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Quante e quali risorse per proteggere l'ambiente?

 











I conti dell’ambiente di Istat forniscono informazioni statistiche sulla interazione tra i sistemi economico ed ambientale

A partire dai primi anni ‘90 Istat ha avviato la sua ...

Glifosato, stop in Germania dal 2024. Il piano per la protezione degli insetti diventa legge















Per proteggere gli insetti, la Germania si prepara a mettere in campo regole più severe per i pesticidi, glifosato incluso. Il Bundestag ha infatti approvato l’ambizioso (e controverso) piano presentato nel 2019 dal governo federale tedesco, in seguito alla pubblicazione di dati preoccupanti sulla biodiversità, che avevano mostrato un calo degli insetti del 76% negli ultimi trent’anni. Insieme alla legge per la tutela degli insetti, il Parlamento tedesco ha approvato anche una riforma della legge per la protezione del clima.

Per cercare di arginare la scomparsa degli insetti, la Germania ha deciso di adottare diverse misure, come la protezione di ambienti naturali e strutture artificiali dove possono costruire nidi e procacciare cibo, ma anche la riduzione dell’inquinamento luminoso, che ne disturba i ritmi. Un altro gruppo di misure è volto a restringere e vietare l’uso di pesticidi ed erbicidi. Tra le sostanze cadute sotto la scure dei legislatori tedeschi c’è anche il glifosato, che dal 1° gennaio 2024 non potrà più essere utilizzato in Germania. 


La Germania ha approvato la legge per la protezione degli insetti che include il divieto d’uso del glifosato dal 2024

Nel corso dei due anni tra l’annuncio e l’approvazione, il piano ha provocato tensioni tra ministeri con competenze differenti, e forti scontri tra ambientalisti, favorevoli a regole molto restrittive, e agricoltori che temono contraccolpi economici. Per questo motivo, il testo finale della legge contiene stanziamenti di 150 milioni di euro all’anno per aiutare il settore agricolo a fare i cambiamenti necessari per adeguarsi alle nuove regole.

La riforma della legge per la protezione del clima, invece, anticipa al 2045 l’obiettivo della Germania di raggiungere la carbon neutrality, cioè il bilanciamento tra le emissioni del Paese e le attività di rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera. Inoltre, la riforma stabilisce un target di riduzione delle emissioni di CO2 del 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, un obiettivo più ambizioso rispetto al precedente 55%.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Siamo saliti in montagna

Il libro di Luca Mercalli, Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale, si può leggere prima di tutto come atto di amore per la montagna. Oppure per ragionare di clima o, più semplicemente, per misurarsi con l’impresa di recuperare una casa in qualche angolo delle Alpi o dell’Appennino, mettendo in pratica scelte di risparmio energetico. O ancora, per saperne di più, magari in quanto amministratore o amministratrice locale, su come facilitare la protezione del paesaggio e dell’ambiente. Abbiamo chiesto a uno dei massimi esperti in Italia di economia ambientale, Alberto Castagnola, di leggere l’ultimo libro di uno dei più bravi meteorologi e divulgatori sui temi ambientali, Luca Mercalli 



La nuova fatica letteraria – Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale (Einaudi) – di Luca Mercalli, tra i più preparati dei nostri ambientalisti, ha una forma antica, il diario personale su un arco di tre anni, ma si rivela subito essere qualcosa di più, una specie di manuale familiare per reagire ai meccanismi di danno ambientale e per assumere un ruolo attivo che consenta di sfuggire, almeno in parte, a un futuro non certo piacevole. 



Lo scienziato ha certamente scelto un periodo particolarmente significativo della sua vita, ma poi hanno dato libero spazio al suo spirito montanaro, alle sue conoscenze geologiche e meteorologiche, alle sue molteplici letture, alla sua visione di un mondo alternativo che stenta molto ad emergere. In ogni pagina del libro si possono incontrare descrizioni di paesaggi, analisi climatiche, ricordi dettagliati di eventi storici, tante citazioni di testi letterari e di brani di musica classica, e insieme proposte di interventi pubblici e di politiche nazionali diretti a proteggere e a migliorare la vita sulle montagne più alte. È quindi molto difficile, direi praticamente impossibile, fare sintesi e selezionare argomenti: in questa armonica mescolanza sta il fascino del volume e spetta ad ogni potenziale lettore affrontare la sfida di una affascinante scoperta. Il recensore può solo indicare percorsi, segnalare attrattive particolari, invidiare una esistenza così vitale e multiforme.

