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La cura esiste

C’è una società fatta di relazioni, giustizia sociale, tutela ambientale, l’esatto contrario della visione e dell’agenda di un Governo e di un’Europa troppo intente e rassicurare mercati e investitori, perché il profitto non si tocca e il debito va onorato. Sabato 10 aprile, l’hanno messa in mostra, quella società, oltre 30 manifestazioni-performance tenute in 20 città italiane, da Aosta a Catanzaro, per promuovere le proposte del Recovery Planet. Per il pomeriggio del 26 aprile, in occasione del passaggio parlamentare del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la Società della Cura sarà in piazza Montecitorio per un nuovo appuntamento. L’obiettivo di questa seconda tappa di una mobilitazione che vuole crescere è far sentire dalla piazza la voce dell’Italia che non ha più voglia di aspettare e di essere considerata un simpatico orpello delle decisioni che contano

Foto tratta dal Fb 

Una cura esiste, per questa società malata di profitto, e il principio attivo sono i volti e le intelligenze di quelle donne e quegli uomini che, nella giornata del 10 aprile, hanno animato le piazze reali e virtuali del nostro Paese.

Oltre 30 presidi, manifestazioni, performance in più di 20 città italiane, da Aosta a Catanzaro, passando per Firenze, Roma, Venezia dove i movimenti italiani che animano la Società della Cura, hanno ricominciato a prendere parola nonostante le limitazioni di una pandemia che sembra non voler mollare la presa.

La cura esiste, ed è una società fatta di relazioni, giustizia sociale, tutela ambientale, l’esatto contrario della visione e dell’agenda di un Governo e di un’Europa troppo intente e rassicurare mercati e investitori, perché il profitto non si tocca e il debito va onorato.

C’è una faglia di Sant’Andrea che divide il Paese legale dal Paese reale, e si coagula in numeri, dati e decisioni politiche. Dal febbraio 2020 quasi un milione di persone hanno perso il posto di lavoro, in gran parte giovani e donne, nella migliore delle tradizioni di un sistema di valori patriarcale, arretrato, senza visione del futuro.

I giovani e le intelligenze dei Fridays for Future e di Extinction Rebellion, anche loro ad animare un’Italia disorientata, ci ricordano che viviamo tutti con un metronomo sopra la testa che si chiama cambiamento climatico, inesorabile, ma non inevitabile se solo si mettessero in campo politiche degne di questo nome.

Alle proposte della società civile e del Recovery Planet, l’agenda di società del futuro redatta grazie al lavoro certosino e continuato di centinaia di persone all’interno della convergenza, il Governo ha risposto con le nuove concessioni estrattive di metano e di petrolio, perché è business, bellezza, e prima di noi e di voi viene Eni, in caso non l’aveste ancora capito.

Quei 190 e rotti miliardi tra prestiti e finanziamenti che stanno sotto al nome pomposo di Recovery and Resilience Facility, di cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ne è l’italiana conseguenza, arriveranno sulla base di progetti e investimenti decisi escludendo a priori la società civile, invitata al pranzo di gala degli Stati Generali romani dello scorso luglio come semplice comparsa, e ascoltata come da prassi nelle audizioni alle Camere.



L’ascolto è dovuto, la presa in carico un po’ meno, se è vero che all’interno del PNRR troveranno conforto anche le filiere militari e quelle insostenibili, le infrastrutture e il cemento, perché il PIL deve essere nutrito, e chi se ne importa se il 91% dei Comuni italiani, e decine di milioni di persone, sono a rischio dissesto idrogeologico. Un’ipoteca sul futuro, considerata la frequenza di aumento di eventi atmosferici estremi che colpisce il nostro Paese, se non il mondo intero.

Le oltre 400 pagine del PNRR troveranno posto sugli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama i prossimi 26 e 27 aprile, presentate dal Presidente del Consiglio Draghi, prima del loro invio alla Commissione Europea entro il 30 aprile.

Da lì in poi si aprirà un negoziato con l’Unione Europea, che spulcerà le proposte italiane e dei rimanenti 26 Paesi dell’Unione proponendo cambiamenti, riletture, riscritture.

Il 26 aprile, dalle 15 in poi, proprio in occasione del passaggio parlamentare, la Società della Cura sarà in piazza Montecitorio, per far sentire dalla piazza la voce dell’Italia che non ha più voglia di aspettare e di essere considerata simpatico orpello delle decisioni che contano.

La risposta alle pagine del Recovery Plan saranno i capitoli del Recovery Planet, e alle pretese dei capitani di industria verranno contrapposte le proposte e richieste per una società diversa, capace di cura e di senso.

Il 26 aprile non sarà un punto di arrivo, ma una tappa dopo le mobilitazioni di novembre, dicembre e del 10 aprile verso l’ampliamento di una convergenza di movimenti che non si vedeva da anni, e che guarda al ventennale del G8 genovese e alle piazze del prossimo autunno come passaggi necessari per rimettere le parole conflitto e alternativa al posto giusto nel dizionario della politica italiana.

fonte: comune-info.net



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Reu - Fridays For Future Perugia: diretta instagram - giovedi 22 ore 21.30

 














Giovedì 22 aprile 2021 alle ore 21 e 30 parleremo della mobilitazione regionale che ci sarà il 24 aprile in 4 piazze dell’Umbria

Saranno con noi: 

- Fabrizio Ercolanelli - Zero Waste Italia 
- Fabio Neri - Comitato No inceneritori Terni 
- Marco Casagrande - Comitato NoCss

Fridays For Future Perugia



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FFF Perugia: Il primo sciopero globale del 2021 sarà il 19 marzo!

 

Nel mezzo delle crisi sanitaria, sociopolitica ed economica che il mondo continua ad affrontare all’inizio dell’anno nuovo, i nostri governi, stanno continuando a non mettere in pratica le azioni necessarie a contrastare la crisi climatica, e la salute, l’istruzione, sono lasciate da parte per i profitti di pochi.


La nostra generazione viene sacrificata, e tradita.
Ciò di cui abbiamo bisogno ora non sono vuote promesse lontane nel futuro, ma obiettivi di riduzione di CO2 annuali e vincolanti e tagli immediati delle emissioni in tutti i settori della nostra economia.
“Quando la tua casa è in fiamme, non aspetti 10, 20 anni prima di chiamare i vigili del fuoco; agisci subito”

L’Italia non sta rispettando l’accordo di Parigi sul clima, si sta arrendendo alla catastrofe senza davvero provare ad evitarla. I fondi del Next Generation Eu assegnati alla transizione ecologica sono del tutto insufficienti, rischiano di finire alle aziende più inquinanti come Eni e Snam e di finanziare progetti verdi solo a parole

In gioco c’è non solo il nostro futuro, ma anche la salvaguardia dei sistemi di supporto vitale di milioni di persone oggi, e delle prossime generazioni.
Non staremo a guardare mentre ci viene negato tutto questo.

