’insegna leader della GDO olandese Albert Heijn (AH) ha deciso di sospendere la distribuzione dei sacchettini di plastica nei reparti ortofrutta dei suoi punti vendita in Olanda che verranno sostituiti da sacchetti in poliestere riutilizzabili e lavabili.

Una volta a regime la decisione porterà ad un risparmio annuo di 130 milioni di sacchetti monouso che corrisponde a 243.000 chili di plastica evitati che non verranno sostituiti – come è prassi in Italia – con altre opzioni in carta o bioplastica compostabile.
Da metà aprile i clienti dei reparti ortofrutta della catena verranno informati che i sacchetti ortofrutta vanno “in pensione” e potranno ricevere per due settimane con i loro acquisti di ortofrutta
dei sacchetti ortofrutta riutilizzabili in omaggio . Entro la fine di quest’anno i sacchetti in plastica saranno scomparsi da tutti i negozi.
In Olanda gli shopper in plastica alle casse non sono stati vietati e sostituiti con opzioni compostabili ma è stato introdotto dal 2016 l’obbligo di farli pagare ai clienti un minimo di 25 centesimi, sia quando in plastica che in bioplastica. Il consumo si è notevolmente ridotto ma AH prevede di intercettare ancora 645.000 chili di plastica che corrispondono a 31 milioni di shopper attraverso le consegne a domicilio introducendo nel corso dell’anno la possibilità di restituire gli shopper per la spesa in plastica al momento della consegna della spesa. Dal riciclo di questi shopper AH ne ricaverà delle borse riutilizzabili disponibili in una nuova linea di 10 modelli in plastica riciclata, facilmente ripiegabili e igienizzabili che verranno lanciate con una campagna ad hoc.
Albert Heijn è stata riconfermata con il voto dei consumatori come la catena di supermercati più sostenibile dei Paesi Bassi. E’ il risultato dell’indagine Sustainable Brand Index ™ 2021 , un’indagine annuale su oltre 58.000 consumatori in Europa sui marchi di consumo e sulla sostenibilità.
Ci sono altre insegne di supermercati olandesi che che hanno introdotti i sacchetti ortofrutta come Lidl , Aldi che carica 1 centesimo di euro sui sacchetti monouso per incentivare il passaggio alla versione riutilizzabile e Carrefour. In netto contrasto con il divieto esistente nel nostro paese che non ha pari negli altri paesi europei, in qualsiasi supermercato olandese è possibile usare sacchetti ortofrutta riutilizzabili.

La bilancia permette al cliente di selezionare 3 opzioni di acquisto: sacchetto monouso, riutilizzabile, senza sacchetto.

In genere i prezzi dei sacchetti ortofrutta sono molto abbordabili come si può vedere dalla comunicazione presente presso l’angolo bilancia di Carrefour dove si può acquistare un set di sacchetti a oppure uno singolo a 0,60 centesimi. La bilancia e cartellonistica che appare nella foto riproduce la soluzione al problema del settaggio della tara – qualora i sacchetti utilizzati abbiano pesi differenti– proposta oltre 10 anni fa alla GDO all’interno di una campagna specifica denominata Mettila in rete. Il cliente che mette il prodotto sulla bilancia trova a video tre opzioni da selezionare che regolano la tara : a) acquisto con sacchetto riutilizzabile, b) con sacchetto monouso, c) senza alcun sacchetto. Va detto che i sacchetti che vengono utilizzati in Italia da NaturaSì e nella maggior parte delle esperienze che abbiamo raccontato utilizzano un sacchetto in poliestere che ha un peso corrispondente o molto vicino a quello delle opzioni in bioplastica e carta più usate.

Belgio

L’ultimo post su queste pagine del 2019 aggiornava sulla situazione in Belgio in cui la riduzione della plastica monouso secondo la direttiva è di competenza regionale, con il risultato che Fiandre, Bruxelles e Vallonia hanno ciascuna il proprio approccio.
Nelle Fiandre OVAM, l’Agenzia pubblica per i rifiuti incaricata a di sviluppare le misure politiche in merito ha deciso di non vietare i sacchetti in plastica leggeri inferiori ai 15 micron e a spingere sui sacchetti riutilizzabili mentre la regione di Bruxelles e la Vallonia li hanno vietati a favore di alternative biodegradabili. Secondo il portavoce di OVAM non è un atto di debolezza. “Non vogliamo vietare quei sacchetti perché temiamo che le alternative – anche la carta – danneggino ancora di più l’ambiente. OVAM vuole concentrarsi principalmente sul riutilizzo degli imballaggi“, afferma Verheyen.

Regno Unito

L’insegna Asda dopo avere testato con successo i sacchetti ortofrutta riutilizzabili in 9 punti vendita ha annunciato l’eliminazione dei sacchetti ortofrutta in plastica.
La mossa che comporta un risparmio di 101 milioni di pezzi segue una sperimentazione avvenuta in nove punti vendita dove i sacchetti riutilizzabili hanno incontrato il favore dei clienti e addetti del reparto. Durante il periodo di prova, Asda ha dichiarato di aver venduto una media di 30.000 sacchetti riutilizzabili ogni settimana, prova che i clienti sono disposti a sostenere gli sforzi per contrastare l’inquinamento da plastica.
I sacchetti ortofrutta costano 30 pence al pezzo e sono realizzati con poliestere ottenuto dal riciclo delle bottiglie in PET .
Oltre ad Asda ci sono state anche altre catene inglesi tra cui Sainsbury e Waitrose ad avere introdotto sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta.

“Abbiamo avuto modo di rilevare con questa sperimentazione che i nostri clienti e colleghi hanno aderito con passione reputandola una scelta giusta per l’ambiente e questa iniziativa è solo un altro modo in cui aiutiamo i nostri clienti a fare scelte sostenibili, senza compromettere la qualità dei nostri prodotti. La rimozione dei sacchetti di plastica in tutti i nostri negozi è parte del nostro impegno aziendale di riduzione della plastica monouso” ha dichiarato il responsabile del settore Ortofrutta di Asda, Dominic Edwards .