Il motivo di fondo che sostiene tutto il libro è apparentemente la ricerca, l’acquisto e la ristrutturazione di una casa del 1700, semi distrutta dal tempo ma collocata molto più in alto rispetto alla sua attuale abitazione. È collocata a Vazon, nelle vicinanze di Oulx, in Valle di Susa. La spinta per questa scelta, oltre all’amore per le montagne condiviso con la moglie, viene subito indicata nella necessità per tutti di abitare, nei prossimi anni, in fasce climatiche che risentano meno del progredire del riscaldamento climatico. La scelta di acquisto si rivela subito molto costosa, volendo salvaguardare la struttura originale e adottare metodi di ricostruzione molto rispettosi del manufatto e dell’ambiente circostante, e in un primo momento porta alla dolorosa decisione di rinunciare all’acquisto. Ma poi la bellezza della struttura e del monte che la ospita hanno il sopravvento sulla pura razionalità della disponibilità di denaro.

Comincia così un frenetico periodo di progetti, contatti con architetti e artigiani, preventivi e piani di lavoro (il definitivo comprende 47 allegati tecnici!), che occupa oltre un anno ma che permette anche all’autore di sperimentare di persona tutti gli ostacoli che le burocrazie e i regolamenti frappongono ai tentati di recupero e restauro di preziosi edifici antichi, perché in realtà sono stati concepiti per favorire i nuovi edifici moderni, basati sul cemento, ma che non tengono in alcun conto il rispetto dell’ambiente sociale e del contesto naturale. Anche la fase dell’inizio dei lavori, che occuperanno più del secondo anno, si presenta subito difficile, perché gli artigiani e gli operai più esperti e che sanno applicare le regole antiche, sono in realtà difficilmente reperibili e chiedono continuamente di rispettare i loro tempi. Verso la fine del libro, però, comincia la fase più bella, perché marito e moglie salgono continuamente per vivere le parti già rese abitabili e anche se non tutti gli impianti (luce, acqua, riscaldamento) sono già completamente operativi, cominciano a godersi tramonti favolosi, l’evolversi delle stagioni, e la possibilità di arrivare alla nuova casa anche durante i periodi invernali, lasciando l’auto a qualche chilometro di distanza e percorrendoli con ciaspole e scarponi chiodati, con le provviste sulle spalle. Si moltiplicano quindi le descrizioni dei fenomeni naturali, goduti profondamente e accompagnati da ogni genere di spiegazione scientifica e climatica. Negli ultimi mesi, poi, aumentano i viaggi e le escursioni che, partendo dalla nuova casa, portano gli amanti della montagna in nuove valli e su nuove cime delle Alpi Cozie.

Nel libro diario vi è poi un secondo filone di informazioni che attrae il lettore, relativo a eventi di portata storica e ad approfondimenti culturali che fanno emergere molti altri aspetti della vita sulle montagne. Vi sono inserti che descrivono le guerre che hanno marchiato certe località montane in epoca romana e negli ultimi secoli, episodi di lotte partigiane contro gli eserciti invasori, ma anche due pagine stupende di una storia delle stufe, che spiega le loro scelte tecnologiche e una durissima analisi degli effetti dannosi di vari manifestazioni sportive di alto livello, che hanno comportato spese ingenti, mentre gli impianti costruiti per ogni occasione sono in larga parte abbandonati.

Si può individuare, inoltre, un terzo livello di interesse che occupa diverse pagine e una apposita appendice. Si parte da una esperienza molto concreta, cioè dal tentativo di Mercalli di guadagnarsi la qualifica di Casa Clima per la sua nuova abitazione, ma ciò comporta una invasione di tecnici esterni che effettuano una molteplicità di test relativi alla tenuta della casa rispetto ai venti e alle infiltrazioni d’acqua e di fumo. Per ben due volte spuntano fuori spifferi e perdite, e il titolo viene conferito solo dopo il terzo test, cioè dopo aver effettuato numerose modifiche agli infissi e alle tubature. Ma questa esperienza conferma l’opinione di Mercalli che si debba adottare una politica edilizia specifica per tutte le aree abitate di montagna, per salvaguardare le preesistenze senza deturpare il paesaggio e per conservare atmosfere e tradizioni senza arrecare disagi ad abitanti e visitatori. Il libro sarebbe quindi di grande utilità anche per enti locali e regionali e per i legislatori nazionali.