Con la pandemia COVID-19, le azioni assumeranno forme diverse in luoghi diversi, ma la richiesta “Niente Più Vuote Promesse” ci unisce oltre i confini con lo stesso obiettivo di un’azione immediata per il clima!

@FridaysPerugia

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Fioriscono convergenze

Mentre Friday for Future ed Extintion Rebellion preparano lo sciopero del 9 ottobre denunciando l’interdipendenza del sistema economico e i danni che arreca sull’ambiente e sulla salute, anche in Italia spuntano un po’ da ogni parte azioni e processi di convergenza tra gruppi e movimenti in vario modo associati che avviano dialoghi e processi e programmano azioni e iniziative insieme. Spesso chiamano queste forme di condivisione – in alcuni casi parziale e a breve termine, in altri di più lungo periodo – convergenze. Un concetto aperto e interessante perché evita le pastoie di confluenze, accentramenti, cartelli elettorali per mostrare invece, come insegnano i movimenti femministi, intersezionalità, condivisione, contaminazioni e tanta empatia da sperimentare nelle pratiche comuni di resistenza e di costruzione di nuove forme di relazioni sociali

Foto Tratta dal Flicker di Christian Willner

Sotto la cappa dell’orrido «distanziamento sociale» – nel mondo si chiama più propriamente confinamento fisico – qualcosa di promettente fiorisce. Fryday for Future sta preparando il Climate Strike per il 9 ottobre per denunciare «l’interdipendenza del sistema economico» e i danni che arreca sull’ambiente e sulla salute.

Nel secondo Climate Meeting di Venezia è stato varato un Manifesto di intenti su dieci punti per creare uno «spazio politico comune» di elaborazione e di azione sulla giustizia climatica, l’uscita dal fossile, l’equa redistribuzione della ricchezza sociale, il riconoscimento dei diritti fondamentali.

Il Forum sociale mondiale delle economie trasformative sta organizzando un mese di iniziative per avviare un processo di confluenza di esperienze e movimenti che praticano forme di economie alternative, locali, fuori dalla logica del profitto e del mercato e capaci di rispondere alla crisi economica seguita alla pandemia.

Da qualche tempo le associazioni e i gruppi impegnati sulla decrescita del sistema economico hanno elaborato un documento e proposto un «forum delle convergenze comunitarie».

La Rete dei beni comuni emergenti e degli usi civici si è riunita nei giorni scorsi a Mondeggi, «fattoria senza padroni», stringendo un rapporto tra decine di realtà che stanno concretamente restituendo alla funzione sociale immobili e proprietà in disuso. Da ultimo un gruppo numerosissimo di associazioni ha proposto un manifesto: «Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura».

Dall’Arci ad Attac, dalla Casa delle donne di Milano al Controsservatorio Val di Susa, da Navdanya International alle Botteghe del mondo. Propongono una conversione ecologica, il diritto al reddito, la riforma del credito, una democrazia di prossimità, l’accoglienza e la solidarietà.

Chiedono la condivisione delle vertenze e una mobilitazione comune. L’auspicio che accomuna tanti sforzi è la convergenza dei movimenti che operano in settori diversi. Un bisogno profondo, non tattico, che emerge dalle riflessioni maturate in questi anni sulle connessioni tra i sistemi socioeconomici e la loro dipendenza dalla biosfera.

Foto tratta dal Fb di @FridaysItalia

L’insegnamento che viene dal surriscaldamento globale e dalla pandemia è evidente. Vi è la convinzione che la convergenza tra tante diverse esperienze nei più svariati campi della vita può riuscire solo se emergerà un’idea forte di nuove relazioni sociali agibili e desiderabili.

Un sistema economico semplice, elementare, in cui tutte e tutti abbiano abbastanza per poter vivere bene, in pace con gli/le altri/e, in equilibrio con la natura. É davvero questa un’idea così romantica e utopica?

O, all’opposto, troppo rivoluzionaria? La sfida al decrepito sistema economico che sta acuendo le sofferenze umane e portando alla catastrofe planetaria potrebbe partire dal chiedere conto ai governi del mondo il rispetto di due semplici criteri.

Primo, il rispetto della precondizione della preservazione della vita sul pianeta. Secondo, la condivisione solidale, equa e premurosa delle ricchezze che si possono produrre tramite una cooperazione sociale responsabile.

In altre parole, bisognerebbe costringere i governi a prendere sul serio il paradigma della sostenibilità (intesa come rispetto invalicabile dei limiti naturali delle condizioni di rigenerazione dei cicli vitali) e a non impedire l’accesso ai beni fondamentali della vita (beni comuni) a nessun abitante della terra.

Che i movimenti chiamano «giustizia climatica e sociale». Un percorso non facile: entra in conflitto con le forme esistenti di relazioni di potere asimmetriche, oppressive e discriminatorie sul piano politico, sessista, classista, razzista, specista.

La convergenza – è bene ricordarlo – non contempla confluenze, accentramenti, cartelli elettorali. Ma, come insegnano i movimenti femministi, intersezionalità, condivisione, contaminazioni e tanta empatia da sperimentare nelle pratiche comuni di resistenza e di costruzione di nuove forme di relazioni sociali.

Articolo pubblicato anche su Il manifesto

fonte: www.comune-info.net

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Fridays For Future Perugia: //9 OTTOBRE\\

In occasione dello Sciopero nazionale per il Clima di Venerdì 9 Ottobre stiamo organizzando l'evento "Missione Futuro", in collaborazione con l'organizzazione della Marcia della Pace.
Parleremo di crisi climatica e dei prossimi passi da fare per affrontarla!

Per ulteriori informazioni rimanete aggiornat* sui nostri canali social🌱💪


Fridays For Future Perugia


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FFF Italia: Save the Date! 25 settembre e 9 ottobre 2020




Annunciamo la Giornata Mondiale di Azione per la Giustizia Climatica, il 25 Settembre 2020, e lo Sciopero per il Clima, il 9 ottobre 2020🌏

😡 La #pandemia ci ha mostrato i danni dell'attuale #sistema economico e l'impreparazione della società di fronte a emergenze sanitarie e sociali.

💶 Le persone al potere hanno ascoltato gli esperti, e detto che nulla può stare davanti alla vita delle persone. Eppure continuano e ignorare la #CrisiClimatica, raccontandoci belle favole su come tutto sia sotto controllo.

🥺 Ma nulla è sotto controllo, perchè le emissioni continuano a crescere, allontanandoci sempre di più dal percorso sicuro per stare sotto 1,5°C di surriscaldamento globale. Destinandoci a un pianeta nel caos.