Asda ha lanciato lo scorso anno una sperimentazione in un nuovo punto vendita a Leeds in collaborazione con grandi marche tra le quali Kellogg’s, Unilever, Quaker Oats, Lavazza, Radox e Persil. Alcuni dei prodotti di queste marche possono essere acquistati con contenitori riutilizzabili attraverso 15 stazioni self service di rifornimento in una zona dedicata del negozio.

Dal 2018, il gruppo dei Big 4 a cui appartiene Asda insieme a Tesco, Sainsbury’s e Morrisons ha eliminato 9000 tonnellate di plastica e si è impegnato ad eliminare almeno 3 miliardi di pezzi di plastica dai prodotti a marca propria entro il 2025. Nella maggioranza dei casi si tratta ancora di azioni in cui si sostituisce la plastica monouso con altri materiali monouso senza fornire dati analitici sul consumo di materia complessivo. Per escludere qualsiasi tentativo di greenwashing sarebbe auspicabile nei casi in cui si comunicano le tonnellate di plastica risparmiata all’ambiente specificare se si tratta di eliminazione totale dell’imballaggio o meno. Nella seconda ipotesi sarebbe più corretto precisare la natura e le quantità in peso delle opzioni alternative introdotte.

fonte: comunivirtuosi.org

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Indagine Beach Litter: 654 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia

Sulle spiagge italiane troppa plastica, guanti e mascherine usa e getta, cicche di sigarette e rifiuti edili




Il bilancio dell’indagine Beach Litter 2020, condotta dai Circoli di Legambiente, realizzata grazie al contributo di E.ON e Novamont e raccontata da Goletta Verde, è tutt’altro che incoraggiante: «Rifiuti a ogni passo: 654 quelli rinvenuti, in media, ogni cento metri percorsi lungo le spiagge monitorate da Legambiente. Dagli intramontabili mozziconi di sigaretta a contenitori per bevande e alimenti e stoviglie in plastica usa e getta, dal materiale da costruzione ai “nuovi arrivati” come guanti e mascherine, i cumuli di spazzatura trovati sono frutto d’incuria, maleducazione, mancata depurazione e cattiva gestione dei rifiuti sulla terraferma che, attraverso corsi d’acqua e scarichi, arrivano in mare e sui litorali».

Iniziata nel 2014 sulle spiagge del Mediterraneo, l’indagine Beach Litter di Legambiente rappresenta una delle più grandi esperienze di citizen science a livello internazionale. Il protocollo utilizzato è sviluppato nell’ambito dell’iniziativa Marine Litter Watch dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, cui diverse associazioni comunicano i dati raccolti, con l’obiettivo di creare uno dei più ampi database sui rifiuti spiaggiati costruiti dai volontari a livello europeo.

I volontari di Legambiente, protagonisti della prima attività associativa nazionale in presenza organizzata nel post-lockdown hanno monitorato 43 le spiagge – 1 in Basilicata; 2 in Calabria; 10 in Campania; 2 in Emilia-Romagna; 2 in Friuli Venezia Giulia; 3 nel Lazio; 1 in Liguria; 1 nelle Marche; 5 in Puglia; 8 in Sardegna; 4o in Sicilia; 3 in Veneto; 1 in Umbria (sul lago Trasimeno) – per un totale di 28.137 rifiuti censiti in un’area di 189.000 m2 e dicono che «Su circa la metà delle spiagge campionate, la percentuale di plastica eguaglia o supera il 90% del totale dei rifiuti, mentre in una spiaggia su tre sono stati rinvenuti guanti, mascherine e altri oggetti riconducibili all’emergenza sanitaria. Sebbene il numero di rifiuti rilevati sia in lieve calo rispetto allo scorso anno – complice il sostanziale stop di ogni attività durante il lockdown – il Covid-19 rischia di rendere meno efficaci i passi avanti fatti proprio nella riduzione della plastica e dell’usa e getta».

Legambiente spiega che «Complessivamente l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge nel 2020 è in plastica, la quale si attesta al primo posto tra i materiali censiti, seguita da vetro/ceramica (10%), metallo (3%), carta/cartone (2%), gomma (2%), legno lavorato (1%). Il restante 2% è costituito da altri materiali. A farla da padrone per i polimeri artificiali sono per lo più frammenti di plastica e polistirolo con dimensioni comprese tra 2,5 e 50 cm, mozziconi di sigaretta, tappi e coperchi per bevande. Vetro e ceramica si ritrovano soprattutto in forma di frammenti e di materiale da costruzione come tegole, mattonelle, calcinacci».

Il Cigno Verde definisce «Allarmante la quantità elevata, e in alcuni casi incalcolabile, di materiale da costruzione rinvenuta sulle spiagge del Baraccone a Bari, del Caterpillar a Salerno e di Romagnolo a Palermo, diventate vere e proprie discariche abusive. Il metallo è rappresentato soprattutto da lattine, tappi e linguette, mentre carta e cartone si ritrovano in frammenti, ma in misura importante anche come pacchetti di sigarette».

La principale fonte di questi rifiuti è classificabile come indefinita, frammenti che non possono cioè essere associati a oggetti o riconosciuti (40%), seguita da fonti varie (20%), dagli imballaggi, non solo per alimenti e in vari materiali (15%), e dai rifiuti derivanti da abitudini dei fumatori, principalmente mozziconi di sigaretta, ma anche accendini, pacchetti di sigarette e loro imballaggi (15%). Chiudono la lista, i rifiuti legati al consumo di cibo, come stoviglie, tappi, cannucce (10%). Oltre la metà (il 67%) dei rifiuti registrati è costituita da sole dieci tipologie di oggetto.

Legambiente ha anche fatto la top ten dei rifiuti in spiaggia: tra le prime dieci tipologie di oggetti rinvenuti nel monitoraggio di Legambiente troviamo, in ordine di classifica, pezzi di plastica (14%); mozziconi di sigaretta (14%); pezzi di polistirolo (12%); tappi e coperchi (7%); materiale da costruzione (5%), tra cui calcinacci e mattonelle, tubi di silicone e materiale isolante; pezzi di vetro o ceramica non identificabili (4%); bottiglie e contenitori di bevande (3%); stoviglie usa e getta, tra cui bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica (3%); cotton fioc in plastica (3%); buste, sacchetti e manici (2%).

