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La calotta glaciale della Groenlandia perde 8mld di tonn al giorno

Gli scienziati registrano un secondo evento di fusione massiccia per un vasto corpo di ghiaccio che ricopre la Groenlandia. Non intenso come quello del 2019, ma ugualmente preoccupante



Anche per la calotta glaciale della Groenlandia è iniziata l’estate. E con l’arrivo delle temperature più calde, i circa 1,7 milioni di km² di ghiaccio che occupano il territorio iniziano a “perdere pezzi”. Un fenomeno naturale che, tuttavia, dal 2000 ha registrato una costante accelerazione; rendendo sempre più difficile alle precipitazioni nevose riequilibrare la situazione. Il record negativo si è toccato nel 2019, quando la fusione dei ghiacci ha liberato 600 miliardi di tonnellate d’acqua. Un importo in grado di innalzare di 1,5 millimetri il livello del mare.

E quest’anno? Non va poi così bene. Secondo i ricercatori danesi di Polar Portal, l’ondata di caldo che ha raggiunto il territorio con temperature di oltre 10 gradi sopra la media stagionale, ha prodotto precise conseguenze. Da mercoledì a sabato la calotta glaciale della Groenlandia ha perso circa otto miliardi di tonnellate di ghiaccio al giorno. Un valore doppio rispetto al normale tasso medio estivo. Per spiegarlo in termini semplici l’evento ha coinvolto abbastanza massa “da coprire la Florida con 5 centimetri d’acqua”.


Spiega il professor Jason Box, scienziato del Servizio Geologico Nazionale della Danimarca e della Groenlandia: “Sebbene quest’anno l’inizio della stagione di ablazione sia avvenuto in ritardo, i nostri dati mostrano che la fusione è stata piuttosto intensa sulla calotta glaciale da giugno. E con un inverno relativamente secco rischiamo di registrare una perdita di ghiaccio molto elevata questo anno, al apri del 2019, se dovessimo andare incontro ad un altro picco di caldo“.

Attualmente “il livello del mare sta attualmente aumentando a un ritmo di circa 4 mm all’anno”, aggiungono gli scienziati danesi. “Più della metà di questo proviene dallo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali. Un nuovo studio scientifico mostra che la velocità con cui quest’ultime stanno perdendo ghiaccio è nella fascia alta di quanto previsto dai modelli climatici nell’ultimo grande rapporto IPCC. Superando anche quanto previsto dai modelli climatici con le attuali emissioni di gas serra. Le ragioni di ciò sono diverse in Groenlandia e in Antartide, e ciò evidenzia la necessità di lavorare per capire il fenomeno”.

fonte: www.rinnovabili.it


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Ci sono micro-plastiche nella calotta glaciale più grande d’Europa

Trovate in un’area incontaminata del ghiacciaio Vatnajokull in Islanda. Le microplastiche possono influenzare lo scioglimento e il comportamento areologico dei ghiacciai, “contribuendo all’innalzamento del livello dei mari in seguito allo scioglimento dei ghiacci”
















Sono state trovate micro-plastiche in un’area incontaminata del ghiacciaio Vatnajokull in Islanda, la più grande calotta glaciale d’Europa. E’ la prima volta che accade, e il ritrovamento è stato descritto in un articolo pubblicato su ‘Sustainability’, da parte degli scienziati dell’Università di Reykjavik, dell’Università di Goteborg, e dell’Ufficio meteorologico islandese.

Le microplastiche – viene spiegato – possono influenzare lo scioglimento e il comportamento areologico dei ghiacciai, “contribuendo all’innalzamento del livello dei mari in seguito allo scioglimento dei ghiacci”.

Il gruppo di ricerca ha identificato le particelle plastiche classificandole in varie dimensioni, grazie alla microscopia ottica e alla spettroscopia Raman (la spettroscopia Raman o spettroscopia di scattering Raman è una tecnica di analisi dei materiali basata sul fenomeno di diffusione di una radiazione elettromagnetica monocromatica da parte del campione analizzato). Lo studio sulle micro-plastiche si è concentrato principalmente sulla discussione degli effetti della contaminazione in mare; e finora sono state condotte poche ricerche sulla presenza nelle calotte glaciali terrestri. Particelle polimeriche sono state trovate nelle Alpi italiane, nelle Ande ecuadoriane e negli iceberg alle Svalbard.

Secondo Hlynur Stefansson, primo autore dell’articolo, la comprensione della distribuzione della plastica microscopica e dei suoi effetti a breve e lungo termine sulla dinamica del ghiaccio è di “vitale importanza”. “I risultati confermano che le micro-plastiche sono distribuite nell’atmosfera. Non comprendiamo abbastanza bene i percorsi delle particelle nel nostro ambiente. La plastica viene trasportata dalla neve e dalla pioggia. Dobbiamo saperne di più sulle cause. I campioni che abbiamo prelevato provengono da una posizione molto remota e incontaminata nel ghiacciaio Vatnajokull, senza un facile accesso, quindi è improbabile che la causa sia l’inquinamento diretto dall’attività umana”.

Ma in base a quanto emerso con lo studio “abbiamo anche bisogno di sapere molto di più sugli effetti a breve e lungo termine della microplastica sulla dinamica del ghiaccio”, e soprattutto se esiste un “contributo allo scioglimento dei ghiacciai. Perché in questo caso potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell’innalzamento del livello dei mari. Le particelle […] si degradano molto lentamente in un ambiente freddo, dove possono accumularsi e persistere per un tempo molto lungo. Alla fine, verranno rilasciati insieme all’acqua disciolta del ghiaccio, contribuendo all’inquinamento dell’ambiente marino. Per questo – conclude – è molto importante mappare e comprendere la presenza e la dispersione di micro-plastiche nei ghiacciai su scala globale”.

fonte: www.rinnovabili.it


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Ghiaccio artico: dal 2025 non scherma più le acque dal riscaldamento globale

La trasmissione di calore dall’aria all’acqua dell’Artico viene impedita dalla calotta. Ma solo se la coltre misura più di 50 cm



Il ghiaccio artico potrebbe smettere di schermare le acque del Polo Nord dal calore contenuto in atmosfera già dalla metà di questo decennio. Perché ciò si verifichi non c’è bisogno che la coltre ghiacciata scompaia del tutto. L’effetto-tappo del ghiaccio artico perde efficacia anche quando lo strato si assottiglia eccessivamente.

I calcoli li ha fatti un gruppo di ricercatori della Texas A&M University e pubblicati in un articolo sulla rivista Climate Dynamics. Il punto di partenza è l’osservazione che il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature globali, che tocca uno dei suoi picchi massimi con lo scostamento che si registra al Polo Nord e su gran parte delle regioni artiche, causa un assottigliamento della calotta polare. In particolare, la coltre che si è accumulata di anno in anno, e che quindi resiste all’estate artica ed è di spessore maggiore, non viene ricostituita a sufficienza durante l’inverno.

Lo strato più sottile che ne risulta è meno in grado di proteggere la colonna d’acqua sottostante dal calore diffuso dall’atmosfera. Gli studiosi sono riusciti a calcolare che la soglia oltre la quale lo spessore del ghiaccio artico inizia a diventare inefficace si aggira tra i 40 e i 50 cm. Ogni porzione di Polo Nord dove la calotta è meno spessa di questi valori registrerà quindi un incremento delle temperature delle acque marine dovuto al passaggio di calore dall’aria.

Un’informazione importante perché permette di calcolare l’esatta estensione della calotta che resta in grado di fare da schermo. Secondo i ricercatori, si tratta di una superficie di circa il 4-14% più ristretta di quella totale. Che forniscono una visione prospettiva del fenomeno: tra i 360mila e i 970mila km2 di ghiaccio artico, nel corso del 20° secolo, sono diventati troppo sottili.

