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Esposizione a PM e impatti sulla salute

Risultati di due studi condotti, tra gli altri, dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio



Uno studio analitico longitudinale condotto da ricercatori provenienti da CNR, Università di Palermo, Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio e INAIL è andato ad indagare e stimare gli effetti dell'esposizione a PM10 e PM2.5 sull'incidenza di malattie respiratorie in un campione residente a Pisa, in un'area caratterizzata da un livello medio-basso di inquinamento atmosferico.

Del campione, composto da 305 adulti (135 uomini e 170 donne), con un’età media di circa 56 anni, residenti nella stessa zona per tutto il periodo dello studio, ovvero a partire dal 1991, sono stati considerati i singoli fattori di rischio, ad esempio essere fumatori, l’esposizione professionale.

I livelli di esposizione mediana (25°- 75° percentile) sono stati di 30,1 µg/m3 (29,9-30,7 µg/m3) per il PM10 e 19,3 µg/m3 (18,9-19,4 µg/m3) per il PM2,5.

L'incidenza della rinite è stata significativamente associata all'aumento del PM2,5, l'incidenza della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è stata invece significativamente associata al PM10, nonché all'età e al fumo; inoltre, l’incidenza del catarro cronico è stata collegata all'aumento di PM2,5 e all'esposizione professionale. Anche se riportato per completezza, l'incidenza globale di asma era troppo bassa per produrre stime affidabili.

Questi risultati forniscono nuove informazioni e prove sugli effetti a lungo termine dell'inquinamento atmosferico da PM sulla salute respiratoria. Le diverse associazioni di PM10 e PM2.5 con i diversi disturbi respiratori, presenti nello studio, possono suggerire ulteriori direzioni di ricerca e possono anche costituire elementi utili per la definizione di politiche e provvedimenti normativi.

Lo studio si colloca tra le linee di ricerca del progetto BEEP - Bigdata in Epidemiologia ambiEntale ed occuPazionale.

Un altro studio condotto dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio tra il 2006 e il 2017 nella città di Roma è andato ad analizzare la possibile associazione tra livelli giornalieri di inquinamento atmosferico e trombosi venose profonde degli arti inferiori ed embolia polmonare, con particolare riferimento all’esposizione a breve termine a PM2.5.

Se infatti sappiamo che l'esposizione a breve termine all'inquinamento atmosferico aumenta il rischio di mortalità e morbilità cardiovascolare, sono disponibili ancora poche prove sugli effetti dell'inquinamento sul tromboembolismo venoso, una malattia vascolare comune.

Per lo studio in questione sono stati analizzati tutti i ricoveri urgenti per trombosi venosa profonda o embolia polmonare tra i pazienti di età superiore a 35 anni nella capitale nel periodo di riferimento; è stato quindi esaminato se
l'esposizione a breve termine al PM2,5 aumenta il rischio di ricovero in ospedale per queste due patologie
le associazioni dipendono dal periodo dell'anno (stagioni calde/stagioni fredde), da sesso, età e comorbidità, ovvero la coesistenza di più patologie diverse in uno stesso individuo.

Dallo studio è emerso che l'esposizione a breve termine al PM2,5 è associata ad un aumento del rischio di ricovero in ospedale per embolia polmonare durante la stagione calda (da aprile a settembre); non sono invece emersi effetti statisticamente significativi durante la stagione fredda o per i ricoveri per trombosi venosa profonda. L'età, il sesso e le condizioni di comorbidità non modificano l'associazione evidenziata.

fonte: http://www.arpat.toscana.it


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Proteggere la biodiversità per prevenire la prossima pandemia. E costerebbe molto meno

Basterebbe un investimento annuale di 30 miliardi di dollari per la prevenzione di futuri focolai, quanto l'1 - 2% della spesa militare annuale dei 10 Paesi più ricchi del mondo



Finora, la pandemia di Covid-19 è costata all’economia mondiale almeno 2,6 trilioni di dollari e alla fine – mentre sta dilagando nei Paesi in via di sviluppo – potrebbe costare 10 volte di più. Quanto costerebbe evitare che tutto questo accada di nuovo? E quali sono le principali azioni che devono essere intraprese per riuscirci? A queste domande hanno cercato di rispondere Andrew Dobson, professore di ecologia e biologia evoluzionistica alla Princeton University e Stuart Pimm della Duke University e per farlo hanno messo insieme un team multidisciplinare di epidemiologi, biologi delle malattie della fauna selvatica, professionisti della conservazione, ecologi ed economisti che ora scritto su Science – Policy Forum l’articolo “Ecology and economics for pandemic prevention” nel quale si sostiene che una nuova pandemia zoonotica potrebbe essere evitata con «un investimento annuale di 30 miliardi di dollari che si ripagherà rapidamente».

