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Raccolta differenziata, quanta confusione sulle etichette. L’indagine sulle indicazioni di smaltimento di Junker ed Economia Circolare















A volte capire dove buttare gli imballaggi dei prodotti sembra un vero rebus. Di fronte a confezioni realizzate con materiali sempre più complessi, spesso formati da componenti differenti e multistrato, non è sempre facile individuare ...

Gli europei considerano i cambiamenti climatici il problema più grave a livello mondiale

L’indagine Eurobarometro ha coinvolto 26.669 cittadini di diversi gruppi sociodemografici dei 27 Stati membri dell’Ue.




















Un nuovo sondaggio Eurobarometro pubblicato ieri mostra che i cittadini europei ritengono che i cambiamenti climatici siano il problema più grave che il mondo si trova ad affrontare. Oltre nove persone intervistate su dieci ritengono che i cambiamenti climatici siano un problema grave (93 %), e quasi otto su dieci (78 %) lo ritengono molto grave. Alla domanda di individuare il problema più grave a livello globale, oltre un quarto (29 %) ha indicato i cambiamenti climatici (18 %), il deterioramento della natura (7 %) oppure i problemi di salute causati dall’inquinamento (4 %).

In termini di risposta politica, nove europei su dieci (90 %) concordano sulla necessità di ridurre al minimo le emissioni di gas a effetto serra, compensando allo stesso tempo le emissioni residue affinché l’UE raggiunga la neutralità climatica entro il 2050. Quasi nove europei su dieci (87 %) pensano che sia importante che l’UE fissi obiettivi ambiziosi per aumentare il ricorso alle energie rinnovabili e la stessa percentuale crede che sia importante che l’UE fornisca un sostegno per migliorare l’efficienza energetica.

“Nonostante la pandemia e le difficoltà economiche che gli europei si trovano ad affrontare, il sostegno per l’azione climatica – ha dichiarato il Vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo Frans Timmermans – resta elevato. Gli europei sono consapevoli dei rischi a lungo termine rappresentati dalle crisi del clima e della biodiversità e si aspettano un’azione da parte dell’industria, dei governi e dell’Unione europea. I dati di questo sondaggio Eurobarometro fungono da richiamo ai politici e alle imprese. Per la Commissione europea sono un’ulteriore motivazione per finalizzare il pacchetto legislativo “Pronti per il 55 %” che presenteremo nel corso del mese per essere certi di realizzare i nostri obiettivi climatici.”

Secondo l’indagine la maggioranza (64 %) dei cittadini dell’UE sta già agendo individualmente a favore del clima e compie consapevolmente scelte sostenibili nella vita quotidiana. Alla domanda su chi sia responsabile per affrontare i cambiamenti climatici, i cittadini hanno sottolineato l’esigenza di riforme strutturali per accompagnare le azioni individuali, indicando i governi nazionali (63 %), il settore commerciale e industriale (58 %) e l’UE (57 %). Oltre otto europei sondati su dieci (81 %) concordano sul fatto che le energie pulite dovrebbero ricevere un maggiore sostegno finanziario pubblico, anche se questo comporta una riduzione dei sussidi per i combustibili fossili. Tre quarti degli europei (75 %) ritengono che gli investimenti per la ripresa economica dovrebbero concentrarsi principalmente sulla nuova economia verde.

Vi è una chiara consapevolezza in merito al fatto che la lotta contro i cambiamenti climatici porta con sé opportunità per i cittadini dell’UE e per l’economia europea. Quasi otto europei su dieci (78 %) concordano sul fatto che l’azione a favore del clima si tradurrà in innovazioni che renderanno le imprese europee più competitive. Quasi otto europei su dieci (78 %) concordano sul fatto che promuovere la competenza dell’UE in materia di energie pulite in paesi extraeuropei possa contribuire a creare nuovi posti di lavoro nell’UE. Sette europei su dieci (70%) ritengono che ridurre le importazioni di combustibili fossili possa avvantaggiare economicamente l’UE. Oltre sette europei su dieci (74 %) concordano sul fatto che i costi dei danni causati dai cambiamenti climatici siano molto superiori agli investimenti necessari per la transizione verde.

fonte: www.panoramasanita.it



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L’economia dell’usato in Italia vale 24 miliardi di euro

Osservatorio Second Hand Economy condotto da BVA Doxa per Subito: la compravendita dell'usato si conferma un comportamento sempre più diffuso e virtuoso, in grado di incidere positivamente sul futuro delle persone, del Paese e del pianeta.


















