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Negli Stati Uniti Pfas anche nell’acqua in bottiglia, soprattutto frizzante. Ma non c’è un limite legale. I risultati del test di Consumer Reports




Quindici anni prima che scoppiasse lo scandalo Pfas in Italia, ad essere colpiti furono gli Stati Uniti, quando ancora nessuno – ad eccezione degli addetti ai lavori – sapeva cosa fossero e quanto siano pericolose per la salute le sostanze perfluoroalchiliche che hanno contaminato bacini idrici e falde acquifere dal Veneto al West Virginia. Ed è proprio negli Usa che i Pfas spuntano anche nelle acque in bottiglia, come rivela un test dell’associazione Consumer Reports, che ne ha fatte analizzare 47 alla ricerca dei pericolosi composti, scoprendo che, curiosamente, se ne trovano di più nelle acque frizzanti.

Innanzitutto è indispensabile una precisazione. Negli Stati Uniti, a livello federale, non c’è un limite legale per i Pfas nelle acque in bottiglia, ma solo linee guida volontarie in cui si raccomanda un contenuto cumulativo di due specifici composti inferiore a 70 parti per trilione (ppt). Diversi stati hanno imposto limiti tra i 12 ppt e i 20 ppt, ma alcuni esperti sostengono che il contenuto totale di Pfas nell’acqua in bottiglia non dovrebbe superare 1 ppt, visto che si tratta di composti persistenti – chiamati in inglese anche forever chemicals – e soggetti ad accumulo nell’organismo. Ed è questa la soglia che Consumer Reports ha preso in considerazione per le sue analisi.


Negli Stati Uniti trovati Pfas anche nell’acqua in bottiglia, soprattutto in quella frizzante

Delle 35 acque naturali testate, la maggior parte, ben 32, conteneva quantità di Pfas rilevabili in laboratorio. Tuttavia, di queste solo 2 superavano la soglia di 1 ppt. Con le acque frizzanti, la questione si fa più interessante: delle 12 bottiglie analizzate, quelle con livelli di Pfas superiori al limite di 1 ppt consigliato dagli esperti sono oltre la metà (7), con valori che si avvicinano ai 10 ppt per un prodotto, l’acqua Topo Chico imbottigliata da Coca-Cola.

Perché le acque frizzanti sembrano contenere quantità maggiori di Pfas? Consumer Reports riporta alcune ipotesi: le fonti da cui sono state prelevate queste acque potrebbero casualmente essere contaminate in maniera più estesa, oppure non sono state trattate a sufficienza. Oppure, secondo Phil Brown, esperto del Pfas Project Lab della Northeastern University di Boston sentito dall’associazione, il fattore chiave potrebbe essere proprio il processo di aggiunta dell’anidride carbonica.

La presenza di Pfas nelle acque in bottiglia americane potrebbe anche avere a che fare con i diversi standard presenti negli Usa. Mentre in Italia e in Europa possono essere imbottigliate solo le acque di falda o giacimenti sotterranei con un alto grado di purezza, negli Stati Uniti è consentito la vendita in bottiglia di acque minerali, di sorgente, di pozzo artesiano, pozzo ed è persino permesso l’imbottigliamento dell’acqua potabile che esce dai normali rubinetti, dopo opportuni trattamenti. Che evidentemente non sono stati sufficienti.

fonte: www.ilfattoalimentare.it

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Acqua minerale al ristorante? In Spagna e Francia si beve quella del rubinetto, gli italiani preferiscono la bottiglia ed è record di consumi

