♻️ Le misure per la ripartenza sono l'occasione irripetibile per avviare la #RiconversioneEcologica, risolvendo i problemi sociali del nostro paese. Abbiamo raccolto nella campagna “Ritorno al Futuro”, insieme a esperti e associazioni, molte proposte concrete per il governo italiano, che finora non ci ha ascoltati e sta spendendo denaro pubblico per ripristinare un passato malato e ingiusto.

🤯 La crisi climatica deve essere trattata come una crisi. E le persone al potere diano priorità alla sopravvivenza dell’umanità piuttosto che all'avidità di pochi.

1️⃣ Il #25settembre ci saranno azioni e flash mob in tante città per partecipare alla mobilitazione #globale e ribadire l'importanza del mondo dell'istruzione nella lotta alla #CrisiClimatica.
Cerca il tuo gruppo locale per sapere cosa organizza! ( https://www.fridaysforfutureitalia.it/scioperoglobale)

2️⃣ Il #9ottobre lanciamo uno sciopero per il clima in tutta Italia.

⚠️ Le azioni possono variare di città in città per garantire ovunque il rispetto delle norme di sicurezza per la protezione contro il #coronavirus.

Fridays For Future Italia

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Banca del clima o del maquillage?

Nonostante la sua politica generale sia definita dal Consiglio dei Governatori, composto dai 28 ministri dell’economia degli Stati membri, la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) sarebbe formalmente un’istituzione indipendente. Da qualche tempo, poi, il presidente del Gruppo BEI, Werner Hoyer, non fa altro che sostenere che il clima è la priorità politica del momento e che quella adottata dalla BEI di recente, con l’essenziale beneplacito di Ursula von der Leyen, è “la più ambiziosa strategia di investimento per il clima che un’istituzione finanziaria pubblica mondiale abbia mai adottato”. Cosa probabilmente vera, anche perché non si saprebbe dove cercare i competitors. Il problema nasce quando si va a guardare da vicino quella strategia, fatta – come sempre – di annunci e promesse ancora vistosamente e largamente contraddetti dalle pratiche attualmente in corso. Come dimostrano il Rapporto pubblicato di recente da Counter Balance ma anche la garanzia di ben 150 milioni di euro per la costruzione di un terminale per il gas liquido a Cipro per favorire l’estrazione nelle acque profonde del Mediterraneo orientale o i miliardi concessi negli ultimi tre anni per l’espansione di aeroporti e la costruzione di nuove strade e autostrade. In tutto, ben 28,7 miliardi di euro del budget della Bei sarebbero andati a operazioni ad alte emissioni nel settore dei trasporti e dell’energia. Un presente ancora molto imbarazzante per una sincera “banca del clima”, che lascia ampio credito alle ipotesi che vogliono quello annunciato come l’ennesimo ritocco green per continuare sostanzialmente il business di sempre?




Nel novembre 2019, con il lancio della sua nuova politica energetica la Banca europea per gli investimenti (BEI) ha gettato le basi per divenire la “banca per il clima” dell’Unione europea. La decisione di chiudere il rubinetto dei prestiti al settore estrattivo a partire dal 2021 ha generato un notevole dibattito nel settore finanziario e tra le banche di sviluppo pubbliche, finite sotto la pressione delle proteste dei giovani attivisti dei Fridays for Future, che chiedevono loro di azzerare i prestiti a un settore, quello delle fossili, che contribuisce in larga parte alla crisi climatica.

Se da un lato va dato atto ai banchieri di Lussemburgo dell’importanza di questa decisione, dall’altro la banca è ancora ben lontana dall’agognato impatto zero. Ce lo spiega bene il nuovo rapporto pubblicato da Counter Balance, dal titolo “The EU Climate Bank: Greenwashing or banking revolution?” (scaricabile in inglese qui: http://www.counter-balance.org/too-soon-to-call-eib-eu-climate-bank/ ). Secondo la rete di organizzazioni, di cui fa parte anche Re:Common, sono numerosi gli ambiti di investimento da cui la banca dovrebbe uscire per allineare le proprie operazioni agli impegni presi con l’Accordo di Parigi.

Prima di tutto, dovrebbe affrontare le preoccupanti lacune contenute nella policy sull’energia di cui sopra, che consente ancora di finanziare progetti nel settore del gas sulla base di vaghe promesse di una futura riduzione delle emissioni che dovrebbero rendere queste stesse opere più “green”. Poi c’è il problema dei “Progetti di interesse comune” della Commissione europea: la 4a lista dei progetti prioritari, approvata nel 2019, contiene ben 32 grandi infrastrutture per il trasporto, estrazione, stoccaggio e trattamento del gas che la BEI potrebbe finanziare. Infine le soglie di performance richieste ai clienti della banca non sarebbero per niente stringenti, aggiungendo una ulteriore finestra attraverso cui nuovi progetti fossili potrebbero beneficiare dei soldi della banca.

Solo qualche giorno fa il vice presidente della banca, Andrew McDowell, ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters che “investire in nuove infrastrutture nel settore fossile, come terminali LNG, è sempre di più una decisione economicamente scorretta”. Eppure lo scorso giugno la BEI ha garantito ben 150 milioni di euro per la costruzione di un terminale LNG a Cipro, un progetto che favorirà l’espansione dell’estrazione di gas in acque profonde nel Mediterraneo orientale. Alla faccia delle considerazioni economiche, della politica energetica e della compatibilità climatica!

Secondo Counter Balance, il problema della sostenibilità climatica dei finanziamenti erogati va ben oltre il settore energetico: il rapporto segnala ad esempio l’impatto enorme su ambiente e clima di un modello di organizzazione dei trasporti incentrato sull’espansione del traffico aereo e sul commercio a lunga distanza, che la BEI continua a sostenere. Fra il 2016 e il 2019, la banca avrebbe finanziato l’espansione di aeroporti per 4 miliardi di euro; 10,5 miliardi di euro sono statti destinati alla costruzione di nuove strade e autostrade e 2,83 miliardi al settore marittimo, incluso per navi alimentate a gas. In tutto, 28,7 miliardi di euro del budget della Bei sarebbero andati a operazioni ad alte emissioni nel settore dei trasporti e dell’energia.

Quindi quale sarebbe la ricetta da seguire per divenire davvero la banca per il clima di cui l’Ue possa vantarsi? Per iniziare, la BEI dovrebbe smarcarsi dai falsi miti della transizione green promossa dalle grandi corporation. Primo fra tutti, quello del “gas verde” o “rinnovabile”, che di fatto non esiste (e forse non esisterà mai). Come non esiste l’“aviazione verde”, ma per ora ci sono solo tante promesse delle multinazionali sulle riduzioni di emissioni future di uno dei settori più pericolosi per il clima. In entrambi i casi, il rischio che risorse pubbliche continuino a sostenere settori così inquinanti sulla base di impegni sulla carta che potrebbero materializzarsi solo in parte (o per niente) è davvero troppo alto. C’è poi il mito della “finanza verde”, che riduce le proprie emissioni tramite meccanismi di offsetting della biodiversità, rischiando di alimentare l’accaparramento di terre, la deforestazione, le violazioni dei diritti umani delle comunità coinvolte. Anche questo è un mito da decostruire, non solo per investimenti in grandi infrastrutture (verdi!) ma anche per investimenti in mega impianti fotovoltaici o per lo sfruttamento dell’energia eolica. “Rinnovabili” certo, ma insostenibili.

