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Perché il nuovo Piano Regionale di Qualità dell'Aria di cui alla DGR 134 del 26/2/2021 potrebbe non funzionare?














ISDE Umbria, ISDE Terni, Comitato NOINC di Terni e WWF Umbria intervengono con queste osservazioni sul processo di istruzione del nuovo Piano Regionale di Qualità' dell'Aria, dopo che il precedente PRQA del 2013 non ha dato i risultati attesi.

Il documento presenta in primo luogo una rassegna delle principali evidenze che potrebbero spiegare la inefficacia del PRQA 2013: a partire dall'annoso problema del disordine urbanistico regionale per cui industrie insalubri di prima classe sono presenti in importanti centri abitati umbri (Terni, Gubbio, Assisi, Perugia Ponte Valleceppi...), viene richiamato, dato che purtroppo nei documenti istruttori del nuovo PRQA non se ne fa sorprendentemente cenno, che su Terni, essendovi un Sito di Interesse Nazionale, sono stati condotti numerosi studi epidemiologici e di caratterizzazione ambientale che invariabilmente ne confermano la condizione di “most polluted town in Center Italy” e ne fanno quindi la città' umbra per la quale il nuovo PRQA potrebbe rappresentare, ove istruito con maggiore diligenza e tenendo conto delle conoscenze disponibili, un importante strumento per dare aria di buona qualità' alle persone che a Terni vivono e lavorano.

Nella città' di San Valentino numerosi recenti studi specificano: quali e quanti inquinanti (particolato mobile, metalli pesanti, composti organici) in inverno ed in estate derivano da acciaieria, inceneritore, traffico e riscaldamento; i quartieri dove ogni fattore di pressione ha specifiche e rilevanti ricadute; conseguenti e preoccupanti valutazioni del rischio cancerogeno e non legato all'inquinamento atmosferico nei diversi quartieri della città'; una serie di studi epidemiologici (Studi SENTIERI) che evidenziano eccessi per varie patologie ed una relazione importante tra qualità dell'aria e maggiore incidenza di malattie respiratorie, mentre i dati demografici consegnano saldi naturali particolarmente negativi nel pur non roseo panorama demografico umbro.

Una sezione delle osservazioni sintetizza poi, come d'abitudine nei pareri di ISDE Umbria, le basi scientifiche per interpretare i rischi presenti nella Conca Ternana: l'ambiente ha un ruolo accertato nella regolazione dell'espressione genica e nella connessa diversa suscettibilità fenotipica verso lo sviluppo di malattie che gli individui esposti a inquinanti ambientali nel periodo perinatale e della prima infanzia, possono poi presentare nel corso della vita; questa interazione tra ambiente e genoma e' mediata dall'epigenoma e preoccupano in questa cornice i risultati dei bio monitoraggi, effettuati a livello europeo e anche in Umbria, che depongono per una diffusa e pericolosa presenza di miscele di inquinanti con funzione di interferenti endocrini in siero e urine di campioni rappresentativi di mamme e bambini e di donne in eta fertile per effetto della contaminazione generale delle matrici ambientali, il che richiede assolutamente di non aggiungere ulteriori inquinanti con interventi di prevenzione ambientale palesemente inefficaci, come e' il caso sia del PRQA 2013 che del modello di prevenzione primaria territoriale basato sulla attenzione esclusiva al ruolo del riscaldamento, una narrazione cara a Confindustria Umbra ma priva di una decente base scientifica.

Trattandosi di un parere con valore consultivo, le osservazioni si concludono con una serie di puntuali raccomandazioni di metodo, affinché' atti importanti come il PRQA siano istruiti meglio e vengano valorizzate le molte conoscenze disponibili sul ruolo di acciaieria, inceneritore, traffico e riscaldamento, nonché' di merito, affinché' per ciascuno di questi importanti fattori di pressione vengano programmate e realizzate azioni – di riassetto urbanistico, di allineamento del Piano Rifiuti regionale con le strategie Rifiuti Zero, di chiusura immediata del pericoloso inceneritore li attivo, di attivazione di modelli di prevenzione primaria territoriale come l'ecodistretto, tra le altre - volte ad eliminarne gli effetti negativi su salute e ambiente.