Nei sette giorni trascorsi nei Paesi Baschi spagnoli e francesi ho frequentato ristoranti, brasserie e tabernas dove ho sempre pasteggiato con acqua di rubinetto che loro chiamano agua de grifo e eau en bouteille. Il più delle volte il cameriere portava direttamente al tavolo la bottiglia senza richieste specifiche. In Italia, al contrario, la minerale si trova spesso sul tavolo del ristorante e chiedere l’acqua del sindaco come alternativa è sempre un’impresa. Anche se si dice sempre più sottovoce perché non è considerato un complimento, gli italiani sono i maggiori utilizzatori di acqua minerale in bottiglia.
Secondo l’ultima statistica firmata Beverfood nel 2018 abbiamo consumato 13,370 miliardi di litri. Stiamo parlando di 221 litri a testa, per una spesa familiare di circa 145 euro l’anno. Nel calcolo complessivo bisogna considerare anche 1,5 miliardi di litri esportati. Se esaminiamo  i consumi pro-capite in seconda posizione troviamo i tedeschi con 195, i francesi e gli spagnoli con 140, mentre gli inglesi arrivano a 50 circa. Escludendo quelle di vetro, il parco bottiglie italiano ammonta a quasi 12 miliardi di pezzi che nell’80-90% dei casi finiscono nei termovalorizzatori, negli impianti di incenerimento, in discarica e in parte vengono dispersi nell’ambiente. Anche se di poco i consumi sono  aumentati e i numeri sono a record. A dispetto dei numeri qualche segnale diverso a livello statistico si registra. Secondo l’Istat il numero di  famiglie che non si fidano di bere l’acqua di rubinetto sono passate dal 40% nel 2002  al 29% nel 2018, ma questa tendenza non incide sui consumi di acqua in bottiglia.  L’argomento viene poco trattato sui giornali e sui media perché il consumo esagerato non trova giustificazione in un Paese dove l’acqua del rubinetto in molti casi è di ottima qualità.
In Italia al ristorante solo acqua minerale ed è record mondiale di consumi
Un test condotto da Legambiente con l’Università di Milano Bicocca ha stabilito che l’acqua della rete idrica di Genova, Venezia, Milano e Palermo ha una composizione chimica confrontabile rispettivamente all’Acqua Panna, Rocchetta, Acqua Nepi e Acqua Claudia. Insomma il rubinetto come l’acqua minerale. I gestori della rete idrica pubblica mostrano però poco interesse rispetto ai consumi record. Per loro la cosa importante è garantire l’approvvigionamento e non si fanno troppe domande sulle perplessità di molti cittadini nei confronti dell’acqua di rete. Basta dire che buona parte delle persone ritiene i sassolini di calcare presenti nel filtro rompigetto corresponsabili dei calcoli renali. Al contrario le aziende imbottigliatrici fanno spot pubblicitari dove si vantano caratteristiche salutistiche come la scarsa presenza di sodio, l’alta percentuale di calcio e la minima presenza di sali con valori del tutto insignificanti se si considera il bilancio giornaliero.
Il quadro è disastroso ma non bisogna disperare. La borraccia è stato l’oggetto cult più regalato a Natale e moltissimi ragazzi e studenti hanno da tempo abbandonato le bottigliette di plastica a favore del contenitore in alluminio. Il segnale è importante. Speriamo che queste scelte possano ridurre i consumi di un prodotto troppo spesso inutile che ci posiziona al vertice di una classifica mondiale poco invidiabile.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Fridays for the future, la generazione che dice no alle bottigliette di plastica di acqua minerale





















Nella bellissima manifestazione a Milano per Friday for the future, ho visto sfilare per un’ora oltre 70 mila ragazzi con tantissimi cartelli colorati pieni di scritte contro l’inquinamento, la distruzione dell’ambiente e i modelli di vita e di consumo poco eco-frienfly.
Un’altra cosa mi ha colpito: non visto bottigliette di plastica di acqua minerale. È vero non c’era il sole e la temperatura era intorno i 22 gradi, ma la sensazione e che questi giovani abbiano scelto di cambiare alcuni comportamenti di consumo iniziando con le piccole cose quotidiane. Il rifiuto delle bottiglie di acqua minerale a favore della borraccia da riempire nelle fontanelle o al rubinetto, è un gesto molto importante perché è una scelta contro lo spreco e contro i prodotti inutili che modifica la percezione relativa al consumo dell’acqua minerale. La bottiglietta viene vissuta come un contenitore  superfluo, che può solo aumentare la quantità di plastica dispersa nell’ambiente. Si tratta di un prodotto non più di moda.
Friday for the future
I ragazzi di Friday for the future hanno iniziato con le piccole cose quotidiane
Certo in questo modo non si risolveranno il problema delle bottiglie vuote abbandonate nell’ambiente e dell’inquinamento da microplastiche, ma  siamo di fronte a una piccola ma importante scelta che possono fare tutti e subito. Forse grazie a questa generazione di ragazzi l’Italia non sarà più il primo paese al mondo a consumare acqua minerale in recipienti di plastica.
I giovani hanno deciso che bisogna bere l’acqua del rubinetto di casa, quella servita nelle caraffe al bar e in pizzeria. In questo modo  diminuirà  il numero allucinante di bottiglie di minerale che consumiamo ogni anno! Sono 11 miliardi, una cifra da brivido che ci colloca in cima alla classifica mondiale. Un record da dimenticare. Qui potete leggere un articolo con approfondimenti e dati sui consumi record di minerale in Italia.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Acqua da bere: le contraddizioni degli italiani

Il consumatore attribuisce all’acqua di rete pubblica il valore più alto, ma di fatto consuma quella imbottigliata. È quanto emerge dall’indagine “Splash”