A poche settimane dall'inizio della fase due nel nostro Paese, dopo mesi in cui le persone si sono dovute fermare ripensando il proprio presente e futuro, diventa quanto mai importante ripartire facendo leva su comportamenti virtuosi che incidano positivamente sulla ripresa. In questa direzione si inserisce la second hand economy, una forma di economia circolare sempre più rilevante, che può rappresentare una risposta concreta non solo per le persone, ma anche per il Paese e per il pianeta, generando valore reale in modo sostenibile.
La conferma arriva dalla sesta edizione dell'Osservatorio Second Hand Economy condotto da BVA Doxa per Subito, piattaforma n.1 in Italia per vendere e comprare con oltre 13 milioni di utenti unici mensili**, che ha evidenziato come il valore generato dalla compravendita dell'usato nel 2019 sia di 24 miliardi di euro, pari all'1,3% del PIL italiano, in costante aumento grazie soprattutto all'online, che pesa 10,5 miliardi di euro, ovvero il 45% del totale.
Highlight Osservatorio Second Hand Economy 2019
La Second Hand Economy nel 2019 vale 24 miliardi di €, pari all'1,3% del PIL italiano (vs € 23 miliardi del 2018), con una crescita del 33% in 5 anni
L'online continua a crescere e pesa per il 45%, ovvero € 10,5 miliardi (+55% rispetto al 2015)
1 italiano su 2 ha venduto e/o comprato usato, 21 milioni l'hanno fatto nel 2019, il 58% l'ha fatto online
Il 66% degli Italiani che fanno second hand ha comprato e/o venduto almeno una volta ogni 6 mesi
I settori più importanti in termini di valore sono Motori (€ 11,9 mld), Casa&Persona (€ 5,5 mld, settore con la maggiore crescita vs 2018 che era 3,8mld), Elettronica (€ 3,3 mld), Sports&Hobby (€ 2,7 mld)
Le regioni in cui l'economia dell'usato genera più valore sono Lombardia (€ 3,1 mld), Lazio (€ 2,9 mld) e Campania (€ 2,4 mld)
Nel 2019 chi ha venduto oggetti usati ha guadagnato in media € 1.087 all'anno, ma in ben 5 regioni si registra un dato più alto: le prime regioni per guadagno medio pro-capite sono Marche (€ 1.493), Toscana (€ 1.286), Sardegna (€ 1.258), Lazio (€ 1.179) e Veneto (€ 1.159)

"L'emergenza che abbiamo vissuto in questi mesi ci ha obbligati a fermarci e a ripensare il nostro modo di vivere, dandoci l'opportunità di ripartire migliori di prima", dichiara Giuseppe Pasceri, CEO di Subito. "I dati dell'Osservatorio Second Hand Economy ci dicono che l'economia dell'usato può essere una vera e propria leva per ripartire: per il Paese, perché è una forma di economia partecipativa che produce valore e mette in circolo risorse; per le persone, cui fornisce un beneficio economico tangibile; ma anche per il pianeta. Covid-19 ci ha fatto sentire tutta la nostra fragilità, ma anche il potere di fare la differenza con i nostri comportamenti. Comprare e vendere usato è un gesto semplice, immediato, alla portata di tutti e con un impatto diretto e misurabile sul cambiamento climatico. Lo scorso anno ad esempio grazie ai 18 milioni di oggetti venduti su Subito abbiamo risparmiato 5 milioni di tonnellate di CO2, come aver bloccato il traffico di Roma per 1 anno!".

