Visualizzazione post con etichetta #SacchettiOrtofrutta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #SacchettiOrtofrutta. Mostra tutti i post

Sacchetti ortofrutta riutilizzabili: boom all’estero e al palo in Italia

 














A distanza di tre anni dal provvedimento entrato in vigore nel gennaio del 2018 che vietando l’utilizzo dei sacchetti sottili in plastica ha finito per vietare anche i sacchetti riutilizzabili, tutto tace.

Nessun ulteriore chiarimento o ripensamento è arrivato infatti da parte dei due ministeri, che si sono defilati dopo essersi rimpallati la decisione se ammettere o meno i sacchetti riutilizzabili almeno nel reparto ortofrutta.

Come abbiamo raccontato in precedenti post su questa questione siamo ancora fermi ad una circolare del 2018 del Ministero alla Salute, chiamato ad esprimersi dal Ministero all’Ambiente allora presieduto da Galletti, che ha escluso di fatto la possibilità di utilizzare sacchetti che non fossero monouso, onde prevenire gravi rischi sanitari.

Neanche l’ex ministro all’Ambiente Sergio Costa, che è stato il primo ad entrare nel dettaglio di possibili azioni che i singoli possono compiere nel quotidiano per ridurre l’impatto ambientale della plastica con le iniziative Plastic-free, non ha voluto o potuto prendersi a cuore la questione.

L’Italia rimane così l’unico paese al mondo dove è obbligatorio usare esclusivamente sacchetti monouso (e guanti) nel settore ortofrutta dei supermercati. Nonostante non sia mai stata presentata alcuna evidenza scientifica che dimostri che queste misure abbiano prodotto benefici in termini di minori tossinfezioni nella commercializzazione dell’ortofrutta. Quello che è certo è che le fonti di tossinfezioni documentate derivano invece dai prodotti, più che dal contenitore. Anche quando confezionati.

Neanche la “sfida” di buon senso lanciata da NaturaSì che ha adottato sacchetti riutilizzabili per ortofrutta e per il pane nei suoi punti vendita è servita per provocare qualche reazione. Si rimane pertanto appesi in una tipica situazione pilatesca all’italiana dove si lasciano gli operatori commerciali nel limbo delle possibili interpretazioni. Con il risultato che non si procede ad alcun controllo (ad esempio sulla battitura a scontrino del costo del sacchetto) e i provvedimenti legislativi possono essere disattesi senza conseguenze.

Assodato che prevenzione e riuso sono strategie portanti dei modelli di business circolari non sarebbe questa un’occasione di intervento facile facile per le Direzioni per l’Economia Circolare, istituite nei Ministeri proprio per creare una task force interdisciplinare che promuova una exit strategy dai vecchi modelli di business lineari?

Il consumo di imballaggi non è diminuito

Considerando che i sacchetti leggeri e ultraleggeri in plastica usati all’interno dei reparti dei supermercati e nei negozi di alimentari sono stati sostituiti con opzioni in carta e bioplastica compostabile non può essersi verificata una riduzione del consumo. Non è pertanto possibile affermare con rigore scientifico che dal 2018 ad oggi questa sostituzione di materiale abbia comportato dei benefici per l’ambiente in termini di riduzione di rifiuti evitabili ed emissioni di CO2. In compenso quello che studi di settore hanno rilevato è stato un aumento del consumo complessivo di packaging nel settore alimentare dovuto ad un maggiore consumo di cibi freschi pronti al consumo spesso in monoporzione. Nel settore ortofrutta è aumentata sia la quota di ortofrutta comprata confezionata che il consumo di ortofrutta di IV gamma come ad esempio le buste di insalata e spinaci già lavate o le vaschette di frutta a cubetti pronta al consumo.

Cessione onerosa obbligatoria dei sacchettini non sempre avviene

Se la maggior parte dei punti vendita della GDO addebita ormai per i sacchetti compostabili un importo inferiore al prezzo di acquisto che va da 0,01 a 0,02 € , altri rivenditori fuori dal circuito della distribuzione organizzata cedono ormai questi sacchetti ultraleggeri “gratuitamente”.

Non addebitare il costo dei sacchetti ai clienti, come avviene nella quasi totalità delle farmacie, del commercio ambulante, e in misura minore nei negozi di prossimità, significa non disincentivare il consumo usa e getta. Significa soprattutto non avere chiaro che dobbiamo decarbonizzare gli stili di vita e i modelli di consumo attuali perché non sono compatibili con l’obiettivo della neutralità climatica al 2050. Per non parlare dell’impegno sul fronte del perseguimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese) entro il 2030 e in particolare per gli obiettivi nr. 12 (Consumo e sviluppo responsabili) e 13 (Lotta al cambiamento climatico).