Gli italiani predicano bene, ma razzolano male, visto che c’è incongruenza tra l’opinione dichiarata e il reale comportamento. Per lo meno in tema di acqua è così. Considerando le diverse filiere, il consumatore attribuisce all’acqua di rete pubblica il valore più alto, perché facilmente accessibile e sostenibile dal punto di vista ambientale, ma di fatto beve quella imbottigliata: un dipinto a tinte fosche, che però sembra destinato a qualche pennellata di colore. L’effetto delle pressioni dell’opinione pubblica internazionale, delle politiche comunitarie e la crescente attenzione alla sostenibilità ambientale, fanno pensare che ci sarà un progressivo incremento del consumo di acqua di rete pubblica.
È quanto emerge da Splash, l’indagine realizzata da The European House-Ambrosetti e Gruppo Celli – azienda leader nella produzione di erogatori per bevande – per ricostruire le fasi storiche e le cause che hanno portato l’Italia a essere “un Paese in bottiglia”.
Consumi e marketing
Il Belpaese è al primo posto in Europa per consumo pro capite di acqua in bottiglia, con 241 litri all’anno, mentre la media nel Vecchio Continente è di poco superiore ai 100 litri annui. Un insostenibile primato cui si è arrivati negli ultimi decenni: nel 1980 si consumavano 47 litri pro capite, quantitativo cresciuto di cinque volte in 35 anni. Fondamentale è stato il ruolo del marketing delle aziende che imbottigliano acqua minerale, che ha fatto leva sulla funzionalità del packaging e su insistenti promozioni pubblicitarie.
Sono state ideate bottiglie funzionali e quando negli anni ’70 c’è stata l’introduzione delle confezioni in plastica, comode e leggere da trasportare, il consumo si è esteso a tutto il fuori casa. Al resto hanno pensato i forti investimenti in campagne di comunicazione, per mettere in risalto le caratteristiche di salubrità e sicurezza dell’acqua minerale imbottigliata.

Sul fronte acqua pubblica, invece, ha predominato la totale assenza di comunicazione sulla filiera degli stringenti controlli che ne garantiscono la purezza.
Dettagli positivi
Secondo lo studio Splash, che ha coinvolto un campione rappresentativo di consumatori, il valore intrinseco dell’acqua è collegato a diversi fattori che condizionano la scelta di acquisto. Sicurezza, libertà di accesso e piacevolezza influenzano la sfera più personale, hanno poi una certa rilevanza le problematiche ambientali legate ai rifiuti che si generano e quelle della sostenibilità nell’uso delle risorse collegate al trasporto del prodotto. Nel complesso agli occhi del consumatore la soluzione a maggior valore intrinseco è la filiera dell’acqua da rete idrica con filtri, cui segue l’acqua da rete idrica, mentre quella minerale in bottiglia raccoglie meno consenso. Eppure è proprio quest’ultima a esser più bevuta. Probabilmente i fattori del basso impatto ambientale dell’acqua di rete sono molto importanti in teoria, tuttavia in pratica non hanno la forza di influenzare una decisione di acquisto.
In futuro le cose cambieranno. “Bere e utilizzare responsabilmente l’acqua, bene comune e risorsa insostituibile, significa fermarsi a riflettere sul suo valore e su come tutti noi siamo chiamati a gestirla e consumarla in modo consapevole. Gli attori del sistema paese, dalle istituzioni alle utilities, dai protagonisti delle diverse filiere alle associazioni dei consumatori e i media, dovranno giocare il proprio ruolo per assicurare un futuro green, al fine di orientare le scelte di consumo e far coincidere l’opinione all’azione”, commenta Mauro Gallavotti, ceo del gruppo Celli.
L’acqua di rete cui vengono applicati i filtri di affinamento - stando alle evidenze dello studio -  è quella a cui il consumatore attribuisce il valore più alto grazie ai benefici generati dalla facilità d’accesso, dal rispetto ambientale e dalla sostenibilità. È logico dedurre che se il consumatore italiano fosse disposto a riconoscere a questo prodotto un valore paragonabile al prezzo per litro dell’acqua in bottiglia, con le attuali tecnologie di filtri disponibili, circa 20 milioni di connazionali trarrebbero beneficio optando per il consumo dell’acqua di rete.
Una best practice in questo senso viene da Niko Romito, stellato cuoco abruzzese, che nei suoi ristoranti e nei locali dell’Accademia non si servirà più acqua minerale ma acqua microfiltrata con le soluzioni di Acqua Alma, brand di gruppo Celli.
fonte: www.lastampa.it

Disastrosa acqua minerale

In Italia si consumano ogni anno 12 miliardi di litri di acqua minerale in bottiglia, con una produzione enorme di rifiuti di plastica. Ma possiamo dire basta, ci sono altre soluzioni.


