Per trasformarsi nella Banca per il clima dell’UE, la BEI dovrebbe rivedere radicalmente la lettura del modello di sviluppo che sostiene. Serve un processo lungo e complesso, che richiederebbe alla banca di svincolarsi dalle pressioni del settore estrattivo e dell’industria pesante, ma anche da quello del settore finanziario, tra i grandi promotori dei mega-corridoi infrastrutturali orientati a favorire il transito sempre più rapido (e estrattivista) di merci su scala globale. Un vero e proprio piano di sviluppo di infrastrutture nei cinque continenti che se realizzato, diventerà la spina dorsale del sistema economico per i prossimi cinquanta e più anni, e che non può essere compatibile con la tutela deBanca del clima o del maquillagel clima e la necessaria riduzione di emissioni su scala globale. Chissà se i banchieri di Lussemburgo saranno tanto ambiziosi da voler creare una “vera” banca per il clima, o se anche loro sperano che pochi ritocchi bastino a consegnare al mondo un immagine “green”, continuando però con il business as usual.

Fonte Re:Common



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Fridays For Future Perugia: Il 5 giugno saremo in Piazza Italia a manifestare in occasione della giornata mondiale dell'ambiente




Al fine di evitare assembramenti e per facilitare il rispetto delle misure di sicurezza, non chiederemo di partecipare in presenza fisica ma di sostenere la manifestazione firmando la petizione che trovate al link in fondo 
👇🏼
https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSdCAFyvj5GQVchtTuzUAGItiM0L8e8khBqgOhi20ZKqWWR82Q/viewform?fbclid=IwAR16rS1ZXO5-sWmSrO_4NSwd_L-q0BzCLqB0PQVvS_pqAbnyqBA_1e9OaC4




Sostieni anche tu la manifestazione per la Giornata Mondiale dell'Ambiente!
In occasione della Giornata Mondiale dell'Ambiente del 5 giugno 2020, come Fridays For Future Perugia abbiamo deciso di dedicare il nostro impegno in questa importante data al nostro territorio, l'Umbria e la città di Perugia, affinché le Istituzioni comprendano finalmente la necessità di affrontare, ognuno nelle sue competenze, la battaglia contro il cambiamento climatico. Lo facciamo ribadendo che l'unica strada possibile è un radicale cambiamento della politica attuale, con una strategia che preveda economia circolare, diritto alla mobilità alternativa, protezione e cura del verde, pianificazione ecologica, giustizia climatica e rispetto per l'ambiente.

Manifesteremo in Piazza Italia con tantissimi cartelli, evidenziando le esigenze che come popolazione, città e comunità abbiamo bisogno per affrontare una grande crisi che stiamo vivendo: quella climatica.

Al fine di evitare assembramenti vi chiediamo di supportare la manifestazione aderendo a distanza, firmando questa petizione, in modo tale che le persone che saranno fisicamente presenti vi possano rappresentare, come se foste realmente lì.

Tutti questi impegni possono essere mantenuti partendo dalla dichiarazione dello stato di emergenza climatica ed ambientale da parte delle istituzioni e la richiesta di quest'ultima è stata di recente presentata sia nel Comune di Perugia che nella Regione Umbria.
La richiesta per il Comune di Perugia verrà discussa in Commissione Permanente mercoledì 3 giugno, data che attendiamo con ansia e sarà successivamente inviata alla valutazione del Consiglio Comunale a data da definirsi.
Per quanto riguarda la Regione Umbria, invece, la scorsa settimana in Consiglio Regionale, su richiesta della maggioranza, è stata rimandata nella Commissione competente la mozione in cui viene proposta la dichiarazione di emergenza climatica e ambientale presentata dall'opposizione.

La dichiarazione dello stato di emergenza climatica e ambientale rappresenta un atto simbolico, ma importante, che impegna le istituzioni nella lotta contro il cambiamento climatico e le sue conseguenze. Non possiamo permettere che questo rinvio sia a tempo indeterminato, pretendiamo tempistiche certe nella discussione e nel ritorno in aula della mozione! Chiediamo inoltre che le azioni vengano messe in atto subito, senza perdere ulteriore tempo ad attendere che questa crisi ci investa con conseguenze non prevedibili.

Facciamo sentire la nostra voce alle istituzioni: tutti e tutte devono assumersi l'impegno di garantirci un futuro, a noi stessi ma anche alle prossime generazioni. Firmate anche voi la petizione e scendete virtualmente in piazza!


Fridays For Future Perugia



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La ripartenza rischia di non essere green

Niente sarà più come prima, ci ripetiamo con ottimismo. Ma sul fronte ambientale rischiamo di fare passi indietro. Alcune idee per invertire la rotta



A fine febbraio molti attivisti ambientali scrivevano sui social media che forse c’era speranza. Per far fronte alla pandemia di COVID-19 i governi stavano prendendo misure eccezionali e investendo cifre impensabili fino al giorno prima. “Non si potrà più dire che non ci possiamo permettere la lotta climatica”, questo era il pensiero comune. Ma nella fase post-coronavirus la questione ambientale rischia invece di tornare secondaria. Con il pretesto della crisi economica vari settori industriali e alcuni politici hanno già chiesto di ridimensionare gli obiettivi del Green New Deal europeo, nel frattempo l’Agenzia per la Protezione Ambientale statunitense e il Ministero dell’Ambiente cinese hanno introdotto misure che limitano le ispezioni ambientali nelle fabbriche o allentano le direttive anti-inquinamento, mentre in Italia l’industria della plastica chiede di rimuovere la plastic tax che dovrebbe entrare in vigore dal luglio 2020.

Secondo il climatologo e divulgatore scientifico televisivo Luca Mercalli la ripartenza sarebbe il momento adatto per avviare riforme green radicali e strutturali, “ma non sono ottimista. Nella task force vedo dei manager e competenti, ma l’approccio è orientato a riportare tutto com’era prima. Sarebbe stato utile includere qualcuno con un pensiero più orientato alla sostenibilità”. Mercalli vedrebbe di buon occhio un intervento sul traffico aereo: “anche se è impopolare dirlo, non ci possiamo permettere di volare così frequentemente, di certo bisognerebbe ripartire da un turismo più domestico e a raggio ridotto”. L’aviazione civile è attualmente una tra le fonti di emissioni dalla crescita più rapida, lo stop ai voli di queste settimane potrebbe rimodellare le nostre abitudini di viaggio, ma serviranno investimenti in alternative sostenibili come treni e bus a lunga percorrenza.