Infine, una nota personale. Mi sono innamorato dell’economia a ventitré anni, dopo una università insulsa, mentre il mio profondo amore per il mare risale a molti anni prima e il mio impegno per l’ambiente è sempre filtrato dalle conoscenze economiche. Mercalli invece sembra aver realizzato una fusione profonda tra la sua figura di scienziato e di attivista esperto e il suo amore profondo per la montagna: oggi interrompe i suoi soggiorni nel paradiso delle cime più alte solo per tenere un corso o intervenire a un convegno. Guarderò ormai con occhi diversi i suoi testi base che ho tante volte letto e utilizzato, inserendoli in tramonti invernali indimenticabili.

fonte: comune-info.net

 

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Arrivano i green bond italiani, la lotta climatica si paga con i Btp del Tesoro

Sono pronti al lancio i Buoni del tesoro poliennali. Il ministero dell’Economia al lavoro per il debutto entro il primo trimestre. Le spese potenzialmente rendicontabili per essere finanziate dal Btp green sono 35 miliardi. Più della metà potrebbe essere nei trasporti, il resto su efficientamento energetico, incentivi alle rinnovabili, economia circolare, protezione ambientale e ricerca.










Finanziare il risanamento dell’ambiente, la lotta ai cambiamenti climatici, la decarbonizzazione del modello economico e una crescita in chiave di sviluppo sostenibile. E’ per questo che sono nati, e sono pronti al lancio da parte del Tesoro, i Btp green. I cosiddetti green bond – emissioni di Buoni poliennali – potranno così rappresentare un altro canale di soldini spendibili per la transizione ecologica del Paese.

Il ministero dell’Economia è al lavoro affinché possa esserci il debutto entro il primo trimestre: un “obiettivo” definito “alla portata”. Secondo Davide Iacovoni, responsabile del Tesoro per il debito pubblico, la task force – creata con il Comitato interministeriale per l’individuazione nel bilancio statale delle spese potenzialmente rendicontabili per essere finanziate dal Btp green – ha individuato 35 miliardi. Più della metà potrebbe essere nei trasporti, il resto su efficientamento energetico, incentivi alle rinnovabili, economia circolare, protezione ambientale e ricerca. Ma l’indicazione di un plafond tecnico di 35 miliardi non significa che esiste un tetto massimo per i green bond.

Ma il Buono del Tesoro al momento non è offerto direttamente ai risparmiatori retail, per via dell’importante domanda da parte degli istituzionali. Anche se “il retail può sempre acquistare sul mercato secondario, andando allo sportello una volta emesso il titolo”.

Il lancio di un Btp green ha naturalmente un valore anche simbolico. Con la transizione ecologica che ormai è parte integrante, ed è anche la più pesante, del progetto dell’Italia che verrà. E infatti i Btp green arrivano nel contesto di un G20 sotto la presidenza italiana; e che per impegni internazionali, dall’Accordo di Parigi al Green deal europeo, punta una grossa fetta della Agenda sullo sviluppo sostenibile e sul contrasto ai cambiamenti climatici. Si tratta – come viene spiegato – di “un modello di politica economica” su cui l’Italia è attiva , e che tiene conto del crescente interesse dei mercati finanziari per le emissioni finanziarie green. Che tanto per avere un’idea nel 2020 hanno superato i 400 miliardi di dollari dai 290 del 2019, con una quota dei green bond pari al 51% del mercato.

Il ministero dell’Economia ha anche pubblicato il ‘Quadro di riferimento per le emissioni dei Btp green (Green bond framework)’; viene illustrata la strategia ambientale italiana e i meccanismi essenziali che accompagneranno l’emissione dei Btp green: i criteri di selezione delle spese presenti nel bilancio dello Stato ritenute ammissibili per le emissioni di Btp Green, l’uso del ricavato delle varie emissioni, il monitoraggio delle spese, il loro impatto ambientale.

fonte: www.rinnovabili.it


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Proteggere la biodiversità per prevenire la prossima pandemia. E costerebbe molto meno

Basterebbe un investimento annuale di 30 miliardi di dollari per la prevenzione di futuri focolai, quanto l'1 - 2% della spesa militare annuale dei 10 Paesi più ricchi del mondo