Possiamo fare molto per dare il nostro contributo a fermare il riscaldamento globale, senza aspettare che lo facciano coloro che sono potenti proprio perché guadagnano da tutto ciò che inquina.
Per esempio, smettere di bere acqua minerale. L'acqua minerale in bottiglia costa poco ma fa grandi danni.
In Italia se ne consumano 12 miliardi di litri ogni anno: abbiamo il record mondiale di questo spreco inutile e nocivo, che comporta l'utilizzo della stratosferica cifra di 7 miliardi e più di bottiglie di plastica all'anno; che significano 456.000 tonnellate di petrolio (pensateci, 456 milioni di litri di petrolio estratti, trasportati, lavorati) per produrre i 7 miliardi e rotti di bottiglie di plastica.
Che vogliono dire, ogni anno, 1,2 milioni di tonnellate di CO2, un milione e duecentomila tonnellate di quell'anidride carbonica che sta soffocando il pianeta, che se ne va in atmosfera per produrre quegli inutili 7 miliardi di bottiglie di pastica. Perché vi piacciono le bollicine, magari.
E per smaltirle? Quanta energia sprecata e quanta produzione di altra anidride carbonica per trasportarle di nuovo e riciclarle? E questo nel migliore dei casi.
Ma non basta: per produrre ognuna di quelle bottiglie di plastica, che conterrà acqua, è stato consumato più di mezzo litro d'acqua. L'arte dei pazzi?
Sembrerebbe proprio di sì, tenuto conto poi del fatto che l'acqua "minerale" in bottiglia (di plastica) dà molto meno garanzie di quella del rubinetto. Perché?
Perché:
1) Con l'acqua in bottiglia di plastica è sicuro che berrete anche plastica;
2) Mentre l'acqua dell'acquedotto è controllata frequentemente dalla USL, e nelle grandi città si arriva a una frequenza di controlli quotidiana, le acque "minerali" vengono controllate per legge ogni cinque anni ; e da chi? Questo lo decidono i padroni delle acque minerali;
3) Molte sostanze pericolose per la salute (l'arsenico tra queste) sono permesse nell'acqua minerale e proibite o permesse in quantità molto minori nell'acqua di acquedotto; le acque minerali fino agli anni Settanta venivano usate solo per la cura di specifiche malattie e sotto controllo medico, e la legge attuale "non si è accorta" che sono diventate un grande affare con consumi iperbolici e iperbolici guadagni dei proprietari delle concessioni sulle sorgenti. Di conseguenza la pubblicità per indurre al consumo è diventata martellante.
C'è un solo vantaggio nel bere acqua cosiddetta "minerale": che non si beve il cloro, anch'esso decisamente dannoso per la salute. Ma per ovviare a questo inconveniente c'è un rimedio facile e che non costa nulla: mettere l'acqua da bere e per cucinare in un recipiente dall'imboccatura larga e scoperta, brocca o pentola, qualche ora prima di utilizzarla, meglio ancora la sera per la mattina. Il cloro è un gas, evapora, e l'acqua torna pulita. Se poi si vuole risolvere il problema una volta per tutte, possiamo mettere un filtro purificatore al rubinetto, e pare che i migliori siano anche quelli meno costosi, i filtri a carboni attivi.
Comperiamoci anche una borraccia per quando andiamo a fare una gita, un'escursione, un viaggio, e riempiamola con l'acqua del rubinetto. Ci farà risparmiare plastica, petrolio, rifiuti, anidride carbonica in atmosfera. Ci farà guadagnare futuro.

fonte: http://www.ilcambiamento.it

In Italia troppa acqua in bottiglia. Ecco perché possiamo farne a meno
















Il 2018 è l'anno della mobilitazione contro i rifiuti in plastica. Istituzioni, associazioni e società civile si sono unite per ridurne l'utilizzo e pesare meno sul pianeta. A partire dai consumi di acqua in bottiglia.


La plastica che finisce negli oceani potrebbe circondare l’intero pianeta per quattro volte. In tutto il mondo, ogni sessanta secondi, viene venduto un milione di bottiglie di plastica, mentre sono oltre 25 milioni le tonnellate di rifiuti in plastica prodotti ogni anno solo in Europa. Di questi, secondo un recente rapporto redatto dall’Ocse, solo il 30 per cento viene riciclato; numeri che si riducono al 15 per cento se allarghiamo l’orizzonte a livello globale. Una volta arrivata in mare, la plastica può impiegare anche mille anni per degradarsi, entrando nella catena alimentare e colpendo l’intera catena trofica, a partire dagli organismi più piccoli. Una vera emergenza, che viene ricordata anche nella Giornata mondiale degli oceani, celebrata in tutto il mondo l’8 giugno e che quest’anno è dedicata proprio alla prevenzione dell’inquinamento causato dell’abbandono di oggetti e bottiglie in plastica e allo sviluppo di soluzioni per mantenere i nostri oceani in salute.






Troppa la plastica negli oceani

Non ci sono solo le classiche immagini di tartarughe che si cibano di sacchetti, o di balene spiaggiate perché catturate da strati e strati di plastica. Recentemente il Cnr-Ismar ha rilevato che il Mediterraneo è uno dei mari con la maggiore concentrazione di microplastiche, non solo nelle aree ad alta concentrazione antropica, ma anche nelle aree marine protette, dove la conservazione dovrebbe essere il primo obiettivo. Secondo la fondazione Ellen MacArthur rischiamo di avere più plastica che pesce nel mare, entro il 2050.
Gli italiani bevono troppo acqua in bottiglia

L’Italia è al quinto posto in Europa per la qualità dell’acqua di rubinetto, dopo Austria, Svezia, Irlanda e Ungheria. Eppure siamo tra i maggiori consumatori di acqua in bottiglia, terzi al mondo. Prima di noi solo il Messico, che fa registrare un consumo di 264 litri di acqua pro capite e la Thailandia, con 246 litri. I nostri connazionali “si fermano” a 196 litri l’anno, nonostante l’acqua che arriva nelle nostre case sia controllata, economica e sicura, perché soggetta a decine e decine di analisi su tutta le rete di distribuzione.