Comprare e vendere usato si conferma al quarto posto tra i comportamenti sostenibili più diffusi degli italiani (49%), subito dopo la raccolta differenziata (95%), l'acquisto di lampadine a LED (77%) e di prodotti a km 0 (56%). In linea con quanto registrato lo scorso anno, continua a crescere l'importanza che viene data all'aspetto valoriale nella decisione di fare second hand, perché porta vantaggi non solo a livello personale, ma anche ambientale e sociale. L'economia dell'usato è quindi sempre di più una scelta sostenibile (44%), intelligente e attuale(40%), ma anche un modo per dare valore alle cose (37%).
Tra chi acquista scende leggermente la percentuale di chi fa second hand per risparmiare (59%), che rimane tuttavia rilevante, confermando la possibilità di fare un buon affare come condizione essenziale nella compravendita dell'usato. Cresce la volontà di trovare pezzi unici o vintage (51%) e di contribuire all'abbattimento degli sprechi e al benessere ambientale attraverso il riutilizzo (48%), che insieme a chi lo considera un modo di intelligente di fare economia (39%), avvalora la tesi dell'economia dell'usato come un circolo virtuoso grazie al quale gli oggetti che hanno vissuto una prima vita, ne possono vivere una seconda, ma anche una terza o una quarta. Il 33% di chi acquista usa l'oggetto e poi lo regala quando non serve più, il 19% lo colleziona e il 9% prova a rivenderlo.
Tra le ragioni che spingono invece alla vendita, il primo driver resta sempre la voglia di decluttering e la necessità di liberarsi del superfluo(76%), mentre il 42% vende perché crede nel riuso ed è contro gli sprechi, il 37% per guadagnare e il 16% perché desidera reinvestire il guadagno per comprare oggetti nuovi o usati. Esistono poi delle occasioni che favoriscono la vendita, come l'inutilizzo prolungato (73%), la voglia di passare a un modello superiore (32%), cambiamenti di tipo famigliare (22%) oppure un trasloco (18%). Tendenze che vengono confermate anche dall'uso che viene fatto dei soldi guadagnati dalla vendita, che vengono per lo più conservati per l'economia di casa (47%) ma utilizzati anche per acquistare altri oggetti usati (20%) oppure nuovi (17%).

fonte: www.greencity.it

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La protezione dell'ambiente e del clima è importante per oltre il 90% dei cittadini europei

Secondo una nuova indagine dell'Eurobarometro























Secondo una nuova indagine Eurobarometro, il 94% dei cittadini di tutti gli Stati membri concorda sul fatto che la protezione dell'ambiente è importante. Inoltre, il 91% dei cittadini ha dichiarato che i cambiamenti climatici costituiscono un problema grave nell'UE. A giudizio dell'83% degli intervistati, la legislazione europea è necessaria per proteggere l'ambiente.