FRANCIA AVANGUARDIA DEL RIUSO


Decisamente un’altra attenzione stanno guadagnando i modelli di riuso nella vicina Francia dove la quota di mercato riferita alle vendite di prodotti sfusi è aumentata del 40% tra il 2018 e il 2019.

Nel 2020 la Francia contava già oltre 560 negozi specializzati nella vendita di prodotti sfusi, ma se il disegno di legge sul clima e la resilienza che ha ottenuto il via libera dall’assemblea nazionale il 29 marzo verrà approvato anche al senato, questa modalità di acquisto potrebbe conoscere un vero boom negli anni a seguire. La Francia diventerà il primo paese a rendere la vendita sfusa materia di legge, anche se gli operatori commerciali e i grandi marchi non ne sono entusiasti per paura di perdere gli spazi conquistati a scaffale e le vendite correlate.

L’articolo 11 al Titolo 1 del DDL intitolato “Consumare” impone infatti ai negozi di oltre 400 mq di dedicare alla vendita di prodotti sfusi il 20% della superficie di vendita entro il 2030. Il testo prevede inoltre che gli imballaggi riutilizzabili possano essere forniti dal cliente che diventa il soggetto responsabile dell’igiene e dell’idoneità degli stessi. Dal canto suo il rivenditore può rifiutarli qualora non conformi.

Obiettivo del DDL è quello di supportare i cittadini nelle loro scelte di consumo sostenibile quotidiane attraverso misure che riguardano l’educazione ambientale, la pubblicità (come riduzione e regolamentazione del greenwashing), l’etichettatura ambientale obbligatoria e l’economia circolare.

Presentato da Barbara Pompili, Ministro della Transizione Ecologica, il testo del DDL prevede che i punti vendita coinvolti debbano dedicare almeno il 20% della loro superficie di vendita a prodotti venduti senza imballaggio oppure utilizzare altre metriche di rendicontazione come il numero di referenze di prodotti venduti sfusi versus confezionati, oppure in termini di percentuali di fatturato di prodotti venduti sfusi e non, che possano dimostrare il rispetto della legge. L’obbligo riguarda sia i punti vendita con servizio assistito che self service, e anche il settore del commercio online. Questo obbligo coprirebbe inoltre tutti i prodotti di consumo per l’uso quotidiano, ad eccezione dei medicinali e prodotti che non possono essere venduti sfusi per motivi di salute e sicurezza. Inoltre, per scoraggiare l’uso di bicchieri usa e getta, il disegno di legge prevede che i venditori di bevande da asporto debbano praticare prezzi più bassi sulle bevanda vendute in contenitori riutilizzabili quando forniti dai consumatori.

Albert Heijn verso l’azzeramento dei sacchetti ortofrutta monouso

L’insegna leader della GDO olandese Albert Heijn (AH) ha deciso di sospendere la distribuzione dei sacchettini di plastica nei reparti ortofrutta dei suoi punti vendita in Olanda che verranno sostituiti da sacchetti in poliestere riutilizzabili e lavabili.

Una volta a regime la decisione porterà ad un risparmio annuo di 130 milioni di sacchetti monouso che corrisponde a 243.000 chili di plastica evitati che non verranno sostituiti – come è prassi in Italia – con altre opzioni in carta o bioplastica compostabile.
Da metà aprile i clienti dei reparti ortofrutta della catena verranno informati che i sacchetti ortofrutta vanno “in pensione” e potranno ricevere per due settimane con i loro acquisti di ortofrutta
dei sacchetti ortofrutta riutilizzabili in omaggio . Entro la fine di quest’anno i sacchetti in plastica saranno scomparsi da tutti i negozi.
In Olanda gli shopper in plastica alle casse non sono stati vietati e sostituiti con opzioni compostabili ma è stato introdotto dal 2016 l’obbligo di farli pagare ai clienti un minimo di 25 centesimi, sia quando in plastica che in bioplastica. Il consumo si è notevolmente ridotto ma AH prevede di intercettare ancora 645.000 chili di plastica che corrispondono a 31 milioni di shopper attraverso le consegne a domicilio introducendo nel corso dell’anno la possibilità di restituire gli shopper per la spesa in plastica al momento della consegna della spesa. Dal riciclo di questi shopper AH ne ricaverà delle borse riutilizzabili disponibili in una nuova linea di 10 modelli in plastica riciclata, facilmente ripiegabili e igienizzabili che verranno lanciate con una campagna ad hoc.
Albert Heijn è stata riconfermata con il voto dei consumatori come la catena di supermercati più sostenibile dei Paesi Bassi. E’ il risultato dell’indagine Sustainable Brand Index ™ 2021 , un’indagine annuale su oltre 58.000 consumatori in Europa sui marchi di consumo e sulla sostenibilità.
Ci sono altre insegne di supermercati olandesi che che hanno introdotti i sacchetti ortofrutta come Lidl , Aldi che carica 1 centesimo di euro sui sacchetti monouso per incentivare il passaggio alla versione riutilizzabile e Carrefour. In netto contrasto con il divieto esistente nel nostro paese che non ha pari negli altri paesi europei, in qualsiasi supermercato olandese è possibile usare sacchetti ortofrutta riutilizzabili.