Finora, la pandemia di Covid-19 è costata all’economia mondiale almeno 2,6 trilioni di dollari e alla fine – mentre sta dilagando nei Paesi in via di sviluppo – potrebbe costare 10 volte di più. Quanto costerebbe evitare che tutto questo accada di nuovo? E quali sono le principali azioni che devono essere intraprese per riuscirci? A queste domande hanno cercato di rispondere Andrew Dobson, professore di ecologia e biologia evoluzionistica alla Princeton University e Stuart Pimm della Duke University e per farlo hanno messo insieme un team multidisciplinare di epidemiologi, biologi delle malattie della fauna selvatica, professionisti della conservazione, ecologi ed economisti che ora scritto su Science – Policy Forum l’articolo “Ecology and economics for pandemic prevention” nel quale si sostiene che una nuova pandemia zoonotica potrebbe essere evitata con «un investimento annuale di 30 miliardi di dollari che si ripagherà rapidamente».

Pimm ricorda che «Fino ad ora, ci sono stati almeno altri 4 agenti patogeni virali che sono emersi nella popolazione umana in questo secolo. In futuro, gli investimenti nella prevenzione potrebbero essere la migliore polizza assicurativa per la salute umana e l’economia globale».

Le principali cause della possibile e incombente diffusione dei patogeni emergenti sono la distruzione delle foreste tropicali e il commercio della fauna selvatica. Alla Princeton evidenziano che «Ciascuna ha contribuito a due delle quattro malattie emergenti che sono comparse negli ultimi 50 anni: Covid, Ebola, SARS, HIV. Sia la deforestazione che il commercio di animali selvatici causano anche danni diffusi all’ambiente su più fronti, quindi ci sono diversi benefici associati alla loro riduzione. L’aumento del monitoraggio e della sorveglianza di queste attività consentirebbe di rilevare i futuri virus emergenti in una fase molto precoce, quando il controllo potrebbe impedire un’ulteriore diffusione».

Tutte le prove genetiche credibili indicano che il Covid-19 sta emergendo da una specie di pipistrello commercializzata come cibo in Cina e i ricercatori sottolineano che «Il commercio di animali selvatici è una componente importante dell’economia globale, interessando i principali prodotti economici tra cui cibo, medicine, animali domestici, abbigliamento e mobili. Alcuni di questi vengono scambiati come beni di lusso, il che può creare un’associazione stretta che aumenta il rischio di trasmissione di agenti patogeni dal commerciante o all’acquirente. I mercati della fauna selvatica sono invariabilmente mal regolati e antigienici».

Di fronte a questa rete globale e a questi rischi crescenti, la Convention on international trade in endangered species of wild fauna and flora (CITES), ha un bilancio globale netto di appena 6 milioni di dollari e Dobson fa notare che «Molti dei 183 firmatari hanno arretrati di diversi anni per i loro pagamenti».

Invece, gli autori dell’articolo sostengono che «Il monitoraggio di questo commercio deve essere ampliato. In particolare, gli scienziati hanno bisogno di informazioni vitali sui patogeni virali che circolano nelle specie potenzialmente da cibo o da compagnia» e, per monitorare la salute degli animali, suggeriscono di «utilizzare gruppi di monitoraggio regionali e nazionali del commercio di specie selvatiche, integrati con le organizzazioni internazionali.Il monitoraggio e la regolamentazione di questo commercio non solo garantiranno una protezione più forte per le molte specie minacciate dal commercio, ma creeranno anche un archivio ampiamente accessibile di campioni genetici che possono essere utilizzati per identificare nuovi agenti patogeni quando emergono. Produrrà anche una libreria genetica di virus con due ruoli chiave: identificare più rapidamente l’origine e la posizione dei futuri patogeni emergenti e sviluppare i test necessari per monitorare i futuri focolai. In definitiva, questa biblioteca conterrà le informazioni necessarie per accelerare lo sviluppo di futuri vaccini».

Sebbene continuino gli appelli a chiudere i “mercati umidi” nei quali vengono venduti animali selvatici e domestici, per prevenire futuri focolai di agenti patogeni emergenti, il team di scienziati riconosce che «molte persone dipendono da alimenti e medicine di provenienza selvatica» e suggeriscono che sarebbe meglio chiedere una migliore sorveglianza sanitaria dei mercati nazionali: «Se più persone vengono formate per il monitoraggio, il rischio che emergano nuovi virus può essere mitigato con l’individuazione precoce e il controllo dei patogeni nel commercio di specie selvatiche e lavorando con le comunità locali per ridurre al minimo i rischi di esposizione e trasmissione».

