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Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma*

 














La Terra è un pianeta azzurro, osservando una foto dallo spazio ci accorgiamo che il nostro globo è ricoperto dall’acqua: mari e oceani occupano circa il 70% della superficie del nostro pianeta e ne determinano il clima e la temperatura, consentendo alla biodiversità di prosperare.

Essi fungono da sistema respiratorio per la Terra: producono ossigeno per la vita e assorbono anidride carbonica e calore. Sono uno dei fattori chiave per la vita sul nostro pianeta: così come una persona non può vivere senza cuore e polmoni in salute, la Terra non può sopravvivere senza oceani e mari sani.

Sono all’ordine del giorno notizie circa gli impatti profondi che le attività umane hanno sugli oceani: li inquiniamo scaricandovi plastiche, reti, scorie radioattive, mascherine (…). Disturbiamo le catene alimentari con pratiche di pesca dannose che devastano i fondali, li acidifichiamo immettendo nel ciclo carbonio derivato dall’utilizzo di combustibili fossili. Siamo inoltre causa di un riscaldamento che avanza a una velocità senza precedenti, attraverso le emissioni di gas serra. Permettiamo che tutto questo accada “a causa dell’idea, radicata nel passato, che gli oceani della Terra e le loro risorse fossero infiniti; e continuiamo a farlo nonostante le valutazioni scientifiche più aggiornate ci abbiano ripetutamente avvertito che era un grave errore. Probabilmente, la cosa peggiore è la rapida accelerazione di questi fenomeni.”

Non ci possiamo fermare a questa constatazione, dobbiamo comprendere che con il diffondersi della deforestazione, la pratica della monocoltura su vasta scala, la deviazione dei fiumi, l’industrializzazione, l’edificazione all’interno di molti ambienti sensibili e così via, l’attacco alla Terra è simultaneo e su più fronti a tutti i principali ambienti della pianeta (marini, di acqua dolce, terrestri e aerei). Tutto ciò non ha davvero precedenti nella storia della Terra. “Il tasso di estinzione dei nostri giorni mostra che il collasso di questi ecosistemi non si verificherà ‘prima o poi in futuro’, ma si sta già verificando”. Così scrive Rohling.

Dunque, comprendere come funzionano gli oceani e i mari è un primo passo necessario e fondamentale, e per capirlo non c’è niente di meglio che seguire il viaggio delineato da Eelco J. Rohling che in Oceani ricostruisce la storia del nostro mare fin dalla sua comparsa su questo pianeta, circa 4,4 miliardi di anni fa.

Il viaggio inizia dalla curiosità di un ragazzino – oggi paleoceanografo e docente all’Australian National University - che viveva in Olanda e rimase affascinato osservando quanto le reti a strascico dei pescatori “catturavano” sui fondali del Mare del Nord: teschi, zanne e ossa di mammut che, scoprì studiando, risalivano alla fase in cui la piattaforma Doggerland era emersa durante l’era glaciale… Dalla preistoria fino ai giorni nostri, l’autore descrive i principali eventi nell’evoluzione degli oceani, non dimenticando gli impatti dell’umanità sulla salute e l’abitabilità del nostro pianeta. Perché non c’è niente di più sbagliato che pensare che l’umanità sia troppo piccola per influenzare i cicli biogeochimici marini. Leggere per credere.

*Legge della conservazione della massa postulata da Antoine-Laurent de Lavoisier nel 1789.

fonte: www.puntosostenibile.it



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Nove 'tipping points' punti critici di non ritorno che potrebbero essere innescati dal cambiamento climatico


















Il clima continua a scaldarsi con cambiamenti continui incrementali: i livelli di CO2 nell'atmosfera/il contenuto di calore degli oceani/l'aumento del livello dei mari, l'impatto cumulativo di questi  cambiamenti potrebbe anche far cambiare parti fondamentali del sistema Terra in modo drammatico e irreversibile. Questi punti critici (tipping points) sono soglie dove un piccolo cambiamento potrebbe spingere il sistema in uno stato completamente nuovo.