Da Beach Litter 2020 viene fuori che «Il 42% di tutti i rifiuti monitorati da Legambiente riguarda i prodotti usa e getta al centro della direttiva europea che vieta e limita gli oggetti in plastica monouso. Tra questi, le bottiglie e i contenitori di bevande (inclusi tappi e anelli), ritrovati in più di 3 mila pezzi da Legambiente; i mozziconi di sigaretta (onnipresenti sulle spiagge europee), rinvenuti con una media di uno a ogni passo; le reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura in plastica, per il 28% calze per la coltivazione dei mitili; i contenitori per alimenti e i bicchieri in plastica, che rappresentano rispettivamente il 49% e il 26% dei rifiuti derivanti da consumo di cibi da asporto censiti da Legambiente, ma per i quali attualmente è stato posto solo un obiettivo di riduzione nel consumo; i cotton fioc in plastica, anch’essi ritrovati con una media di uno per ogni passo sulla sabbia. Al centro di una recente battaglia di Legambiente che ha contribuito alla loro messa bando in Italia dal gennaio 2019 (in anticipo sul divieto di commercializzazione contenuto nella proposta della direttiva Ue), i bastoncini cotonati sono anche simbolo della cattiva abitudine di buttare i rifiuti nel wc e della mala depurazione per cui ciò che viene gettato negli scarichi di casa arriva a inquinare l’ambiente marino».

La direttiva Ue (Single Use Plastics), si concentra su 10 prodotti in plastica monouso e sulle reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura, in quanto tutti insieme rappresentano il 70% dei rifiuti maggiormente rilevati sulle spiagge europee. Il testo propone che il divieto di utilizzo (a partire dal 2021) dei prodotti per i quali esistono alternative (posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande e aste dei palloncini) venga esteso anche ai prodotti di plastica oxodegradabile e ai contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso. Per i prodotti monouso per cui, invece, non ci sono alternative, gli Stati membri dovranno mettere a punto misure per ridurne significativamente l’utilizzo, mentre per altri sono stati definiti obiettivi di riciclo, raccolta e revisione della progettazione del prodotto.

Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, evidenzia che «Quasi la metà dei rifiuti monitorati riguarda proprio i prodotti al centro della direttiva europea sulla plastica monouso: anche alla luce di questi risultati l’Italia deve recepirla prima della scadenza del luglio 2021 –Dopo la messa al bando dei cotton fioc non biodegradabili e delle microplastiche nei cosmetici, cui abbiamo contribuito con le nostre instancabili denunce, diverse delibere comunali hanno anticipato il bando delle stoviglie usa e getta, mentre intere catene di supermercati ne hanno abolito la vendita: non possiamo vanificare gli sforzi fatti verso l’adeguamento alla direttiva, che vieterà alcuni prodotti monouso sul territorio nazionale e indicherà forti limitazioni e la responsabilità estesa dei produttori ad altri prodotti. Alla luce dell’ipotesi di varare una tassa europea sulla plastica per cofinanziare il Recovery Fund, ribadiamo la nostra richiesta di non prorogare ulteriormente, oltre l’1 gennaio 2021, l’avvio della plastic tax varata con la legge di bilancio a dicembre. Si deve poi arrivare, al più presto, all’approvazione della legge SalvaMare che consentirebbe ai pescatori di riportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente: il disegno di legge, approvato a ottobre alla Camera, è completamente fermo al Senato, in Commissione ambiente, sottraendo tempo prezioso al recupero dei rifiuti affondati, il 70% di quelli che finiscono in mare, con danni alla biodiversità e all’economia della pesca. Servono passi avanti nella leadership normativa in contrasto al marine litter. Importante includere anche i bicchieri di plastica nel bando nazionale, che la direttiva europea prevede solo di limitare, e consentire l’uso di oggetti sostitutivi fatti con materiali biodegradabili e compostabili non derivanti dal petrolio, così da potenziare la filiera del compostaggio dei rifiuti organici in cui l’Italia è leader in Europa. Misure utili ad accompagnare la transizione».

Legambiente ricorda che «Per combattere l’emergenza globale dei rifiuti in mare, occorrono leggi e indirizzi dei Governi, la riconversione industriale verso l’economia circolare, ma anche l’impegno di cittadini e consumatori nel prevenire la produzione di rifiuti. Pertanto, l’associazione sollecita a non disperdere nell’ambiente oggetti inquinanti di quotidiano utilizzo e smaltirli correttamente. L’emergenza Covid-19, in particolare, sta alimentando il falso mito che dall’utilizzo di dispositivi usa e getta derivi una migliore prevenzione del contagio, nonostante non vi siano motivazioni scientifiche o epidemiologiche a supporto». Per questo il Cigno Verde invita a scegliere, ad esempio, mascherine lavabili e riutilizzabili per preservare risorse e ambiente in modo decisivo e chiede ai cittadini partecipare alla sfida social dell’estate, la #GolettaChallenge: a chi aderirà sarà chiesto di ripulire dai rifiuti un pezzetto di spiaggia e di condividere la foto sui social, sfidando tre o più amici a fare altrettanto e includendo nel post il tag di Legambiente e l’hashtag #GolettaChallenge»,

Di fronte alle illegalità sempre in agguato, Legambiente punta a non abbassare la guardia: «Come dimostra l’episodio di dispersione in mare di oltre 130 milioni di filtri provenienti dal depuratore di Capaccio-Paestum che nel 2018 hanno inquinato tutto il Mar Tirreno, con ritrovamenti persino in Francia e Spagna. Da subito l’associazione ha denunciato la vicenda, chiedendo venisse applicata la legge sugli ecoreati e intraprendendo un’azione di pulizia straordinaria delle spiagge: adesso, arriva la notizia dell’inizio del procedimento penale in cui Legambiente Campania è stata riconosciuta come persona offesa e che a ottobre vedrà sul banco degli imputati i dirigenti della multinazionale Veolia Water Technologies, funzionari del Comune di Capaccio e tecnici. Sono accusati di avere prodotto l’esondazione dei reflui dall’impianto, con conseguente dispersione in mare dei dischetti, tramite una condotta “abusiva negligente, imperita e imprudente, commissiva e omissiva”».