Pimm ricorda che «Fino ad ora, ci sono stati almeno altri 4 agenti patogeni virali che sono emersi nella popolazione umana in questo secolo. In futuro, gli investimenti nella prevenzione potrebbero essere la migliore polizza assicurativa per la salute umana e l’economia globale».

Le principali cause della possibile e incombente diffusione dei patogeni emergenti sono la distruzione delle foreste tropicali e il commercio della fauna selvatica. Alla Princeton evidenziano che «Ciascuna ha contribuito a due delle quattro malattie emergenti che sono comparse negli ultimi 50 anni: Covid, Ebola, SARS, HIV. Sia la deforestazione che il commercio di animali selvatici causano anche danni diffusi all’ambiente su più fronti, quindi ci sono diversi benefici associati alla loro riduzione. L’aumento del monitoraggio e della sorveglianza di queste attività consentirebbe di rilevare i futuri virus emergenti in una fase molto precoce, quando il controllo potrebbe impedire un’ulteriore diffusione».

Tutte le prove genetiche credibili indicano che il Covid-19 sta emergendo da una specie di pipistrello commercializzata come cibo in Cina e i ricercatori sottolineano che «Il commercio di animali selvatici è una componente importante dell’economia globale, interessando i principali prodotti economici tra cui cibo, medicine, animali domestici, abbigliamento e mobili. Alcuni di questi vengono scambiati come beni di lusso, il che può creare un’associazione stretta che aumenta il rischio di trasmissione di agenti patogeni dal commerciante o all’acquirente. I mercati della fauna selvatica sono invariabilmente mal regolati e antigienici».

Di fronte a questa rete globale e a questi rischi crescenti, la Convention on international trade in endangered species of wild fauna and flora (CITES), ha un bilancio globale netto di appena 6 milioni di dollari e Dobson fa notare che «Molti dei 183 firmatari hanno arretrati di diversi anni per i loro pagamenti».

Invece, gli autori dell’articolo sostengono che «Il monitoraggio di questo commercio deve essere ampliato. In particolare, gli scienziati hanno bisogno di informazioni vitali sui patogeni virali che circolano nelle specie potenzialmente da cibo o da compagnia» e, per monitorare la salute degli animali, suggeriscono di «utilizzare gruppi di monitoraggio regionali e nazionali del commercio di specie selvatiche, integrati con le organizzazioni internazionali.Il monitoraggio e la regolamentazione di questo commercio non solo garantiranno una protezione più forte per le molte specie minacciate dal commercio, ma creeranno anche un archivio ampiamente accessibile di campioni genetici che possono essere utilizzati per identificare nuovi agenti patogeni quando emergono. Produrrà anche una libreria genetica di virus con due ruoli chiave: identificare più rapidamente l’origine e la posizione dei futuri patogeni emergenti e sviluppare i test necessari per monitorare i futuri focolai. In definitiva, questa biblioteca conterrà le informazioni necessarie per accelerare lo sviluppo di futuri vaccini».

Sebbene continuino gli appelli a chiudere i “mercati umidi” nei quali vengono venduti animali selvatici e domestici, per prevenire futuri focolai di agenti patogeni emergenti, il team di scienziati riconosce che «molte persone dipendono da alimenti e medicine di provenienza selvatica» e suggeriscono che sarebbe meglio chiedere una migliore sorveglianza sanitaria dei mercati nazionali: «Se più persone vengono formate per il monitoraggio, il rischio che emergano nuovi virus può essere mitigato con l’individuazione precoce e il controllo dei patogeni nel commercio di specie selvatiche e lavorando con le comunità locali per ridurre al minimo i rischi di esposizione e trasmissione».