Questo articolo di Carbon Brief del 14 febbraio 2020 esplora nove punti critici dalle calotte glaciali  al permafrost che si scongelano, ai monsoni che si stanno spostando,  alle foreste che progressivamente muoiono.

Spiega il Prof. Timothy Lenton direttore dell'Istituto dei Sistemi Globali all'Università di Exeter che ci sono parti del sistema Terra che hanno il potenziale di cambiare in modo brusco.

"Un punto critico, un tipping point climatico , come un qualsiasi punto critico in qualsiasi sistema complesso, è dove un piccolo cambiamento fa una grossa differenza e cambia lo stato o il destino di un sistema."

Quindi, piuttosto che un pochino più calore che causa ondate di calore leggermente più calde oppure che fa sciogliere di più i ghiacciai, causa uno spostamento drammatico di un intero sistema. Come esempio fanno vedere un gioco chiamato Jenga, una torre fatta da tanti blocchi che vengono rimossi qua e là e posti in cima alla torre stessa, ad un certo punto la rimozione di un singolo blocco fa cadere l'intera torre. Nel Jenga la torre collassa in una frazione di secondo; per un componente del sistema Terra il cambiamento da uno stato fisico ad un altro può avvenire in molti decenni o secoli, ma la caratteristica che hanno in comune è che una volta che è iniziato il collasso è praticamente  impossibile da fermare.

Fanno notare che un punto critico può anche essere causato da fluttuazioni naturali nel clima, oltre che da forzanti esterne come con il riscaldamento globale, fanno l'esempio di periodi di cambiamenti bruschi avvenuti durante l'ultima era glaciale chiamati eventi 'Dansgaard-Oescher'.

Viene citato quanto raccontato dal Prof. Mat Collins in un capitolo di un rapporto speciale dell'IPCC sugli oceani e criosfera, cioè che una fluttuazione naturale potrebbe essere la spinta finale che si aggiunge al cambiamento climatico causato dall'uomo.

Il Prof. Wally Broecker della Columbia University scriveva che i dati paleoclimatici suggeriscono che: "Il clima della Terra non risponde a forzanti in un modo liscio e graduale. Piuttosto risponde in salti bruschi che comportano riorganizzazioni su larga scala del sistema Terra."

La definizione di 'cambiamento climatico brusco' del Quinto Rapporto dell'IPCC è: "Definiamo un cambiamento climatico brusco come un cambiamento su larga scala nel sistema clima che avviene nel corso di alcuni decenni o meno, che persiste (o ci si aspetta che persista) per almeno alcuni decenni e che causa perturbazioni sostanziali nei sistemi naturali e umani."

Più avanti citano il Dott. Richard Wood che spiega che oltrepassare un tipping point irreversibile significherebbe che un sistema non potrebbe tornare al suo stato originale nemmeno se la forzante diminuisse o tornasse indietro. Più avanti fanno l'esempio della Groenlandia coperta di ghiacci, se  la calotta glaciale della Groenlandia dovesse oltrepassare un  punto critico che porta alla sua disintegrazione, semplicemente ridurre le nostre emissioni e abbassare le temperature globali fino a livelli pre-industriali non farebbe ritornare  la calotta glaciale. L'energia necessaria per ricostruire una torre Jenga è molto maggiore di quella che l'ha fatta collassare.

Fino  a che punto sono irreversibili i punti critici considerati in questo articolo è soltanto una delle incertezze che gli scienziati stanno studiando. Comunque, ciascuno dei nove punti critici che vengono spiegati più avanti in questo articolo sono esempi in cui cambiamenti apparentemente piccoli hanno collettivamente il potenziale di un pugno potente.