Le soluzioni per ridurre i consumi di acqua in bottiglia

Certo può accadere che l’acqua che sgorga dai rubinetti possa presentare differenze per quanto riguarda sapore, odore o colore. E che quindi si preferisca l’acqua in bottiglia, con tutti i problemi che questo comporta: sette miliardi di bottiglie (solo in Italia) da smaltire ogni anno, senza contare trasporti e logistica.

Per ovviare al problema, si potrebbe optare per l’installazione di un sistema di filtraggio domestico. Tra i più semplici, esistono sul mercato i sistemi a microfiltrazione a carbone attivo, che permettono di ridurre la presenza del cloro e di alcuni sedimenti. Viene infatti utilizzato del carbone vegetale che si comporta come una pietra estremamente porosa. Ma se si vuole intervenire sui sali disciolti, sugli inquinanti emergenti (come ormoni derivati di farmaci, Pfas e Pfoa) o sugli elementi indesiderati (come il cromo esavalente, l’arsenico, il cadmio, il piombo e il mercurio) è necessario installare dei sistemi a osmosi inversa.

Un impianto a osmosi inversa, soprattutto quando combinato ad un sistema ad ultrafiltrazione, è infatti un utile strumento per avere in casa un’acqua batteriologicamente perfetta. Questa tecnologia, grazie all’impiego di una particolare membrana, riesce a filtrare elementi indesiderati come nitrati e pesticidi, impedendo inoltre il passaggio di batteri, virus ed endotossine. Il sistema permette di avere un’acqua più buona e più sicura.





Sistemi di filtrazione, quali sono i benefici

Si stima che per produrre 1 kg di Pet, con cui vengono prodotte circa 28 bottiglie di plastica da 1,5 litri, si utilizzino 2 kg di petrolio; quindi per 37,5 litri di acqua da bere in bottigliavengono rilasciati in atmosfera 2,8 kg di CO2. L’installazione di un impianto a osmosi inversa permette di ridurre i consumi di acqua in bottiglia, di plastica e di conseguenza anche le emissioni di CO2: circa 150 kg pro capite in un anno. Senza dimenticare il risparmio economico per gli utenti: l’acqua del rubinetto filtrata costa comunque la metà di quella in bottiglia.

Ridurre l’acquisto di acqua in bottiglia è dunque possibile. Si tratta solo di cambiare abitudini e, per una volta, di fare la scelta giusta.

fonte: www.lifegate.it

Salerno. 20MILA CANNUCCE IN MENO in due mesi sostituite dal maccherone di zito: il primo bilancio della campagna #ZeroCannucce #PlasticFree

Il DUM DUM REPUBLIC scegli WAMI, l’acqua con una missione per cambiare il mondo, con bottiglie 100% riciclabili e riutilizzabili
Si amplia il progetto di TURISMO SOSTENIBILE #PlasticFree per l’abbattimento della plastica intrapreso dalla struttura balneare Dum Dum Republic in Cilento in difesa degli oceani e delle spiagge












Ventimila cannucce in meno in due mesisostituite dal maccherone di zitoE da oggi anche WAMI, l’acqua con una missione. Registra un primo bilancio estremamente positivo il Dum Dum Republic dal lancio della campagna #ZeroCannucce, iniziativa che si inserisce nel più ampio e lungimirante progetto di Turismo Sostenibile #PlasticFree intrapreso dalla struttura balneare del Cilento a difesa degli oceani e a salvaguardia dell’ambiente naturale e delle spiagge negli ultimi cinque anni, vincitore di recente anche del “Premio FABBRICA DELLE IDEE 2018 – STORIE VINCENTI MADE IN CAMPANIA”.