Uno degli autori dell’articolo, Binbin Li dela Duke Kunshan University di Jiangsu, spiega che «In Cina, ad esempio, ci sono troppo pochi veterinari per la fauna selvatica e la maggior parte lavora in zoo e cliniche per animali. I veterinari sono in prima linea nella difesa contro i patogeni emergenti e nel mondo abbiamo un disperato bisogno di più persone formate con queste capacità».

Secondo il team di Dobson e Pimm, estendere e sviluppare modi migliori per monitorare e regolamentare il commercio della fauna selvatica potrebbe essere fatto per circa 500 milioni di dollari all’anno, «Un costo insignificante rispetto agli attuali costi del Covid, soprattutto se si considerano vantaggi aggiuntivi come frenare il consumo di fauna selvatica e sostenere la biodiversità».

Il rallentamento della deforestazione tropicale rallenterebbe anche l’emergenza virale, inoltre ridurrebbe l’apporto di carbonio nell’atmosfera proveniente dagli incendi boschivi e proteggerebbe la biodiversità forestale. D’altra parte, riduce i ricavi provenienti da legname, pascolo e agricoltura. Vale la pena rinunciare a questi benefici tangibili, ma f economicamente concentrati? Gli autori affrontano questa parte della loro analisi costi-benefici da due prospettive economiche complementari: prima ignorando e poi includendo i benefici del carbonio stoccato come copertura assicurativa contro i cambiamenti climatici e non facendo alcun tentativo di valorizzare la perdita di biodiversità.

L’articolo su Science – Policy Forum si concentra soprattutto sui costi pubblici necessari per prevenire la prossma pandemia tipo Covid-19.

Un altro autore, l’epidemiologo di Ecohealth Alliance Peter Daszak, richiama i risultati di numerosi studi: «L’emergenza per agenti patogeni è essenzialmente un evento regolare quanto le elezioni nazionali: una volta ogni quattro o cinque anni». Amy Ando, ​​che insegna economia agricola e dei consumi all’università dell’Illinois-Urbana Champaign, aggiunge: «I nuovi agenti patogeni sono apparsi all’incirca allo stesso ritmo di nuovi presidenti, deputati, senatori e primi ministri! Potremmo vedere i costi del Covid salire da oltre 8 a 15 trilioni di dollari, con molti milioni di persone disoccupate e che vivono in lockdown».

Il costo annuale per la prevenzione di futuri focolai è paragonabile approssimativamente all’1-2% della spesa militare annuale dei 10 paesi più ricchi del mondo. Dobson conclude: «Se consideriamo la continua battaglia contro gli agenti patogeni emergenti come il Covid-19 come una guerra che tutti dobbiamo vincere, l’investimento nella prevenzione sembra avere un valore eccezionale».

Ma evidentemente una parte dell’umanità preferisce armarsi e spararsi che salvare sé stessa e la biodiversità del pianeta.

fonte: www.greenreport.it

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Covid-19, Medici per l’ambiente scrivono a Conte, Speranza e Costa: “Mettere a sistema la Rete dei Medici sentinella sul territorio, per la prevenzione epidemiologica e il monitoraggio del rischio ambientale”


















Considerare la pandemia di Covid-19 come un evento sentinella, facendo tesoro delle lezioni che possiamo trarne. Ripartire, verso la pienezza della Fase 2 e poi ancora oltre, con un nuovo modello non solo di assistenza ma anche di prevenzione, che coinvolga a pieno titolo i medici del territorio: i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, gli specialisti ambulatoriali interni ed esterni. Infine, imparare a ragionare a più ampio respiro, pensando alla pandemia come a un “segnale”, preavviso di tutto quello che potrebbe seguire se non lo considerassimo in chiave globale e di tutela del nostro mondo nel suo insieme. Perché con il Covid-19, come ha recentemente affermato Inger Andersen, capo del programma Ambiente delle Nazioni Unite, ma anche con i cataclismi ambientali, “la natura ci sta mandando un messaggio”.

È questo, in estrema sintesi, il senso della Lettera aperta che l’Isde, l’associazione internazionale dei Medici per l’ambiente, con al suo interno la Rimsa, la rete italiana dei Medici sentinella per l’ambiente, hanno inviato al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al Ministro della Salute, Roberto Speranza e al Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. La lettera è stata anticipata ieri sera nel corso del webinar “Da Covid-19 alla rete dei Medici sentinella per l’ambiente. Idee e proposte per un nuovo ruolo del medico nel territorio”.