Uno degli autori dell’articolo, Binbin Li dela Duke Kunshan University di Jiangsu, spiega che «In Cina, ad esempio, ci sono troppo pochi veterinari per la fauna selvatica e la maggior parte lavora in zoo e cliniche per animali. I veterinari sono in prima linea nella difesa contro i patogeni emergenti e nel mondo abbiamo un disperato bisogno di più persone formate con queste capacità».

Secondo il team di Dobson e Pimm, estendere e sviluppare modi migliori per monitorare e regolamentare il commercio della fauna selvatica potrebbe essere fatto per circa 500 milioni di dollari all’anno, «Un costo insignificante rispetto agli attuali costi del Covid, soprattutto se si considerano vantaggi aggiuntivi come frenare il consumo di fauna selvatica e sostenere la biodiversità».

Il rallentamento della deforestazione tropicale rallenterebbe anche l’emergenza virale, inoltre ridurrebbe l’apporto di carbonio nell’atmosfera proveniente dagli incendi boschivi e proteggerebbe la biodiversità forestale. D’altra parte, riduce i ricavi provenienti da legname, pascolo e agricoltura. Vale la pena rinunciare a questi benefici tangibili, ma f economicamente concentrati? Gli autori affrontano questa parte della loro analisi costi-benefici da due prospettive economiche complementari: prima ignorando e poi includendo i benefici del carbonio stoccato come copertura assicurativa contro i cambiamenti climatici e non facendo alcun tentativo di valorizzare la perdita di biodiversità.

L’articolo su Science – Policy Forum si concentra soprattutto sui costi pubblici necessari per prevenire la prossma pandemia tipo Covid-19.

Un altro autore, l’epidemiologo di Ecohealth Alliance Peter Daszak, richiama i risultati di numerosi studi: «L’emergenza per agenti patogeni è essenzialmente un evento regolare quanto le elezioni nazionali: una volta ogni quattro o cinque anni». Amy Ando, ​​che insegna economia agricola e dei consumi all’università dell’Illinois-Urbana Champaign, aggiunge: «I nuovi agenti patogeni sono apparsi all’incirca allo stesso ritmo di nuovi presidenti, deputati, senatori e primi ministri! Potremmo vedere i costi del Covid salire da oltre 8 a 15 trilioni di dollari, con molti milioni di persone disoccupate e che vivono in lockdown».

Il costo annuale per la prevenzione di futuri focolai è paragonabile approssimativamente all’1-2% della spesa militare annuale dei 10 paesi più ricchi del mondo. Dobson conclude: «Se consideriamo la continua battaglia contro gli agenti patogeni emergenti come il Covid-19 come una guerra che tutti dobbiamo vincere, l’investimento nella prevenzione sembra avere un valore eccezionale».

Ma evidentemente una parte dell’umanità preferisce armarsi e spararsi che salvare sé stessa e la biodiversità del pianeta.

fonte: www.greenreport.it

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Coronavirus: oltre 100 esperti ritengono sicuri i contenitori riutilizzabili














Oltre 100 esperti di salute pubblica e ricercatori di diciotto Paesi, tra cui l’Italia, hanno sottoscritto una dichiarazione indirizzata a consumatori, rivenditori, aziende e classe politica sostenendo che i contenitori riutilizzabili sono alternative sicure per la salute durante l’emergenza COVID-19. In tutto il mondo, infatti, sta aumentando l'uso della plastica monouso che potrebbe avere conseguenze decisamente disastrose sull'ambiente.

Gli esperti sanitari - insieme a Greenpeace e UPSTREAM, organizzazioni della coalizione internazionale Break Free From Plastic - confermano che gli imballaggi monouso, inclusi quelli di plastica, non sono affatto più sicuri di quelli riutilizzabili e che i sistemi basati su prodotti sfusi e ricarica sono assolutamente sicuri se si rispettano le regole basilari di igiene.

"La tutela della nostra salute deve includere il rispetto e la pulizia della nostra casa, il Pianeta", ha dichiarato il dott. Mark Miller, ex direttore di ricerca presso il Fogarty International Center del National Institutes of Health degli USA. "La promozione di inutili oggetti in plastica monouso per la presunta riduzione dell'esposizione al coronavirus genera un impatto negativo sull'ambiente, sui mari e sulle acque rispetto all'uso sicuro di sacchetti, contenitori e utensili lavabili e riutilizzabili".