Il 2020 è stato il 2° anno peggiore di sempre per l’estensione della calotte artica. Le rilevazioni del Noaa americano a dicembre certificavano che le emissioni di gas serra stanno trasformando l’Artico in un clima completamente differente. Con ghiaccio in minor quantità, più giovane e più sottile. Colonnine di mercurio che raggiungono picchi inauditi e temperature medie che fanno stabilmente registrare record da 7 anni a questa parte. Effetti feedback più frequenti. E con alterazioni profonde delle caratteristiche biologiche di questo bioma, che si riscalda ad un ritmo doppio del resto del mondo.

fonte: www.rinnovabili.it


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Addio ai ghiacci

Già nel 2005 la riduzione dei ghiacci nella zona artica del pianeta aveva cominciato a raggiungere dimensioni impressionanti di milioni di chilometri quadrati, oggi, con gli aumenti record delle temperature medie registrate, la situazione è diventata naturalmente sempre più grave. Tra le conseguenze ancora non del tutto accertate scientificamente ma certo più che probabili, c’è la possibilità che lo scioglimento dei ghiacci possa liberare virus antichi, rimasti in ibernazione per molti secoli e capaci di sopportare l’alternanza di caldo e freddi estremi.



Nel mese di settembre l’estate, in Italia e nell’Artico, non era certamente ancora finita, ma già si moltiplicavano le previsioni relative a un 2020 tra gli anni più caldi degli ultimi decenni, anche se forse non sarà stato il più caldo di sempre. Vediamo quindi, con lo sguardo necessariamente retrospettivo delle nostre rilevazioni d’insieme, le informazioni disponibili nel settembre scorso sulla crisi climatica.

Nel Circolo Polare Artico gli incendi di questa estate hanno battuto il record raggiunto nell’anno passato, producendo nuvole di fumo che hanno coperto una superfice equivalente ad un terzo del territorio del Canada.

La maggior parte degli incendi si è verificata nella Repubblica Russa del Sakha, Siberia orientale, dove hanno percorso milioni di acri di terra e causato un picco di anidride carbonica, stimata in 208 megatonnellate nel 2019 e in 395 nel 2020. Inoltre una massa di ghiaccio di 113 chilometri quadrati si è staccata dalla piattaforma 79N, situata nel nord ovest della Groenlandia.

Riportiamo inoltre i dati ripresi da un testo di grande interesse per la comprensione dello stato e delle prospettive delle aree più ghiacciate al Polo Nord e al Polo Sud (Peter Wadhams, “Addio ai ghiacci”, due edizioni in italiano, che è stata allegata alla rivista Le Scienze del settembre 2020) del quale consigliamo vivamente la lettura, in quanto completo nelle analisi e quasi profetico nelle previsioni.

Secondo questa fonte, attualmente il ghiaccio marino dell’Artico (cioè gli strati di ghiaccio che si formano non sulla terraferma ma sul mare) raggiunge la sua massima estensione e spessore a febbraio, e quella minima a settembre.

Già nel 2005 si registrava una grande riduzione dei ghiacci e quello marino si staccava dalle coste della Siberia e dell’Alaska agevolando l’attraversamento del mitico Passaggio a Nord Ovest. In termini quantitativi il ghiaccio si riduceva a 5,3 milioni di chilometri quadrati rispetto ad una media stagionale di circa 8 milioni di chilometri quadrati.

Nel 2007 si è registrata una ulteriore riduzione a 4,1 milioni di kmq. E nel 2012 si è pervenuti a 3,4 milioni sempre di chilometri quadrati. In previsione, è probabile che avremo nei prossimi anni durante l’estate solo delle sacche di ghiaccio per meno di un milione di chilometri quadrati complessivi.

Sempre secondo questo autore, la situazione dell’Antartide è un po’ diversa, l’accumulazione di ghiaccio marino durante l’inverno su coste sempre battute dalle onde e dai venti è molto maggiore, e le diminuzione dello spessore procede più lentamente, mentre dalla banchisa si staccano invece iceberg di grandi dimensioni (uno era grande come la Liguria e la frattura che ha causato il distacco era lunga 160 chilometri).

Infine, da una fonte giornalistica, ogni tanto si ricorda la possibilità che lo scioglimento dei ghiacci potrebbe liberare virus antichi, rimasti in ibernazione per molti secoli e che quando emergono potrebbero liberare antichi virus capaci di sopportare l’alternanza di caldo e freddi estremi.

L’ipotesi che siano ancora attivi e quindi particolarmente pericolosi per gli esseri umani attuali sembra sia ancora da dimostrare sul piano scientifico. Infine, può essere utile ricordare i livelli massimi e minimi raggiunti dalle temperature gli ultimi giorni di agosto: il termometro ha raggiunto a Herat, in Afghanistan i 55,2 gradi centigradi, mentre allo stesso 25 agosto a Dome A, in Antartide si registravano meno 69 gradi centigradi.

Tra i meccanismi globali di danno è da ricordare un dato fornito dall’Agenzia Europea per l’Ambiente: il 13% dei decessi in Europa è dovuto alle diverse forme di inquinamento.

In Cina la situazione è decisamente più grave perché il solo inquinamento dell’aria causa tra 1,2 e 1,5 milioni di morti ogni anno. I dati si riferiscono la concentrazione registrata tra il 2000 e il 2016 delle polveri sottili Pm 2,5, e quindi in complesso circa trenta milioni di morti premature tra gli adulti.

I dati disponibili riguardano le emissioni globali di gas serra. Tra il 1990 e il 2015 sono state emesse 722 gigatonnellate di gas serra, per circa la metà dovute ai consumi del 10% più ricco della popolazione mondiale (630 milioni di persone ( in Usa, Ue, Cina e India) che hanno un reddito netto di almeno 38mila dollari all’anno.

L’1% della popolazione con un reddito di almeno 109mila dollari, è responsabile del 15% delle emissioni. La classe media, 2,5 miliardi di persone, è responsabile del 40% delle emissioni, mentre la metà più povera causa solo il 7% delle emissioni.


Eventi estremi

Naturalmente, questi cambiamenti climatici hanno causato un numero impressionane e crescente di eventi meteorologici estremi.

Cicloni. Durante il passaggio dell’uragano Laura, si sono contati 29 morti, di cui 20 in Louisiana, 8 in Texas e 1 in Florida. Lo stesso evento aveva già causato la morte di 35 persone nei Caraibi, in particolare ad Haiti e nella Repubblica Dominicana. I venti hanno raggiunto i 240 chilometri orari e quindi si è trattato dell’uragano più forte degli ultimi 150 anni. L’uragano Sally, con venti fino a 155 chilometri orari, ha raggiunto Alabama e Florida, causando alluvioni e interruzioni di corrente elettrica.

Il tifone Haishen, in Corea del Sud, con venti fino 180 chilometri orari, ha causato alluvioni e la cancellazione di centinaia di voli.

In precedenza , aveva causato due morti in un’isola a sud-ovest del Giappone. Il ciclone Ianos, nel Mediterraneo con 120 chilometri all’ora ha colpito la Grecia nella Tessaglia e ha causato tre morti , mentre almeno 5000 case sono state danneggiate.

Incendi. Dall’inizio dell’anno, in California, gli incendi hanno distrutto più di 8000 chilometri quadrati di vegetazione, una superficie uguale a quello dello Stato del Delaware, è il dato più alto dal 1987. Gli incendi senza precedenti che dall’inizio dell’estate si sono propagati in California, Oregon e Stato di Washington hanno distrutto più di due milioni di ettari di vegetazione e hanno causato 35 morti.

In Argentina, secondo alcune associazioni ambientaliste locali, gli incendi hanno distrutto più di 350mila ettari di zone umide nel delta del fiume Paranà e 48mila ettari di foreste nella provincia di Cordoba. Per il 95% sarebbero di origine dolosa. Secondo il programma europeo Copernico, gli incendi di quest’anno in Siberia hanno prodotto emissioni record di anidride carbonica, e precisamente 244mila tonnellate , contro le 181mila del 2019.