Tra i firmatari, oltre al presidente di Isde Italia, Roberto Romizi, anche il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCEO), Filippo Anelli, che ha avuto mandato di sottoscriverla dal Comitato Centrale, riunito il 5 maggio scorso. E, ancora, Silvestro Scotti, Segretario generale nazionale FIMMG, la Federazione nazionale dei Medici di Medicina Generale; Paolo Biasci, Presidente nazionale FIMP ( Federazione Italiana Medici Pediatri); Claudio Cricelli, medico, Presidente SIMG (Societa italiana di Medicina Generale); Emanuele Vinci, medico, coordinatore della Commissione “Ambiente, Salute e Lavoro” FNOMCEO; Guido Giustetto, referente ambiente del Comitato Centrale FNOMCEO; Fabrizio Bianchi, epidemiologo, dirigente CNR Pisa; Vitalia Murgia, pediatra, rete RIMSA (ISDE-FNOMCEO); Paolo Lauriola, medico, Coordinatore rete RIMSA ( ISDE-FNOMCEO).

“Se si parla di emergenza Coronavirus non si può non pensare anche a tutto quello che a livello di globalizzazione impatta sul nostro modo di vivere e sul nostro futuro, molto di più di una pandemia, con particolare riferimento ai cambiamenti climatici globali – si legge nella lettera -. Questa pandemia va considerata un “segnale sentinella”, che solo se verrà colto con intelligenza e lungimiranza, ci consentirà di attrezzarci a cosa potrà venire dopo, utilizzando i cambiamenti e le modalità d’intervento su cui oggi ci si interroga, come soluzione a un approccio globale alla tutela della salute non limitato alle virosi pandemiche”.

La lettera passa poi ad attribuire un ruolo cardine ai medici sul territorio che, “adeguatamente sensibilizzati, formati e organizzati, possono rappresentare, rendendolo operativo nell’esperienza professionale quotidiana, un “anello di congiunzione” tra evidenze scientifiche, problemi globali ed azioni locali”.

“A questo proposito, diverse recenti e autorevoli pubblicazioni hanno sottolineato le grandi potenzialità offerte dal coinvolgimento dei Primary Care Providers – continua il testo – Insomma, perché le cose possano andare meglio nel corso di una grande epidemia (ma non solo) le autorità sanitarie pubbliche devono rivalutare fortemente il ruolo dei medici di famiglia e dei pediatri che operano nelle cure primarie, coinvolgendoli in modo più coordinato nei percorsi di prevenzione, assistenza ed erogazione di cure adeguate. Dotandoli, però, anche dei necessari strumenti di protezione della loro salute e di quella delle persone con cui entrano in contatto. Tutto questo accompagnato da sistemi di comunicazione efficienti e rapidi su informazioni cliniche, aggiornamento epidemiologico e risultati delle indagini”.

Questo, affermano i medici per l’ambiente, è ormai chiaro per quanto riguarda l’assistenza e la risposta all’epidemia. “Emerge anche però che è altrettanto importante promuovere il loro coinvolgimento, con ruolo e responsabilità, nell’ambito della prevenzione – continuano -. Dove è essenziale avere rilevatori che siano in grado di avvertire tempestivamente i segnali che giungono dal territorio”. Di più: a parere dei medici firmatari, “tutte le strategie globali (adattamento e mitigazione), come ad esempio nel caso dei Cambiamenti Climatici, devono considerare con molta attenzione il contesto locale”. “Tornando al tema attuale della Fase 2, occorre ricordare bene tutti che essa si baserà sulla sorveglianza del territorio – prosegue la lettera -. Le azioni di contrasto saranno efficaci solo se tempestive e precise. Occorre cogliere questa necessità/opportunità per creare un sistema di “Medici Sentinella” che ci consenta di far fronte alle emergenze sanitarie, ma anche e soprattutto per creare un contesto capace di adattarsi anche alle emergenze ambientali che possono contribuire e contribuiranno sempre di più a determinarle”.

E questo sistema è già, in parte, realtà: nell’emergenza Covid-19 si è creata una rete di medici italiani che recentemente, ha condiviso la sua esperienza su BMJ, dimostrando che esiste una domanda e una disponibilità a collaborare.