Dall'indagine eurobarometro emerge che i cittadini vogliono che si faccia di più per proteggere l'ambiente e ritengono che la responsabilità sia condivisa, oltre che da loro stessi, anche dalle grandi imprese e dall'industria, dai governi nazionali e dall'UE. I cittadini intervistati ritengono che per affrontare più efficacemente i problemi ambientali occorra "cambiare i nostri modelli di consumo" e "cambiare il nostro modo di produrre e commercializzare i prodotti".
Il commissario per l'Ambiente, Virginijus Sinkevičius, ha dichiarato:"I risultati di questa indagine non ci sorprendono. Sono esattamente le preoccupazioni dei cittadini che noi vogliamo affrontare con il Green Deal europeo. Mi rincuora constatare che esiste un sostegno a favore di quei cambiamenti fondamentali che ci apprestiamo ad apportare alla nostra società e alla nostra economia e che i cittadini intendono svolgere un ruolo attivo in questo cambiamento."
Stando ai risultati dell'indagine i cambiamenti climatici, l'inquinamento atmosferico e i rifiuti sono i tre problemi più gravi che riguardano l'ambiente. Più di tre quarti degli intervistati (78%) ritiene che le questioni ambientali abbiano ricadute dirette sulla loro vita di tutti i giorni e sulla loro salute. Più di otto cittadini su dieci sono preoccupati per l'impatto delle sostanze chimiche presenti in prodotti di uso quotidiano e riconoscono che potrebbero essere necessari dei cambiamenti radicali.
Gli oltre 27.000 intervistati esprimono un forte sostegno per le misure proposte volte a ridurre la quantità dei rifiuti di plastica e la loro dispersione nell'ambiente. I risultati indicano anche che i cittadini ritengono che i prodotti dovrebbero essere concepiti in modo da facilitare il riciclaggio di questo materiale; industriali e commercianti dovrebbero sforzarsi di ridurre gli imballaggi di plastica; si dovrebbero prevedere interventi educativi rivolti ai cittadini su come ridurre i loro rifiuti di plastica; le autorità locali, infine, dovrebbero mettere a disposizione strutture migliori per la raccolta di questo tipo di rifiuti e prevederne in numero più elevato.
L'indagine prende in esame anche gli atteggiamenti nei confronti dell'industria dell'abbigliamento, riscontrando forti preoccupazioni per le questioni ambientali e le condizioni di lavoro. Gli intervistati vorrebbero indumenti in grado di durare più a lungo e fabbricati con materiali riciclabili.
È infine emerso un sostegno a favore di altre misure, tra cui gli investimenti nella ricerca e sviluppo, una maggior attività di informazione e di educazione, un incoraggiamento alle imprese ad impegnarsi in attività sostenibili e un controllo legislativo più rigoroso.
I dati sono disponibili anche in modo differenziato per i cittadini italiani (1.020) che hanno risposto al questionario.
fonte: http://www.arpat.toscana.it

Indagine della BEI sul Clima: il 94% degli italiani intende smettere di utilizzare le bottiglie di plastica e il 66% lo ha già fatto

La Banca europea per gli investimenti (BEI) ha lanciato la seconda edizione dell’Indagine sul Clima, condotta in partenariato con la BVA. L’indagine è un indicatore di come i cittadini percepiscono il fenomeno dei cambiamenti climatici nell’Unione europea, negli Stati Uniti d’America e in Cina
