Per quanto riguarda la questione energetica il docente di chimica e fisica all’Università di Firenze Ugo Bardi è convinto che l'industria petrolifera potrebbe non riprendersi dal crollo del prezzo del barile, a meno che non venga sostenuta artificialmente dai governi per la sua rilevanza militare: “la riduzione della produzione porterà ad avere meno combustibili per riscaldamento e carburanti, ecco perché bisogna continuare a puntare sulle rinnovabili, tra l’altro sembra abbastanza accertato che la diffusione del coronavirus sia favorita dall'inquinamento in forma di microparticelle e ossidi di azoto”. Bardi vede dei segnali positivi nelle misure del governo che incentivano gli impianti fotovoltaici condominiali.

C’è poi la questione del telelavoro, metterlo in pratica su larga scala potrebbe avere implicazioni sociali e ambientali molto ampie: “la qualità della vita di migliaia di pendolari migliorerebbe se andare in ufficio diventasse necessario solo alcuni giorni della settimana. In più molti sceglierebbero di vivere in campagna o in zone in via di spopolamento, piuttosto che in città con affitti alle stelle”, riflette Giovanni Montagnani della piattaforma di divulgazione climatica Crowdforest. Secondo Montagnani le aree alpine vanno incontro a un cambiamento anche in caso di aumento delle temperature di 1,5°, ciò sarà drammatico per gli ecosistemi e le attività tradizionali, ma apre le porte a nuove possibilità: “questi territori sono più resilienti al cambiamento climatico rispetto alle città o alle coste, e potrebbero ospitare un numero maggiore di residenti. Ma ciò avverrà solo con il lavoro in remoto”.

Lo smart working è legato al problema della mobilità urbana, si prevede che la paura del contagio e la necessità di garantire il distanziamento sociale ridurranno drasticamente la domanda e l'offerta del trasporto pubblico. Non a caso l’amministratore delegato di BMW Italia Massimiliano di Silvestre ha dichiarato che l’automobile avrà una rivincita come mezzo di trasporto. Uno scenario che rischia di far compiere alle nostre città enormi passi indietro in termini ambientali e di qualità dell’aria. Fortunatamente la stagione calda alle porte sta favorendo in Europa le iniziative governative e comunali che incentivano gli spostamenti sicuri a piedi e in bicicletta, si va dal raddoppio della larghezza dei marciapiedi alla chiusura di corsie stradali per trasformarle in ciclabili ad uso esclusivo.

Secondo Mercalli il mondo post-coronavirus dipenderà tutta dalla risposta collettiva nel cuore delle persone: “la pandemia di COVID-19 non ha niente di positivo, ci mancherebbe. Allo stesso tempo eravamo come dei criceti in una ruota, volevamo uscirne ma non sapevamo come. Ci è voluta questa crisi per fermare la ruota. Ora dovremmo farla ripartire, ma diversamente”. La lettera all’Italia diffusa da Fridays for Future il 17 aprile, sottoscritta da 50 scienziati ed esperti, chiede proprio questo: un piano di ricostruzione che possa sconfiggere tanto la crisi climatica quanto quella economica. È anche un modo per ricordarci che in una prospettiva di lungo termine la crisi ambientale provoca più instabilità, vittime e danni economici di qualsiasi epidemia.

fonte: www.lastampa.it


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Un vero piano verde, ecco cosa serve per la ripresa post Covid-19


















La questione ambientale, come emerge da più parti, è profondamente interconnessa con la pandemia in corso. «Migliorare la salute dell’uomo e degli animali, insieme a quella delle piante e dell’ambiente, è l’unico modo per mantenere e preservare la sostenibilità del Pianeta» ha dichiarato a Greenpeace Ilaria Capua, virologa di fama internazionale.

L’origine delle pandemie è infatti legata alla distruzione dell’ambiente e della biodiversità, del sistema alimentare basato sugli allevamenti intensivi e sappiamo che il riscaldamento globale rischia di riproporre emergenze sanitarie come quella che stiamo vivendo. Questo sia ampliando l’areale di malattie tropicali trasmissibili da zanzare, cosa già in atto con la dengue, chikungunya, e Zika, sia per lo scongelamento dei ghiacci e del permafrost che potrebbero liberare virus e patogeni anche di epoche remote. Una recente ricerca sui ghiacciai tibetani ha evidenziato la presenza di 28 virus sconosciuti e nel 2016 un focolaio di antrace, virus potenzialmente letale, era emerso in Siberia a seguito dello scongelamento del permafrost.

La questione tutta politica è quella della direzione, bisognerà dirigere gli stimoli per la ripresa economica del post-pandemia: se verso i settori tradizionali – come promette Trump per aiutare i suoi grandi elettori petroliferi – o verso nuovi settori per una svolta nel senso del «Green Deal».



Due to the coronavirus (Covid-19) shutdown, public squares, parks, streets and the international airport in Hamburg are almost deserted. People have to keep distance.

I produttori di auto europei hanno già chiesto un allentamento del regime di emissioni di CO2, dunque cercano di spostare l’asse verso la conservazione del passato.

Invece la necessità di una svolta è una affermazione condivisa da molti, dai Fridays For Future, dal movimento ambientalista ai promotori del Manifesto di Assisi e, anche da parte istituzionale, la necessità di un Green Deal è stata ribadita sia dal Presidente del Consiglio Conte che dalla Presidente della Commissione Europea von der Leyen.

La lettera aperta dei ricercatori raggruppati ne «La scienza al voto» ha ricordato che la riconversione dalle fossili alle rinnovabili richiede «uno sforzo limitato, rispetto a quanto stiamo facendo per il coronavirus, quantificabile in pochi punti percentuali di PIL, spalmato su molti anni e, se ben gestito, affrontabile dagli Stati e dalla comunità internazionale senza forti ripercussioni sui cittadini». E, ricordano, che i benefici delle politiche di riduzione delle emissioni di gas serra si estendono anche in termini di inquinamento dell’aria (di altri gas, che non impattano sul clima ma sulla salute). Lo smog, già responsabile di decine di migliaia di morti premature in Italia, potrebbe aver giocato, come avanzato da più parti, un ruolo nel peggiorare l’impatto della pandemia.

L’analisi dell’Economist sulla pesante crisi petrolifera legata alla pandemia da Covid19 conclude che le aziende petrolifere farebbero bene a prendere questa come un esempio di quello che verrà, dopo che la pandemia sarà finita. E, cioè, che molti nostri comportamenti cambieranno. Nel frattempo, si è verificato il crollo del prezzo del WTI fino a valori negativi, fatto mai registrato nella storia, con previsioni di ripresa dopo la pandemia che gli analisti fissano a 20$ al barile, dunque un prezzo molto basso.