“Occorre quindi utilizzare queste risorse di esperienza e di entusiasmo –conclude la lettera – per dare un contributo con risposte adeguate alla situazione. Ricordiamo a tutti che l’epidemia di COVID-19 è un cataclisma, sanitario ed economico, ma è solo un “segnale sentinella” da un punto vista ambientale, preavviso di tutto quello che potrebbe seguire se non lo considerassimo in chiave globale e di tutela del nostro mondo nel suo insieme”.


CLICCA QUA per scaricare la lettera inviata a Conte, Speranza e Costa 

fonte: www.isde.it



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Assemblea Isde Provinciale Di Perugia - Sabato 11 Gennaio 2020 - ore 15.30



Sabato 11 Gennaio 2020
CVA Ponte San Giovanni ore 15,30
ASSEMBLEA ISDE PROVINCIALE di Perugia

Ordine del giorno
·      Brevi interventi del presidente provinciale Giovanni Vantaggi e del Presidente Regionale Carlo Romagnoli:
“Riflessioni su un anno di attività di Isde Pg e di Isde Umbria”
·      Sintesi delle ATTIVITA’ SVOLTE DAI VARIO GRUPPI:
1.     Ecodistretti (Francesco Masciarelli/Anna Rita Guarducci)
2.     Interferenti Endocrini (Stefania Bernacchi/Simonetta Marucci)
3.     Progetto scuola (Stefania Busti)
4.     CEM e 5G (Massimo Melleli Roia)
5.     Agricoltura-Chimica-EM (Mario Franceschetti/Sandro Ciani)
6.     Gestione e politica dei Rifiuti (Anna Rita Guarducci)
7.     Epidemiologia (Carlo Romagnoli)
8.     Progetti per il 2020 - TEAM INTER-REGIONALI ISDE (Valerio Gennaro: “bisogna fare squadra. E la squadra deve essere decisa insieme. Io ci sono, ma serve una parte organizzativa, legale, economica e qualche tecnico in gamba...far circolare la lista (nome, mail, Skype, telefono, competenze ed attività) della decina di persone disponibili come risorse umane, scientifiche, tecniche e legali che abbiamo già in ISDE.
9.     Varie ed eventuali

Gubbio 16 dicembre 2019
                                                                      
Giovanni Vantaggi

          

Studio epidemiologico Sentieri, la sintesi dei risultati


















I dati dello studio epidemiologico Sentieri, incentrato sui SIN (siti contaminati di interesse nazionale ai fini della bonifica), sono stati presentati in sintesi lo scorso 12 giugno al ministero della Salute. Pubblichiamo la nota esplicativa del gruppo di progetto che riassume i risultati per l’insieme dei siti considerati.
La nota è a cura di Pietro Comba1, Aldo Di Benedetto2, Eugenia Dogliotti1, Ivano Iavarone1, Amerigo Zona11Dipartimento Ambiente e salute, Istituto superiore di sanità
2Direzione generale della prevenzione, ministero della Salute






fonte: https://ambienteinforma-snpa.it

Ambiente e salute: il ruolo dell'epidemiologia ambientale

L'epidemiologia ambientale può giocare un importante ruolo di collante, ma ha bisogno di collaborare con molte figure professionali fondamentali




















In questo numero presentiamo la prima parte dell’intervista a Fabrizio Bianchi, Dirigente di ricerca del Consiglio Nazionale delle ricerche e responsabile del reparto di epidemiologia ambientale e registri di patologia dell’Istituto di Fisiologia Clinica (Pisa).
Bianchi ha coordinato numerosi progetti Europei e nazionali, ultimi quelli CCM del Ministero della Salute sul rischio di esposizione da arsenico in aree con inquinamento antropico o naturale, sul rischio riproduttivo in siti inquinati; è coautore inoltre dello Studio nazionale SENTIERI e delle linee guida per la Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS). In Toscana è responsabile del Registro Difetti Congeniti e di quello Malattie Rare, nonché membro del Coordinamento regionale su ambiente e salute della Regione.