La Banca europea per gli investimenti (BEI) ha lanciato la seconda edizione dell’Indagine sul Clima, condotta in partenariato con la BVA, una società di consulenza specializzata in ricerche di mercato. L’indagine è un indicatore di come i cittadini percepiscono il fenomeno dei cambiamenti climatici nell’Unione europea, negli Stati Uniti d’America e in Cina. La seconda serie di risultati fa luce sulle azioni che i singoli cittadini contano di fare per contrastare i cambiamenti climatici.
Paragonati al resto d’Europa, gli italiani dicono nel complesso di essere disposti a fare di più per adeguare il loro stile di vita nel segno della prevenzione ai cambiamenti climatici. L’indagine valuta le seguenti quattro categorie di azioni:
Prodotti alimentari. La sostenibilità in materia alimentare è al centro dell’impegno dei cittadini italiani. Il 93% cerca attivamente di comprare più prodotti locali e stagionali e il 48% lo fa già sistematicamente. Gli italiani si dicono anche pronti a modificare la loro alimentazione: il 73% ha ridotto il consumo di carne rossa. Vi è in ogni caso una discrepanza tra le fasce di età più giovani e quelle più anziane: rispetto ai più giovani, gli italiani più anziani si impegnano di più ad acquistare unicamente prodotti alimentari locali. 
Rifiuti. Il 97% degli italiani non usa più prodotti in plastica, o almeno ne ha ridotto il consumo. Più in particolare, il 94% degli italiani dice di avere l’intenzione di smettere di comprare le bottiglie di plastica, il 96% ha intenzione di comprare meno prodotti imballati con la plastica. Le donne, rispetto agli uomini, sembrano essere più propense a limitare il consumo della plastica: il 65% delle italiane dice di aver smesso di utilizzare i sacchetti di plastica per la spesa rispetto al 55% degli uomini.
Trasporti. Quando si tratta di optare per mezzi di trasporto più ecocompatibili, il 69% degli italiani dice di scegliere di camminare oppure di prendere la bicicletta per gli spostamenti giornalieri. Solo il 54% sceglie di usare i trasporti pubblici, percentuale che è inferiore alla media europea (64%). 
Vacanze. Il 77% degli italiani dice di trovarsi d’accordo con l’idea di fare meno viaggi in aereo per combattere i cambiamenti climatici, percentuale che è superiore di due punti rispetto alla media europea (75%). Per il 30% degli italiani si tratta già di una pratica consueta.  Analogamente, l’86% dei cittadini italiani dice che opterebbe per il treno, invece dell’aereo, per delle percorrenze pari o inferiori a cinque ore.  
Abitazione. Il 38% degli italiani dice di aver ridotto l’uso dei condizionatori, come pratica rispettosa dell’ambiente, mentre coloro che si dicono disposti a non accenderli più nell’anno nuovo raggiungono il 75%, ovvero una percentuale quasi doppia. Inoltre, il 60% della popolazione intende passare a un fornitore di energia verde, mentre il 22% sostiene di averlo già fatto. 
Marchi e società. Il 79% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni dice di aver partecipato, o parteciperà, a manifestazioni a favore del clima, cifra che scende al 69% per la fascia di età compresa tra i 30 e i 64 anni. Inoltre, il 54% degli italiani intende investire in fondi verdi, e l’11% dice di averlo già fatto.
Anche i cittadini di altre parti del mondo si dimostrano disposti ad agire fattivamente contro i cambiamenti climatici nel 2020. Sul tema del ridurre il consumo della plastica il consenso è chiaro: l’81% degli americani, il 93% degli europei e il 98% dei cinesi dicono di aver l’intenzione di comprare meno prodotti di plastica. In ogni caso, per quanto riguarda l’abitazione, gli atteggiamenti non sono uniformi: oltre il 94% degli intervistati cinesi intende passare a un fornitore di energia verde, mentre solo il 70% degli europei e il 64% degli americani ha in conto di farlo. Un andamento analogo emerge nella propensione a investire in fondi verdi: oltre l’86% della popolazione in Cina è ben disposta a farlo nel 2020, mentre quella degli Stati Uniti lo è per il 56% e quella europea per il 52%. 
La Vicepresidente della BEI Emma Navarro, responsabile dell’azione per il clima e dell’ambiente, ha affermato: Mi entusiasma vedere quanto i cittadini europei si impegnino nella nostra lotta comune contro i cambiamenti climatici. Le azioni individuali positive per il clima creano quelle tendenze economiche e sociali nelle nostre società che saranno d’aiuto nel risolvere la problematica dei cambiamenti climatici. La Banca europea per gli investimenti è decisamente impegnata a fornire i mezzi che consentono ai cittadini di portare avanti questa lotta che è la realizzazione di un futuro più sostenibile. Rincuora vedere come le persone si facciano paladine di questa causa e la rendano parte integrante della loro vita: in questa lotta ce la faremo solo se decidiamo di batterci insieme.” 

Formia Rifiuti Zero – Indagine sulla soddisfazione degli utenti: il 92% non tornerebbe a una gestione privata, si richiedono maggiori controlli sul territorio
