Una vocazione green e un’attività di sensibilizzazione alle pratiche virtuose partendo dalle piccole azioni quotidiane individuali che si allarga con la nuova iniziativa messa in campo dal beach club di Paestum. Il Dum Dum Republic, infatti, sceglie l’acqua WAMI – Water With a Mission, tra le start-up italiane più virtuose in tema di acqua e sostenibilità ambientale e sociale, sostenendo la sua missione di cambiare il mondo una bottiglia alla volta. Con ogni bottiglia eco-friendly 100% riciclabile e riutilizzabile, infatti, vengono donati 100 litri di acqua a chi ne ha bisogno.
Per oltre 700 milioni di persone nel mondo, infatti, ancora oggi risulta impossibile raggiungere una fonte di acqua potabile e WAMI vuole dare ad ognuno di noi l’opportunità di essere parte della soluzione, rendendo straordinario e pieno di significato un gesto ordinario come bere una bottiglia d’acqua.
Perché l’acqua?
La maggior parte di chi non ha accesso a fonti d’acqua sicure vive in zone rurali ed isolate ed impiega moltissime ore della propria giornata camminando per recuperare l’acqua necessaria alla sopravvivenza della propria famiglia. La mancanza di acqua potabile non solo mette a rischio la salute delle persone a causa delle malattie che derivano dal bere acqua contaminata, ma toglie anche molto tempo prezioso alle donne ed ai bambini che solitamente si occupano dell’approvvigionamento. Un immediato accesso all’acqua permetterebbe alle donne di dedicare più tempo alla propria famiglia e ad altre mansioni lavorative, ed ai bambini di passare più tempo a scuola. Spesso la mancanza di un’adeguata educazione è infatti il primo ostacolo alla riduzione della povertà e proprio per questo gli investimenti in acqua potabile, igiene e sanità hanno un ritorno economico molto grande sulle comunità in via di sviluppo.
Attraverso partner esperti, come Lifewater International e Fondazione Acra, WAMI costruisce progetti idrici in villaggi bisognosi e chiunque acquisti una bottiglia d’acqua può già sapere quale progetto sta finanziando visitando, grazie al numero di codice presente su ogni involucro che ne permette la tracciabilità sul sito www.wa-mi.org/progetti.
“Noi di WAMI crediamo nella possibilità di permettere a tutti di cambiare il mondo, ogni giorno”, sottolinea il fondatore Giacomo Stefanini.
L’acqua WAMI sgorga a 1600 metri di altitudine nelle Alpi italiane, da una sorgente oligominerale del gruppo San Bernardo, incontaminata e nota per le sue proprietà organolettiche.
WAMI vuole dare la possibilità a chi oggi consuma quotidianamente acqua in bottiglia di fare una scelta più etica e responsabile. Oltre che donare acqua a chi ne ha bisogno, la start up si è anche impegnata anche in termini di sostenibilità. Il packaging è 100% riciclabile e realizzato con il 50% di plastica riciclata r-PET, il massimo consentito in Italia. Inoltre, per minimizzare ulteriormente l’impatto ambientale, l’azienda pianta alberi in Italia, al fine di contribuire al riassorbimento della CO2 emessa dal processo produttivo.
“#ZeroCannucce è ormai un obiettivo raggiunto al 100%. Adesso vorremmo passare anche a zero bottigliette di plastica – spiega Biancaluna Bifulco, titolare del Dum Dum Republic – Quelle da un litro già non le usiamo perché al tavolo abbiamo solo vetro. Invece per quanto riguarda l’acqua che si consuma durante un’intera giornata, mediamente un cliente compra tre bottigliette, che  moltiplicate per mille diventano 3mila bottiglie di plastica che residuano in un solo sabato o in un week end. Da qui parte la scelta di sostenere la start-up Wami, Water With a Mission, nata da un’idea meravigliosa di Giacomo Stefanini, un ragazzo giovanissimo che ha pensato di lanciare questa bottiglia di plastica interamente riciclabile e riutilizzabile con una splendida veste grafica. La società che produce si impegna a donare l’acqua, realizzando pozzi nei paesi che non ne hanno. Un processo trasparente che può essere seguito nel suo percorso attraverso la tracciabilità su internet. Per ogni bottiglia venduta si riduce l’inquinamento piantando alberi”.
LA CAMPAGNA del Dum Dum: “Milions of hearts for one Earth!” #NonChiedereLaCannuccia
La cannuccia, per quanto sia diventata un oggetto del nostro immaginario all’apparenza innocuo, in realtà nella sua tragica inutilità rappresenta per l’ecosistema una sciagura mostruosa, responsabile dell’inquinamento delle spiagge, dei mari e della strage di  specie animali. Si pensi ad immagini devastanti come la famosa isola di plastica nell’oceano.
VISIONE GREEN A BASSO IMPATTO AMBIENTALE che da anni il Dum Dum Republic ha introdotto tra le proprie mission, evitando il monouso e, dove è necessario, consentire solo l’utilizzo di materiale biodegradabile. Piatti in ceramica per il pranzo, stoviglie di acciaio e l’antica bottiglia di vetro dal fascino retrò a tavola, vassoi di legno e asporto riciclabile“Questa è una battaglia che ci accompagnerà in futuro – sottolinea Biancaluna Bifulco – Siamo già felici, perché tutta la nostra clientela non ha assolutamente protestato per la mancanza di cannucce, anzi sono tutti felici di contribuire a questo percorso, entusiasti di contribuire a questo percorso, si sentono parte di una comunità e questo crea anche maggiori legami con la clientela, nel condividere un obiettivo che va al di là della filosofia di una festa o di un locale”.
fonte: https://www.booble.it/

Basta bottigliette di plastica monouso. Politici, date il buon esempio!
