Un’agenzia come la nostra ha come compito primario il controllo dell’ambiente e la diffusione di informazioni, dati, notizie su di esso. Spesso, però, i cittadini ci chiedono quali implicazioni hanno per la salute i dati che diffondiamo e questo non rientra fra le nostre competenze. Ambiente e salute sono in effetti due “mondi” strettamente connessi ma spesso molto distanti. L’Epidemiologia ambientale, in qualche modo, ha a che vedere con queste due realtà, secondo lei cosa si potrebbe fare per integrare di più questi due mondi?

L’epidemiologia ambientale è una disciplina scientifica che si occupa di “scoprire” e misurare le relazioni tra ambiente e salute. Essa non ha solo bisogno di dati ambientali e sanitari validi e di qualità, ma di dati che siano dialoganti tra loro, di indicatori di interfaccia tra ambiente e salute, cioè informativi dell’associazione tra stato ambientale e impatto sulla salute.
Per questo è fondamentale la collaborazione multi e inter-disciplinare tra competenti dell’ambiente e della salute. In assenza di una ricongiunzione istituzionale tra i settori, i gruppi di lavoro e le task-force inter-istituzionali assolvono molto bene ai compiti di valutazione, studio e anche trasferimento in sanità pubblica.
Tuttavia, come largamente dimostrato dalle molte esperienze passate e in corso sia a livello nazionale che regionale, anche i gruppi misti di operatori del sistema agenziale ambientale e del servizio sanitario più sono formalizzati e maggiore è la loro possibilità poi di incidere sulle decisioni.
L’epidemiologia ambientale ha lo scopo di descrivere la salute in aree a diverso livello di inquinamento e di misurare rischi e impatti sulla salute (epidemiologia descrittiva e ecologica) e di formulare e testare ipotesi di associazione eziologica e - se riesce - anche nessi di causalità (epidemiologia eziologica). Pertanto può giocare un importante ruolo di collante, ma ha bisogno di collaborare con molte figure professionali fondamentali, e la lista sarebbe lunga, dai chimici e fisici ambientali ai tossicologi, dai modellisti ai climatologi, dagli informatici sanitari ai medici ambientali, e via di questo passo.
Per ultimo, non per importanza, l’epidemiologia ambientale può svolgere, e spesso lo fa, un importante ruolo nella comunicazione del rischio e nei processi di partecipazione, ma anche su questi temi deve giocare il proprio ruolo con consapevolezza e con modestia.

Quando emergono problematiche ambientali in territori specifici da parte dei cittadini e delle loro associazioni, si fa appello a risposte di carattere sanitario che in qualche modo vanno ricondotte alla epidemiologia ambientale, ma questa ha tempi necessariamente lunghi, talvolta opera sulla base di numeri molto ridotti, cosa è possibile fare per migliorare questa situazione?

Persone, comitati e associazioni quando preoccupati a causa dell’inquinamento chiedono di conoscere i rischi per l’ambiente e per la salute e le istituzioni sono tenute a dare risposta. Va detto che dove sono attivi sistemi di sorveglianza spesso le risposte ci sono già, almeno potenzialmente, o sono facili da confezionare.
In caso di segnalazione di addensamenti anomali (cluster) o eccessi, l’appropriatezza e la celerità della risposta dipende dalla maggiore o minore conoscenza già disponibile e dagli studi da condurre. È utile caratterizzare velocemente lo stato effettivo delle cose, distinguendo innanzitutto tra tre diversi tipi di segnalazione:
  1. criticità ambientale per la quale si richiede di conoscere, o si ipotizza, l’esistenza o meno di effetti sulla salute (esempio emissioni anomale di diossina da una combustione incontrollata);
  2. eccesso di decessi, malattie o sintomi per il quale si richiede di conoscere, o si ipotizza, un’associazione con fattori ambientali presenti sul territorio (esempio cluster di malattie respiratorie acute);
  3. presenza sia di criticità ambientale sia di anomalie di salute con richiesta di verifica della relazione e misura dell’associazione di rischio o di causalità (esempio, eccessi di tumore del polmone nell’area di una acciaieria).
Per ciascuna situazione ne consegue un approccio diverso, ovviamente a valle di verifica della veridicità del presupposto, ai nostri giorni più agevole per la disponibilità di molti dati routinari sia ambientali che sanitari:
  1. valutare gli esiti di salute per i quali sono persuasive le evidenze scientifiche con le anomalie ambientali segnalate (esempio, verifica del profilo di malattie del sistema linfoematopoietico);
  2. valutare l’esposizione a fattori ambientali con plausibile associazione con gli esiti segnalati (esempio, particolato, ossidi di azoto e zolfo nelle aree dove sono stati segnalati gli eccessi);
  3. studiare la relazione tra cause e effetti ricorrendo a studi epidemiologici con disegno adeguato (esempio, studio di coorte residenziale avvalendosi di modelli di diffusione degli inquinanti indice).
L’epidemiologia ambientale offre metodologia e strumentazione per affrontare i problemi sopra richiamati.
Quanto alla durata degli studi, se da una parte è vero che spesso hanno bisogno di tempi non brevi va altrettanto detto che oggi esistono approcci e strumenti nuovi che possono abbreviare i tempi. Faccio qui riferimento ai metodi per la valutazione dell’impatto che, usando funzioni di rischio accreditate, permettono di stimare i decessi o le malattie attese nel caso di esposizione a concentrazioni di inquinanti conosciute o anch’esse stimabili da modello.
Ovviamente, sia la gravità della situazione sia la disponibilità di risorse adeguate non sono variabili di secondaria importanza.