fonte: www.greenreport.it


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Il grande ritorno della plastica: dai guanti alla verdura preconfezionata, la pandemia rischia di azzoppare il movimento plastic free

















Pensavamo che la plastica monouso avesse le ore contate. Poi è arrivata la pandemia, e con essa il ritorno in grande stile della plastica. Dai guanti usa e getta ai contenitori per la consegna di cibo a domicilio, dalle mascherine chirurgiche alle vaschette di frutta e verdura, l’emergenza coronavirus e la paura del contagio sembrano aver relegato in un angolo la spinosa questione delle monumentali quantità di plastica usa e getta che produciamo e non siamo in grado di riciclare. Per non parlare del problema delle microplastiche, che ormai si trovano un po’ ovunque le si vadano a cercare.

Si stima che se in Italia tutti usassimo mascherine chirurgiche monouso, ogni giorno produrremmo (e dovremmo smaltire) circa 120 tonnellate di rifiuti plastici. A questi vanno sommati quelli relativi a camici, grembiuli, tute e cuffie monouso, senza dimenticare occhiali e visiere per proteggere gli occhi. Già, perché questi dispositivi di protezione – chi più e chi meno – contengono materiali plastici. Ed essendo contaminati non possono essere riciclati e devono essere conferiti in discarica o negli inceneritori, quando non vengono gettate per strada da persone poco attente all’ambiente (per usare un 
eufemismo).


Sono spesso in plastica anche i contenitori per il cibo da asporto e per la consegna a domicilio, le uniche attività di ristorazione consentite fino a poco fa

Altro tasto dolente è quello dei guanti monouso. Molte attività commerciali li mettono a disposizione dei clienti, altre non consentono l’ingresso a chi non li indossa. In alcuni luoghi, come in Lombardia, sono obbligatori addirittura sui mezzi pubblici. Così, finiscono per riempire i cestini fuori dai supermercati e per essere disseminati per strada. Eppure, come ha ribadito recentemente l’Oms (ma lo diceva già a marzo) e come sostenevano molti esperti, per il comune cittadino i guanti monouso non sono utili, anzi possono essere dannosi perché possono dare un falso senso di sicurezza. Molto meglio lavarsi le mani spesso o igienizzarle con un gel disinfettante. Secondo l’Istituto superiore di sanità, i guanti monouso dovrebbero essere usati solo dal personale sanitario e dai lavoratori di alcuni settori, come gli addetti alla pulizia, alla ristorazione o quelli che manipolano alimenti.

Ma se il grande ritorno della plastica sotto forma di dispositivi di protezione tutto sommato può essere giustificata (esagerazioni escluse), c’è stato un boom anche nel settore alimentare. Durante il periodo di lockdown, infatti, l’unica attività consentita (e neanche dappertutto) per la ristorazione è stata la consegna a domicilio, poi l’asporto, ed entrambe comportano l’uso di contenitori per alimenti. E quelli più economici e alla portata di chi ha dovuto organizzarsi in fretta e furia spesso sono proprio di plastica (nonostante esistano da tempo alternative).

Non bisogna poi dimenticare frutta e verdura preconfezionate in vaschette e sacchetti di plastica. A onor del vero, questi prodotti già stavano vivendo un periodo positivo: nel 2019 i consumatori avevano speso il 3,2% in più rispetto all’anno precedente per comprare confezioni di frutta e verdura già pronte. Praticità e rapidità erano i motivi che spingevano alla scelta di questi prodotti, a cui oggi, senza dubbio, si va ad aggiungere il maggior senso di sicurezza conferito dall’involucro di plastica per il consumatore e una semplificazione delle operazioni di preparazione delle spese online per il supermercato. Con buona pace del movimento plastic free e dell’ambiente.

fonte: www.ilfattoalimentare.it

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Presentata la campagna del Ministero dell'Ambiente sullo smaltimento corretto di mascherine e guanti

Protagonista dello spot l’attore Brignano. Il ministro Costa: “Oggi è il momento di agire, non possiamo stare a guardare”




Gettare mascherine e guanti nell’indifferenziato, servirsi il più possibile di quelli riutilizzabili, non buttarli a terra per evitare gravi danni all’ambiente. Si concentra su questi tre punti la campagna di comunicazione del ministero dell’Ambiente, in collaborazione con la Guardia Costiera, Ispra, Iss, Enea e la commissione Colao, presentata il 30 giugno 2020 in conferenza stampa – la prima in presenza post-Covid – dal ministro Sergio Costa, a Roma nella sede del Comando generale della Guardia Costiera.

“Ricordati: mascherine e guanti vanno nell’indifferenziata. Oh, lo faccio anche io, eh!” – dice l’attore Enrico Brignano nello spot video realizzato dal ministero insieme con la Guardia Costiera. Disponibile da oggi, sarà trasmesso anche dalla Rai. Si ispira a quello realizzato da Nino Manfredi: Brignano eredita la sua empatia mostrando le conseguenze dell’abbandono di guanti e mascherine.

Oltre a questo spot, parte una campagna social “Alla natura non serve”, con meme e video emozionali dall’hastag #buttalibene. Il concept muove da una delle foto simbolo della pandemia: un uccellino trovato intrappolato in una mascherina, che ovviamente agli animali non serve, così come non serve alle strade, alla natura, ai mari. Un messaggio per tutti, soprattutto per chi abbandona questi rifiuti, forse inconsapevole del danno ambientale che sta causando.

“Mascherine e guanti monouso – ha osservato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – sono diventati un problema per l’ambiente, in Italia e nel resto del mondo. Da qui è nata la campagna istituzionale del ministero, affidata al carisma di Enrico Brignano, che con il suo potere di persuasione orienterà i comportamenti dei cittadini italiani nell’ottica di prestare attenzione all’ambiente. Anche tramite i social vogliamo raggiungere un pubblico vasto, soprattutto i più giovani. Perché oggi è il momento di agire per difendere la natura e il nostro pianeta dall’inquinamento. Non possiamo stare a guardare”.