Un incendio in Andalusia, Spagna, ha distrutto circa 10mila ettari di vegetazione e costretto 3200 persone ad abbandonare le loro case.

Alluvioni. A seguito di estese alluvioni, in Niger sono morte 35 persone dall’inizio di giugno e 300 mila sono state costrette a lasciare le loro abitazioni. In Pakistan sono state almeno 38 le persone morte a causa delle forti piogge, mentre in Burkina Faso i morti per la stessa causa sono stati 13.

In Sudan sono morte 99 persone e le case danneggiate oltre 100mila, e il Nilo ha fatto registrare il più alto livello raggiunto dalle sue acque da quando sono iniziate le rilevazioni. Molta pioggia è inoltre caduta su 5 delle 10 regioni dell’Etiopia, con almeno 200mila persone rimaste senza casa. Infine in Senegal le vittime delle piogge sono state 5.

Fulmini. In Uganda sono stati colpiti a morte 9 bambini.

Carenze idriche. Acqua generalmente sfruttata in modo insostenibile, con le acque fossili in netta riduzione in Africa.

Invasione di meduse. Anche se in realtà sono gli esseri umani ad invadere il loro habitat. A livello mondiale, sono circa diecimila le specie di meduse conosciute e vivono da oltre 500 milioni di anni sul pianeta, in quanto sono i primi animali pluricellulari ad essersi affermati nei mari.

Possono superare i due metri di diametro e pesare più di 200 chili. Quali sono le cause principali dell’invasione di mari diversi? La pesca intensiva di cetacei, tartarughe e tonni e il riscaldamento generale delle acque dei mari.


Aree colpite da disastri.

Dal mese di luglio l’Arcipelago delle Mauritius ha affrontato un grave disastro ambientale. A metà del mese una nave cargo, la MV Wakashio si è prima incagliata e poi spezzata in due parti a Grand Salle, una delle isole, e da essa sono fuoriuscite almeno 1000 tonnellate di petrolio.

Il 31 agosto, un vecchio rimorchiatore, uscito per trainare una chiatta che doveva raccogliere il petrolio, è affondato causando la morte di tre uomini dell’equipaggio.

Può sembrare che nel mondo vi siano meno incidenti che coinvolgono petroliere, ma in realtà il petrolio che fuoriesce è in quantità molto maggiori perché le navi hanno ormai dimensioni sempre più grandi.

Con le maggiori dimensioni, i percorsi più a rischio sono quelli attraverso gli stretti di Hormuz, Malacca, Bosforo, Suez, Bab Al Mandeb e quelli vicino alla Danimarca.

Il campo di accoglienza per immigrati di Moria, sull’isola di Lesbo, che ne accoglieva quantità molto maggiori della sua capienza e li manteneva in condizioni miserevoli, è bruciato nel mese di agosto. Alcuni paesi europei sono intervenuti per ricollocare almeno in parte gli immigrati, però hanno accettato solo 400 bambini, ben poca cosa rispetto alle 13.000 persone che affollavano il campo.

In Kenya, le grandi aziende petrolchimiche che producono la plastica stanno cercando di far modificare le norme in vigore nel paese, ma in realtà sono interessate anche ad altri paesi africani.

Queste imprese hanno investito 200 miliardi di dollari nelle attività produttive. Inoltre nel 2019 hanno spedito quasi 700mila tonnellate di rifiuti di plastica in 96 paesi, dove solo una parte sarà riciclata secondo modalità corretta, mentre il resto sarà disperso nell’ambiente.

I flussi di rifiuti verso l’Africa sono quadruplicati dopo che la Cina nel 2018 ha bloccato queste importazioni. E’ tuttavia importante notare che in Africa 34 paesi su 57 hanno vietato l’uso dei sacchetti di plastica.

Kobalt Belt, la grande area dove si estrae il cobalto, un minerale prezioso per costruire le batterie di auto e telefonini, la richiesta mondiale ammonta 200mila tonnellate.

A 2000 chilometri dalla capitale del Congo, nella regione del Katanga, oltre ai minatori ufficiali che lo estraggono, lavorano oltre 40.000 tra bambini e adulti che scavano a mani nude o con strumenti rudimentali le pietre incrostate del prezioso minerale, che sarà poi purificato nell’impianto di una multinazionale inglese, la Glencore.

Per reperire e raccogliere dieci chili di pietre servono due giornate di lavoro pagate da 3 a 5 dollari ciascuna, mentre i prezzi internazionali del minerale aumentano ogni giorno.


Politiche dannose per l’ambiente

In Egitto, sono molto discussi i progetti di due autostrade che sembra debbano attraversare la zona turistica delle Piramidi

E’ in corso la costruzione della Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che costerà all’Italia 4,5 miliardi di euro e attraverserà la Puglia, per far arrivare il gas dal Mar Caspio e dall’Azerbaigian.

Il reddito garantito, volto ad eliminare il lavoro nero In Italia, ha fatto emergere 200mila cameriere e badanti, ma un numero molto ridotto di braccianti agricoli.

L’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile chiede che siano cancellati i 19 miliardi di sussidi alle imprese che con le loro attività produttive e commerciali continuano a causare rilevanti danni all’ambiente.

Un articolo riporta che almeno il 43% delle spiagge italiane è colpito da forme di erosione e sottolinea che la possibilità di procedere ad un arretramento degli stabilimenti balneare e degli altri locali impiantati sulle spiagge è stata finora completamente ignorata, mentre le cifre pagate dai concessionari per l’uso del demanio pubblico continuano ad essere ridicolmente basse.

L’Eni e il governo annunciano su molti giornali la creazione vicino Ravenna del più grande centro di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica già presente nell’atmosfera, che verrà quindi bloccata ad almeno tremila metri di profondità, negli spazi lasciati liberi dal petrolio e dai gas estratti in precedenza.

Le fonti non precisano le quantità da prelevare e immagazzinare e i costi complessi di tutta l’operazione. E’ bene ricordare che queste soluzioni tecnologiche a uno dei più gravi problemi ambientali sono state pochissimo sperimentate e potrebbero risultare eccessivamente costose.

Ma l’aspetto più preoccupante è quello del rapporto tra le emissioni che continuano ad aumentare e le quantità di CO2 che in quantità crescenti si accumulano nell’atmosfera.

In altre parole, la priorità assoluta dovrebbe essere data a una rapida riduzione delle emissioni di gas serra, fino a farle sparire entro pochissimi anni (e su questo versante ancora si agisce in misura praticamente irrilevante): vi è cioè il rischio che le soluzioni tecnologiche distraggano dagli obiettivi reali da perseguire subito.

Mancano inoltre indicazioni precise sulle reali possibilità di trasformare l’anidride carbonica in sostanze utili e sui costi relativi. Infine un dato che dovrebbe essere approfondito e confermato. Su un giornale, che faceva riferimento alla “lentocrazia” c’era un dato preoccupante: i decreti finora emanati contenenti misure anticovid sembra siano stati attuati solo nella misura del 28%! C’è solo da sperare che si tratti della immaginazione troppo fervida di un giornalista poco scientifico…

Alberto Castagnola

fonte: comune-info.net


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Fusione record dei ghiacci in Groenlandia





















Secondo una ricerca scientifica recentemente pubblicata e ripresa da The Guardian, secondo quanto mostrano i dati satellitari, la calotta glaciale della Groenlandia ha perso una quantità record di ghiaccio nel 2019, equivalente a un milione di tonnellate al minuto durante l’anno.

La crisi climatica sta riscaldando l’Artico a una velocità doppia rispetto alle latitudini più basse e la calotta glaciale è il più grande singolo contributore all’innalzamento del livello del mare, che già mette in pericolo le coste di tutto il mondo. La calotta glaciale si è ridotta di 532 miliardi di tonnellate l’anno scorso quando la sua superficie si è sciolta e i ghiacciai sono caduti nell’oceano, con una quantità che avrebbe riempito sette piscine olimpioniche al secondo.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Communications Earth & Environment, ha utilizzato i dati dei satelliti Grace della Nasa, che effettuano misurazioni della gravità e pesano la massa di ghiaccio in Groenlandia.