"Mi limito a tradurre la pagina iniziale  riassuntiva, ma poi l’articolo prosegue analizzando con maggiori dettagli uno ad uno ciascuno dei nove ‘tipping points’ punti critici citati"
NOVE PUNTI CRITICI DI NON RITORNO (TIPPING POINTS): dove un clima che cambia potrebbe spingere il sistema Terra verso un cambiamento brusco e irreversibile (figura iniziale riassuntiva)
  • BLU:    SCIOGLIMENTO DI GHIACCI
    •  (calotte glaciali in Groenlandia: l'aumento delle temperature porta al ritiro irreversibile della calotta glaciale con aumento del livello del mare che può arrivare fino a 7 metri///
    • permafrost: brusco aumento delle emissioni di CO2 e metano a causa dello scioglimento di suoli ghiacciati con alto contenuto di carbonio ///
    •  disintegrazione dell'Antartide ovest: collasso della calotta glaciale innescato dal persistente ritiro della 'grounding line'(linea di messa a terra) del ghiacciaio in un settore che a cascata va ad altri settori, porta aumento del livello dei mari fino a 3 metri.
  • VERDE:   CAMBIAMENTO  DI BIOMI
    • Foreste pluviale in Amazzonia: le deforestazioni e il clima più caldo  e più secco causano deperimento delle foreste pluviali ed un cambiamento verso savana; questo porta sia a perdita di biodiversità che diminuzione delle piogge.///
    • foreste boreali: un cambiamento nelle foreste boreali con espansione verso tundra al nord e deperimenti delle foreste a sud; queste modifiche a loro volta portano a spostamento ecologico.///
    • barriere coralline in varie parti del pianeta: le temperature in aumento spingono i coralli di acqua calda oltre livelli tollerabili di stress termico verso uno stato alternativo dominato da macroalghe; questo a sua volta porta al cambio di ecosistema e a perdite (economiche) nei settori pesca e turismo.///
  • GIALLO:  CAMBIAMENTI NELLE CIRCOLAZIONI
    • Spostamento del monsone in Africa occidentale: cambiamento brusco nella piovosità del Sahel causato da uno spostamento verso nord (più bagnato) o verso sud (più secco) nel monsone dell'Africa occidentale; questo porta a problemi per l'agricoltura e a cambiamento di ecosistema.///
    • spostamento del monsone indiano: un rafforzamento del monsone causato dalle emissioni crescenti di CO2 oppure un indebolimento come risultato di emissioni elevate di aerosol; questo porterebbe a più gravi estremi nelle piogge.///
    • interruzione di AMOC (capovolgimento meridionale della circolazione atlantica): rallentamento di AMOC = capovolgimento meridionale della circolazione atlantica causato da un aumentato flusso di acqua dolce nel nord Atlantico; questo porterebbe a raffreddamento regionale e problemi agli ecosistemi oceanici.///


Nadia Simonini
Rete Nazionale Rifiuti Zero

https://www.carbonbrief.org/explainer-nine-tipping-points-that-could-be-triggered-by-climate-change

NUOVO STUDIO AUSTRALIANO: «Così nel 2050 la civiltà umana collasserà per il climate change»

Un’allarmante analisi dei ricercatori del National Center for Climate Restoration australiano delinea uno scenario in cui entro il 2050 il riscaldamento globale supererà i tre gradi centigradi, innescando alterazioni fatali dell'ecosistema globale e colossali migrazioni da almeno un miliardo di persone. Ecco cosa potrebbe avvenire anno dopo anno





Un decennio perduto. Tra il 2020 e il 2030 i policy-maker mondiali sottovalutano clamorosamente i rischi del climate change, perdendo l’ultima occasione per mobilitare tutte le risorse tecnologiche ed economiche disponibili verso un unico obiettivo: costruire un’economia a zero emissioni cercando di abbattere i livelli di CO2, per avere una possibilità realistica di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei due gradi. L’ultima occasione viene clamorosamente bruciata.