Anche il settore delle rinnovabili ha subito un contraccolpo dalla pandemia ma pare in proporzioni inferiori. Ed, essendo le principali tecnologie rinnovabili (solare, eolico) dedicate alla produzione di elettricità, la competizione tecnologica non è tanto col petrolio quanto col gas. Questo rimane lo spartiacque delle politiche energetiche in Italia: se continuare a frenare le rinnovabili per difendere il mercato del gas, o se accelerare, e di molto, con la transizione energetica. Il piano «verde» dell’Eni è basato su una tecnologia non provata e di dubbia sicurezza ambientale, il Ccs (reiniettare le emissioni di CO2 nel sottosuolo), protezione delle foreste (!) e troppo poche rinnovabili nell’orizzonte decisivo per le politiche climatiche. Eni continuerà a estrarre petrolio (meno) e molto gas, mantenendo dunque comunque il grosso delle emissioni di CO2 legate al core business che, invece, in una politica seria del clima deve radicalmente cambiare. Ma il governo, temiamo, non glielo chiederà dopo la riconferma di Descalzi. Un piano serio dovrebbe puntare pesantemente a far cambiare mestiere all’azienda: rinnovabili, gas di sintesi a partire da rinnovabili, industria dell’efficienza energetica.

Un vero Green Deal dovrebbe includere, tra le altre cose, il vincolo degli aiuti a banche e grandi aziende che abbiano piani coerenti con l’Accordo di Parigi. Per essere chiari, le banche che continuano a finanziare le fonti fossili dovrebbero essere escluse da qualunque aiuto pubblico. Sarà necessario rivedere in profondità il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), anche in vista dell’imminente rivisitazione degli obiettivi 2030 Ue a cui si ispira, limitando in particolare l’uso del gas fossile e lavorando per uno sviluppo più ambizioso delle fonti rinnovabili, specialmente prima del 2025.

Bisogna iniziare a ridurre i sussidi alle fonti fossili e spostarli verso altri settori, dalla mobilità elettrica nelle sue varie forme, agli ecoincentivi per la ristrutturazione profonda degli edifici. L’incentivazione di una mobilità sostenibile, a partire dalla ciclabilità delle città come sta già avvenendo ad esempio a Parigi, è una priorità per il progressivo rientro alla «normalità» e la difficoltà – speriamo momentanea – dell’utilizzo dei mezzi pubblici, mentre ancora il virus non è stato debellato. Un piano di ristrutturazione profonda degli edifici per aumentarne l’efficienza e l’uso di rinnovabili, avrebbe un effetto occupazionale importante in un settore centrale dell’economia italiana.

Il governo deve adesso dimostrare se fa sul serio quando parla di sostenibilità o se intende continuare a proteggere i settori fossili che ci bloccano su schemi di un passato che dobbiamo a tutti i costi superare.


Giuseppe Onufrio

fonte: https://www.greenpeace.org/

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Ricominciare meglio, creando nuovi lavori per la salute e l’energia pulita

Serve un piano statale di investimenti in nuovi posti di lavoro per ridurre l'inquinamento atmosferico locale e posti di lavoro nel settore sanitario, che necessita una ristrutturazione urgente: 7,5 miliardi di euro nel periodo 2021-2030.




È urgente cogliere l’attimo fuggente, in cui dopo il coronavirus, molti sono più disponibili a perseguire il bene collettivo, affidandosi a una maggiore leadership medica e scientifica. Se perdiamo questo slancio, potremmo ritrovarci a seguire di nuovo strade vecchie.

Concordiamo sul fatto che questo momento richieda cambiamenti radicali, come ad esempio quello proposto dalle economiste olandesi, compreso un’alternativa al Pil e un’economia basata sulla ridistribuzione (Arsel 2020).

Tuttavia, è probabile che tali cambiamenti radicali non siano accettati nell’attuale situazione italiana e il pericolo è che non si riesca ad accelerare la mitigazione del riscaldamento climatico come richiesti dai giovani di Fridays for future.

In questo articolo proponiamo un programma pluriennale di disinquinamento che risponda alle profonde paure di malattie e morte che la pandemia ha suscitato, e che pertanto va iniziato nelle aree del Nord più colpite dal Codiv-19 (Tebano, E., “Covid-19 è più letale dove c’è più inquinamento”, Corriere della Sera, 9 aprile 2020)..

Infatti, le aree con il più alto livello di particolato, PM2.5, sono concentrate nel nord Italia (EEA 2019). Le malattie che derivano dall’inquinamento atmosferico locale (cardiopatia ischemica, malattia cerebrovascolare, malattia polmonare ostruttiva cronica (COPD), infezione delle vie respiratorie inferiori, e cancro ai polmoni) sono tra le principali comorbidità dei pazienti che muoiono con coronavirus in Italia, in un campione di 10.000 casi (Mebane, W., “Global Warming and Coronavirus Are Not Distant Cousins”, Wall Street International Journal, 25 marzo 2020).

L’Agenzia Europea per l’Ambiente stima che ci sono 76.200 morti premature in Italia, nel 2016, attribuibile a materiale particolato PM 2.5, diossido di azoto, e ozono (EEA 2019). Tutti questi inquinanti sono prodotti dall’utilizzo dei combustibili fossili.

Proponiamo investimenti in nuovi posti di lavoro, non solo per la mitigazione del clima volto a ridurre l’inquinamento atmosferico locale, ma anche posti di lavoro nel settore sanitario, che necessita una ristrutturazione urgente.

Lavori per la salute

I lavori per la salute si concentrerebbero sul promuovere nuova occupazione per rafforzare il settore in termini di prevenzione e gestione epidemie che si ripresenteranno nei prossimi anni.

Come scrivono alcuni medici di un ospedale di Bergamo: “I sistemi sanitari occidentali sono costruiti mettendo al centro il malato, ma un’epidemia richiede un cambio di prospettiva verso un approccio che metta al centro la comunità. Servono soluzioni per l’intera popolazione, non solo per gli ospedali. Cure a domicilio e cliniche mobili evitano spostamenti non necessari e allentano la pressione sugli ospedali. Ossigeno terapia precoce, pulsossimetri, e approvvigionamenti adeguati possono essere forniti a domicilio ai pazienti con sintomi leggeri o in convalescenza. Bisogna creare un sistema di sorveglianza capillare che garantisca l’adeguato isolamento dei pazienti, utilizzando la telemedicina. Quest’approccio limiterebbe l’ospedalizzazione a un gruppo mirato di malati gravi, diminuendo così il contagio” (Misuraca, L, “I medici di Bergamo ai colleghi stranieri: Evitate gli errori fatti in Lombardia”, Il Salvagente, 25 marzo 2020).