I dati satellitari sono stati raccolti dal 2003. La perdita del 2019 è stata il doppio della media annuale da allora, che era di 255 miliardi di tonnellate. Questo quantitativo è stato perso quasi solo nel luglio 2019.


Mass changes of the Greenland Ice Sheet between 2002 and 2019 [Sasgen, I., Wouters, B., Gardner, A.S. et al. Return to rapid ice loss in Greenland and record loss in 2019 detected by the GRACE-FO satellites. Commun Earth Environ 1, 8 (2020)]

Gli scienziati hanno attribuito l’estrema perdita di ghiaccio nel 2019 alla permanenza di aria calda sulla Groenlandia per periodi più lunghi del solito. Questi stanno diventando sempre più frequenti mentre il mondo si surriscalda.

Secondo i ricercatori l’entità della perdita di ghiaccio del 2019 probabilmente sarà la più grande da secoli. Se l’intera calotta glaciale della Groenlandia si sciogliesse, il livello del mare aumenterebbe di sei metri.

Nonostante il rapido scioglimento, la calotta glaciale della Groenlandia – secondo gli stessi scienziati – non è necessariamente destinata a sciogliersi completamente. In primo luogo, quando i ghiacciai si ritirano perdono il contatto con le acque oceaniche più calde e quindi si sciolgono meno. In secondo luogo, lo scioglimento dei ghiacci richiederà comunque tempi molto lunghi, durante i quali l’aumento delle temperature globali potrebbe essere invertito, se ridurremo davvero le emissioni di gas serra.

fonte: https://www.snpambiente.it

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La fusione del permafrost dietro la fuoriuscita di carburante nell’Artico: è una bomba a orologeria

















Il grave disastro ambientale che sta colpendo in questi giorni la Russia sta facendo emergere un problema che oggi ancora di più non va sottovalutato. La fusione del permafrost infatti non solo sta liberando virus e batteri, ma potrebbe essere alla base della fuoriuscita di petrolio nell’Artico.

I cambiamenti climatici e lo scioglimento dei ghiacci potrebbero provocare più danni di quanto ipotizzato finora. E la “marea” rossa che sta inquinando il fiume russo Ambarnaya ne è la conferma.

Il 29 maggio, 21.000 tonnellate di petrolio e carburanti sono state versati da un serbatoio presso lo stabilimento della Norilsk Nickel. Secondo le prime ipotesi, del tutto verosimili avanzate dalla Norilsk Nickel, lo scioglimento dei ghiacci dovuto ai cambiamenti climatici avrebbe favorito il cedimento dei pilastri che avevano resistito per decenni.
Scioglimento del permafrost: pericolo per il rilascio di carbonio

Lo scioglimento del permafrost dunque è una vera e propria bomba a orologeria che minaccia la salute e l’ambiente e rischia di accelerare il riscaldamento globale. Il permafrost è il erreno ghiacciato che si trova principalmente nell’emisfero settentrionale, nell’Artico, dove copre circa un quarto della terra esposta. Essi generalmente ha migliaia di anni e copre un’ampia fascia tra il circolo polare artico e le foreste boreali, dall’Alaska alla Russia, fino al Canada. Può variare in profondità da pochi metri fino a centinaia.

Secondo gli scienziati, nel permafrost sono sepolte circa 1,7 trilioni di tonnellate di carbonio sotto forma di materia organica congelata: i resti di piante marce e animali morti da lungo tempo intrappolati nei sedimenti e successivamente coperti da lastre di ghiaccio. I suoli permafrost contengono circa il doppio di carbonio, principalmente sotto forma di metano e CO2, rispetto all’atmosfera terrestre.

Per questo lo scioglimento può essere ulteriormente pericoloso. Di fatto, contribuisce ad accelerare il riscaldamento globale. Quando il permafrost si scioglie, infatti, la materia si riscalda e si decompone, rilasciando infine il carbonio e contribuendo al riscaldamento globale. Un circolo vizioso molto pericoloso.

Secondo un rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) rilasciato a settembre 2019, gran parte del permafrost potrebbe sciogliersi entro il 2100 se l’inquinamento legato alle emissioni di carbonio continuerà senza sosta, rilasciando una bomba al carbonio di gas serra.
Scioglimento del permafrost: agenti patogeni congelati

Lo scongelamento del permafrost minaccia anche di liberare batteri e virusa lungo intrappolati nel ghiaccio e potenzialmente in grado di diffondere nuove malattie. Purtroppo è già accaduto.

Nel 2016 un bambino è morto nell’estremo nord della Siberia in Russia a causa della diffusione di antrace che secondo gli scienziati sembrava provenire dai resti di renne infette sepolte 70 anni prima ma ritornate alla luce per via dello scioglimento del permafrost.

Nel 2014 gli scienziati hanno rianimato un virus gigante ma innocuo, soprannominato Pithovirus sibericum, che era stato rinchiuso nel permafrost siberiano per oltre 30.000 anni.

Un disgelo del permafrost potrebbe essere un vantaggio per le industrie petrolifere e minerarie, fornendo l’accesso a riserve precedentemente difficili da raggiungere nell’Artico. Ma i danni potrebbero essere incalcolabili. Come dimostra l’ultimo disastro ambientale in corso in Russia, lo scioglimento del permafrost potrebbe rappresentare anche una seria e costosa minaccia per le infrastrutture, rischiando di provocare frane e danni a edifici, strade e oleodotti.
Gli ultimi aggiornamenti dalla Russia

La Norilsk Nickel il 5 giugno ha fatto sapere che al momento la diffusione del petrolio e dei carburanti è sotto controllo. Lo sversamento è localizzato e con l’installazione dei dispositivi di contenimento non si sta diffondendo ulteriormente.


“Il nostro compito ora è lavorare e rimuovere questi prodotti petroliferi ”, ha detto il ministro delle Emergenze Yevgeny Zinichev.

Dal canto suo, la società ha portato dei serbatoi in grado di contenere un volume totale di 16 mila tonnellate, che consentiranno di raccogliere tutto il carburante penentrato nel sistema idrico. Inoltre, sono state preparate strutture di stoccaggio per oltre 100 mila tonnellate di suolo. E’ in corso la bonifica su un’area di circa 6mila metri quadrati.

Pulire l’area non sarà facile e l’incidente danneggerà probabilmente il permafrost a lungo termine. Il carburante infatti abbassa il punto di congelamento dell’acqua, ciò potrebbe accelerare ulteriormente lo scongelamento.

Ripulire i danni della fuoriuscita costerà alla compagnia almeno 10 miliardi di rubli, pari a circa 130 milioni di euro.

Nonostante i rapporti non sempre idilliaci, Anche gli Usa hanno offerto il proprio aiuto alla Russia. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo sabato ha twittato che, nonostante i disaccordi del suo paese con la Russia, l’amministrazione Trump è pront a fornire supporto.

fonte: www.greenme.it

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Lo scongelamento del permafrost può alimentare il riscaldamento globale

Le emissioni provenienti dallo scongelamento del permafrost possono contribuire in modo significativo ai cambiamenti climatici, facendo superare gli obiettivi climatici di Parigi prima del previsto





L'accordo di Parigi mira a contenere l'aumento della temperatura atmosferica globale sotto i 2° C entro la fine del secolo, limitando le emissioni di gas serra. Tuttavia, l'innalzamento delle temperature nella zona dell’Artico può portare allo scongelamento del permafrost, con conseguenti emissioni aggiuntive di gas serra in atmosfera. Queste emissioni aggiuntive riducono infatti il bilancio del ciclo di carbonio, che delinea la quantità consentita di emissioni antropiche prima che vengano superati i 2° rispetto alla temperatura media preindustriale.

Un rapporto del JRC ha valutato l’attuale e futuro scongelamento del permafrost nell'Artico e le conseguenti emissioni di anidride carbonica e metano.