La bilancia permette al cliente di selezionare 3 opzioni di acquisto: sacchetto monouso, riutilizzabile, senza sacchetto.

In genere i prezzi dei sacchetti ortofrutta sono molto abbordabili come si può vedere dalla comunicazione presente presso l’angolo bilancia di Carrefour dove si può acquistare un set di sacchetti a oppure uno singolo a 0,60 centesimi. La bilancia e cartellonistica che appare nella foto riproduce la soluzione al problema del settaggio della tara – qualora i sacchetti utilizzati abbiano pesi differenti– proposta oltre 10 anni fa alla GDO all’interno di una campagna specifica denominata Mettila in rete. Il cliente che mette il prodotto sulla bilancia trova a video tre opzioni da selezionare che regolano la tara : a) acquisto con sacchetto riutilizzabile, b) con sacchetto monouso, c) senza alcun sacchetto. Va detto che i sacchetti che vengono utilizzati in Italia da NaturaSì e nella maggior parte delle esperienze che abbiamo raccontato utilizzano un sacchetto in poliestere che ha un peso corrispondente o molto vicino a quello delle opzioni in bioplastica e carta più usate.

Belgio

L’ultimo post su queste pagine del 2019 aggiornava sulla situazione in Belgio in cui la riduzione della plastica monouso secondo la direttiva è di competenza regionale, con il risultato che Fiandre, Bruxelles e Vallonia hanno ciascuna il proprio approccio.
Nelle Fiandre OVAM, l’Agenzia pubblica per i rifiuti incaricata a di sviluppare le misure politiche in merito ha deciso di non vietare i sacchetti in plastica leggeri inferiori ai 15 micron e a spingere sui sacchetti riutilizzabili mentre la regione di Bruxelles e la Vallonia li hanno vietati a favore di alternative biodegradabili. Secondo il portavoce di OVAM non è un atto di debolezza. “Non vogliamo vietare quei sacchetti perché temiamo che le alternative – anche la carta – danneggino ancora di più l’ambiente. OVAM vuole concentrarsi principalmente sul riutilizzo degli imballaggi“, afferma Verheyen.

Regno Unito

L’insegna Asda dopo avere testato con successo i sacchetti ortofrutta riutilizzabili in 9 punti vendita ha annunciato l’eliminazione dei sacchetti ortofrutta in plastica.
La mossa che comporta un risparmio di 101 milioni di pezzi segue una sperimentazione avvenuta in nove punti vendita dove i sacchetti riutilizzabili hanno incontrato il favore dei clienti e addetti del reparto. Durante il periodo di prova, Asda ha dichiarato di aver venduto una media di 30.000 sacchetti riutilizzabili ogni settimana, prova che i clienti sono disposti a sostenere gli sforzi per contrastare l’inquinamento da plastica.
I sacchetti ortofrutta costano 30 pence al pezzo e sono realizzati con poliestere ottenuto dal riciclo delle bottiglie in PET .
Oltre ad Asda ci sono state anche altre catene inglesi tra cui Sainsbury e Waitrose ad avere introdotto sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta.

“Abbiamo avuto modo di rilevare con questa sperimentazione che i nostri clienti e colleghi hanno aderito con passione reputandola una scelta giusta per l’ambiente e questa iniziativa è solo un altro modo in cui aiutiamo i nostri clienti a fare scelte sostenibili, senza compromettere la qualità dei nostri prodotti. La rimozione dei sacchetti di plastica in tutti i nostri negozi è parte del nostro impegno aziendale di riduzione della plastica monouso” ha dichiarato il responsabile del settore Ortofrutta di Asda, Dominic Edwards .

Asda ha lanciato lo scorso anno una sperimentazione in un nuovo punto vendita a Leeds in collaborazione con grandi marche tra le quali Kellogg’s, Unilever, Quaker Oats, Lavazza, Radox e Persil. Alcuni dei prodotti di queste marche possono essere acquistati con contenitori riutilizzabili attraverso 15 stazioni self service di rifornimento in una zona dedicata del negozio.