“Una collaborazione, quella tra il Comando generale della Guardia costiera e il ministero dell’Ambiente, iniziata già lo scorso anno con il progetto di comunicazione e di educazione ambientale plasticfree, voluto per contrastare la dispersione delle microplastiche in mare e proseguita con la campagna ‘reti fantasma’ che vede impegnati i nostri nuclei subacquei nel recupero delle reti da pesca abbandonate nei fondali, che rappresentano un pericolo per la vita dell’ecosistema marino e per la sicurezza di bagnanti e subacquei” - ha dichiarato il Comandante generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino. “Quest’anno il nostro impegno a fianco del Ministro Costa si è rinnovato attraverso un’intensa attività di monitoraggio ambientale volta a ‘fotografare’ lo stato de mare durante il periodo di lockdown e nella fase immediatamente successiva e oggi, in particolare, per sostenere questa importante campagna del ministero dell’Ambiente e lanciare un messaggio a coloro che sceglieranno le coste italiane per loro vacanze”.

“L’Ispra e il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente” – ha affermato il presidente Ispra e Snpa, Stefano Laporta – aderiscono a questa campagna che si appella principalmente al senso civico di ciascuno di noi. I numeri parlano chiaro: in Italia si ha una produzione giornaliera di rifiuti da mascherine pari a circa 410 tonnellate, con un valore medio per la fine del 2020 di 100.000 tonnellate di rifiuti; la produzione di rifiuti da guanti sino a fine anno sarà di un valore medio di 200.000 tonnellate. Questi numeri devono necessariamente indurci a comportamenti virtuosi nei confronti dell’ambiente”.

“Questa iniziativa – ha scritto in un messaggio istituzionale il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro – è un ottimo esempio di come il contrasto alla pandemia coinvolga tutti gli aspetti della nostra convivenza e richieda uno sforzo comune e coordinato. Anche in questa fase della pandemia è importante che tutti agiamo nelle prospettive dell’agenda per lo sviluppo sostenibile dove il tema ambiente, insieme a quello della salute, siano centrali”.

Inoltre, sul sito del ministero dell’Ambiente è stata creata una pagina ad hoc, “All’ambiente non servono”, nella quale ci sono alcune domande e risposte sullo smaltimento corretto di guanti e mascherine e sulle modalità di uso delle mascherine riutilizzabili: https://www.minambiente.it/all-ambiente-non-servono

fonte: www.ecodallecitta.it




fonte video: www.ansa.it



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Fase 3, finisce il momento dei guanti monouso: non sono più obbligatori né raccomandati come protezione anti Covid

L'allegato IX del nuovo Dpcm recita: "... in considerazione del rischio aggiuntivo derivante da un loro errato impiego, si ritiene di privilegiare la rigorosa e frequente igiene delle mani con acqua e sapone, soluzione idro-alcolica o altri prodotti igienizzanti, sia per clienti/visitatori/utenti, sia per i lavoratori"



Gel batte guanti. Il nuovo Dpcm del Governo appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che salvo indicazioni specifiche sarà operativo dal 15 giugno fino al 14 luglio 2020, sancisce che i guanti monouso non sono più obbligatori né raccomandati come protezione anti Covid. Nel precedente decreto, a parte alcuni contesti specifici di lavoro, si invitavano le persone ad usare i guanti in tutti gli esercizi commerciali dove la clientela può toccare la merce. Adesso non è più così. Una buona notizia non solo per l'ambiente, visto che si evita il sovrautilizzo di un dispositivo usa e getta, ma anche per la salute pubblica. Negli ultimi giorni era arrivato il parere ufficiale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, condiviso tra gli altri pure da Walter Ricciardi, consulente del ministero della Salute Roberto Speranza, che riteneva i guanti inutili alla protezione dal Coronavirus se non dannosi. Ecco i passaggi in questione estrapolati dall'Allegato IX del nuovo decreto:
Allegato IX

Tutte le indicazioni riportate nelle singole schede tematiche devono intendersi come integrazioni alle raccomandazioni di distanziamento sociale e igienico-comportamentali finalizzate a contrastare la diffusione di SARS-CoV-2 in tutti i contesti di vita sociale. A tal proposito, relativamente all’utilizzo dei guanti monouso, in considerazione del rischio aggiuntivo derivante da un loro errato impiego, si ritiene di privilegiare la rigorosa e frequente igiene delle mani con acqua e sapone, soluzione idro-alcolica o altri prodotti igienizzanti, sia per clienti/visitatori/utenti, sia per i lavoratori (fatti salvi, per questi ultimi, tutti i casi di rischio specifico associato alla mansione).

Commercio al dettaglio

Le presenti indicazioni si applicano al settore del commercio al dettaglio.
ඵ Predisporre una adeguata informazione sulle misure di prevenzione.
ඵ In particolar modo per supermercati e centri commerciali, potrà essere rilevata la temperatura corporea, impedendo l’accesso in caso di temperatura > 37,5 °C.
ඵ Prevedere regole di accesso, in base alle caratteristiche dei singoli esercizi, in modo da evitare assembramenti e assicurare il mantenimento di almeno 1 metro di separazione tra i clienti.
ඵ Garantire un’ampia disponibilità e accessibilità a sistemi per l’igiene delle mani con prodotti igienizzanti, promuovendone l’utilizzo frequente da parte dei clienti e degli operatori.
ඵ Nel caso di acquisti con scelta in autonomia e manipolazione del prodotto da parte del cliente, dovrà essere resa obbligatoria la disinfezione delle mani prima della manipolazione della merce.
In alternativa, dovranno essere messi a disposizione della clientela guanti monouso da utilizzare obbligatoriamente.
ඵ I clienti devono sempre indossare la mascherina, così come i lavoratori in tutte le occasioni di interazione con i clienti.
ඵ L’addetto alla vendita deve procedere ad una frequente igiene delle mani con prodotti igienizzanti (prima e dopo ogni servizio reso al cliente).
ඵ Assicurare la pulizia e la disinfezione quotidiana delle aree comuni.
ඵ Favorire il ricambio d’aria negli ambienti interni. In ragione dell’affollamento e del tempo di permanenza degli occupanti, dovrà essere verificata l’efficacia degli impianti al fine di garantire
l’adeguatezza delle portate di aria esterna secondo le normative vigenti. In ogni caso, l’affollamento deve essere correlato alle portate effettive di aria esterna. Per gli impianti di
condizionamento, è obbligatorio, se tecnicamente possibile, escludere totalmente la funzione di ricircolo dell’aria. In ogni caso vanno rafforzate ulteriormente le misure per il ricambio d’aria naturale e/o attraverso l’impianto, e va garantita la pulizia, ad impianto fermo, dei filtri dell’aria di ricircolo per mantenere i livelli di filtrazione/rimozione adeguati. Se tecnicamente possibile,