Il prezzo pagato dall’Italia per l’Amianto

Tremila vittime e più di 500 milioni di euro bruciati ogni anno: è l’amianto in Italia, nonostante sia stato bandito 23 anni fa. Almeno 300mila strutture da bonificare, una vergogna nazionale. L'inchiesta durata un anno, partita dall'esperienza di giornalismo civico di Cittadini Reattivi e pubblicata su Wired è proseguita coinvolgendo i cittadini ed è collegata alla petizione #AddioAmianto. La petizione con le 75.000 firme per chiedere trasparenza al Governo Renzi è stata consegnata a settembre 2016.












In Italia, ogni anno 3mila persone, otto al giorno, una ogni tre ore, muoiono di mesotelioma pleurico o di uno degli altri dieci tumori asbesto correlati.
Il dato arriva dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), ma non basta a descrivere quanto la fibra killer pesa sul presente e sul futuro.

Secondo il Fondo nazionale amianto il costo sociale è di almeno mezzo miliardo di euro l’anno. Ma questa strage è solo la punta dell’iceberg. Il numero di vittime causate dall’amianto, infatti, mostra un trend in crescita che, se non si procede con le bonifiche, dal 2020 rischia di diventare stabile per anni.

Il prezzo dell’amianto, in Italia un morto ogni tre ore

L’Italia è stato il primo consumatore di amianto in Europa e il secondo maggior produttore dopo l’Unione sovietica. Oggi, 23 anni dopo la messa al bando, questo materiale continua ancora a produrre un danno enorme: almeno tremila vittime e costi sociali di oltre 500 milioni di euro ogni anno. Questa cifra basterebbe da sola a coprire la bonifica dei siti a più alto rischio come scuole, ospedali, edifici pubblici e impianti sportivi frequentati ogni giorno da milioni di italiani.
Continua a leggere su Wired l’inchiesta di Rosy Battaglia

#AddioAmianto: le cinque misure per la trasparenza

1. Mappatura. Pubblicazione immediata in open data della mappa di tutti i siti a rischio censiti dalle Regioni anche se incompleta, insieme a una precisa e scadenzata road map per il completamento della mappatura nazionale.
2. Bonifica. Identificazione delle 373 aree ad alta frequentazione pubblica (scuole, impianti sportivi e infrastrutture) con la più alta priorità di rischio (classe di priorità del rischio 1) individuate dal ministero dell’Ambiente, per le quali sono richiesti interventi di bonifica urgente.
3. Finanziamento. Finanziamento del Piano nazionale amianto presentato a Casale l’8 aprile 2013 per il coordinamento e l’esecuzione degli interventi di bonifica e prevenzione accompagnati da una capillare azione di informazione delle popolazioni.
4. Epidemiologia. Pubblicazione obbligatoria in open data da parte delle Regioni dei dati aggiornati di mortalità e insorgenza di nuovi casi di malattie asbesto-correlate con dettaglio per comune e Asl.
5. Smaltimento. Unificazione delle procedure di controllo sull’inertizzazione e sullo smaltimento in discarica dell’amianto, sul modello di quanto già avviene a Casale Monferrato, per estenderlo a tutto il territorio nazionale.

fonte: http://www.habitami.it