L'Artico si riscalda più velocemente del resto del pianeta e gli scienziati del JRC hanno concluso che l’incremento delle temperature in questa zona negli ultimi decenni è principalmente causato dal riscaldamento dell'oceano e del ghiaccio marino in inverno e dal riscaldamento della terra in estate.

Lo scongelamento del permafrost, ovvero i terreni perennemente ghiacciati che caratterizzano le regioni più settentrionali del pianeta, produrrebbe dunque un aumento delle emissioni di anidride carbonica. I cambiamenti passati nelle condizioni climatiche nell'area del permafrost hanno infatti portato ad un accumulo di vegetazione depositata, che ha creato grandi concentrazioni di carbonio organico nel suolo: si stima che nei terreni ghiacciati dell’emisfero settentrionale sia immagazzinato il doppio del carbonio contenuto nell'atmosfera. Quando il permafrost si scongela, il carbonio organico accumulato viene rilasciato in atmosfera con conseguente ulteriore emissione di anidride carbonica e metano destinati ad accelerare ancor di più il riscaldamento globale.

Le emissioni di anidride carbonica provenienti dallo scongelamento del permafrost hanno già un impatto sul tasso di riscaldamento globale, ma al momento il loro contributo è molto inferiore a quello delle emissioni prodotte dall'uomo. Gli scienziati stimano che in futuro la situazione potrebbe invertirsi e le emissioni provenienti dallo scongelamento del permafrost diventare più grandi di quelle antropiche e gli obiettivi dell'accordo di Parigi per ridurre il riscaldamento globale potrebbero essere superati prima del previsto. Ciò richiederebbe ulteriori riduzioni delle emissioni antropogeniche per limitare l'aumento della temperatura globale.

Ma gli effetti dello scongelamento del permafrost non si fermerebbero qui: uno studio pubblicato sulla rivista scientifica BiorXiv ha evidenziato come il disgelo dei ghiacciai e del permafrost può liberare virus e batteri non più attivi e intrappolati nel ghiaccio da millenni. Lo studio presenta i risultati di un progetto di ricerca iniziato nel 2015 da un team di ricercatori statunitensi e cinesi che hanno analizzato il contenuto microbico delle carote di ghiaccio prelevate nell’altopiano del Tibet. I ricercatori hanno perforato uno strato di ghiacciaio profondo 50 metri per ottenere due campioni in cui hanno identificato 33 gruppi di virus, 28 dei quali sconosciuti e sepolti da millenni. Si tratta di agenti patogeni che potrebbero liberarsi nell’aria ed entrare in contatto con le falde acquifere: tra questi il vaiolo o l’antrace, oltre ad altre malattie sconosciute e dunque pericolose per l’uomo che non ha gli anticorpi necessari per affrontarle.

fonte: http://www.arpat.toscana.it


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Clima, l’allarme degli scienziati: “Lo scioglimento dei ghiacci porta un’invasione di grandi alghe tossiche”

Lo studio mostra le conseguenze a cascata del riscaldamento globale per ora nel Sud-Est asiatico














Lo scioglimento delle calotte di neve nei ghiacci dell'Himalaya sta provocando la fioritura di alghe tossiche note come Noctiluca scintillans tanto grandi da essere visibili dallo spazio. Lo sostengono, in un articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports, i ricercatori della Columbia University, che hanno osservato la presenza di questi vegetali nelle coste adiacenti al Mar Arabico. «Noctiluca scintillans, un organismo planctonico di dimensioni millimetriche con la capacità di prosperare nelle acque costiere, forma dei filamenti e degli spessi turbinii verdi», afferma Joaquim Goes del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University. 
«Si tratta di un organismo resiliente, quasi sconosciuto vent'anni fa, ma che si è moltiplicato a un ritmo allarmante in India, Pakistan e altre nazioni, preoccupando gli esperti e minacciando la sopravvivenza del plancton, che ha un ruolo fondamentale nella catena alimentare. Lo scioglimento della neve nella regione dell'Himalaya tibetana sta aumentando le temperature oceaniche, alimentando così l'espansione della Noctiluca», aggiunge il ricercatore, specificando che le immagini satellitari della Nasa mostrano l'avanzare dell'alga. «Si tratta probabilmente di uno degli effetti più drammatici che abbiamo osservato in relazione ai cambiamenti climatici. Noctiluca è presente ora nel sud-est asiatico, al largo delle coste della Thailandia e del Vietnam fino a sud delle Seychelles e ovunque si manifesti porta dei problemi perché minaccia la catena alimentare già vulnerabile del Mar Arabico, danneggiando la qualità dell'acqua e causa mortalità per i pesci», prosegue Goes.

Clima, l’allarme degli scienziati: “Lo scioglimento dei ghiacci porta un’invasione di grandi alghe tossiche”

Il team ha effettuato degli esperimenti in laboratorio, utilizzando dati da indagini sul campo e immagini satellitari dell'agenzia spaziale americana. «Analizzando decenni di dati abbiamo collegato l'ascesa di Noctiluca nel Mar Arabico con lo scioglimento dei ghiacciai e con l'indebolimento dei monsoni invernali, che sono più caldi e umidi. Inoltre sono pochissime le specie che possono nutrirsi della Noctiluca», spiega ancora l'esperto. «La perdita di risorse della pesca ha il potenziale per esacerbare ulteriormente le turbolenze socioeconomiche per i paesi della regione che sono già colpiti dalla guerra e dalla povertà. Il nostro studio mostra le conseguenze a cascata del riscaldamento globale e di come i cambiamenti climatici influiscano sulla biologia degli oceani», conclude Goes. 
fonte: www.lastampa.it

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Un vero piano verde, ecco cosa serve per la ripresa post Covid-19


















La questione ambientale, come emerge da più parti, è profondamente interconnessa con la pandemia in corso. «Migliorare la salute dell’uomo e degli animali, insieme a quella delle piante e dell’ambiente, è l’unico modo per mantenere e preservare la sostenibilità del Pianeta» ha dichiarato a Greenpeace Ilaria Capua, virologa di fama internazionale.

L’origine delle pandemie è infatti legata alla distruzione dell’ambiente e della biodiversità, del sistema alimentare basato sugli allevamenti intensivi e sappiamo che il riscaldamento globale rischia di riproporre emergenze sanitarie come quella che stiamo vivendo. Questo sia ampliando l’areale di malattie tropicali trasmissibili da zanzare, cosa già in atto con la dengue, chikungunya, e Zika, sia per lo scongelamento dei ghiacci e del permafrost che potrebbero liberare virus e patogeni anche di epoche remote. Una recente ricerca sui ghiacciai tibetani ha evidenziato la presenza di 28 virus sconosciuti e nel 2016 un focolaio di antrace, virus potenzialmente letale, era emerso in Siberia a seguito dello scongelamento del permafrost.

La questione tutta politica è quella della direzione, bisognerà dirigere gli stimoli per la ripresa economica del post-pandemia: se verso i settori tradizionali – come promette Trump per aiutare i suoi grandi elettori petroliferi – o verso nuovi settori per una svolta nel senso del «Green Deal».



Due to the coronavirus (Covid-19) shutdown, public squares, parks, streets and the international airport in Hamburg are almost deserted. People have to keep distance.

I produttori di auto europei hanno già chiesto un allentamento del regime di emissioni di CO2, dunque cercano di spostare l’asse verso la conservazione del passato.

Invece la necessità di una svolta è una affermazione condivisa da molti, dai Fridays For Future, dal movimento ambientalista ai promotori del Manifesto di Assisi e, anche da parte istituzionale, la necessità di un Green Deal è stata ribadita sia dal Presidente del Consiglio Conte che dalla Presidente della Commissione Europea von der Leyen.