Mettere al centro la comunità implica privilegiare la promozione del benessere collettivo nelle sue componenti ambientali, economiche, psicologiche, e sociali; rendere i cittadini attivi nel promuovere questo benestare collettivo e dare maggiori poteri decisionali alle donne nella Sanità Pubblica.

I progetti di educazione alla salute per tutte le fasce della popolazione promuoveranno il senso di comunità, la cura dei luoghi, il mutuo aiuto tra vicini e la solidarietà intergenerazionale.

Lavori per l’energia pulita

I progetti per l’energia pulita potrebbero essere realizzati assegnando risorse aggiuntive ai programmi energetici esistenti, con un avvio rapido e una gestione molto più semplice.

Inoltre, ridurre l’inquinamento atmosferico locale significa diminuire le emissioni di combustibili fossili e di anidride carbonica, uno degli obiettivi più importanti della politica energetica italiana ed europea.

Le azioni fanno parte del piano energia-clima (PNIEC) già presentato alla Commissione Europea. Il finanziamento dell’iniziativa dovrebbe includere fonti europee.

Un vantaggio essenziale della nostra proposta consiste nel fatto che molte attività dell’efficienza energetica hanno un’alta intensità di lavoro.

Tipici interventi di efficienza energetica includono la riqualificazione edilizia: dei condomini, delle case, delle scuole, degli edifici pubblici, degli uffici; e l’integrazione delle fonti energetici rinnovabili in edilizia, con impegno alla graduale eliminazione del gasolio da riscaldamento.

Nel settore di trasporto le priorità indicate sono: lo spostamento della mobilità, passeggeri privata verso la mobilità collettiva e lo “smart mobility”; lo spostamento del trasporto merci da gomma a rotaia; e l’efficientamento dei veicoli.

L’enfasi sarebbe sull’efficientamento energetico. Tuttavia, l’uso di fonti di energia rinnovabile potrebbe essere preso in considerazione in casi di forte impatto sul lavoro.

L’impegno di spesa per lo Stato dovuto alla promozione dell’efficienza energetica è stimato pari a 7,5 miliardi di euro nel periodo 2021-2030, ovvero 750 milioni euro per anno, secondo il piano PNIEC.

Proponiamo di avviare, quanto prima, un programma pluriennale per l’energia pulita (basata sull’efficienza energetica, a partire dalle aree più colpite dal coronavirus) con una base indicativa di 750 milioni di euro per il primo anno.

Si osservi che il pagamento delle spese autorizzato al Ministero dell’Ambiente per Programmi e interventi per il governo dei cambiamenti climatici ed energie rinnovabili ammonta 161.716.616 euro per l’anno 2020 (Bilancio dello Stato 2020).

fonte: www.qualenergia.it

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Finita questa emergenza, vogliamo un #RitornoAlFuturo!

L’appello dei ragazzi di #FridaysForFuture e degli scienziati del clima sulla rinascita post-Coronavirus. “Le crisi sono due. Ma la soluzione è una sola.”


Cara Italia,


Ascolta questo silenzio.

La nostra normalità è stata stravolta e ci siamo svegliati in un incubo. Ci ritroviamo chiusi nelle nostre case, isolati e angosciati, ad aspettare la fine di questa pandemia. Non sappiamo quando potremo tornare alla nostra vita, dai nostri cari, in aula o al lavoro. Peggio, non sappiamo se ci sarà ancora un lavoro ad attenderci, se le aziende sapranno rialzarsi, schiacciate dalla peggiore crisi economica dal dopoguerra.

Forse avremmo potuto evitare questo disastro?

Molti studi sostengono che questa crisi sia connessa all’emergenza ecologica. La continua distruzione degli spazi naturali costringe infatti molti animali selvatici, portatori di malattie pericolose per l’uomo, a trovarsi a convivere a stretto contatto con noi. Sappiamo con certezza che questa sarà solo la prima di tante altre crisi – sanitarie, economiche o umanitarie – dovute al cambiamento climatico e ai suoi frutti avvelenati. Estati sempre più torride e inverni sempre più caldi, inondazioni e siccità distruggono già da anni i nostri raccolti, causano danni incalcolabili e vittime sempre più numerose. L’inesorabile aumento delle temperature ci porterà malattie infettive tipiche dei climi più caldi o ancora del tutto sconosciute, rischiando di farci ripiombare in una nuova epidemia.

Siamo destinati a questo? E se invece avessimo una via d’uscita? Un’idea in grado di risolvere sia la crisi climatica sia la crisi economica?

Cara Italia, per questo ti scriviamo: la soluzione esiste già.

L’uscita dalla crisi sanitaria dovrà essere il momento per ripartire, e la transizione ecologica sarà il cuore e il cervello di questa rinascita: il punto di partenza per una rivoluzione del nostro intero sistema. La sfida è ambiziosa, lo sappiamo, ma la posta in gioco è troppo alta per tirarsi indietro. Dobbiamo dare il via a un colossale, storico, piano di investimenti pubblici sostenibili che porterà benessere e lavoro per tutte e tutti e che ci restituirà finalmente un Futuro a cui ritornare, dopo il viaggio nell’oscurità di questa pandemia

Un futuro nel quale produrremo tutta la nostra energia da fonti rinnovabili e non avremo più bisogno di comprare petrolio, carbone e metano dall’estero. Nel quale smettendo di bruciare combustibili fossili, riconvertendo le aziende inquinanti e bonificando i nostri territori devastati potremo salvare le oltre 80.000 persone uccise ogni anno dall’inquinamento atmosferico.

Immagina, cara Italia, le tue città saranno verdi e libere dal traffico. Non perché saremo ancora costretti in casa, ma perché ci muoveremo grazie a un trasporto pubblico efficiente e accessibile a tutte e tutti. Con un grande piano nazionale rinnoveremo edifici pubblici e privati, abbattendo emissioni e bollette. Restituiremo dignità alle tue infinite bellezze, ai tuoi parchi e alle tue montagne. Potremo fare affidamento sull’aria, sull’acqua, e sui beni essenziali che i tuoi ecosistemi naturali, sani e integri, ci regalano. Produrremo il cibo per cui siamo famosi in tutto il mondo in maniera sostenibile.

In questo modo creeremo centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro ben retribuiti, in tutti i settori.