Formia Rifiuti Zero, al fine di conoscere meglio i bisogni e le esigenze dell’azienda e per mettere in atto azioni che consentano di migliorare l’efficienza dei servizi offerti, ha chiesto a distanza di un anno ai cittadini di Formia una seconda opinione su come vengano percepiti e valutati i servizi erogati, nonché quali siano le aspettative per poter prestare un’offerta coerente all’esigenze della cittadinanza.
Il questionario somministrato, nel mese di marzo, via telefono è stato articolato in tre sezioni:
–        valutazione sui servizi erogati dall’azienda; –
–        valutazione di carattere generale sulla comunicazione;
–        valutazione sui canali di contatto dell’azienda.
Le interviste realizzate – utilizzate in forma aggregata e solo per finalità statistiche – sono 372 di cui 345 alle utenze domestiche (famiglie), 27 agli amministratori di condominio.
I risultati raccolti sono occasione per Formia Rifiuti Zero per evidenziare punti di forza, di debolezza e opportunità di miglioramento per alcune particolari tipologie di servizi.
Tra i punti di forza, il 93% degli intervistati non tornerebbe a una gestione privata dei servizi di igiene urbana,  l’87,5% (contro il 74 % dell’anno scorso) degli intervistati preferisce la raccolta differenziata porta a porta rispetto alla raccolta differenziata stradale; 8,0 su 10 (l’anno scorso 7,1) è il giudizio medio degli intervistati sulla disponibilità degli operatori della raccolta; 8,1 su 10( l’anno scorso 7,4 ) è il giudizio sulla puntualità della raccolta differenziata porta a porta; 7,7 su 10 (l’anno scorso 7)  il giudizio in generale della raccolta differenziata.
Tali giudizi sono espressi dalle utenze domestiche in modo più positivo rispetto agli amministratori di condominio.
Tra i punti di debolezza emerge che 4,9 su 10 è il giudizio medio degli intervistati sul servizio di pulizia dei marciapiedi e delle strade; il 51% ritiene che l’abbandono dei rifiuti potrebbe risolversi con maggiori controlli e sanzioni; il 63% degli intervistati non ha mai utilizzato l’isola ecologica; vi è uno scarso utilizzo del numero verde 800.911.334 e poca conoscenza dei canali di contatto internet (sito e pagina facebook) forniti da Formia Rifiuti Zero.
Attraverso l’indagine sono state raccolte indicazioni e suggerimenti su servizi che gli utenti vorrebbero che FRZ sviluppasse maggiormente in futuro, in particolare, si richiede una migliore pianificazione dello spazzamento, maggiori attività di controllo del territorio e sanzione e un piano di comunicazione riferito al sito web, al numero verde e alla pagina facebook dell’azienda (facilità di raggiungere le informazioni desiderate).
L’amministratore unico Raphael Rossi dichiara, “siamo molto soddisfatti, sia per i giudizi positivi che per le critiche, che ci permetteranno di migliorare. Molto soddisfacenti i giudizi sulla puntualità della raccolta 8,1 (+0,7 rispetto al 2017), sulla disponibilità dei nostri operatori 8,2 (+0,9 rispetto al 2017) che rappresentano un giusto riconoscimento degli sforzi di tutti i lavoratori a cui va il nostro ringraziamento.
Per le migliorie necessarie su spazzamento e controllo del territorio, lavoreremo perché i cittadini siano sempre più soddisfatti della loro società pubblica. Per quanto riguarda la comunicazione presto lanceremo il nuovo sito Internet che raccoglierà tutte le campagne di comunicazione che stiamo progettando grazie al finanziamento a fondo perduto del CONAI”.
fonte: http://www.formiarifiutizero.it

Trovate micro plastiche nelle acque in bottiglia

Analizzate 250 bottiglie di 11 marche in tutto il mondo, c’è anche la San Pellegrino













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Lo  studio “Synthetyc polymer contamination in bottled water” pubblicato da un team di ricercatori del Dipartimento di geologia e scienze ambientali della State University of New York –  Fredonia e rilanciato da Orb Media, una ONG di giornalismo investigativo di Washington, «Le analisi di più di 250 bottiglie di 11 marche rivelano contaminazioni di plastiche che includono il polipropilene, il nailon e il  tereftalato di polietilene (PET)». Le bottiglie di plastica analizzate sono quelle di 5 multinazionali: Aquafina, Dasani, Evian, Nestle Pure Life e San Pellegrino e di alv cuni marchi nazionali: Aqua (Indonesia), Bisleri (India), Epura (Messico), Gerolsteiner (Germania), Minalba (Brasile), Wahaha (Cina),

Quando i giornalisti di Orb Media hanno contattato due delle principali marche, le multinazionali hanno confermato che «i loro prodotti contengono microplastiche, però hanno detto che lo studio di Orb ne esagera in maniera significativa la quantità». Anche la BBC ha chiesto un commento alle imprese, che hanno risposto che i loro impianti di imbottigliamento vengono  gestiti secondo gli standard più elevati.