La dichiarazione sottolinea che disinfettanti e detergenti di uso domestico quotidiano sono efficaci nel disinfettare le superfici e i contenitori riutilizzabili. La dichiarazione è una risposta ai rinvii e alle sospensioni temporanee su divieti, normative e tassazioni, tra cui la plastic tax nel nostro Paese, registrati in tutto il mondo durante la pandemia.

"Approfittare delle crisi per promuovere la plastica usa e getta, spaventando le persone sull’uso di borse, contenitori e altri oggetti riutilizzabili - ottenendo così la sospensione di provvedimenti nei confronti dell’industria della plastica - è la prova che questo sistema è marcio. Il nostro Pianeta, e in particolare il nostro mare, è malato anche per l'inquinamento da plastica e la pandemia che viviamo ci insegna che non c’è più tempo da perdere", dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace. “Per mantenere le persone al sicuro e proteggere la nostra casa, dobbiamo ascoltare la scienza invece del marketing subdolo dell'industria della plastica che continua a fare profitti a scapito del Pianeta".

fonte: https://www.ilgiornaledellaprotezionecivile.it


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Annunciati i finalisti del 2020 LIFE Awards

Fra i 15 progetti selezionati anche due italiani


La Commissione europea ha selezionato i 15 finalisti per i LIFE Awards di quest'anno che si terranno in autunno. Gli Awards, giunti al loro 14° anno, riconoscono i progetti LIFE più innovativi, ispiratori ed efficaci in tre categorie: azione per il clima, protezione dell'ambiente e della natura.

Fra i progetti selezionati solamente due quelli realizzati nel nostro paese:
LIFE RE Mida - Innovative Methods for Residual Landfill Gas Emissions Mitigation in Mediterranean Regions, un progetto condotto dal Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Firenze in collaborazione con Regione Toscana, Siena Ambiente SpA e CSAI SpA. Di Life Re Mida ne abbiamo parlato a più riprese anche su Arpatnews.
LIFE HEROTILE - High Energy savings in building cooling by ROof TILEs shape optimization toward a better above sheathing ventilation, un progetto condotto da Industrie Cotto Possagno S.p.A. in collaborazione con l'Università di Ferrara, Terreal SaS, Monier TC, Azienda Casa Emilia Romagna, Associazione Nazionale Industriali dei Laterizi.
Protezione della natura


LIFE for Safe Grid
WOLFLIFE
LIFE+SCALLUVIA
LIFE-Aurinia
LIFE DINALP BEAR
Ambiente
WISER LIFE
LIFE COGENERATION PL
LIFE DEBAG
FLAW4LIFE
LIFESURE
Azioni per il clima
LIFE RE Mida
LIFE HEROTILE
FIRELIFE
LIFE Carbon Dairy
LIFEPeatLandUse

fonte: http://www.arpat.toscana.it/



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La protezione dell'ambiente e del clima è importante per oltre il 90% dei cittadini europei

Secondo una nuova indagine dell'Eurobarometro























Secondo una nuova indagine Eurobarometro, il 94% dei cittadini di tutti gli Stati membri concorda sul fatto che la protezione dell'ambiente è importante. Inoltre, il 91% dei cittadini ha dichiarato che i cambiamenti climatici costituiscono un problema grave nell'UE. A giudizio dell'83% degli intervistati, la legislazione europea è necessaria per proteggere l'ambiente.