Il risultato è che nel 2030, come avevano ammonito tredici anni prima gli scienziati Yangyang Xu e Veerabhadran Ramanthan in una pubblicazione scientifica che aveva fatto discutere, le emissioni di anidride carbonica raggiungono livelli mai visti negli ultimi due milioni di anni. Nel ventennio successivo si tenta di porre rimedio alla situazione, ma è troppo tardi: nel 2050 il riscaldamento globale raggiunge tre gradi, di cui 2,4 legati alle emissioni e 0,6 al cosiddetto “carbon feedback”, la reazione negativa del pianeta al riscaldamento globale.
L’anno 2050 rappresenta l’inizio della fine. Buona parte degli ecosistemi terrestri collassano, dall’Artico all’Amazzonia alla Barriera corallina. Il 35% della superficie terrestre, dove vive il 55% della popolazione mondiale, viene investita per almeno 20 giorni l’anno da ondate di calore letali. Il 30% della superficie terrestre diventa arida: Mediterraneo, Asia occidentale, Medio Oriente, Australia interma e sud-ovest degli Stati Uniti diventano inabitabili. Una crisi idrica colossale investe circa due miliardi di persone, mentre l’agricoltura globale implode, con raccolti crollati del 20% e prezzi alle stelle, portando ad almeno un miliardo di “profughi climatici”. Guerre e carestie portano a una probabile fine della cività umana così come la intendiamo oggi.
Solo un romanzo di fantaecologia? Purtoppo no: quello che abbiamo letto qui sopra è uno studio scientifico ben documentato dei ricercatori del National Center for Climate Restoration australiano, guidati da David Spratt e Ian Dunlop, dal sinistro titolo “Existential climate-related security risk”.
L’ipotesi dello studio è che esistano rischi di riscaldamento globale non calcolati dagli Accordi di Parigi e in grado di porre “rischi esistenziali” alla civiltà umana. Le ipotesi di climate change delineate nel 2015 dagli Accordi di Parigi, pari a un aumento di tre gradi entro il 2100, non tengono infatti conto del meccanismo di “long term carbon feedback” con cui il pianeta tende ad amplificare i mutamenti climatici in senso negativo, quindi portando a un ulteriore aumento della temperatura.
Se si tiene conto anche del “carbon feedback”, secondo diverse fonti tra le quali scienziati del calibro di Yangyang Xu e Veerabhadran Ramanathan, esiste un concreto rischio di arrivare a tre gradi di riscaldamento già nel 2050, che salirebbero a cinque gradi entro il 2100. La cività umana non farebbe in tempo a vederli, poiché la maggior parte degli scienziati ritiene che un aumento di quattro gradi distruggerebbe l’ecosistema mondiale portando alla fine della civiltà come la conosciamo oggi. Una china pericolosa in cui, come nota Hans Joachim Schellnhuber del Potsdam Institute, probabilmente «la specie umana in qualche modo sopravviverà, ma distruggeremo tutto quello che abbiamo costruito negli ultimi duemila anni».
Il vero problema, sottolinea lo studio australiano, è rappresentato da alcune “soglie di non ritorno” climatiche come la distruzione delle calotte polari e il conseguente innalzamento del livello del mare. “Soglie di non ritorno” molto pericolose che, una volta oltrepassate, trasformerebbero il climate change in un evento non lineare e difficilmente prevedibile con gli strumenti oggi a disposizione della scienza. Dopo il superamento di quei “punti di non ritorno” il riscaldamento globale si autoalimenterebbe anche senza l'azione dell'uomo, rendendo inutile ogni tardivo tentativo di eliminare le emissioni. Quello della fine della civiltà umana è un rischio minimo ma non assente, sottolinea Ramanathan, che lo stima al 5% («e chi prenderebbe un aereo sapendo che ha il 5% di possibilità di schiantarsi?», nota lo scienziato). È oggi che dobbiamo agire, conclude lo studio: domani potrebbe essere troppo tardi.
fonte: https://www.ilsole24ore.com