In questi giorni sui giornali campeggiano foto di riunioni di leader politici con i tavoli delle trattative disseminati da bottigliette usa e getta di acqua e coca cola. 
Non è un grande esempio per la cittadinanza.
In Italia abbiamo il record di consumi di bottigliette di plastica di acqua minerale: gli italiani sono i primi in Europa, e i secondi al mondo, dietro ai messicani. Oltre al dispendio economico, questo consumo ha gravi ripercussioni ambientali: rifiuti, petrolio consumato, acqua sprecata, inquinamento da trasporto, CO2 nell'atmosfera. Le bottiglie di plastica sono uno dei più comuni prodotti in plastica monouso rinvenuti sulle spiagge europee. L’acqua imbottigliata inoltre porta grandi profitti alle multinazionali ma pochissime risorse alle comunità da dove viene estratta, perché i canoni sono irrisori. L'acqua pubblica è d’altra parte più sana e controllata di quella minerale. L’Europa, con la direttiva del 1 febbraio 2018 ci chiede di limitare il consumo di acqua in bottiglia e promuovere quello di acqua pubblica.
La città di San Francisco, negli Stati Uniti, sta attuando un progressivo divieto alla vendita di bottiglie di plastica negli edifici pubblici e nelle proprietà della città. In tutti i Parchi nazionali degli USA la vendita di bottigliette di plastica è già vietata.
Noi cittadini e attivisti “zero waste” abbiamo le nostre borracce, beviamo acqua pubblica, e sensibilizziamo i ragazzi a scuola a fare altrettanto.
Chiediamo quindi a tutti i politici di essere coerenti, dare un esempio virtuoso alla cittadinanza e bere acqua pubblica, usando borracce o caraffe e bicchieri di vetro.
Chiediamo inoltre di vietare progressivamente la vendita delle bottigliette di plastica, così come a San Francisco, a partire dai luoghi pubblici dove è disponibile acqua potabile (Parlamento, sedi comunali, regionali, scuole, Parchi nazionali).
Cordialmente 
Linda Maggiori (referente Famiglie Rifiuti Zero)
Rossano Ercolini (referente Zero Waste Italy)
Filomena Compagno (referente Scuole rifiuti zero)
Natale Belosi (referente Rete Rifiuti Zero Emilia Romagna)
Marina Mobilio e Raffaele Mauro (referenti Zero Waste Lazio)
Elisabetta Adami (referente Famiglie rifiuti zero Verona)

Una bottiglia in carta riciclata per salvare gli oceani dalla plastica

Si chiama Choose ed è l’originale invenzione dello scozzese James Longcroft. Può essere riciclata ma è anche in grado di decomporsi nel giro di tre settimane.


















La plastica usa e getta sta mettendo a rischio la salute dei nostri oceani? Sostituiamola con un’alternativa ecologica. Come quella offerta da Choose, la bottiglia in carta riciclata e completamente biodegradabile, realizzata dal giovane britannico James Longcroft. Laureato in chimica alla Durham University, Longcroft aveva lanciato due anni fa una startup per la produzione di bottiglie d’acqua in plastica, brandizzate con i nomi e i loghi di sponsor, da distribuite gratuitamente ai londinesi. L’obiettivo era quello di devolvere i profitti della pubblicità ad un progetto per la fornitura di riserve idriche potabili in Africa. Ma il ventisettenne ha presto realizzato come il prodotto, sebbene stesse portando dei benefici alle comunità africane, costituisse un ulteriore problema ambientale. Così, lo scorso anno, ha promesso di rinunciare alla plastica.


Per la sua azienda questo ha significato trovare una soluzione alternativa che permettesse di continuare a portare avanti il progetto di assistenza. Dopo mesi di esperimenti e tentavi è nata la bottiglia in carta Choose. Ovviamente la cellulosa non è il solo ingrediente. “Il rivestimento è la chiave. L’esterno è fatto con carta riciclata, ma l’interno doveva essere impermeabile, fornire resistenza in modo che la bottiglia conservasse la sua struttura e mantenesse l’acqua fresca, proprio come la plastica”, spiega Longcroft. “Siamo riusciti a fare tutto questo, il che è piuttosto eccitante”. Lo strato interno è prodotto con materiali naturali e biodegradabili e si lega all’involucro esterno, creando una sorta di sigillo. Il chimico mantiene il massimo riserbo sulla composizione, ma assicura: “È completamente sostenibile”, e incorpora sostanze in grado di ridurre, durante la fase di decopmposizione, l’acidità del suolo e di fornire nutrienti agli ecosistemi idrici.

La nuova bottiglia ecologica è perfettamente riciclabile, dal tappo (in acciaio) al corpo. Ma nell’eventualità- si spera remota – fosse dispersa nell’ambiente anziché differenziata, sarebbe in grado di decomporsi in circa tre settimane. “Abbiamo un solo pianeta e dobbiamo agire ora per assicurarci di proteggerlo per le generazioni future”, ha aggiunto Longcroft. Il giovane chimico sta raccogliendo finanziamenti sulla piattaforma di crowdfunding Indiegogo: l’obiettivo è mettere assieme almeno 25.000 sterline per acquistare nuovi stampi e macchinari e produrre le bottiglie in carta su scala commerciale. E ancora una volta, tutti i profitti continueranno a sostenere il progetto di accesso all’acqua potabile portato avanti dall’associazione di beneficenza Water For Africa.

fonte: www.rinnovabili.it

Trovate micro plastiche nelle acque in bottiglia

Analizzate 250 bottiglie di 11 marche in tutto il mondo, c’è anche la San Pellegrino