Dall'indagine eurobarometro emerge che i cittadini vogliono che si faccia di più per proteggere l'ambiente e ritengono che la responsabilità sia condivisa, oltre che da loro stessi, anche dalle grandi imprese e dall'industria, dai governi nazionali e dall'UE. I cittadini intervistati ritengono che per affrontare più efficacemente i problemi ambientali occorra "cambiare i nostri modelli di consumo" e "cambiare il nostro modo di produrre e commercializzare i prodotti".
Il commissario per l'Ambiente, Virginijus Sinkevičius, ha dichiarato:"I risultati di questa indagine non ci sorprendono. Sono esattamente le preoccupazioni dei cittadini che noi vogliamo affrontare con il Green Deal europeo. Mi rincuora constatare che esiste un sostegno a favore di quei cambiamenti fondamentali che ci apprestiamo ad apportare alla nostra società e alla nostra economia e che i cittadini intendono svolgere un ruolo attivo in questo cambiamento."
Stando ai risultati dell'indagine i cambiamenti climatici, l'inquinamento atmosferico e i rifiuti sono i tre problemi più gravi che riguardano l'ambiente. Più di tre quarti degli intervistati (78%) ritiene che le questioni ambientali abbiano ricadute dirette sulla loro vita di tutti i giorni e sulla loro salute. Più di otto cittadini su dieci sono preoccupati per l'impatto delle sostanze chimiche presenti in prodotti di uso quotidiano e riconoscono che potrebbero essere necessari dei cambiamenti radicali.
Gli oltre 27.000 intervistati esprimono un forte sostegno per le misure proposte volte a ridurre la quantità dei rifiuti di plastica e la loro dispersione nell'ambiente. I risultati indicano anche che i cittadini ritengono che i prodotti dovrebbero essere concepiti in modo da facilitare il riciclaggio di questo materiale; industriali e commercianti dovrebbero sforzarsi di ridurre gli imballaggi di plastica; si dovrebbero prevedere interventi educativi rivolti ai cittadini su come ridurre i loro rifiuti di plastica; le autorità locali, infine, dovrebbero mettere a disposizione strutture migliori per la raccolta di questo tipo di rifiuti e prevederne in numero più elevato.
L'indagine prende in esame anche gli atteggiamenti nei confronti dell'industria dell'abbigliamento, riscontrando forti preoccupazioni per le questioni ambientali e le condizioni di lavoro. Gli intervistati vorrebbero indumenti in grado di durare più a lungo e fabbricati con materiali riciclabili.
È infine emerso un sostegno a favore di altre misure, tra cui gli investimenti nella ricerca e sviluppo, una maggior attività di informazione e di educazione, un incoraggiamento alle imprese ad impegnarsi in attività sostenibili e un controllo legislativo più rigoroso.
I dati sono disponibili anche in modo differenziato per i cittadini italiani (1.020) che hanno risposto al questionario.
fonte: http://www.arpat.toscana.it

Basta microplastiche nelle nostre acque! Da Biella una petizione per salvare il pianeta

Una filiera tessile sostenibile e consumatori consapevoli: sulla piattaforma online Change.org è stata lanciata una petizione mirata all'approvazione, in Italia, di una legge volta alla protezione dei mari della penisola. L'iniziativa, partita da due imprenditori della città laniera, conta attualmente oltre 14mila firmatari.




“Attiviamoci affinché in Italia venga approvata una legge a protezione dei nostri mari, che darebbe un forte impulso economico alla nostra filiera tessile, notoriamente legata alla produzione di capi in fibre naturali come il cotone, la lana e la seta e che quindi crei nuovi posti di lavoro”: è questo quanto si legge nella petizione Basta microplastiche nelle nostre acque, lanciata su Change.org da Giovanni Schneider, amministratore delegato del Gruppo Schneider(e della Pettinatura di Verrone).

Cambiare il mondo a partire dagli abiti che indossiamo e dalla produzione, quindi, innestando una sensibilizzazione sociale sui temi ambientali e sugli strumenti che possano ovviare alle problematiche green. Una delle via per contrastare, ad esempio, l’inquinamento dei mari passa dall’acquisto e dalla produzione di capi non sintetici: a questo proposito, nella petizione, viene spiegato come la plastica arrivi negli oceani anche attraverso le lavatrici, in quanto i vestiti composti da tessuti sintetici rilasciano nei cestelli centinaia di migliaia di microfibre plastiche.
In ogni lavaggio, quindi, si fa un potenziale danno ai mari, con le particelle inquinanti che passano dalle fogne ai corsi d’acqua nostrani. Il danno, come intuibile, è all’intero ecosistema, salute dell’uomo compresa. La plastica, infatti, viene ingerita da molti organismi e animali marini, entrando così anche nella catena alimentare.




In quest’ottica, segnali concreti sono arrivati dall’America: in California è in dirittura d’arrivo la legge che renderà obbligatoria l’etichettatura dei capi d’abbigliamento che contengono oltre il 50% di fibre sintetiche; lo Stato di New York ha presentato il disegno di legge AB 1549 (se approvato entrerà in vigore a gennaio 2021) che prevede come nessuna persona, azienda o associazione possa vendere in negozio alcun capo di abbigliamento – scarpe e cappelli esclusi – realizzato con tessuto composto per più del 50% di materiale sintetico senza un’apposita etichetta informativa.