Questo Futuro è davvero possibile, cara Italia, ne siamo convinti. Per affrontare questa emergenza sanitaria stiamo finalmente ascoltando la scienza. Ed è proprio la scienza ad indicarci chiaramente la rotta da percorrere per sconfiggere la crisi climatica. Stavolta sappiamo quanto tempo ci rimane per agire: siamo già entrati nel decennio cruciale. Il momento del collasso dell’unico ecosistema in cui possiamo vivere, il superamento di 1,5°C di riscaldamento globale, già si staglia all’orizzonte. La folle curva di emissioni va capovolta già da quest’anno, e per sempre. Solo se ci riusciremo costruiremo un paese e un mondo più giusto, più equo per tutte e tutti, non a spese dei più deboli, ma di quei pochi che sulla crisi climatica hanno costruito i loro profitti.

Cara Italia, sei di fronte ad un bivio della tua storia, e non dovranno esserci miopi vincoli di bilancio o inique politiche di austerity che ti impediscano di realizzare questa svolta.

Cara Italia, tu puoi essere d’esempio. Puoi guidare l’Europa e il mondo sulla strada della riconversione ecologica.

Non a tutte le generazioni viene data la possibilità di cambiare davvero la storia e creare un mondo migliore – l’unico in cui la vita sia possibile.

Questa è la nostra ultima occasione. Non possiamo permetterci di tornare al passato. Dobbiamo guardare avanti e preparare il nostro Ritorno al Futuro!

PS: questo è solo l’inizio. Oggi comincia una grande campagna per la rinascita del nostro paese, che ci porterà fino al lancio di una serie di proposte concrete, in occasione del global #DigitalStrike, il 24 aprile. E non saremo soli.


Fai sentire la tua voce! Firma insieme agli attivisti di #FridaysForFuture e agli scienziati del clima!

Firma qui!


fonte: https://ritornoalfuturo.org

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Cara Greta Thunberg e Fridays for Future, non è ora di cambiare musica?

Che Greta Thunberg sia un essere eccezionale con fantastiche qualità, saggezza, lungimiranza e coraggio, è fuori di dubbio. Però forse ora lei e di conseguenza il movimento che a lei si ispira, dovrebbero prendere coscienza di un fatto oggettivo e agire di conseguenza...




Che Greta Thunberg sia un essere eccezionale con fantastiche qualità, saggezza, lungimiranza e coraggio, è fuori di dubbio. Però forse ora lei e di conseguenza il movimento che a lei si ispira, dovrebbero prendere coscienza di un fatto oggettivo e agire di conseguenza. Greta stessa riconosce e afferma pubblicamente che continua a dire le stesse cose ovunque è invitata a parlare e ad oggi nulla è stato fatto per contrastare veramente i catastrofici cambiamenti climatici in atto. Parole chiare, nette e inequivocabili le sue e anche a Davos per l’ennesima volta ha detto quello che ripete da quando è alla ribalta della scena internazionale. Richieste sacrosante, giustissime ma se i politici, i governi e tantomeno i media si mobilitano come dovrebbero, cosa si fa? Si continua a fare manifestazioni, a partecipare ad inutili congressi o riunioni internazionali, ripetendo le stesse cose che rimangono inascoltate?

Ormai è evidente che nemmeno di fronte a dati oggettivi ed eventi sempre più catastrofici, nè governi, né le banche, né le multinazionali di vario tipo, responsabili del disastro, hanno alcun interesse a cambiare. Al massimo si inventano giochi di prestigio di parole dicendo che sono a fianco dei giovani e poi continuano a fare esattamente quello che facevano prima, colorandolo un pochino di verde. Oppure fanno cortine fumogene parlando di miliardi di investimenti green ma è solo propaganda perchè dietro non c’è praticamente nulla di serio e soprattutto niente di immediato. Quindi cosa si fa? Si spera nell’impossibile o si agisce? E per agire si intende di fare quello che è riassunto nella bellissima e, per il periodo che viviamo, assai pertinente frase di Buckminster Fuller “Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare le cose, costruisci un modello nuovo che renda la vecchia realtà obsoleta.“

Inutile continuare a parlare a chi non vuole ascoltare, implorare, manifestare per cercare di motivare chi non ne ha alcuna intenzione, bisogna costruire una realtà che renda il vecchio sistema obsoleto. Per farlo è necessario impegnare la propria intelligenza ed energia nella realizzazione di un modello che abbia valori e pratiche completamente diverse dal mondo impazzito e suicida che la logica del profitto sulla pelle di tutto e tutti ha costruito.

Pochi, semplici e chiari passi che chiunque può fare e non richiedono alcuno sforzo ciclopico, sacrificio umano o laurea.

1) Togliere immediatamente tutti i soldi che si hanno nelle banche tradizionali che sono quelle che reggono in piedi l’intero sistema della devastazione e trasferire questi soldi nelle Banche Etiche, nelle MAG ovvero cooperative finanziarie etiche di mutua autogestione o eventualmente nelle banche di credito cooperativo che si impegnano a reinvestire i soldi nel territorio per progetti di tutela ambientale.

2) Pensare, pianificare, iniziare progetti nei settori che abbiano come obiettivi principali
l’ambiente e le persone: progetti sulle fonti rinnovabili, agricoltura e alimentazione biologica, tutela della biodiversità, degli animali, formazione ambientale, risparmio energetico e idrico, riqualificazione energetica degli edifici, recupero, riparazione e riuso materiali, medicina naturale, ecc, ci sono infinite applicazioni in questa direzione e c’è solo l’imbarazzo della scelta.

3) Farsi finanziare questi progetti dalle stesse Banche Etiche, cooperative finanziare etiche di mutua autogestione MAG, crediti cooperativi che si siano decisamente orientati alla tutela ambientale, a cui si sono dirottati i soldi tolti dalle banche tradizionali. In questo modo non ci sarebbe nessun crollo o collasso dell’economia ma solo uno spostamento delle risorse, da uno scopo all’altro.

4) Realizzare i suddetti progetti prendendo riferimento e spunto dalle innumerevoli iniziative pratiche che in Italia, in Europa e nel mondo ormai da decenni vanno nella direzione di una vera e reale sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale, economica e lavorativa.

Laddove l’ambiente è la nostra casa da preservare, la socialità uno spazio di stimoli positivi e costruttivi dove confrontarsi attraverso il dialogo. I soldi un mezzo e non un fine, con l’economia che si prende cura della casa come dice l’etimologia della parola. Il lavoro come mezzo di sostentamento ma anche di realizzazione e crescita personale, di creatività, di relazioni costruttive e collaborative, non noioso destino o palestra di arrivismo e competizione. Tutto questo è fattibile ora e subito, lo può fare chiunque e iniziare immediatamente a costruire il mondo nuovo. Creando migliaia di progetti simili e quindi liberando campagne, territori, quartieri, città dalla dittatura del profitto, automaticamente si interesseranno e parteciperanno sempre più persone. L’azione, la pratica e la testimonianza possono realizzare il vero cambio necessario e non più rimandabile.

Paolo Ermani

fonte: http://www.ilcambiamento.it