Ma dallo studio  sulla presenza di particelle di 100 micron nell’acqua delle bottiglie di plastica è emerso che, in media ce ne sono 10,4  per litro. Inoltre le analisi hanno mostrato la presenza di molto più particolato ancora più piccolo, fino a 6,5 micron, che secondo i ricercatori è probabilmente plastica e la cui media è di 314,6 perticelle per litro.

Sherri Mason, il docente di chimica a capo del team dell’università di Fredonia  che ha condotto le analisi, conferma: «la abbiamo trovata [la plastica] in bottiglia dopo bottiglia e in marchio dopo marchio. Non si tratta di puntare il dito su particolari brand, ma di dimostrare che è ovunque, che la plastica è diventata un materiale così pervasivo nella nostra società, che invade l’acqua: tutti questi prodotti che consumiamo ad un livello molto basilare«.

Attualmente, non ci sono prove che l’ingestione di microplastiche possa causare danni, ma diversi scienziati sono al lavoro per comprendere le potenziali implicazioni e Mason aggiunge: «I numeri che vediamo non sono catastrofici, ma sono preoccupanti». Inoltre gli esperti fannno notare che per chi vive nei Paesi in via di sviluppo, dove l’acqua del rubinetto è spesso contaminata, ovrebbero continuare a bere acqua dalle bottiglie di plastica.

Commentando i risultati dello studio, le multinazionali dell’acqua insistono sul fatto che i loro prodotti soddisfano i più alti standard di sicurezza e qualità e sottolineano l’assenza di qualsiasi regolamento sulle microplastiche e la mancanza di metodi standardizzati per testarle.

Già nel 2017  Mason aveva trovato particelle di plastica in campioni di acqua del rubinetto e altri ricercatori li hanno individuati nei frutti di mare, nella birra, nel sale marino e persino nell’aria. Lo studio appena pubblicato è il frutto di una crescente attenzione internazionale sull’inquinamento narino da plastica e microplastica.

Per eliminare qualsiasi rischio di contaminazione, sono stati filmati gli acquisti di acqua in bottiglia nei negozi e le consegne fatte dai corrieri delle bottiglie di acqua utilizzate nello studio. Lo screening della plastica prevedeva l’aggiunta in ogni bottiglia di un colorante chiamato Nile Red, una tecnica sviluppata recentemente dagli scienziati britannici per il rilevamento rapido della plastica nell’acqua di mare. Precedenti studi hanno stabilito che il colorante si attacca ai pezzi di plastica e li rende fluorescenti sotto certe lunghezze d’onda della luce.

Dopo, Mason e il suo team hanno filtrato i campioni colorati e poi hanno contato ogni pezzo più grande di 100 micron, grosso modo il diametro di un capello umano. Alcune di queste particelle, abbastanza grandi da essere trattate singolarmente, sono state quindi analizzate mediante spettroscopia a infrarossi, confermando che si trattava di plastiche  che sono state ulteriormente identificate secondo i particolari tipi di polimero. Per capire quante potevano essere le particelle fino a 6,5 micron è stata utilizzata una tecnica sviluppata in astronomia per contare le stelle nel cielo notturno.

Dato che lo studio non è stato sottoposto al consueto processo di peer review e alla pubblicazione in una rivista scientifica, la BBC ha chiesto dei commenti agli esperti del settore e Andrew Mayes, dell’università dell’East Anglia , uno dei pionieri della tecnica Nile Red, ha detto che si tratta di «chimica analitica di altissima qualità« e che i risultati sono «abbastanza prudenziali». Anche secondo Michael Walker, consulente dell’Office of the UK Government Chemist della Food Standards Agency il lavoro «E’ stato ben condotto e l’uso di Nile Red ha un ottimo pedigree». Entrambi hanno fatto notare che le particelle al di sotto dei 100 micron non sono state identificate come plastiche ma hanno detto che «dal momento che non erano previste alternative nell’acqua in bottiglia, potrebbero essere definite come probabilmente di plastica».