Il disegno di legge in questione, come si legge nella petizione, fornisce anche una chiara definizione di microfibra plastica, ovvero ‘una piccola particella sintetica di forma fibrosa, lunga meno di cinque millimetri, che viene rilasciata nell’acqua attraverso il normale lavaggio di tessuti in materiale sintetico’.
Oltre alle istruzioni previste per la cura del capo, l’etichetta – in forma di cartellino o adesivo – dovrà riportare ben in vista, a beneficio del consumatore, delle informazioni di carattere divulgativo sui possibili danni dati dal lavaggio in lavatrice, consigliando quello manuale.

Elena Schneider, che insieme al fratello sostiene la petizione, è intervenuta ai nostri microfoni e ha messo in luce la battaglia pro-ambiente intrapresa con "Basta microplastiche nelle nostre acque": “Come in California e a New York – esordisce – il nostro obiettivo è che venga approvata una legge a riguardo anche in Italia. Per questo vogliamo dare più risonanza possibile alla petizione, che attualmente conta oltre 14mila firmatari. Quando i numeri saranno ancor più elevati, la rivolgeremo a Sergio Costa, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Con la petizione vogliamo anche sensibilizzare il consumatore a guardare l’etichetta dei vestiti, non soltanto per vederne la composizione (spesso sintetica), ma per capire come trattare il capo di abbigliamento nel lavaggio”.




Per limitare l’impatto ambientale, informazione e consapevolezza viaggiano verso la sostenibilità su binari paralleli e trovano la stazione di partenza proprio a Biella, città laniera per antonomasia. Un segnale forte, arrivato dalla provincia piemontese che ha il tessile nel suo DNA, in una tradizione nel segno della continuità. Elena e Giovanni, che hanno lanciato la petizione, sono entrambi imprenditori biellesi impegnati nell’azienda tessile di famiglia.

Le loro ragioni non sono solo di natura ‘territoriale’, ma sono principalmente legate a topic come ambiente e sostenibilità, ai quali l’imprenditrice è sempre stata sensibile. “Mio fratello e io – argomenta – siamo sempre stati toccati da questi temi. Io, ad esempio, ho lavorato con Slow Foode la nostra azienda, già undici anni fa, partecipò a Terra Madre – Salone del Gusto presentando un manifesto per le fibre naturali, firmato da Petrini nel 2008. Carlìn è stato il mio mentore e ho anche scritto la mia tesi di laurea su Slow Food”.

Il legame tra Elena Schneider e Petrini non finisce qui: “Ho sentito – racconta – per la prima volta da lui il termine co-produttore, in sostituzione a quello di consumatore. Si farebbero dei passi avanti se si ragionasse in termine di co-produzione invece che di consumo.

Come le etichette che informano sugli ingredienti degli alimenti, anche quelle nei vestiti avrebbero la funzione di far comprendere l’impatto ambientale e sociale che ha un determinato capo di abbigliamento. Non bisogna far finta che il problema non ci tocchi: siamo tutti co-produttori di ciò che mangiamo e vestiamo. La tracciabilità e la relativa attenzione – conclude – non devono esserci solo sul cibo, ma vanno rivolte anche ai vestiti; bisogna andare al di là della griffe e capire cosa c’è dietro a un marchio. La consapevolezza è fondamentale: estetica ed etica possono coesistere”.

fonte: http://piemonte.checambia.org

L’educazione ambientale e alla sostenibilità nel Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente


















Il 16 e il 17 gennaio 2019 a Roma, presso la sede dell’ISPRA, l’SNPA, attraverso la Rete Referenti e il Gdl Educazione ambientale e alla sostenibilità, presenterà la propria strategia e azioni per l’educazione ambientale in una due giorni di riflessione interna e di confronto e dialogo con altri importanti interlocutori. In particolare, il 16 gennaio si svolgerà una tavola rotonda cui interverranno i rappresentanti delle principali reti educanti di livello nazionale. Il 17 gennaio si terrà invece un seminario formativo riservato ai referenti e personale delle Agenzie, per condividere metodologie, strumenti e prossime azioni comuni.
Tutto ciò anche quale contributo strategico e programmatico da offrire all’SNPA in vista della prima Conferenza nazionale di febbraio 2019, che vede tutto il Sistema impegnato in quell’opera di miglioramento delle proprie funzioni e servizi e di rinnovato dialogo con i propri stakeholder: amministrazioni governative nazionali e locali, enti pubblici, associazioni di impresa e ambientali, cittadini.

Brochure Educazione ambientale in Snpa

fonte: http://www.snpambiente.it