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Lo  studio “Synthetyc polymer contamination in bottled water” pubblicato da un team di ricercatori del Dipartimento di geologia e scienze ambientali della State University of New York –  Fredonia e rilanciato da Orb Media, una ONG di giornalismo investigativo di Washington, «Le analisi di più di 250 bottiglie di 11 marche rivelano contaminazioni di plastiche che includono il polipropilene, il nailon e il  tereftalato di polietilene (PET)». Le bottiglie di plastica analizzate sono quelle di 5 multinazionali: Aquafina, Dasani, Evian, Nestle Pure Life e San Pellegrino e di alv cuni marchi nazionali: Aqua (Indonesia), Bisleri (India), Epura (Messico), Gerolsteiner (Germania), Minalba (Brasile), Wahaha (Cina),

Quando i giornalisti di Orb Media hanno contattato due delle principali marche, le multinazionali hanno confermato che «i loro prodotti contengono microplastiche, però hanno detto che lo studio di Orb ne esagera in maniera significativa la quantità». Anche la BBC ha chiesto un commento alle imprese, che hanno risposto che i loro impianti di imbottigliamento vengono  gestiti secondo gli standard più elevati.

Ma dallo studio  sulla presenza di particelle di 100 micron nell’acqua delle bottiglie di plastica è emerso che, in media ce ne sono 10,4  per litro. Inoltre le analisi hanno mostrato la presenza di molto più particolato ancora più piccolo, fino a 6,5 micron, che secondo i ricercatori è probabilmente plastica e la cui media è di 314,6 perticelle per litro.

Sherri Mason, il docente di chimica a capo del team dell’università di Fredonia  che ha condotto le analisi, conferma: «la abbiamo trovata [la plastica] in bottiglia dopo bottiglia e in marchio dopo marchio. Non si tratta di puntare il dito su particolari brand, ma di dimostrare che è ovunque, che la plastica è diventata un materiale così pervasivo nella nostra società, che invade l’acqua: tutti questi prodotti che consumiamo ad un livello molto basilare«.

Attualmente, non ci sono prove che l’ingestione di microplastiche possa causare danni, ma diversi scienziati sono al lavoro per comprendere le potenziali implicazioni e Mason aggiunge: «I numeri che vediamo non sono catastrofici, ma sono preoccupanti». Inoltre gli esperti fannno notare che per chi vive nei Paesi in via di sviluppo, dove l’acqua del rubinetto è spesso contaminata, ovrebbero continuare a bere acqua dalle bottiglie di plastica.

Commentando i risultati dello studio, le multinazionali dell’acqua insistono sul fatto che i loro prodotti soddisfano i più alti standard di sicurezza e qualità e sottolineano l’assenza di qualsiasi regolamento sulle microplastiche e la mancanza di metodi standardizzati per testarle.

Già nel 2017  Mason aveva trovato particelle di plastica in campioni di acqua del rubinetto e altri ricercatori li hanno individuati nei frutti di mare, nella birra, nel sale marino e persino nell’aria. Lo studio appena pubblicato è il frutto di una crescente attenzione internazionale sull’inquinamento narino da plastica e microplastica.

Per eliminare qualsiasi rischio di contaminazione, sono stati filmati gli acquisti di acqua in bottiglia nei negozi e le consegne fatte dai corrieri delle bottiglie di acqua utilizzate nello studio. Lo screening della plastica prevedeva l’aggiunta in ogni bottiglia di un colorante chiamato Nile Red, una tecnica sviluppata recentemente dagli scienziati britannici per il rilevamento rapido della plastica nell’acqua di mare. Precedenti studi hanno stabilito che il colorante si attacca ai pezzi di plastica e li rende fluorescenti sotto certe lunghezze d’onda della luce.

Dopo, Mason e il suo team hanno filtrato i campioni colorati e poi hanno contato ogni pezzo più grande di 100 micron, grosso modo il diametro di un capello umano. Alcune di queste particelle, abbastanza grandi da essere trattate singolarmente, sono state quindi analizzate mediante spettroscopia a infrarossi, confermando che si trattava di plastiche  che sono state ulteriormente identificate secondo i particolari tipi di polimero. Per capire quante potevano essere le particelle fino a 6,5 micron è stata utilizzata una tecnica sviluppata in astronomia per contare le stelle nel cielo notturno.

Dato che lo studio non è stato sottoposto al consueto processo di peer review e alla pubblicazione in una rivista scientifica, la BBC ha chiesto dei commenti agli esperti del settore e Andrew Mayes, dell’università dell’East Anglia , uno dei pionieri della tecnica Nile Red, ha detto che si tratta di «chimica analitica di altissima qualità« e che i risultati sono «abbastanza prudenziali». Anche secondo Michael Walker, consulente dell’Office of the UK Government Chemist della Food Standards Agency il lavoro «E’ stato ben condotto e l’uso di Nile Red ha un ottimo pedigree». Entrambi hanno fatto notare che le particelle al di sotto dei 100 micron non sono state identificate come plastiche ma hanno detto che «dal momento che non erano previste alternative nell’acqua in bottiglia, potrebbero essere definite come probabilmente di plastica».


fonte: www.greenreport.it