Dal 2018, il gruppo dei Big 4 a cui appartiene Asda insieme a Tesco, Sainsbury’s e Morrisons ha eliminato 9000 tonnellate di plastica e si è impegnato ad eliminare almeno 3 miliardi di pezzi di plastica dai prodotti a marca propria entro il 2025. Nella maggioranza dei casi si tratta ancora di azioni in cui si sostituisce la plastica monouso con altri materiali monouso senza fornire dati analitici sul consumo di materia complessivo. Per escludere qualsiasi tentativo di greenwashing sarebbe auspicabile nei casi in cui si comunicano le tonnellate di plastica risparmiata all’ambiente specificare se si tratta di eliminazione totale dell’imballaggio o meno. Nella seconda ipotesi sarebbe più corretto precisare la natura e le quantità in peso delle opzioni alternative introdotte.

fonte: comunivirtuosi.org

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Coop: A Monza arriva la retina riutilizzabile per l’ortofrutta

 


Dopo la felice sperimentazione alla Coop di Bareggio, anche alla Coop di Monza è arrivata la retina riutilizzabile per l’ortofrutta, realizzata da Quid Impresa Sociale con un innovativo filato in plastica riciclata.


Quello tra Coop Lombardia e Quid è un sodalizio che nasce dalla volontà condivisa di alimentare le buone prassi di economia circolare e, più in generale, atteggiamenti responsabili di etica del lavoro e dei consumi.

La retina riutilizzabile, disponibile alla nuova Coop di Monza, è infatti il risultato di un accurato lavoro di progettazione condivisa e analisi del prodotto, da parte dello staff di Quid e delle direzioni Qualità, Soci e Comunicazione e Commerciale di Coop Lombardia, per fornire al consumatore Green, e non solo, un prodotto di alta qualità e a basso impatto ambientale, equo nel prezzo e semplice da utilizzare.

Al valore intrinseco del prodotto si aggiunge il valore sociale della filiera. Quid è una giovane cooperativa che nasce dalla brillante idea imprenditoriale di impiegare tessuti di fine serie, stock invenduti o donati da prestigiose aziende tessili italiane per realizzare capsule collection e accessori dando lavoro a persone fragili. Successivamente, la cooperativa ha dato vita al proprio brand di moda etica, Progetto Quid, che oggi è distribuito presso i propri negozi monomarca e sul sito di e-commerce, e attraverso numerosi multibrand in Italia e all’estero.

La collaborazione nasce da uno scambio di esperienze e competenze nel settore dei filati e del retail, per invitare i cittadini a compiere un ulteriore passo verso un consumo più sostenibile, in linea con il pluriennale impegno di Coop per una buona spesa che può cambiare il mondo.

fonte: https://www.partecipacoop.org


RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Sacchetti ortofrutta: le etichette del prezzo non sono compostabili. Ma qualcosa sta cambiando…anche per i bollini della frutta



