Osservazioni al PRQA della Reg Umbria

Carlo Romagnoli

Presidente Isde Umbria



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Sentieri, dove senza bonifiche i Siti d’interesse nazionale (e regionale) uccidono

Il quinto rapporto promosso dal ministero della Salute è dedicato a 45 tra Sin e Sir, dove in 8 anni sono stati individuati 12mila morti in eccesso, di cui oltre 5mila per tumori maligni: sempre più urgenti bonifiche e migliore comunicazione ambientale





















Il programma di sorveglianza epidemiologica nei siti contaminati finanziato dal ministero della Salute ha partorito ieri il V rapporto Sentieri,  prendendo in esame 45 Siti di interesse per le bonifiche – di cui 38 d’interesse nazionale (Sin) e 7 riclassificati come d’interesse regionale (Sir) – e mettendo purtroppo in evidenza dati da emergenza sanitaria oltre che ambientale. Nel periodo 2006-2013 per l’insieme dei 45 siti sono stati stimati infatti 5.267 decessi in eccesso per tutte le cause negli uomini (+4%) e 6.725 nelle donne (+5%); di questi, 3.375 decessi per tutti i tumori maligni in eccesso negli uomini (+3%), e 1.910 nelle donne (+2%).
Per quanto riguarda invece l’incidenza tumorale globale – ovvero quanti nuovi casi di tumore vengono diagnosticati – è stato stimato un eccesso di 1.220 casi negli uomini e 1.425 nelle donne. Prendendo in considerazione nella popolazione generale le patologie di interesse a priori, ed esaminando l’insieme dei 45 siti studiati, si osserva che gli eccessi più frequenti per i diversi esiti studiati sono relativi ai tumori maligni della pleura/mesoteliomi maligni, tumore maligno del polmone, malattie dell’apparato respiratorio, tumori maligni del colon retto e dello stomaco. Tali eccessi, variamente combinati per patologia, esito, genere, si osservano in 35 siti, le cui fonti di esposizione ambientale più ricorrenti sono rappresentate da impianti chimici, aree portuali, impianti petrolchimici e/o raffinerie, amianto.
Una situazione drammatica che Sentieri è chiamato a studiare e documentare, ma non a risolvere. Per questo servirebbe concludere effettivamente le bonifiche nei Sin e Sir, spesso noti e perimetrati da decenni ma ancora liberi di inquinare. Solo poche settimane fa è stata direttamente l’Ispra – l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – a fare il punto della situazione durante un’audizione parlamentare per la commissione Ecomafie, e i numeri testimoniano lo stallo di sempre.
Ad oggi in Italia ci sono 41 Sin, per una superficie totale a terra di 171.268 ettari e a mare di 77.733 ettari, e sul totale della superficie terrestre dei Sin (esclusi 6 siti con caratteristiche peculiari) gli interventi di bonifica o messa in sicurezza si sono concluse per appena il 15% dei suoli e il 12% delle acque sotterranee. Rinunciando così non solo a un’imprescindibile riduzione dei fattori d’inquinamento locali, ma anche a una preziosa occasione di sviluppo sostenibile. Come già documentato su queste pagine secondo le stime fornite da Confindustria per concludere le bonifiche sarebbero necessari investimenti pari a circa 10 miliardi di euro, mentre finora lo Stato ha stanziato risorse «nell’ordine di milioni di euro». Eppure investendo nelle bonifiche dei Sin questi 10 miliardi di euro Confindustria stima che il livello della produzione aumenterebbe di oltre il doppio, innescando 200.000 posti di lavoro in più e ripagandosi in gran parte da solo: tra imposte dirette, indirette e maggiori contributi sociali allo Stato rientrerebbero 4,7 miliardi di euro, oltre all’inestimabile valore di un ambiente finalmente sano.
Sono passati ormai tre anni dalla pubblicazione dello studio confindustriale, ma nonostante il cambio Governo le bonifiche sono rimaste come sempre al palo, alimentando un giustificato clima di crescente sfiducia sul territorio. È in questo difficile contesto che s’inserisce anche il capitolo della comunicazione, affrontato con dovizia di dettagli anche all’interno dello studio Sentieri, che ne sottolinea l’importanza capitale: «Occorre mettere in opera piani di comunicazione con la popolazione residente nei siti, fornendo indicazioni operative per evitare, o quanto meno mitigare, le circostanze di esposizione, e contribuire a rafforzare la rete di relazioni tra istituzioni e cittadini residenti, anche per quanto attiene ai processi decisionali che riguardano l’interconnessione ambiente e salute». Perché senza consapevolezza è assai difficile che possa maturare una qualsiasi forma di sviluppo sostenibile.
fonte: www.greenreport.it