fonte: www.greenreport.it

LITTERING, QUELL'INCIVILE ABITUDINE DI GETTARE RIFIUTI PER STRADA
















Il gesto dell'uomo primitivo che si tirava dietro la schiena le ossa degli animali di cui si era nutrito o i noccioli dei frutti appena mangiati sembra essere rimasto nel nostro Dna se gettare in terra biglietti dell'autobus, mozziconi di sigaretta, scontrini e altri rifiuti minori è un fenomeno ancora molto diffuso in Italia a tutte le latitudini e trasversale alle varie fasce d'età. E non è un caso se questa cattiva abitudine, che in inglese viene definita 'littering', in italiano non ha una traduzione. 
Chi più, chi meno, chi con più senso di colpa, chi meno, siamo tutti un po' 'litterer' (colui o colei che fa littering, cioè abbandona piccoli rifiuti senza far uso degli appositi contenitori) e lo dimostra una recente indagine e relative linee guida nazionali per la comunicazione elaborate dall'AICA Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale, sulla base di una ricerca universitaria condotta dall’Università degli Studi di Torino che ha indagato il profilo sociologico del “litterer” italiano. Presentata in un convegno a Roma al ministero dell'Ambiente che si proponeva di analizzare il fenomeno dandogli una chiave interpretativa che potesse contribuire a ridurlo.
Un dato positivo dell'indagine, che ha previsto una fase di osservazione e una di interviste, è che si è litterer a tempo determinato. L'occasione, una determinata circostanza, un particolare contesto ambientale, ci porta a compiere un'azione che normalmente condanneremmo. Ciò significa che in un'altra condizione e in un contesto diverso la stessa persona potrebbe non compiere la stessa azione. In pratica ''un'area con evidenti segni di degrado è territorio fertile per il littering''. Questo tipo di 'devianza' ecologica e civica predilige le aree antistanti gelaterie e tabaccherie, istituti scolastici, università e stazioni ferroviarie, così come le aree periferiche o i raduni all'aperto. E si addice di più agli uomini: l'indagine rileva, infatti, che la propensione ad avere comportamenti corretti, cioè non littering, è per il 69,4% tra le donne e solo per il 60% tra gli uomini. La fascia d'età più scorretta risulta essere quella 20-24 anni. Il rifiuto più disperso nell'ambiente sono le sigarette: su 100 fumatori osservati 70 hanno abbandonato il mozzicone per terra dimostrando come questo tipo di littering sia diffusamente tollerato e giustificato anche tra chi giudica, in generale il littering un fenomeno grave dal punto di vista ambientale e civico e su una scala di gravità da 1 a 10 lo giudica superiore a 7. 




Per capire quanto l'abitudine del gettare la sigaretta a terra sia diffusa basti pensare che solo un terzo delle persone con in mano un potenziale litter(rifiuto) diventano poi litterer(cioè lo gettano fuori dagli appositi contenitori) mentre quasi due terzi delle persone che hanno tra le mani un mozzicone lo buttano o lasciano cadere disinvoltamente al suolo. Un gesto così comune da diventare quasi una caratteristica personale per un personaggio famoso come il commissario Maigret che Simenon, nei suoi romanzi, descrive spesso nello sbrigativo gesto di vuotare la pipa battendo il fornello sul tacco della scarpa, ovunque lui sia, al chiuso o all'aperto.
Altra peculiarità del littering è l'abbassamento del controllo sociale in gruppi numerosi che fa da contraltare all'innalzamento di tale forma di controllo se si parla di piccoli gruppi. Le iniziative messe in campo per contrastare il fenomeno, oltre a campagne di sensibilizzazione, sono numerose, tra le più efficaci quelle adottate da tempo in Svizzera dove classi scolastiche o anche singole persone diventano 'padrini' di un determinato spazio, lo curano e tengono pulito. A Lucerna ha ben funzionato un accordo tra il Comune ed una catena di fast food che si è impegnata a pulire le aree circostanti alle filiali e i parchi pubblici delle vicinanze.


fonte: www.ansa.it