va aumentata la capacità filtrante del ricircolo, sostituendo i filtri esistenti con filtri di classe superiore, garantendo il mantenimento delle portate. Nei servizi igienici va mantenuto in
funzione continuata l’estrattore d’aria.
ඵ La postazione dedicata alla cassa può essere dotata di barriere fisiche (es. schermi); in alternativa il personale deve indossare la mascherina e avere a disposizione prodotti igienizzanti per l’igiene delle mani. In ogni caso, favorire modalità di pagamento elettroniche.

Commercio al dettaglio aree pubbliche (mercati e mercatini degli hobbisti)

Le presenti indicazioni si applicano alle attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche che si possono considerare ordinarie per la loro frequenza di svolgimento, la cui regolamentazione è competenza dei Comuni, che devono:
ඵ assicurare, tenendo in considerazione la localizzazione, le caratteristiche degli specifici contesti urbani, logistici e ambientali, la maggiore o minore frequentazione dell’area mercatale, la riorganizzazione degli spazi, anche mediante segnaletica a terra, per consentire l’accesso in modo ordinato e, se del caso, contingentato, al fine di evitare assembramenti di persone e di assicurare il mantenimento di almeno 1 metro di separazione tra gli utenti, ad eccezione dei componenti dello stesso nucleo familiare o conviventi o per le persone che in base alle disposizioni vigenti non siano soggette al distanziamento interpersonale. Detto aspetto afferisce alla responsabilità individuale;
ඵ verificare, mediante adeguati controlli, l’utilizzo di mascherine sia da parte degli operatori che da parte dei clienti, e la messa a disposizione, da parte degli operatori, di prodotti igienizzanti per le mani, in particolare accanto ai sistemi di pagamento;
ඵ assicurare un’adeguata informazione per garantire il distanziamento dei clienti in attesa di entrata: posizionamento all’accesso dei mercati di cartelli almeno in lingua italiana e inglese per informare la clientela sui corretti comportamenti.
ඵ assicurare maggiore distanziamento dei posteggi ed a tal fine, ove necessario e possibile, ampliamento dell’area mercatale;
ඵ individuare un’area di rispetto per ogni posteggio in cui limitare la concentrazione massima di clienti compresenti, nel rispetto della distanza interpersonale di un metro. Qualora, per ragioni di indisponibilità di ulteriori spazi da destinare all’area mercatale, non sia possibile garantire le prescrizioni di cui agli ultimi due punti, i Comuni potranno contingentare l’ingresso all’area stessa al fine del rispetto della distanza interpersonale di un metro. Ove ne ricorra l’opportunità, i Comuni potranno altresì valutare di sospendere la vendita di beni usati.

MISURE A CARICO DEL TITOLARE DI POSTEGGIO
ඵ pulizia e disinfezione quotidiana delle attrezzature prima dell’avvio delle operazioni di mercato di vendita;
ඵ è obbligatorio l’uso delle mascherine, mentre l’uso dei guanti può essere sostituito da una igienizzazione frequente delle mani
ඵ messa a disposizione della clientela di prodotti igienizzanti per le mani in ogni banco;
ඵ rispetto del distanziamento interpersonale di almeno un metro.
ඵ Rispetto del distanziamento interpersonale di almeno un metro dagli altri operatori anche nelle operazioni di carico e scarico;
ඵ Nel caso di acquisti con scelta in autonomia e manipolazione del prodotto da parte del cliente, dovrà essere resa obbligatoria la disinfezione delle mani prima della manipolazione della merce. In alternativa, dovranno essere messi a disposizione della clientela guanti monouso da utilizzare obbligatoriamente.
ඵ in caso di vendita di beni usati: pulizia e disinfezione dei capi di abbigliamento e delle calzature prima che siano poste in vendita.


fonte: www.ecodallecitta.it


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Oms: “No ai guanti, nemmeno al supermercato, usarli può aumentare il rischio di infezione”

L’Organizzazione Mondiale della Sanità sconsiglia l’uso dei guanti “da parte delle persone, in comunità”. Secondo l’Oms, il loro uso può “aumentare il rischio di infezione, dal momento che può portare alla auto-contaminazione o alla trasmissione ad altri quando si toccano le superfici contaminate e quindi il viso”




Sì alla mascherina protettiva, no ai guanti che non sono utili neppure quando si va a fare la spesa al supermercato. A non raccomandare l’uso di guanti da parte delle persone in comunità è l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), che in una sezione del suo sito risponde alle domande sull'uso di mascherine e guanti durante l'emergenza sanitaria. Secondo l’Oms, l’uso di guanti può “aumentare il rischio di infezione, dal momento che può portare alla auto-contaminazione o alla trasmissione ad altri quando si toccano le superfici contaminate e quindi il viso”.

Nei supermercati raccomandati i distributori di gel igienizzante

Pertanto, l’Organizzazione mondiale della Sanità ritiene siano altre le misure da adottare per proteggersi dal contagio da coronavirus. “In luoghi pubblici come i supermercati, oltre al distanziamento fisico, l'Oms raccomanda l'installazione di distributori di gel igienizzante per le mani all'ingresso e all'uscita. Migliorando ampiamente le pratiche di igiene delle mani, i paesi possono aiutare a prevenire la diffusione del nuovo coronavirus", chiarisce l’Organizzazione mondiale della Sanità, che raccomanda comunque sempre di "contattare le autorità locali sulle pratiche raccomandate nella propria area".