La lettera aperta dei ricercatori raggruppati ne «La scienza al voto» ha ricordato che la riconversione dalle fossili alle rinnovabili richiede «uno sforzo limitato, rispetto a quanto stiamo facendo per il coronavirus, quantificabile in pochi punti percentuali di PIL, spalmato su molti anni e, se ben gestito, affrontabile dagli Stati e dalla comunità internazionale senza forti ripercussioni sui cittadini». E, ricordano, che i benefici delle politiche di riduzione delle emissioni di gas serra si estendono anche in termini di inquinamento dell’aria (di altri gas, che non impattano sul clima ma sulla salute). Lo smog, già responsabile di decine di migliaia di morti premature in Italia, potrebbe aver giocato, come avanzato da più parti, un ruolo nel peggiorare l’impatto della pandemia.

L’analisi dell’Economist sulla pesante crisi petrolifera legata alla pandemia da Covid19 conclude che le aziende petrolifere farebbero bene a prendere questa come un esempio di quello che verrà, dopo che la pandemia sarà finita. E, cioè, che molti nostri comportamenti cambieranno. Nel frattempo, si è verificato il crollo del prezzo del WTI fino a valori negativi, fatto mai registrato nella storia, con previsioni di ripresa dopo la pandemia che gli analisti fissano a 20$ al barile, dunque un prezzo molto basso.

Anche il settore delle rinnovabili ha subito un contraccolpo dalla pandemia ma pare in proporzioni inferiori. Ed, essendo le principali tecnologie rinnovabili (solare, eolico) dedicate alla produzione di elettricità, la competizione tecnologica non è tanto col petrolio quanto col gas. Questo rimane lo spartiacque delle politiche energetiche in Italia: se continuare a frenare le rinnovabili per difendere il mercato del gas, o se accelerare, e di molto, con la transizione energetica. Il piano «verde» dell’Eni è basato su una tecnologia non provata e di dubbia sicurezza ambientale, il Ccs (reiniettare le emissioni di CO2 nel sottosuolo), protezione delle foreste (!) e troppo poche rinnovabili nell’orizzonte decisivo per le politiche climatiche. Eni continuerà a estrarre petrolio (meno) e molto gas, mantenendo dunque comunque il grosso delle emissioni di CO2 legate al core business che, invece, in una politica seria del clima deve radicalmente cambiare. Ma il governo, temiamo, non glielo chiederà dopo la riconferma di Descalzi. Un piano serio dovrebbe puntare pesantemente a far cambiare mestiere all’azienda: rinnovabili, gas di sintesi a partire da rinnovabili, industria dell’efficienza energetica.

Un vero Green Deal dovrebbe includere, tra le altre cose, il vincolo degli aiuti a banche e grandi aziende che abbiano piani coerenti con l’Accordo di Parigi. Per essere chiari, le banche che continuano a finanziare le fonti fossili dovrebbero essere escluse da qualunque aiuto pubblico. Sarà necessario rivedere in profondità il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), anche in vista dell’imminente rivisitazione degli obiettivi 2030 Ue a cui si ispira, limitando in particolare l’uso del gas fossile e lavorando per uno sviluppo più ambizioso delle fonti rinnovabili, specialmente prima del 2025.

Bisogna iniziare a ridurre i sussidi alle fonti fossili e spostarli verso altri settori, dalla mobilità elettrica nelle sue varie forme, agli ecoincentivi per la ristrutturazione profonda degli edifici. L’incentivazione di una mobilità sostenibile, a partire dalla ciclabilità delle città come sta già avvenendo ad esempio a Parigi, è una priorità per il progressivo rientro alla «normalità» e la difficoltà – speriamo momentanea – dell’utilizzo dei mezzi pubblici, mentre ancora il virus non è stato debellato. Un piano di ristrutturazione profonda degli edifici per aumentarne l’efficienza e l’uso di rinnovabili, avrebbe un effetto occupazionale importante in un settore centrale dell’economia italiana.

Il governo deve adesso dimostrare se fa sul serio quando parla di sostenibilità o se intende continuare a proteggere i settori fossili che ci bloccano su schemi di un passato che dobbiamo a tutti i costi superare.


Giuseppe Onufrio

fonte: https://www.greenpeace.org/

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Ci preoccupano i virus? Allora fermiamo i cambiamenti climatici e lo scioglimento del permafrost

C’è chi pensa che, in pieno allarme coronavirus, parlare dei cambiamenti climatici non sia di attualità, che le priorità siano altre; e invece noi pensiamo che sia fondamentale continuare a dare una informazione adeguata in merito. Perché i due temi non sono poi così lontani fra loro...




C’è chi pensa che, in pieno allarme coronavirus, parlare dei cambiamenti climatici non sia di attualità, che le priorità siano altre; e invece noi pensiamo che sia fondamentale continuare a dare una informazione adeguata in merito.

Chi da sempre ha ammonito sui disastri climatici a cui andiamo incontro, con tutti i problemi che ne derivano e ne deriveranno, non lo ha fatto per qualche fissazione particolare, per fare il profeta di sventura, per avere visibilità o guadagnarci qualcosa. Lo ha fatto perché tiene non solo alla sua di pelle ma anche a quella del prossimo e alla vita del pianeta intero.

Ma invece di essere ascoltati, supportati, messi nella condizione di lavorare e agire in maniera appropriata, chi si è impegnato in questo senso è stato per lo più ignorato. Del resto per capire il pochissimo impegno e considerazione circa la gravità della situazione, basta guardare una qualsiasi pubblicità in cui veniamo raffigurati in una baldoria continua, un party infinito. Infatti perché mai ascoltare chi ci dice di preoccuparci dell’ambiente, di cambiare stili di vita, di fare in modo che il lavoro e la nostra esistenza contempli anche gli altri e la casa in cui viviamo e non solo il nostro tornaconto?

E così, a chi si impegna per cambiare in meglio la situazione viene data al massimo qualche pacca sulla spalla, un "bravo, bene", ma poi viene detto che le cose importanti sono altre, come la crescita, cioè la falsa economia che si occupa di rendere i ricchi sempre più ricchi, di sfruttare tutte le risorse in maniera indiscriminata e produrre inquinamento a più non posso. L’importante è non fermare il party e convincere tutti quelli che sostengono e lavorano per questo sistema che anche loro potranno avere briciole e che potrebbero essere addirittura fra i pochissimi fortunati e diventare ricchi, potersi fare i selfie nelle loro ville lussuose con piscina.

Poi è arrivata da non si sa quale pianeta Greta Thunberg portando alla ribalta le tematiche che da sempre sosteniamo. Applausi, belle parole, ma che brava ragazzina, bene, bravi, avete ragione, bisogna intervenire, bisogna fare. Ma alle parole non sono seguiti né fatti, né quegli interventi di emergenza necessari. Tant’è che Greta continua ad andare in giro a dire ai politici che non stanno facendo nulla e loro la applaudono, ma imperterriti continuano a non fare nulla o prendono misure solo di facciata e lontanissime dall’emergenza in corso.

Poi, improvvisamente irrompe sulla scena un altro elemento spiazzante, cioè il coronavirus, ed è panico mondiale. Si assiste alla reazione che auspicava Greta quando parlava della casa in fiamme, cioè il nostro pianeta e il conseguente panico che avremmo dovuto avere per l’umanità gravemente minacciata dai cambiamenti climatici. Quindi è chiaro: della nostra casa in fiamme ci interessa poco e niente, del coronavirus certamente sì. Allora se una reazione la si ottiene solo tramite un virus e le sue conseguenze, abbiamo paradossalmente una notizia che riguarda proprio questo ambito e che è direttamente collegata al riscaldamento globale.

Da un punto di vista sanitario, oltre alle malattie che aumenteranno con il riscaldamento della temperatura globale (ma questo è stato detto innumerevoli volte e pare non interessare granchè), c’è anche un ulteriore pericolo fortissimo determinato dall’aumento della temperatura a causa dal nostro sistema di vita e produzione: si sta sciogliendo il Permafrost, cioè lo strato di ghiaccio che si è formato nel corso di migliaia di anni e che si trova tra l’estremo Nord Europa, la Siberia e l’America Settentrionale.