Studio epidemiologico Sentieri, la sintesi dei risultati


















I dati dello studio epidemiologico Sentieri, incentrato sui SIN (siti contaminati di interesse nazionale ai fini della bonifica), sono stati presentati in sintesi lo scorso 12 giugno al ministero della Salute. Pubblichiamo la nota esplicativa del gruppo di progetto che riassume i risultati per l’insieme dei siti considerati.
La nota è a cura di Pietro Comba1, Aldo Di Benedetto2, Eugenia Dogliotti1, Ivano Iavarone1, Amerigo Zona11Dipartimento Ambiente e salute, Istituto superiore di sanità
2Direzione generale della prevenzione, ministero della Salute






fonte: https://ambienteinforma-snpa.it

Chi vive in siti contaminati si ammala e muore di più: studio conferma le ipotesi

La logica già portava in quella direzione da un pezzo; ma con il nuovo studio "Sentieri" è arrivata una ulteriore conferma. Chi abita in siti contaminati ha un rischio di morte più alto del 4-5% e un aumento di tumori maligni, con un eccesso di incidenza del 62% per i sarcomi dei tessuti molli e del 50% per i linfomi Non-Hodgkin.
















Chi vive nei siti contaminati da amianto, raffinerie o industrie chimiche e metallurgiche ha un rischio di morte più alto del 4-5% rispetto alla popolazione generale. E questo, in un periodo di 8 anni, si è tradotto in un eccesso di mortalità pari a 11.992 persone, di cui 5.285 per tumori e 3.632 per malattie dell'apparato cardiocircolatorio. E' quanto emerge dai dati relativi a 45 siti di interesse per le bonifiche inclusi nella nuova edizione dello studio Sentieri, a cura dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss). 
Non solo: vivere in siti contaminati comporta un aumento di tumori maligni del 9% tra 0 e 24 anni. In particolare "l'eccesso di incidenza" rispetto a coetanei che vivono in zone considerate 'non a rischio' è del 62% per i sarcomi dei tessuti molli, 66% per le leucemie mieloidi acute; 50% per i linfomi Non-Hodgkin. Il dato riguarda solo le zone d'Italia dove e' attivo il registro tumori, 28 siti sui 45 oggetto dello studio Sentieri, ed e' stato elaborato sui dati del periodo 2006-2013.
A illustrare questi dati e' stato Ivano Iavarone, primo ricercatore Iss e direttore del centro collaborativo OMS Ambiente e salute nei siti contaminati. "L'eccesso di incidenza di patologie oncologiche rispetto alle attese riguarda anche i giovani tra 20 e 29 anni residenti nei cosiddetti Siti di Interesse Nazionale, tra i quali si riscontra un eccesso del 50% di linfomi Non-Hodgkin e del 36% di tumori del testicolo", ha spiegato all'ANSA Iavarone. 
Per quanto riguarda, in generale, le ospedalizzazioni dei più piccoli, "l'eccesso è del 6-8% di bimbi e ragazzi ricoverati per qualsiasi tipo di malattia rispetto ai loro coetanei residenti in zone non contaminate". La stessa situazione non risparmia i piccolissimi. "Per quanto riguarda il primo anno di vita - sottolinea l'esperto - vi è un eccesso di ricoverati del 3% per patologie di origine perinatale rispetto al resto dei coetanei. E un eccesso compreso tra l'8 e il 16% per le malattie respiratorie acute ed asma tra i bambini e i giovani".
"Nonostante la maggiore vulnerabilità dei bambini agli inquinanti ambientali - ha aggiunto Iavarone - e l'aumento dell'incidenza dei tumori pediatrici nei paesi industrializzati, l'eziologia della maggior parte delle neoplasie nei bambini è per lo più ancora sconosciuta". E' necessario, conclude, "proseguire la sorveglianza epidemiologica nelle aree contaminate, basata su metodi e fonti informative accreditati, per monitorare cambiamenti nel profilo sanitario in relazione a sorgenti di esposizione/classi di inquinanti specifici e per verificare l'efficacia di azioni di risanamento".
"Sono numeri degni di nota e nel complesso tracciano un quadro coerente con quello emerso dalle precedenti rilevazioni. Questo significa che non vi è stato ancora un generale miglioramento della situazione della contaminazione ambientale a livello nazionale", spiega Pietro Comba, responsabile scientifico del progetto Sentieri. In 360 pagine, il rapporto Sentieri esplora caratteristiche e problematiche di 45 Siti di Interesse Nazionale o Regionale (SIN/SIR) presenti in tutta Italia: dalle miniere del Sulcis alle acciaierie dell'Ilva, dalle raffinerie di Gela alla citta' di Casale Monferrato 'imbiancata' dall'eternit, passando per il territorio del litorale flegreo con le sue discariche incontrollate di rifiuti pericolosi. Aree in cui vivono complessivamente 6 milioni di persone, residenti in 319 comuni, e i cui dati sono stati studiati nell'arco di tempo tra il 2006 e il 2013. Nove le tipologie di esposizione ambientale considerate: amianto, area portuale, industria chimica, discarica, centrale elettrica, inceneritore, miniera o cava, raffineria, industria siderurgica. Sono state esaminate le associazioni tra residenza e patologie, come tumori e malformazioni congenite. "Nella popolazione residente nei siti contaminati studiati è stato stimato un eccesso di mortalità per tutte le cause pari al 4% negli uomini e al 5% per le donne. Per tutti i tumori maligni la mortalità in eccesso è stata del 3% nei maschi e del 2% nelle femmine", ha illustrato Amerigo Zona, primo ricercatore dell'Iss. In un periodo di 8 anni, dal 2006 al 2013, "è stato osservato - nella popolazione generale, prosegue - un eccesso di mortalità per tutte le cause di 5.267 casi negli uomini e 6.725 nelle donne. Per tutti i tumori maligni è stata di 3.375 negli uomini e 1.910 per le donne". "Il significato di questi dati va ora approfondito in ognuno dei territori considerati, anche con la collaborazione delle istituzioni, con gli amministratori locali e la società civile", spiega Comba. "I dati da noi prodotti - conclude Comba - servono sostanzialmente a capire quali sono gli interventi di risanamento ambientale più utili e urgenti a fini di tutela della salute". 
fonte: http://www.ilcambiamento.it