Le linee guida sulle mascherine dell'Oms
A proposito, invece, delle mascherine l’Oms ha di recente pubblicato delle nuove linee guida raccomandando i governi ad incoraggiare l’uso delle mascherine protettive dove c’è un’ampia diffusione del virus e la distanza fisica è difficile da mantenere, come i trasporti pubblici, i negozi o in altri ambienti chiusi e affollati. L’Oms ha comunque ribadito che le mascherine "da sole non vi proteggeranno contro il Covid-19″.

fonte: https://www.fanpage.it/




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Da plastic free a free plastic

Una riflessione di Francesco Bertolini, anteprima Ecoscienza 3/2020.



In anteprima del numero 3/2020 di Ecoscienza, Francesco Bertolini (SDA Bocconi) ha pubblicato una riflessione sull’uso della plastica al tempo del Coronavirus.

“Sono passati solo pochi mesi, ma abbiamo invertito le parole; rischiamo di sacrificare decenni di impegno ambientale in poche settimane. Plastic free era il mantra pre-coronavirus; ora la plastica è tornata prepotente, colonizzando bar, ristoranti , supermercati e negozi come mai nella storia.

Un cambio di paradigma allarmante, in una retorica buonista e di sostenibilità ambientale che poi finanzia i monopattini elettrici come se fossero l’evoluzione naturale della mobilità urbana e non una simpatica modalità di una piccola nicchia di giovani in forma e che probabilmente non si muoverebbero comunque in automobile; il panico che è stato diffuso nel paese ha distrutto decenni di retorica, di incentivi e di investimenti miliardari nel trasporto pubblico, abbandonato per paura di un contagio ormai remoto, ma che influenzerà i comportamenti dei cittadini per anni.

In questo contesto impazzito la priorità è una sola; combattere il virus, senza pensare alle conseguenze, senza capire che igienizzare tutto e rendere il mondo un ambiente asettico è follia e la migliore premessa per una caduta della salubrità pubblica e per il ritorno di malattie probabilmente peggiori del coronavirus stesso.

I detergenti e i disinfettanti rappresentano una tra le fonti principali d’inquinamento per le acque dei fiumi e dei laghi, e di conseguenza dei nostri mari. Senza entrare nel caso spagnolo dove una disinfestazione di una spiaggia ha fatto strage di tutti gli esseri viventi che stavano tranquilli senza dar fastidio a nessuno, nessuno solleva il problema.

Ci si deve disinfettare le mani ovunque, si devono indossare guanti e mascherina, i negozianti e ristoratori sono tenuti a disinfettare tutto ogni volta che un cliente lascia il posto a un altro. Miliardi di guanti e miliardi di mascherine; cominciano già a uscire le prime immagini di spiagge invase da mascherine o dell’uccellino rimasto strangolato dai lacci della stessa.

Il sapere comune, prima ancora della scienza, sembra in questa fase storica andato a farsi benedire. È sapere comune che disinfettarsi in continuazione la pelle la danneggia, ma il buon senso non basta più, dobbiamo sanificare tutto in continuazione, senza renderci conto che le migliaia di tonnellate di queste sostanze da qualche parte finiscono, con il rischio di ritrovarci tra poco un ecosistema ulteriormente degradato da cui poi salterà fuori il prossimo virus che, infastidito e importunato da una umanità incapace di vedere oltre il proprio naso, si sentirà giustamente in diritto e in dovere di segnalare la sua presenza a chi pensa di essere il padrone del pianeta e che invece è un minuscola percentuale di tutto ciò che vive da molto più tempo e che sopravviverà anche dopo di noi.

Dalle antiche medicine orientali, dimenticate nell’ossessione consumista moderna, possiamo prendere l’insegnamento della centralità della prevenzione. Un approccio olistico, dove un ambiente sano è la premessa fondamentale di una buona salute è completamente dimenticato: bisogna curare il sintomo, evitare il contatto con qualsiasi agente potenzialmente patogeno. Non serve a niente segnalare che così facendo creiamo generazioni malate, incapaci di sviluppare un sistema immunitario in grado di far fronte naturalmente alla stragrande maggioranza dei problemi di salute che ci troviamo ad affrontare nella nostra vita.

Domina invece un’ossessione per un track record sanitario scandito da numeri, parametri, indicatori, e conseguenti terapie per tutti i cittadini. E’ un approccio diverso, un approccio che invece di investire nella prevenzione reale, creando una popolazione più sana in un ambiente più sano, preferisce medicalizzare tutto, rendendo la vita sempre più asettica e innaturale. Allontanarci dalla natura ci sta portando a catastrofi, ma le catastrofi sembrano sempre lontane, in altri tempi e in altri luoghi, com’era per il virus fino a pochi mesi fa.

La storia non insegna, purtroppo. Il rilancio sta gettando le basi per diventare un nuovo disastro ambientale, la Cina è già tornata a livelli di inquinamento superiori al pre-virus, il mondo si accinge a ricominciare come prima, peggio di prima, con le mani disinfettate, in guanti di plastica.”

fonte: https://www.snpambiente.it



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Coronavirus, WWF: necessaria responsabilità nello smaltimento di mascherine e guanti


