C’è chi dà la colpa al legislatore distratto e chi alle catene di supermercati, ma una cosa è certa, quando il 1° gennaio 2018 è iniziata la vendita di sacchetti monouso compostabili per la frutta e la verdura, qualcuno si è dimenticato dell’etichetta. La norma non prevedeva nessun obbligo per l’etichetta adesiva che riporta il prezzo da pagare e che si appiccica al sacchetto. Il risultato è che 6 mesi fa solo la catena di supermercati Esselunga proponeva ai consumatori sacchetti con etichette del prezzo compostabili. Negli altri supermercati le etichette non erano compostabili e quindi per usare il sacchetto come contenitore per il rifiuto umido di casa, bisognava avere l’accortezza di staccare l’etichetta senza rompere il sacchetto.
I clienti più attenti all’ambiente avevano imparato ad applicare l’etichetta adesiva del prezzo nella parte alta del sacchetto in modo da poterla ritagliare con le forbici e utilizzare la borsina per l’umido. È facile immaginare che nella maggior parte dei casi i sacchetti della frutta e della verdura finivano nel bidone dell’umido con l’etichetta contaminando così il rifiuto organico.
Qualcosa però sta cambiando. Se nel gennaio 2018 solo Esselunga era in grado di vendere sacchetti con etichette compostabili adesso anche Bennet e Iper adottano lo stesso sistema. Conad ha iniziato la conversione da qualche settimana e conta di concludere l’operazione entro fine anno. Per quanto riguarda la catena di supermercati Coop, ci sono  realtà come  Novacoop, Coop Lombardia, Coop Liguria e Unicoop Firenze che impiegano già etichette compostabili.
Secondo gli esperti  il prezzo  lievita di circa il 20%  (0,005 millesimi di euro al posto di 0,004), ma questo dovrebbe essere il problema minore.
Un discorso analogo riguarda i bollini della frutta. Questi sticker, che una volta venivano utilizzati solo sulle banane Chiquita,  sono diventati il marchio di riconoscimento per: mele, pere, kiwi, meloni… e persino le noci di cocco. Anche in questo caso il problema è capire se si tratta di bollini biodegradabili e compostabili, da buttare insieme alla buccia del frutto nel rifiuto umido, oppure se vanno staccati prima. Tranne qualche eccezione i bollini della frutta andrebbero tolti  e messi nel rifiuto indifferenziato perché non sono compostabili. Si tratta di centinaia di milioni di pezzi che ogni giorno finiscono erroneamente nel sacchetto dell’umido di casa.
Sacchetti ortofrutta esselunga
Il cartello nei supermercati Esselunga avvisa i clienti che le etichette dei sacchetti dell’ortofrutta sono compostabili
“In questo periodo – spiega a Il Fatto Alimentare Luca Bianconi della Polycart – una catena di supermercati sta provando a utilizzare la nostra etichetta CompostLabel (in bioplastica compostabile) per le linee di prodotto bio. Siamo ancora in una fase sperimentale perché gli ostacoli da superare sono diversi e poi bisogna trovare una condivisione sinergica con i macchinari di confezionamento“. La scelta ecologica comporta una lievitazione dei costi per i singoli bollini del 50% circa. La catena di supermercati Coop ha dichiarato a Il Fatto Alimentare che il processo di adeguamento verso l’adozione di bollini “eco” per la frutta è in corso e che al momento solo alcuni sono biodegradabili e compostabili, certificati. Si sta però lavorando per ampliare la rete di punti vendita coinvolti nella sperimentazione.
I bollini sulla frutta non sono ancora biodegradabili e compostabili
Il Consorzio delle mele Melinda, interpellato da Il Fatto Alimentare, da anni porta avanti la ricerca per ottenere bollini biodegradabili, senza avere trovato una soluzione. Le mele vengono movimentate attraverso una corrente di acqua, e questo rende difficile trovare un bollino di materiale compostabile in grado di resistere. Poi bisogna considerare la conservazione  in ambiente freddo e umido, che innesca un processo di degradazione del materiale. L’unica nota interessante è che molti bollini sono dotati di una linguetta che ne facilita la rimozione prima del consumo in modo facilitare il distacco.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Sacchetti compostabili, parere del Consiglio di Stato: 'Si possono portare anche da casa'

La legge stabilisce che le buste hanno un valore e “non possono essere sottratte alla logica del mercato”. Proprio in virtù di questo, perché vietare ai consumatori di comprare i sacchetti da un'altra parte e portarli al supermercato?



I sacchetti biodegradabili si possono portare da casa e utilizzare all'interno del supermercato o dell'alimentari dove si acquistano la frutta e la verdura. Nessun obbligo di usare esclusivamente i sacchetti del negozio (e quindi di comprarli insieme al cibo stesso). Questo è ciò che ha scritto il Consiglio di Stato nel parere richiesto dal Ministero della Salute, spiegando che la legge stabilisce che le buste hanno un valore e “non possono essere sottratte alla logica del mercato”. In sostanza vanno per forza vendute; un'imposizione da cui nacque la grande polemica nazional popolare degli scorsi mesi. Ma proprio sulla base di ciò, il CDS dice perché vietare ai consumatori di comprare i sacchetti da un'altra parte e portarli al supermercato?  Non solo, il CdS ammette anche la possibilità che il consumatore si procuri autonomamente e usi, al posto delle borse ultraleggere in bioplastica, contenitori alternativi che siano idonei a contenere la frutta e la verdura acquistati. 

Ecco il testo del Consiglio di Stato:

QuesitiCiò premesso, il Ministero della salute indirizza a questo Consiglio i seguenti quesiti: a) se sia possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi dagli stessi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti; b) in caso di risposta positiva, se gli operatori del settore alimentare siano obbligati e a quali condizioni a consentirne l’uso nei propri esercizi commerciali. 
Tra le considerazioni n premessaQuanto all’aspetto legato all’irrinunciabile tutela della sicurezza dei prodotti alimentari destinati ad essere immessi in commercio, giova inoltre brevemente rammentare quanto segue. L’art. 17, comma I del regolamento (CE) 178/2002 affida agli operatori del settore alimentare il compito di garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte. In base all’art. 1 del regolamento (CE) 852/2004 è necessario garantire la sicurezza degli alimenti lungo tutta la catena alimentare, a cominciare dalla produzione primaria. L’art. 4 prevede che gli operatori del settore alimentare che eseguono qualsivoglia fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione di alimenti rispettino i requisiti generali in materia d’igiene di cui all’allegato II e ogni requisito specifico previsto dal regolamento (CE) 853/2004. A tal fine, il capitolo IX, relativo ai requisiti applicabili ai prodotti alimentari, prevede, tra l’altro, che “in tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione gli alimenti devono essere protetti da qualsiasi forma di contaminazione atta a renderli inadatti al consumo umano, nocivi per la salute o contaminati in modo tale da non poter  essere ragionevolmente consumati in tali condizioni”. Inoltre, per quel che rileva in questa sede, il capitolo X sui requisiti applicabili al confezionamento e all’imballaggio dispone che “i materiali di cui sono composti il confezionamento e l’imballaggio non devono costituire una fonte di contaminazione; i materiali di confezionamento devono essere immagazzinati in modo tale da non essere esposti a un rischio di contaminazione”. Rileva, inoltre, il già citato d. m. Sanità 21 marzo 1973 (recante “Disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d'uso personale”) che vieta l’impiego, per la preparazione di oggetti in materia plastica destinati a venire in contatto con alimenti, di materie plastiche di scarto e di oggetti di materiale plastico già utilizzati. 
Risposte ai quesitiTenuto conto delle considerazioni svolte in premessa, prima di rispondere ai quesiti proposti è opportuno precisare che: la risposta agli stessi deve essere rispettosa dello scopo che il legislatore si è prefisso, attraverso l’introduzione della misura che prevede la necessaria onerosità delle borse di plastica in materiale ultraleggero; non solo, la risposta da dare ai due quesiti, che risultano tra loro connessi, deve essere altresì coerente con lo strumento che il legislatore ha voluto utilizzare per il raggiungimento di tale scopo; infine, non possono non trascurarsi le già accennate  implicazioni in tema di sicurezza dei prodotti e la connessa imprescindibile responsabilità dell’esercizio commerciale. Quanto al primo aspetto, giova evidenziare che la disposizione che ha dato luogo ai quesiti è chiaramente volta alla limitazione della diffusione delle borse in plastica, quali agenti, come noto, gravemente inquinanti dell’ambiente. Nel più ampio contesto normativo volto a combattere l’inquinamento derivante dai prodotti plastici, si inserisce anche la previsione della necessaria commercializzazione a pagamento delle buste di plastica in materiale ultraleggero, che dunque non possono essere cedute a titolo gratuito al consumatore finale, nemmeno se fungono da imballaggio della merce sfusa venduta all’interno dell’esercizio commerciale, come frutta e verdura. La necessaria onerosità della borsa risponde alla finalità di sensibilizzare il consumatore relativamente all’utilizzo della borsa in materiale plastico, in quanto prodotto inquinante, inducendolo a farne un uso oculato e parsimonioso, potendo oltretutto la stessa essere riutilizzata in ambito domestico per le finalità più varie. In altri termini, il legislatore, per perseguire lo scopo di limitare la diffusione indiscriminata delle borse in discorso, piuttosto che introdurre una norma di ..