Brescia, nella Terra dei Fuochi del Nord smantellata la task-force: spostati (e non sostituiti) procuratore e direttrice Arpa

Quasi mille impianti di smaltimento, molte discariche anche abusive, centinaia di aree da bonificare: il Bresciano è diventata la meta dell'inversione di rotta del traffico dell'immondizia














Chi tutti i giorni indaga sui crimini ambientali, l’ha soprannominata una “nuova Terra dei fuochi”. Al capo opposto dell’Italia rispetto a quella più nota della CampaniaBrescia è altrettanto martoriata: nella provincia ci sono quasi mille impianti di trattamento e smaltimento rifiuti, molte discariche anche abusive e centinaia di aree da bonificare che richiedono un presidio costante da parte delle istituzioni. Presidio però che adesso, a ridosso delle elezioni, si è in pochi mesi molto indebolito. Da una parte, infatti, il pm della Dda bresciana Sandro Raimondiè pronto a lasciare a seguito della promozione a procuratore capo di Trento, e la sua squadra specializzata in rifiuti risulta già smantellata. Dall’altra, la direttrice dell’Arpa di Brescia e Mantova Maria Luisa Pastore a un mese dal voto è stata spostata, con dieci mesi di anticipo rispetto alla fine del contratto.

Una nuova “Terra dei fuochi”
Nel Bresciano ci sono 880 impianti che trattano e smaltiscono rifiuti, le discariche comprese quelle chiuse sono 120. I siti interessati da un processo di bonifica, incluse anche aree piccole e a minore contaminazione, sono in tutto circa 500. Il più noto è quello contaminato da Pcb dell’azienda chimica CaffaroLo stato di salute della popolazione non è buono: secondo l’ultimo rapporto Sentieri, a Brescia “in entrambi i generi si osservano eccessi (uomini più 10 per cento, donne più 14 per cento) in tutti i tumorie dei tumori epaticilaringeirenali e tiroidei”. Per tre tipi di cancro direttamente riconducibili a Pcb e diossine, si osserva addirittura una diffusione sopra la media: i melanomi cutanei (uomini più 27 per cento, donne più 19 per cento), i linfomi non-Hodgkin (uomini più 14 per cento, donne più 25 per cento) e i tumori della mammella (donne più 25 per cento).

E l’area appare come una bomba ecologica pronta a esplodere anche se la si guarda dalle aule giudiziarie: una delle inchieste più importanti dell’anno scorso, condotta dai Noe di Milano con il procuratore aggiunto Raimondi, ha rivelato un’inversione di rotta del traffico di rifiuti. Dal Sud, la terra dei fuochi per eccellenza, alla nuova terra dei fuochi nel Nord Italia, Brescia compresa. Tra i 26 indagati (ancora si attende il rinvio a giudizio) figurano anche alcuni dipendenti di grosse multiutility, come Hera Ambiente e A2A Ambiente. Sarà la principale inchiesta sui rifiuti che rimarrà aperta a Brescia dopo l’addio di Raimondi: già passata una volta di mano dai procuratori Silvia Bonardi e Francesco Piantoni, continuerà il suo percorso un po’ accidentato con il prossimo pm.
Dai rifiuti di nuovo ai furti di rame
L’annuncio della promozione a procuratore capo di Trento è arrivata a inizio anno. Considerato da molti vicino al centrodestra, Raimondi era arrivato a Brescia nel 2010 e ha seguito molte inchieste sulla gestione e il traffico illecito di rifiuti. Aveva dato vita a una squadra di sua collaborazione diretta: due ufficiali di polizia giudiziaria che rimarranno in procura occupandosi di altro e due uomini della Polizia ferroviaria con esperienza nei rifiuti. “Nonostante il trasferimento del procuratore Raimondi sia ufficiale da oltre un mese, ancora non si conoscono le sorti della sua squadra di funzionari esperti in tematiche e reati ambientali. Ci auguriamo che queste competenze non vadano disperse”, dice a ilfatto.it Imma Lascialfari, presidente del Coordinamento comitati ambientalisti della Lombardia. Ma i due uomini della Polfer sono già stati richiamati sui binari: nonostante l’esperienza accumulata in una delle aree più critiche d’Italia per la gestione dei rifiuti, torneranno probabilmente a occuparsi di furti di rame sulle linee ferroviarie.

Il trasferimento a un mese dal voto
Al vuoto che si è venuto a creare in Procura corrisponde, in maniera speculare, la poltrona già mezza vuota della direttrice di Arpa Brescia e Mantova Maria Luisa Pastore. Spostata dal 5 febbraio, a quattro settimane esatte dalle elezioni e dieci mesi prima della fine del suo incarico, a capo del settore Tutela dai rischi naturali, la Pastore è adesso costretta a dividersi tra i due incarichi. Il trasferimento, fatto “in base al principio di rotazione” come chiarisce il comunicato ufficiale, è scattato mentre la procedura per nominare il suo successore era ancora aperta, e dovrebbe concludersi “entro fine mese”. Una serie di circostanze che il Coordinamento ambientalista considera “anomale”. “Una mossa fatta in fretta e furia nell’ultimo mese di legislatura necessita secondo noi di doverose spiegazioni. Vorremmo capire se si tratta davvero di una promozione e se è previsto ufficialmente un periodo di affiancamento tra Maria Luisa Pastore e il suo successore, vista la complessità della situazione bresciana”, prosegue la presidente del coordinamento Imma Lascialfari.
Contattata da ilfatto.itMaria Luisa Pastore ammette di lasciare Brescia “con un po’ di amarezza per l’affezione alle persone e agli argomenti trattati”, ma cerca di minimizzare: “La rotazione è una regola prevista anche dalle nostre regole anticorruzione e il mio incarico sarebbe comunque terminato a fine anno. Da parte mia, sono assolutamente disponibile per un passaggio di consegne”. In attesa del nome, si può provare a stilare una lista delle questioni di cui dovrà occuparsi il nuovo direttore, molte e molto spinose. “Ci sono i controlli da eseguire con continuità sugli stabilimenti industriali, e rimangono aperti numerosi procedimenti di bonifica. Quello che desta maggiori preoccupazioni riguarda l’area Caffaro”, dice a ilfatto.it la Pastore. Non è l’unico progetto critico: “Sono poi in corso attività di caratterizzazione per la bonifica della discarica di Passirano, delle acque della falda Baratti-Inselvini contaminate da cromo e della ex Stefana di Ospitaletto. Presto poi partiranno i lavori per l’alta velocità Brescia-Verona: anche in quell’area sono state individuate aree potenzialmente inquinate che necessitano di bonifica e ci sarà il problema di valutare la gestione delle terre e rocce da scavo”.

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it

Nuovo inceneritore a Terni, bruciare i rifiuti non ridurrà le discariche












A Terni, nel cuore verde dell’Italia, ci sono due inceneritori, un’acciaieria e un tasso di tumori superiore alla media.
Il 25 marzo settemila persone hanno marciato per chiedere rispetto per la propria vita e per quella dei propri figli. Tante famiglie con bambini, tanti giovani e anziani e tanti, purtroppo, anche i pazienti oncologici. Nel corso della manifestazione il comitato No inceneritore ha raccolto i fondi per il ricorso al Tar.
A quanto pare ha cambiato idea. L’autorizzazione è stata rilasciata nonostante lo scandalo del dicembre 2016: otto indagati per violazioni ambientali tra dirigenti e rappresentanti legali della Tozzi holding di Ravenna, proprietaria dell’inceneritore. Rassicuriamoci, l’autorizzazione è in vigore ‘solo’ dieci anni, e comunque “delle revisioni potranno essere assunte a seguito degli studi epidemiologici commissionati”. Perché i ternani si preoccupano tanto?
Peccato che gli studi epidemiologici già esistono da anni, ma nessuno (dei potenti) ha voglia di leggerli: oltre a dossier dell’Arpa, appelli di associazioni, pareri di medici e professori, pesa come un macigno il rapporto dello Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento (Sentieri), finanziato dal ministero della Salute e coordinato dall’Istituto superiore di Sanità (Iss). In questo studio sono presi in esame 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche (Sin): oltre a Terni, Taranto, Brescia, tanti altri luoghi di morte, malattia e inquinamento, martirizzati dalla ricerca estenuante del profitto. La Conca ternana emerge dal rapporto Sentieri con un preoccupante eccesso di morti per tumori.
Come sempre, il profitto prima di tutto. Perché solo di profitto si tratta, nessun inceneritore è utile per il bene pubblico. Per sfamare gli inceneritori, le amministrazioni pubbliche devono rallentare i programmi di espansione della raccolta differenziata, danneggiando la cittadinanza.
Alcuni dicono: “O inceneritori o discariche, a voi la scelta”. Ma non è vero che bruciare i rifiuti riduce le discariche, né che senza discariche avremo bisogno di più inceneritori. Discariche e inceneritori si alimentano l’un l’altro. L’incenerimento ha bisogno di discariche per le ceneri volanti e per le scorie. Infatti, guarda caso, contemporaneamente all’autorizzazione del nuovo inceneritore a Terni, viene ampliata la discarica di Orvieto (dove finiranno le scorie dell’inceneritore) e costruite nuove strade (per i trasporti).
Inceneritori e discariche andrebbero a scomparire con una seria prevenzione dei rifiuti a monte: incentivare il vuoto a rendere e il riuso dei contenitori (invece che ostacolare questa pratiche con assurdi inghippi burocratici e di igiene), incentivare l’uso dei pannolini lavabili, degli assorbenti lavabili, delle coppette mestruali (pannolini e assorbenti usa e getta sono la parte più difficile da trattare in discarica e più inquinante se bruciata). Incentivare il compostaggio domestico, a km zero. Noi (che viviamo in appartamento e non abbiamo terra), ci siamo autocostruiti una compostiera in terrazzo. Tra l’altro, una recente legge rende possibile di fare compostiere di condominio o di comunità.
Combattere le lobbies dell’imballaggio, ottimizzando la raccolta differenziata, con il porta a porta integrale con tariffa puntuale (più inquini, più paghi), e impedire con divieti e disincentivi che le feste scolastiche e le sagre siano all’insegna dell’usa e getta e dell’indifferenziata. Obbligare i produttori a riprogettare i prodotti e gli imballaggi, all’insegna di riduzione e riciclabilità.
E per il restante, minimo, residuo bastano gli impianti di trattamento a freddo, con recupero di materia dal rifiuto.
È la strategia Rifiuti zero, che però viene puntualmente ostacolata da chi gestisce inceneritori e discariche: guarda caso sono le stesse aziende che organizzano la raccolta differenziata, in perfetto conflitto di interessi, e che fanno educazione ambientale a scuola. Ho parlato con ragazzini convinti che l’incenerimento fosse una forma di riciclaggio, che i fumi fossero salutari, e che più bottigliette di plastica usavano e gettavano, meglio facevano all’ambiente.
Ci stiamo davvero bruciando il futuro.
Linda Maggiori
fonte:  http://www.ilfattoquotidiano.it

Nella Terra dei Fuochi i bambini continuano a morire











“Negli ultimi 20 giorni sono 8 i bambini morti di tumore. Questi bambini non riposeranno mai in pace. Per loro non c’è giustizia”. Avevano tutti tra i 7 mesi e gli 11 anni. È questo il grido di denuncia delle mamme aderenti al Comitato “Vittime della Terra dei Fuochi”, lanciato lo scorso 6 febbraio davanti la Prefettura di Napoli. L’occasione per far sentire la propria voce è coincisa con la visita del ministro per il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti.
Lo scorso anno, l’ultimo aggiornamento dello studio Sentieri – dell’Istituto superiore di sanità (Iss) – ha evidenziato “eccessi nel numero di bambini ricoverati nel primo anno di vita per tutti i tumori”, nelle province di Napoli e Caserta, ed “eccessi di tumori del sistema nervoso centrale nel primo anno di vita e nella fascia di età 0-14 anni”. L’Iss ha rilevato “un’elevata prevalenza alla nascita di malformazioni congenite in aree caratterizzate anche dalla presenza di siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi”, sottolineando come “i bambini che vivono in condizioni sociali avverse presentano infatti esposizioni multiple e cumulative, sono più suscettibili ad una ampia varietà di sostanze tossiche ambientali e spesso non hanno accesso a un’assistenza sanitaria di qualità per ridurre gli effetti di fattori di rischio ambientali”. Sono numeri e parole che colpiscono, più di un pugno nello stomaco. E dilaniano la coscienza. Numeri e parole dietro cui si celano volti teneri e innocenti, famiglie avvolte nel lutto più atroce, battaglie disperate e cariche di dolore.
Il 5 dicembre scorso, ad Acerra, durante i funerali di Davide Ricciardi – morto a soli 7 mesi – il vescovo Antonio Di Donna ha condiviso una durissima omelia: “Davide, fiore appena spuntato e già reciso, è stato ucciso dall’inquinamento, da uno sviluppo sbagliato, e da quegli assassini che per la loro avidità hanno contaminato le nostre terre”. Il 29 gennaio Don Maurizio Patriciello – sacerdote in prima fila nella denuncia della “Terra dei Fuochi” – ha inviato una lettera aperta a Gaetano Vassallo, per anni imprenditore dei rifiuti legato al clan dei Casalesi. Nella missiva il sacerdote ha ricordato “Franco, mio vicino di banco alle elementari, è morto a 35 anni di cancro; Sossio, invece divenne ingegnere, ma la leucemia se lo portò via. Anche Maurizio, l’amico della mia infanzia, quello dei carruoccioli è morto di cancro, mentre Giovanni, mio fratello, di leucemia”. Quel che più “fa male”, aggiunge don Maurizio, “sono le bare bianche in chiesa. Non ti nascondo che tanti funerali li celebro con gli occhi chiusi. E mentre le mamme piangono, i figli soffrono, i cimiteri si allargano”.
Erode sembra essere in piena attività e aggirarsi nelle due province, strappando alla vita sempre più bambini, condannandoli a morte. L’Erode che devasta e uccide nella “Terra dei Fuochi” non è senza volto, non è sconosciuto. In realtà ne ha tanti, che attraversano gli anni e l’Italia intera. Sono i camorristi, i colletti bianchi, gli imprenditori e i politici collusi che negli anni hanno avvelenato le province di Napoli e Caserta. Ma non solo. Il pentito di camorra Nunzio Perrella – come abbiamo già raccontato in queste pagine – il 17 novembre 2016 aveva dichiarato, in un’intervista rilasciata a Nello Trocchia e trasmessa da Nemo (RaiDue), che “la camorra è la manovalanza della politica”. Parole confermate e ripetute successivamente da Perrella, le cui rivelazioni sono contenute nel libro di Paolo Coltro “Oltre Gomorra. I rifiuti d’Italia”, uscito nei primi giorni di quest’anno. Il pentito di camorra nell’intervista rilasciata a Trocchia ripete che la camorra ha “riempito” di rifiuti prima il Nord di rifiuti e, andando oltre, conferma scarichi illegali anche nella discarica di Malagrotta, “prima con Italrifiuti e poi 3F-Ecologia come dimostrano i documenti in mio possesso.