Il suo spessore può variare da un metro a oltre un chilometro. Il primo pericolo è dato da tutto il metano intrappolato al suo interno che se uscisse sarebbe una bomba climatica che ci darebbe il colpo di grazia definitivo, ma questi aspetti climatici, per quanto drammatici, sono argomenti che non vengono presi molto in considerazione. Allora analizziamo il fattore virus che pare smuova maggiormente le coscienze. Se infatti si scioglie il permafrost ci sono virus intrappolati nel ghiaccio che potrebbero rianimarsi con conseguenze difficilmente immaginabili. Queste notizie sono risapute, dette e ridette da noi ma qualche volta riprese anche dalla stampa ufficiale, ovviamente fra le notizi minori, molto dopo il gossip, lo sport e l’oroscopo. Ne riportiamo qui sotto solo una piccola carrellata di simili notizie uscite in passato, così che non si dica che non lo si sapeva, che eravamo all’oscuro.

Quindi tutti ne erano potenzialmente al corrente: dai politici ai decisori, dai medici agli infermieri, dai virologhi ai luminari della scienza medica, dagli esperti ai cittadini. I virus fanno più paura dei cambiamenti climatici? Allora si agisca immediatamente per fermare i cambiamenti climatici e il conseguente disastro ambientale, così oltre che fermare l’incendio della casa in fiamme, diminuirà anche il rischio di virus.

Paolo Ermani

Ecco, per documentarvi:

https://www.lastampa.it/cultura/2019/04/15/news/pericolo-permafrost-il-ghiaccio-perenne-si-scioglie-e-fa-resuscitare-batteri-sconosciuti-1.33695549

https://www.focus.it/scienza/scienze/i-patogeni-nel-permafrost-virus-e-batteri-possono-tornare-attivi

https://tg24.sky.it/scienze/2019/06/22/artide-carbonio-mercurio-virus-permafrost-sciolto.html

https://www.agi.it/scienza/scioglimento_ghiacci_virus-6890769/news/2020-01-15/

http://www.biosost.com/hub/cambiamento-climatico/639-17_04_19.html

https://www.repubblica.it/scienze/2015/09/14/news/quel_virus_preistorico_potrebbe_risvegliarsi_per_colpa_del_riscaldamento_globale-122597610/

https://it.businessinsider.com/il-bacillo-che-venne-dal-freddo-i-ghiacci-si-sciolgono-e-liberano-virus-e-batteri-che-potremmo-non-saper-combattere/

https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/17_maggio_06/malattie-nascoste-ghiaccio-virus-pericolosi-che-riprendono-vita-d1595f44-325c-11e7-b0d7-0686cd4c6368.shtml

https://www.scienzenotizie.it/2019/07/08/carbonio-mercurio-e-virus-ecco-cosa-contiene-il-permafrost-che-si-sta-sciogliendo-4431495

https://www.osservatorioartico.it/che-cose-il-permafrost/

https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.01.03.894675v1

fonte: www.ilcambiamento.it

Nove 'tipping points' punti critici di non ritorno che potrebbero essere innescati dal cambiamento climatico


















Il clima continua a scaldarsi con cambiamenti continui incrementali: i livelli di CO2 nell'atmosfera/il contenuto di calore degli oceani/l'aumento del livello dei mari, l'impatto cumulativo di questi  cambiamenti potrebbe anche far cambiare parti fondamentali del sistema Terra in modo drammatico e irreversibile. Questi punti critici (tipping points) sono soglie dove un piccolo cambiamento potrebbe spingere il sistema in uno stato completamente nuovo.

Questo articolo di Carbon Brief del 14 febbraio 2020 esplora nove punti critici dalle calotte glaciali  al permafrost che si scongelano, ai monsoni che si stanno spostando,  alle foreste che progressivamente muoiono.

Spiega il Prof. Timothy Lenton direttore dell'Istituto dei Sistemi Globali all'Università di Exeter che ci sono parti del sistema Terra che hanno il potenziale di cambiare in modo brusco.

"Un punto critico, un tipping point climatico , come un qualsiasi punto critico in qualsiasi sistema complesso, è dove un piccolo cambiamento fa una grossa differenza e cambia lo stato o il destino di un sistema."

Quindi, piuttosto che un pochino più calore che causa ondate di calore leggermente più calde oppure che fa sciogliere di più i ghiacciai, causa uno spostamento drammatico di un intero sistema. Come esempio fanno vedere un gioco chiamato Jenga, una torre fatta da tanti blocchi che vengono rimossi qua e là e posti in cima alla torre stessa, ad un certo punto la rimozione di un singolo blocco fa cadere l'intera torre. Nel Jenga la torre collassa in una frazione di secondo; per un componente del sistema Terra il cambiamento da uno stato fisico ad un altro può avvenire in molti decenni o secoli, ma la caratteristica che hanno in comune è che una volta che è iniziato il collasso è praticamente  impossibile da fermare.

Fanno notare che un punto critico può anche essere causato da fluttuazioni naturali nel clima, oltre che da forzanti esterne come con il riscaldamento globale, fanno l'esempio di periodi di cambiamenti bruschi avvenuti durante l'ultima era glaciale chiamati eventi 'Dansgaard-Oescher'.

Viene citato quanto raccontato dal Prof. Mat Collins in un capitolo di un rapporto speciale dell'IPCC sugli oceani e criosfera, cioè che una fluttuazione naturale potrebbe essere la spinta finale che si aggiunge al cambiamento climatico causato dall'uomo.

Il Prof. Wally Broecker della Columbia University scriveva che i dati paleoclimatici suggeriscono che: "Il clima della Terra non risponde a forzanti in un modo liscio e graduale. Piuttosto risponde in salti bruschi che comportano riorganizzazioni su larga scala del sistema Terra."

La definizione di 'cambiamento climatico brusco' del Quinto Rapporto dell'IPCC è: "Definiamo un cambiamento climatico brusco come un cambiamento su larga scala nel sistema clima che avviene nel corso di alcuni decenni o meno, che persiste (o ci si aspetta che persista) per almeno alcuni decenni e che causa perturbazioni sostanziali nei sistemi naturali e umani."

Più avanti citano il Dott. Richard Wood che spiega che oltrepassare un tipping point irreversibile significherebbe che un sistema non potrebbe tornare al suo stato originale nemmeno se la forzante diminuisse o tornasse indietro. Più avanti fanno l'esempio della Groenlandia coperta di ghiacci, se  la calotta glaciale della Groenlandia dovesse oltrepassare un  punto critico che porta alla sua disintegrazione, semplicemente ridurre le nostre emissioni e abbassare le temperature globali fino a livelli pre-industriali non farebbe ritornare  la calotta glaciale. L'energia necessaria per ricostruire una torre Jenga è molto maggiore di quella che l'ha fatta collassare.

Fino  a che punto sono irreversibili i punti critici considerati in questo articolo è soltanto una delle incertezze che gli scienziati stanno studiando. Comunque, ciascuno dei nove punti critici che vengono spiegati più avanti in questo articolo sono esempi in cui cambiamenti apparentemente piccoli hanno collettivamente il potenziale di un pugno potente.