Ne consegue, che La risposta da dare ai due quesiti proposti non può prescindere dal fatto che il legislatore ha elevato le borse in plastica ultraleggere utilizzate per la frutta e verdura all’interno degli esercizi commerciali a prodotto che “deve” essere compravenduto. In questa ottica, la borsa, per legge, è un bene avente un valore autonomo ed indipendente da quello della merce che è destinata a contenere. Ciò è confermato dal fatto che la norma (cfr. comma 5, cit.), oltre a prevederne l’onerosità, ha stabilito che “il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino”, in modo da risultare separato da quello della merce, così da distinguere il valore dei due beni (contenitore e contenuto). Alla luce delle considerazioni che precedono, deve assumersi che l’utilizzo e la circolazione delle borse oggetto del presente parere – in quanto beni autonomamente commerciabili – non possono essere sottratte alla logica del mercatoPer tale ragione, non sembra consentito escludere la facoltà del loro acquisto all’esterno dell’esercizio commerciale nel quale saranno poi utilizzate, in quanto, per l’appunto, considerate di per sé un prodotto autonomamente acquistabile, avente un valore indipendente da quello delle merci che sono destinate a contenere. In questa prospettiva, è dunque coerente con lo strumento scelto dal legislatore la possibilità per i consumatori di utilizzare sacchetti dagli stessi reperiti al di fuori degli esercizi commerciali nei quali sono destinati ad essere utilizzati. Secondo la medesima prospettiva, di conseguenza, non pare possibile che gli operatori del settore alimentare possano impedire tale facoltà (salve le precisazione che seguiranno circa il necessario controllo dei sacchetti per verificarne l’idoneità e la conformità normativa). A tale conclusione si giunge anche ponendo l’attenzione sul fatto che la necessaria onerosità della busta in plastica, quanto meno indirettamente, vuole anche incentivare l’utilizzo di materiali alternativi alla plastica, meno inquinanti, quale in primo luogo la carta. Ne deriva, che deve certamente ammettersi la possibilità di  utilizzare – in luogo delle borse ultraleggere messe a disposizioni, a pagamento, nell’esercizio commerciale – contenitori alternativi alle buste in plastica, comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e verdura, autonomamente reperiti dal consumatore; non potendosi inoltre escludere, alla luce della normativa vigente, che per talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non sia neppure necessario. Una diversa interpretazione tradirebbe lo spirito stesso della norma, che è quello di limitare l’uso di borse in plastica. In analogia con tale conclusione, di conseguenza, al fine di scongiurare differenziazioni che, allo stato, non trovano giustificazione in alcuna norma, deve concludersi che l’esercizio commerciale deve permettere anche l’uso di borse in plastica leggere autonomamente introdotte dal consumatore nel punto vendita. Come anticipato, la corretta risposta ai quesiti implica la necessità di coniugare le conclusioni appena esposte con l’esigenza di tutela della sicurezza ed igiene degli alimenti, al cui presidio è in primo luogo chiamata l’impresa di distribuzione, la cui responsabilità permane, indipendente dalla risposta ai quesiti in esame. Al riguardo, deve infatti sottolinearsi che non ogni involucro risulta idoneo all’imballaggio degli alimenti. Invero, il legislatore detta regole relative ai materiali che possono venire a contatto diretto con alimenti o bevande, allo scopo di garantire che detti materiali siano adeguati e non rendano insicuri gli alimenti. Per quel che rileva in questa sede, attualmente, la disciplina essenziale è contenuta nel regolamento (CE) 1935/2004 che stabilisce i requisiti generali e specifici per materiali e oggetti destinati ad entrare in contatto con gli alimenti. Il criterio generale è che i materiali o gli oggetti destinati a venire a contatto, direttamente o indirettamente, con i prodotti alimentari devono essere sufficientemente inerti da escludere il trasferimento di sostanze ai prodotti alimentari in quantità tali da mettere in pericolo la salute umana o da comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari o un deterioramento delle loro caratteristiche. Più nello specifico, in riferimento ai materiali plastici, ai fini del presente parere, N. 00263/2018 AFFARE deve ribadirsi il necessario rispetto: del regolamento (UE) 1895/2005 sulla restrizione dell’uso di alcuni derivati epossidici in materiali e oggetti destinati a entrare in contatto con prodotti alimentari; del regolamento (CE) 282/2008 sugli oggetti in plastica riciclata destinati al contatto con gli alimenti; del regolamento (CE) 450/2009 sui materiali attivi destinati al contatto con gli alimenti. Alla luce delle considerazioni che precedono, il corretto contemperamento dei due interessi sottesi alle questioni all’attenzione della Commissione, porta a ritenere che, laddove il consumatore non intenda acquistare il sacchetto ultraleggero commercializzato dall’esercizio commerciale per l’acquisto di frutta e verdura sfusa, possa utilizzare sacchetti in plastica autonomamente reperiti solo se comunque idonei a preservare l’integrità della merce e rispondenti alla caratteristiche di legge. In tal caso, richiamando le considerazioni già svolte, non sembra possibile per l’esercizio commerciale vietare tale facoltà.
Quest’ultimo assunto non si pone in contrasto con il quadro normativo ricordato in premessa, dal quale si evince la pacifica sussistenza della responsabilità dell’impresa rispetto all’integrità e sicurezza dei prodotti che sono venduti all’interno dell’esercizio commerciale. Al riguardo, in questa sede ci si limita a ricordare che l’operatore del settore alimentare deve sempre e comunque garantire che gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione, nonché verificare che tali disposizioni siano soddisfatte, dovendosi riconoscere la responsabilità del distributore di alimenti a prescindere dalla sua partecipazione o meno al confezionamento (art. 17 del regolamento 178/2002). Pertanto, a scanso di equivoci, deve precisarsi che, quanto meno in astratto, la responsabilità dell’impresa di distribuzione non possa venire automaticamente meno nel caso in cui un danno o un pregiudizio sia stato cagionato dalla condotta del consumatore o, per quanto rileva in questa sede, per il tramite dell’inidoneità di un involucro dallo stesso introdotto nell’esercizio commerciale. Infatti, deve ribadirsi che, proprio in ragione dell’irrinunciabile esigenza di preservare l’integrità degli alimenti posti in vendita, sull’esercizio commerciale, in base alle norme già citate, grava comunque un obbligo di controllo su tutti i fattori potenzialmente pregiudizievoli per la sicurezza dei prodotti compravenduti all’interno del punto vendita, tra cui, evidentemente, anche sugli eventuali sacchetti che il consumatore intende utilizzare. 