L’ultima rivelazione
Meno di un mese fa, nell’ambito del processo per l’omicidio di Salvatore Barbaro – ucciso dalla camorra il 13 novembre 2009 – Ciro Gaudino ha raccontato che dopo l’arresto ha permesso il ritrovamento di rifiuti tossici interrati nel Parco nazionale del Vesuvio. Gaetano Vassallo già in passato aveva indicato in alcune cave del Vesuvio centri per lo smaltimento illecito di veleni provenienti dalle industrie del Nord. La stessa rotta dei rifiuti finiti per anni nella discarica Resit e in molti altri luoghi della Campania e non solo. Il 14 febbraio il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Napoli ha sequestrato 250 fabbricati, 68 terreni, 50 autoveicoli e automezzi industriali, 3 elicotteri, 49 rapporti bancari – dislocati anche nelle province di Roma, Bolzano, Salerno, Latina e Cosenza – per un valore totale stimato in 200 milioni di euro. Il sequestro è avvenuto ai danni dei fratelli Giovanni, Salvatore (ex maresciallo dei Carabinieri) e Cuono Pellini di Acerra. I fratelli Pellini nel processo avvenuto a seguito dell’operazione “Carosello Ultimo Atto” (2003), a distanza di 12 anni (2015), sono stati condannati in appello dalla IV sezione penale di Napoli per disastro ambientale. Assolti, invece, dalle accuse di falso e associazione a delinquere. Attualmente è pendente il giudizio in Cassazione. Secondo l’accusa, rifiuti industriali del Nord – con l’artificio del giro bolla (la sostituzione dei codici Cer e il cambio di tipologia del rifiuto) – venivano declassificati in non pericolosi e sversati nelle campagne dell’agro nolano e casertano come compost o depositati in cave tra Acerra, Giugliano, Qualiano e l’area flegrea di Bacoli. La sentenza di appello fu definita dal vescovo di Acerra, Antonio Di Donna, “dalla portata storica ma anche incompleta perché se per la prima volta viene riconosciuto un disastro ambientale per traffico di rifiuti tossici non individua gli industriali che lo hanno commissionato.
In “Io morto per dovere” (la biografia di Roberto Mancini) il giornalista Nello Trocchia cita i fratelli Pellini ricostruendo le indagini su Cipriano Chianese. Nel 2002 viene intercettata una telefonata di Chianese con “Biagio Ferraro, appartenente al Sisde, che si rivolge a lui chiedendogli un intervento per ottenere la revoca di un provvedimento di trasferimento”. In tribunale l’imprenditore affermò che “questo mi fu presentato, mi sembra, o dal maresciallo Pellini o dal fratello”. In questi anni il più attivo nel contrastare i fratelli Pellini – con ripetute denunce – è stato Alessandro Cannavacciuolo. Residente ad Acerra, nipote di Vincenzo (un pastore morto avvelenato dalla diossina a 59 anni nel 2007) e coraggioso attivista, ha denunciato di aver subito negli anni varie minacce e intimidazioni. Nel 2008 le pecore della famiglia sono state abbattute per l’eccessiva presenza di diossina nel sangue. La mattina del 5 novembre 2015 Alessandro Cannavacciuolo trovò morti avvelenati i suoi due pastori maremmani, Sergente e Belle.

fonte: http://www.terredifrontiera.info