“Così come i cittadini si sono dimostrati responsabili nel seguire le indicazioni del governo per contenere il contagio restando a casa, ora è necessario che si dimostrino altrettanto responsabili nella gestione dei dispostivi di protezione individuale che vanno smaltiti correttamente e non dispersi in natura”. A lanciare l’appello è la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi.
Una stima del Politecnico di Torino dice che per la Fase 2, in cui verranno progressivamente riavviate attività produttive e sociali, serviranno 1 miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti al mese. Si tratta di quantitativi molto elevati che impongono un’assunzione di responsabilità da parte di chi utilizzerà questi dispositivi di protezione: bisogna che ognuno di noi faccia uno sforzo per far sì che si proceda con uno smaltimento corretto e con il minor impatto possibile sulla natura.
Se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente. Considerando che il peso di ogni mascherina è di circa 4 grammi questo comporterebbe la dispersione di oltre 40mila chilogrammi di plastica in natura: uno scenario pericoloso che va disinnescato.
“È necessario evitare che questi dispositivi, una volta diventati rifiuti, abbiano un impatto devastante sui nostri ambienti naturali e soprattutto sui nostri mari. Proprio per difendere il Mediterraneo che ogni anno già deve fare i conti con 570 mila tonnellate di plastica che finiscono nelle sue acque (è come se 33.800 bottigliette di plastica venissero gettate in mare ogni minuto) chiediamo alle istituzioni di predisporre opportuni raccoglitori per mascherine e guanti nei pressi dei porti dove i lavoratori saranno costretti ad usare queste protezioni per operare in sicurezza. Ma sarebbe opportuno che raccoglitori dedicati ai dispositivi di protezione fossero istallati anche anche nei parchi, nelle ville e nei pressi dei supermercati: si tratterebbe di un vantaggio per la nostra salute e per quella dell’ambiente” conclude Donatella Bianchi.

fonte: www.greencity.it


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Gestione rifiuti e Covid19: l'audizione del Ministro dell'Ambiente Sergio Costa in Commissione Ecomafie

Secondo il Ministro l'impiego mensile delle mascherine protettive si ridurrà a un terzo di quanto previsto grazie a quelle riutilizzabili. Costa ha anche fatto riferimento all'ipotesi di installare nelle aree urbane appositi contenitori per la raccolta di mascherine e guanti


















La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) ha audito oggi il Ministro dell'Ambiente Sergio Costa. L'audizione rientra nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei rifiuti collegata all'emergenza COVID-19.
L'audito ha fatto una panoramica dei diversi atti di Istituto Superiore di sanità (Iss), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), Ministero dell'Ambiente e Commissione Europea concernenti la gestione dei rifiuti nell'emergenza COVID-19. Il Ministro ha inoltre richiamato le modifiche introdotte dalla legge di conversione del decreto legge «Cura Italia», che all'articolo 113-bis consente il deposito temporaneo di rifiuti fino ad un quantitativo massimo doppio rispetto a quanto previsto dal Testo unico ambientale, e con un limite temporale massimo di durata non superiore a 18 mesi.
Il Ministro ha riferito che negli impianti di incenerimento per rifiuti sanitari è al momento presente una capacità inutilizzata di 200mila tonnellate annue, mentre alcune aziende italiane avrebbero già messo a punto metodi di sanificazione per l'avvio al riciclo dei dispositivi di protezione individuale. Sempre secondo quanto riferito, l'impiego mensile delle mascherine si ridurrà a un terzo di quanto previsto grazie a quelle riutilizzabili. L’audito ha anche fatto riferimento all'ipotesi di installare nelle aree urbane appositi contenitori per la raccolta di mascherine e guanti.
Sempre sul fronte della gestione dei rifiuti collegata all’emergenza COVID-19, secondo quanto riferito dall'audito, il Ministero dell'Ambiente all'inizio dell'epidemia ha segnalato alla Commissione europea la chiusura delle frontiere da parte di alcuni Paesi membri a rifiuti italiani già trattati e pronti per l'avvio al riciclo. Il Ministro ha dichiarato che in risposta alla segnalazione la Commissione ha equiparato i rifiuti pronti per il riciclo a merci e ribadito l'impossibilità per gli stati europei di chiudere le frontiere ai flussi italiani. L’audito ha inoltre espresso la volontà di istituire un tavolo con rappresentanti di Ministero dell'Ambiente, Iss, Ispra e operatori del settore rifiuti, con l'obiettivo di monitorare i flussi di rifiuti indifferenziati, rifiuti da raccolta differenziata e rifiuti sanitari, elaborare eventuali nuove linee guida e attuare azioni di comunicazione.
L’audito ha inoltre riferito di aver attivato Ispra, le Arpa e le forze di polizia per i controlli di rispettiva competenza sulla gestione delle acque reflue e dei fanghi di depurazione. Sulle possibili correlazioni tra inquinamento atmosferico e contagi da COVID-19, il Ministro ha dichiarato di aver dato mandato all’Ispra di approfondire la questione.
«L’audizione del Ministro Costa rientra nell’inchiesta che la Commissione Ecomafie sta conducendo sulla gestione dei rifiuti correlata all’emergenza coronavirus. Il lavoro prosegue con altre audizioni e l’acquisizione di documenti. Vorrei intanto sottolineare l’importanza di una ripartenza sostenibile, a cominciare dai rifiuti. È auspicabile che la raccolta differenziata ricominci il prima possibile anche per gli italiani positivi al COVID-19: la stessa Commissione europea, nelle sue linee guida, non ne raccomanda infatti la sospensione come invece si è fatto in Italia», dichiara il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli. «Ancora più importante è il futuro: pur rispettando tutte le norme igieniche necessarie a evitare ogni possibile contagio, non dobbiamo esasperarle, altrimenti ci ritroveremo sommersi di rifiuti. Significa trovare soluzioni che, pur garantendo la massima protezione delle persone, evitino un proliferare senza criterio dell’usa e getta, visto che nella maggior parte dei casi non dà maggiori garanzie dei prodotti riutilizzabili. Questi ultimi rimangono sempre, ove possibile, da privilegiare, e la loro produzione va incentivata senza troppa burocrazia», conclude il Presidente Vignaroli.
Qui link alla registrazione: https://webtv.camera.it/evento/16158#
fonte: www.ecodallecitta.it


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Mercalli: “Che fine faranno le mascherine dopo l’uso? Rischiamo di avere una montagna di rifiuti, va organizzato riciclo”


Secondo il Politecnico di Torino, per garantire sicurezza occorreranno ogni mese un miliardo di mascherine, mezzo miliardo di guanti, 250mila cuffie per capelli e 9milioni di litri di gel. Che fine farà questo materiale dopo l’uso? “Rischiamo di avere una montagna di rifiuti di difficile gestione, probabilmente avviati all’incenerimento” spiega il climatologo Luca Mercalli, in un servizio di Sono le Venti, sul Nove. “E’ opportuno cominciare pensare già oggi come riusare e riciclare questi materiali”



fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it


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