Al riguardo, giova ricordare che il più importante obbligo del titolare dell’impresa alimentare, la cui inosservanza può essere fonte anche di responsabilità penale, consiste nell’analisi di pericoli e punti critici di controllo, così come previsto dall’art. 5 regolamento 852/2004 il cui 1° comma stabilisce, per l’appunto, che “Gli operatori del settore alimentare predispongono, attuano e mantengono una o più procedure permanenti, basate sui principi del sistema HACCP”. L’omessa osservanza durante tutta la catena alimentare delle regole cautelari, a cominciare dall’adozione del “piano di autocontrollo”, passando poi per l’integrale rispetto delle indicazioni ivi contenute, costituisce dunque un profilo di colpa degli operatori del settore alimentare. Ne consegue che ciascun esercizio commerciale sarà dunque tenuto, secondo le modalità dallo stesso ritenute più appropriate, alla verifica dell’idoneità e della conformità a legge dei sacchetti utilizzati dal consumatore, siano essi messi a disposizione dell’esercizio commerciale stesso, siano essi introdotti nei locali autonomamente dal consumatore. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che il necessario ed imprescindibile rispetto della normativa in tema di igiene e sicurezza alimentare comporta che l’esercizio commerciale, in quanto soggetto che deve garantire l’integrità dei prodotti ceduti dallo stesso, possa vietare l’utilizzo di contenitori autonomamente reperiti dal consumatore solo se non conformi alla normativa di volta in volta applicabile per ciascuna tipologia di merce, o comunque in concreto non idonei a venire in contatto con gli alimenti. Infine, a monte dei quesiti proposti, la Commissione non può esimersi dall’osservare che le restrizioni relative alle borse ultraleggere non paiono imposte dalla direttiva citata. Invero, il paragrafo 1-bis dell’articolo 4 della direttiva 2015/720 si rivolge alle sole borse di plastica in materiale leggero; mentre, il successivo paragrafo 1-ter consente (non obbliga) agli Stati membri di adottare misure, tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali, in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore. P.Q.M. Nei sensi esposti nella motivazione è il parere della Commissione speciale. 

fonte: www.ecodallecitta.it





Sacchetti per l’ortofrutta: Unicoop Firenze destina l’incasso ai pescatori che raccolgono la plastica nel Mediterraneo
















I pescatori porteranno a terra i rifiuti raccolti in mare



Tutti ricordano  la polemica sui sacchetti per l’ortofrutta distribuiti nei supermercati, che in virtù di una legge nazionale  dal 1 gennaio 2018  devono essere venduti ai consumatori?  Alcune catene hanno scelto di farli pagare 1 centesimo altre il doppio. Unicoop Firenze ha deciso di destinare il valore ricavato dalla vendita dei sacchetti a un  progetto della durata di  sei mesi, che permetterà ai pescatori del Parco nazionale dell’Arcipelago toscano (vasta area  marina situata  fra le province di Livorno e Grosseto) di recuperare le plastiche che finiscono nelle reti. L’attuale normativa considera il rifiuto marino come “speciale”, e questo vieta ai pescatori di raccoglierlo e portarlo in porto, pena multe salate. È facile pensare che nella maggior parte dei casi la plastica incastrata nelle reti sia ributtata in mare.  Nella fase sperimentale nelle barche verrà installato un contenitore per ammassare i rifiuti da destinare alle aziende di smaltimento.

Il progetto nasce per affrontare un problema comune a tutti i mari. Ogni anno nel mondo si producono 280 milioni di tonnellate di plastica e una parte di questo materiale finisce in mare come rifiuto. Nel Mediterraneo si stima che ci siano almeno 250 miliardi i frammenti di plastica, e alcuni studi hanno rilevato che il 95% dei rifiuti galleggianti nel mar Tirreno sono di plastica (circa il 41% è costituito da buste e frammenti vari). In questa situazione il ruolo dei pescatori è un primo segnale di cambio di rotta.

fonte: www.ilfattoalimentare.it