"Mi limito a tradurre la pagina iniziale  riassuntiva, ma poi l’articolo prosegue analizzando con maggiori dettagli uno ad uno ciascuno dei nove ‘tipping points’ punti critici citati"
NOVE PUNTI CRITICI DI NON RITORNO (TIPPING POINTS): dove un clima che cambia potrebbe spingere il sistema Terra verso un cambiamento brusco e irreversibile (figura iniziale riassuntiva)
  • BLU:    SCIOGLIMENTO DI GHIACCI
    •  (calotte glaciali in Groenlandia: l'aumento delle temperature porta al ritiro irreversibile della calotta glaciale con aumento del livello del mare che può arrivare fino a 7 metri///
    • permafrost: brusco aumento delle emissioni di CO2 e metano a causa dello scioglimento di suoli ghiacciati con alto contenuto di carbonio ///
    •  disintegrazione dell'Antartide ovest: collasso della calotta glaciale innescato dal persistente ritiro della 'grounding line'(linea di messa a terra) del ghiacciaio in un settore che a cascata va ad altri settori, porta aumento del livello dei mari fino a 3 metri.
  • VERDE:   CAMBIAMENTO  DI BIOMI
    • Foreste pluviale in Amazzonia: le deforestazioni e il clima più caldo  e più secco causano deperimento delle foreste pluviali ed un cambiamento verso savana; questo porta sia a perdita di biodiversità che diminuzione delle piogge.///
    • foreste boreali: un cambiamento nelle foreste boreali con espansione verso tundra al nord e deperimenti delle foreste a sud; queste modifiche a loro volta portano a spostamento ecologico.///
    • barriere coralline in varie parti del pianeta: le temperature in aumento spingono i coralli di acqua calda oltre livelli tollerabili di stress termico verso uno stato alternativo dominato da macroalghe; questo a sua volta porta al cambio di ecosistema e a perdite (economiche) nei settori pesca e turismo.///
  • GIALLO:  CAMBIAMENTI NELLE CIRCOLAZIONI
    • Spostamento del monsone in Africa occidentale: cambiamento brusco nella piovosità del Sahel causato da uno spostamento verso nord (più bagnato) o verso sud (più secco) nel monsone dell'Africa occidentale; questo porta a problemi per l'agricoltura e a cambiamento di ecosistema.///
    • spostamento del monsone indiano: un rafforzamento del monsone causato dalle emissioni crescenti di CO2 oppure un indebolimento come risultato di emissioni elevate di aerosol; questo porterebbe a più gravi estremi nelle piogge.///
    • interruzione di AMOC (capovolgimento meridionale della circolazione atlantica): rallentamento di AMOC = capovolgimento meridionale della circolazione atlantica causato da un aumentato flusso di acqua dolce nel nord Atlantico; questo porterebbe a raffreddamento regionale e problemi agli ecosistemi oceanici.///


Nadia Simonini
Rete Nazionale Rifiuti Zero

https://www.carbonbrief.org/explainer-nine-tipping-points-that-could-be-triggered-by-climate-change

La velocita’ in accelerazione del Cambiamento Climatico fa paura















“LA  VELOCITA’ IN ACCELERAZIONE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO FA PAURA’” è il titolo di un articolo della BBC scritto da Roger Harbin analista ambientale della BBC. Inizia con un video di 3’43’’ che ha come sottotitolo “L’accelerazione nello scioglimento dei ghiacci della calotta glaciale che copre la Groenlandia ha scioccato i ricercatori”

“Questo è il margine della calotta glaciale della Groenlandia
Se si sciogliesse tutta, il livello del mare globale salirebbe di sette metri.
Nel 2004 quando il ghiacciaio fu visitato dal direttore scientifico della BBC David Shukman il ghiacciaio Sermilik aveva un aspetto molto diverso.
Allora la parete di ghiaccio  torreggiavano sopra il paesaggio.
“Questo è proprio il margine della calotta glaciale
E gli scienziati hanno scoperto che si sta ritirando ad una velocità sorprendente
Per darvi il senso delle dimensioni (del fenomeno) l’altezza di  questo massivo muro di ghiaccio dietro di me  si sta riducendo ad una velocità di UN METRO AL MESE.
Ero qui in questo territorio incredibilmente drammatico   15 anni fa
E allora gli scienziati erano preoccupati per la velocità dello scioglimento.
Quindi adesso non vedo l’ora di vedere cosa sta succedendo.
Dopo l’atterraggio
“la prima impressione è che è incredibilmente SPORCO.
Ci sono queste grandi chiazze di ciò che sembra essere polvere.
In realtà sono SEDIMENTI
È INQUINAMENTO che è stato spinto fin qui (dai venti) proveniente da centrali elettriche a molte miglia di distanza
Da quando sono venuto qui su questo ghiacciaio l’ultima volta 15 anni fa c’è stato un importante progresso scientifico nella comprensione
Molto di questo in realtà sono ALGHE.
Le alghe sono microscopiche piante che crescono nel ghiaccio mentre scioglie
RENDONO PIU’ SCURA LA SUPERFICIE, QUESTO RENDE Più VELOCE LO SCIOGLIMENTO

Nel 2004 qui  dove sto camminando ERA SOTTO UNA ENORME MASSA DI GHIACCIO
Quello che è successo è che ne è sparita una quantità immensa
Non solo c’è stato il ritiro del ghiacciaio fin dove è adesso
(Il ghiacciaio) è anche diventato molto più magro
È molto difficile da immaginare
Ma NEL 2004 CI SAREBBERO STATI 100 METRI IN PIU’ DI SPESSORE
Come avere un edificio di 30 piani seduto là sopra.
Se ne sta tutto andando via ad una velocità incredibile.
Lo scioglimento dei ghiacci continentali della Groenlandia faranno aumentare il livello dei mari
Per paesi come il Bangladesh che rimangono bassi anche un piccolo aumento del livello dei mari potrebbe essere un vero pericolo
Se lo scioglimento accelera  la Florida e molti altri luoghi avranno problemi severi nel corso di questo secolo
Ma nello scenario peggiore parti dell’Inghilterra orientale e dozzine di città nel pianeta potranno finire sott’acqua
Il testo dell’articolo in sintesi è come segue
Il Prof. Sir David King dice di essere spaventato dal numero di eventi estremi e chiede al Regno Unito di ANTICIPARE  DI  DIECI ANNI I PROPRI OBBIETTIVI CLIMATICi.. C’è chi contesto l’uso di parole come ‘spaventato’ che potrebbero far diventare i giovani depressi o ansiosi/gli attivisti sostengono che la gente non farà nulla se non hanno paura. “Parlando alla BBC il Prof. King che era un capo tra i consulenti scientifici per il governo afferma: ‘E’ appropriato essere spaventati. Avevamo previsto che le temperature sarebbero aumentate, ma non avevamo previsto questi tipi di eventi estremi che subiamo così presto ’. Aggiunge che il mondo è cambiato più velocemente  di quanto  previsto nel Quinto Rapporto dell’IPCC del 2014, qui si riferisce particolarmente alla perdita di ghiacci continentali e ghiacci marini oltre che agli eventi meteo estremi. Petteri Taalas il segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale è critico verso gli attivisti radicali verdi che preannunciano la fine del mondo, lui è d’accordo che i ghiacci polari si stanno sciogliendo più velocemente del previsto ma è preoccupato che se il pubblico si spaventa questo potrebbe portare a paralisi ed anche a problemi di salute mentale tra i giovani.
C’è un secondo video: “CINQUE COSA IN CUI IL MONDO DEVE INVESTIRE PER ESSERE ‘RESILIENTI AL CAMBIAMENTO CLIMATICO’ “ Il video =01.57
La giornalista cita un Rapporto, racconterà i punti più importanti: (traduco  solo una sintesi)
1)      Sistemi di allarme: per comunità vulnerabili  su coste o su isole allarmi relativi a tempeste e maree molto alte potranno salvare vite,
2)      Infrastrutture: costruire migliori strade, edifici e ponti per adattarli al nostro clima che cambia: dieci milioni di piedi quadrati (1 piede quadrato =929,030 cm quadrati) di tetti a New York sono già stati dipinti di bianco, il rivestimento che riflette mantiene l’edificio più fresco ed è persino in grado di far abbassare la temperatura del quartiere
3)      Agricoltura: più di 800 milioni di persone già ora non hanno abbastanza da mangiare secondo le Nazioni Unite, un progetto in India aiuta gli agricoltori e fare coltivazioni più diversificate e meno dipendenti da acqua; progetti come questi potrebbero evitare vaste carestie
4)      Ripristinare e proteggere le mangrovie
5)      Acqua: proteggere le forniture di acqua e accertarsi che non ci siano sprechi di acqua diventerà vitale

Nadia Simonini

Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero