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Ambiente e salute: quale ruolo per i medici?

 











I medici possono aumentare la sensibilità dei pazienti verso comportamenti ecologicamente orientati. Il manifesto dei Medici per l'ambiente

Un quarto delle cause di morte proviene oggi dall'ambiente, ma

Dall’emergenza alla prevenzione

Nel servizio pubblicato su Ecoscienza 3/2020, un approfondimento sulla pandemia Covid-19 e la relazione ambiente-salute.




“Vivere bene, entro i limiti del pianeta“: questo è il titolo del settimo Programma di azione europeo, varato a fine 2013 e in vigore ancora per pochi mesi. Proprio nell’ultimo anno del suo periodo di applicazione, la pandemia di Covid-19 ci ha costretti a interrogarci, con urgenza e apprensione, sia su cosa significhi “vivere bene”, sia su quali siano i “limiti del pianeta”. La connessione tra salute, benessere e ambiente è diventata, se possibile, ancora più importante in questo anno così drammatico.

Cura e contenimento sono state (e sono tuttora) le priorità nell’emergenza, conoscenza e prevenzione sono diventate condizioni imprescindibili per affrontare il futuro.

In questo servizio di Ecoscienza presentiamo gli studi e i progetti più rilevanti messi in campo in Italia sulla relazione tra Covid-19 e ambiente, ospitiamo numerose riflessioni e proposte relative al periodo che stiamo vivendo e alla fase di “ripartenza”, diamo conto dei primi risultati dell’analisi dell’impatto della pandemia e delle misure per il suo contenimento sull’ambiente.

Ne emerge un quadro molto articolato, che mostra la necessità di un approccio trasversale, che tenga conto del contributo di molteplici competenze.

Gli articoli pubblicati

Lezioni e interrogativi dall’esperienza Covid-19Carla Ancona1, Andrea Ranzi2, Francesco Forastiere3
1. Dipartimento di epidemiologia Ssr Lazio, Asl Roma1
2. Arpae Emilia-Romagna
3. Irib-Cnr Palermo e co-direttore di Epidemiologia&Prevenzione

La Pandemia e l’agenda di ambiente e salute
Francesca Racioppi1, Marco Martuzzi2
1. Responsabile Centro europeo ambiente e salute, Organizzazione mondiale della sanità (Who-Oms), Bonn, Germani
2. Responsabile Centro ambiente e salute Asia-Pacifico, Organizzazione mondiale della sanità (Who-Oms), Seul, Repubblica di Corea

Quel mondo invisibile dentro e fuori di noi
Annamaria Colacci
Arpae Emilia-Romagna

Se non ora, quando? Nuovi paradigmi di prevenzione
Luciana Sinisi
Ispra

Dal Snpa una risposta integrata all’emergenza
Stefano La Porta
Presidente Ispra e Snpa

Post Covid-19, una visione strategica sul futuro Snpa
Giuseppe Bortone
Direttore generale Arpae Emilia-Romagna, Presidente di AssoArpa

Da plastic free a free plastic
Francesco Bertolini
Sda-Bocconi

Inquinamento e Covid-19, il progetto EpicovairIvano Iavarone1, Carla Ancona2, Antonino Bella3, Giorgio Cattani4, Patrizio Pezzotti3, Andrea Ranzi5
1. Dipartimento Ambiente e salute, Istituto superiore di sanità
2. Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma, coordinatrice della Rete italiana ambiente e salute (Rias)
3. Dipartimento Malattie infettive, Istituto superiore di sanità
4. Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale, Ispra
5. Arpae Emilia-Romagna

Pulvirus, per capire i legami tra Covid-19 e inquinamentoGabriele Zanini1, Stefania Marcheggiani2, Laura Mancini3, Alfredo Pini4
1. Enea, responsabile divisione Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali, dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali
2. Istituto superiore di sanità, ricercatrice reparto Ecosistemi e salute, dipartimento Ambiente e salute
3. Istituto superiore di sanità, direttrice reparto Ecosistemi e salute, dipartimento Ambiente e salute
4. Ispra, responsabile Servizio di supporto tecnico alla Direzione generale

L’ambiente ringrazia lo smartworking: un’analisi su mobilità e lockdown
Mauro Mussin
Arpa Lombardia

Potenziare le strategie di prevenzione per le acque
Luca Lucentini1, Lucia Bonadonna1, Giuseppina La Rosa1, Giuseppe Bortone2, Tania Tellini3
1. Istituto superiore di sanità, Reparto di qualità dell’acqua e salute
2. Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), coordinatore area “Ambiente e Salute”
3. Utilitalia, coordinatrice attività del settore Acqua

Reflui e monitoraggio epidemiologico
Giuseppina La Rosa1, Giusy Bonanno Ferraro1, Marcello Iaconelli1, Pamela Mancini1, Carolina Veneri1, Lucia Bonadonna1, Luca Lucentini1, Elisabetta Suffredini2
Istituto superiore di sanità
1. Dipartimento ambiente e salute
2. Dipartimento di sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria

Lo sviluppo sostenibile soluzione contro la crisi
Enrico Giovannini
Portavoce Asvis, Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile

Non fermare il processo dell’Agenda 2030
Anna Luise
Ispra

Dall’emergenza all’ecologia integrale
Matteo Mascia
Fondazione Lanza, coordinatore progetto Etica e politiche ambientali

Covid-19 e biodiversità: rischi e opportunità
Piero Genovesi
Ispra, responsabile servizio Coordinamento fauna

Gli effetti del lockdown sull’inquinamento luminoso
Andrea Bertolo1, Renata Binotto1, Sergio Ortolani2, Stefano Cavazzani2, Pietro Fiorentin3
1. Osservatorio regionale inquinamento luminoso, Arpa Veneto
2. Dipartimento di Fisica e astronomia, Università di Padova
3. Dipartimento di Ingegneria industriale, Università di Padova

Meno voli, più incertezza per le previsioni meteo?
Valentina Pavan, Andrea Montani
1. Arpae Emilia-Romagna, Osservatorio clima
2. European centre for medium-range weather forecasts (Ecmwf)

Non bastano informazioni corrette contro l’infodemia
Federico Grasso
Comunicazione Arpa Liguria

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/08/servizio_covid_19_ambiente_salute_es_3_2020.pdf

fonte: https://www.snpambiente.it



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Ripartire con la sostenibilità al centro

Sono sempre di più gli appelli per una ripartenza che sia rispettosa dell'ambiente, «perché l’Italia ed il mondo di domani siano migliori, non solo di oggi, ma anche di ieri»





Molti si chiedono se vi siano legami tra lo stato di degrado del nostro Pianeta dovuto all'attività umana e l'affacciarsi di pandemie come quella che stiamo affrontando. La scienza ci fornirà delle risposte.

Nell'immediato, da più parti, giungono appelli per una ripartenza che abbia al centro la sostenibiltà ambientale e la mitigazione della crisi climatica, questioni già importanti prima del COVID-19, che, ora, si sommano a quelle dell'emergenza sanitaria.

Marco Frey, in qualità di Presidente del Global Compact Network Italia, ha sottoscritto l’appello rivolto al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, su iniziativa del CSR Manager Network, con cui chiede di seguire un orientamento lungimirante e soprattutto improntato allo sviluppo sostenibile nella fase di ripresa delle attività economiche e sociali.

La lettera è aperta alla firma di tutti i cittadini che credono fermamente che la sostenibilità debba essere un asse portante del futuro sociale ed economico del nostro Paese. Oltre 950 persone hanno già firmato questa lettera. Fallo anche tu !

Contemporaneamente dal mondo delle imprese italiane giunge un’iniziativa simile, tesa a rilanciare l’economia in chiave" green". 110 esponenti di importanti imprese e organizzazioni di imprese hanno sottoscritto il Manifesto “Uscire dalla pandemia con un nuovo Green Deal per l’Italia”.

Il Manifesto interviene nel dibattito in corso, a livello nazionale ed europeo, sulle misure per il rilancio dell’economia, pesantemente colpita dalla pandemia da Covid19, sollecitando un progetto di sviluppo all’altezza delle sfide attuali, come suggerito anche, a livello europeo, dal GreenRecovery, sottoscritto da 11 ministri, 79 eurodeputati, 37 AD, 100 sindacati, 7 Ong e 6 centri studi.

Nel Manifesto si sottolinea il bisogno di divenire più resilienti alle pandemie, ma anche al cambiamento climatico, che è un minaccia importante a cui ancora non abbiamo dato risposte adeguate, mentre si fa sempre più urgente la necessità di abbandonare un modello di economia lineare ad elevato consumo di energia fossile e spreco di risorse naturali.

Un nuovo "Green Deal" è la via da seguire per una forte e duratura ripresa, perché in grado di valorizzare le produzioni di qualità, attente a non aumentare le emissioni di gas serra e gli impatti ambientali. Ora più che mai, è importante puntare su:



  • il riciclo dei rifiuti, pilastro dell’economia circolare
  • l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili di energia
  • l'agricoltura sostenibile
  • la bioeconomia rigenerativa
  • la rigenerazione urbana in chiave "green"
  • il turismo sostenibile
  • la mobilità decarbonizzata, elettrica e condivisa
  • le innovazioni digitali.

Il Manifesto è gia stato sottoscritto dai primi 110 firmatari ma la raccolta di adesioni continua, se rappresenti un'impresa o un'organizzazione di imprese, firma anche tu !

Oltre al Greenrecovery, in questi giorni, sempre a livello europeo, anche la Commissione ha lanciato il monito per la difesa del clima, ricordando come la crisi sanitaria si aggiunge a quella climatica, infatti, nonostante gli accordi di Parigi, al momento ancora poco è stato fatto per contenere le emissioni in atmosfera.

L'UE sottolinea come la crisi legata al COVID-19 possa costituire un'ulteriore battuta di arresto per il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento climatico se gli aiuti per la ripartenza si focalizzassero solo sul ricreare una situazione pre-crisi.

Ora è il tempo di ricostruire, ma in meglio, è giunto il momento di introdurre importanti misure per il clima. Per questo, la Commissione Europea ha lanciato una consultazione pubblica per comprendere quale sia l’idea della società sulla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici.

Anche le associazioni ambientaliste si stanno mobilitando in questa direzione, in particolare, il WWF ha lanciato un manifesto per costruire insieme il mondo che verrà, perché "tornare al passato non è un'opzione percorribile".

Nel manifesto sono indicate le priorità su cui tutti siamo chiamati a riflettere e che rappresentano elementi fondamentali per la costruzione della nostra società dopo la crisi, si tratta di azioni concrete e immediate:
contro la crisi climatica, per la riduzione dell’inquinamento, per trasporti ed energia sostenibili, per la difesa delle aree naturali ancora integre e restauro degli ecosistemi naturali deteriorati dall’uomo
per la difesa del suolo dall’invasione del cemento


per l’espulsione dei veleni dall’agricoltura, per mettere in sicurezza il cibo che mangiamo e l’acqua che beviamo
per la cura, il benessere e la salute delle persone, che vengono prima del profitto
per la difesa degli organi vitali del Pianeta, come le foreste e gli oceani, che devono essere un patrimonio comune dell’umanità
per la protezione della biodiversità animale e vegetale, terrestre e marina che sostiene le nostre esistenze e rende la vita sul pianeta meravigliosa.

fonte: http://www.arpat.toscana.it




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Rifiuti, non si trasformi l’emergenza Covid-19 nell’ennesima zuffa sui termovalorizzatori

Brandolini (Utilitalia): «La crisi ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale»





















La commissione parlamentare Ecomafie, presieduta da Stefano Vignaroli (M5S), ha audito ieri Filippo Brandolini – vicepresidente di Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche – per capire come sta proseguendo la gestione dei rifiuti collegata all’emergenza Covid-19.
Due le buone notizie: il servizio essenziale di raccolta dei rifiuti è proseguito senza interruzioni, con una riorganzizazione del lavoro per garantire la sicurezza  degli operatori, e Brandolini ha dichiarato di non avere evidenze circa un aumento dei livelli di contagio tra i lavoratori delle aziende associate; inoltre i rifiuti attesi derivanti dall’uso di guanti e mascherine si prospettano in volumi tali – come già emerso in una precedente audizione Ispra – da non alterare gli equilibri del Paese in termini di smaltimento.
Un’osservazione che nasce dall’andamento delle diverse tipologie di rifiuti: in queste settimane si è osservata una decisa contrazione della produzione sia di rifiuti speciali di origine industriale, sia di rifiuti assimilati, mentre sono aumentati i rifiuti domestici e il rifiuto organico (pur a fronte di una carenza di rifiuto verde), così come anche i rifiuti sanitari a rischio infettivo. Scendendo nel dettaglio, Brandolini ha fornito alcuni dati aggregati raccolti da 44 aziende associate che forniscono il servizio di gestione rifiuti a un totale di circa 12 milioni di cittadini, principalmente nel centro-nord Italia: tra il 21 febbraio e il 9 maggio, si è osservata una diminuzione media della produzione totale di rifiuti di circa il 14%, delle quantità di rifiuti differenziati di quasi il 13% e di rifiuti indifferenziati del 14,5%. Il vicepresidente Utilitalia ha inoltre riferito che alcuni flussi di rifiuti (plasmix, scarti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, combustibile solido secondario, fanghi di depurazione, fanghi di cartiera) solitamente gestiti in impianti esteri hanno subito un blocco a causa della chiusura delle frontiere: la situazione, secondo quanto riferito, è in via di normalizzazione.
«Rispetto alla gestione dei rifiuti collegata all’emergenza Covid-19, prendo atto di come oggi negli impianti di trattamento dei rifiuti i rischi di contagio siano ridotti: il virus non può modificare la scelta della destinazione finale dei rifiuti, visto il suo relativamente breve tempo di permanenza sulle superfici. Abbiamo inoltre appreso dal presidente di Utilitalia che, anche sul fronte delle tipologie di rifiuto destinate spesso a impianti esteri, la situazione si sta di nuovo normalizzando. Auspico dunque che presto si possa tornare a operare senza bisogno di deroghe agli stoccaggi, e senza richieste immotivate di impianti particolari», commenta Vignaroli. E a chiarire di quali “impianti” si sta parlando arriva una nota firmata dagli esponenti M5S della commissione Ecomafie.
«Nelle scorse audizioni è già emerso come l’emergenza Covid non giustifichi la costruzione di nuovi inceneritori, in quanto – si legge nella nota – i quantitativi di rifiuti urbani prodotti sono considerevolmente diminuiti di ben mezzo milione di tonnellate in un paio di mesi, e quindi l’ennesimo appello di chi vorrebbe nuovi inceneritori si rivela ancora una volta infondato. Dall’audizione di oggi abbiamo appreso, inoltre, che i cicli che portano ad incenerimento incrementano il traffico di rifiuti verso l’estero. Il 45% di questi è costituito dai Css, prodotti proprio allo scopo di bruciare rifiuti; altri ancora sono rappresentati dalle ceneri degli stessi inceneritori».
Non sembra preoccupare il fatto che per chiudere il ciclo di gestione dei rifiuti italiani occorra spedirne una quota rilevante all’estero, anche a causa della mancanza di impianti di recupero energetico (il Css che produciamo lo spediamo all’estero) e di smaltimento per i rifiuti speciali. E si arriva dunque alla cattiva notizia messa in evidenza da Utilitalia, sottolineata dalla stessa Federazione in una nota.
«La crisi – spiega Brandolini – ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale, che definisca in una prospettiva di sistema Paese i fabbisogni regionali sulla base di criteri omogenei e di strategie gestionali affidabili». Per inciso, questo secondo la proposta avanzata a fine 2019 da Utilitalia significa anche che se il nord Italia resta autosufficiente in termini di termovalorizzazione, nuovi impianti sono necessari al centro e al sud.
Ma la dialettica inceneritori sì, inceneritori no resta controproducente e porta all’immobilismo. Occorre guardare agli obiettivi Ue: per i rifiuti urbani puntano per il 2035 al 65% di riciclo e al 10% di discarica, con dunque un 25% di rifiuti che dovrà essere avviato a valorizzazione energetica. Gli ultimi dati Ispra disponibili mostrano come tutto questo in Italia sia ancora lontano: nel 2018 in Italia il 49% dei rifiuti urbani è stato avviato a recupero di materia, il 18% a termovalorizzazione e il 22% in discarica. C’è chi pensa di colmare il gap senza ricorrere alla termovalorizzazione, come invece accade nel nord Europa e come suggeriscono le imprese di settore? La scelta dovrebbe spettare in ogni caso allo Stato, quel che occorre è appunto una strategia nazionale che – con pragmatismo e onestà intellettuale – sappia individuare e colmare lungo l’intero ciclo di gestione (dunque recupero di materia, di energia, smaltimento finale) i deficit impiantistici presenti lungo lo Stivale. Anche perché nel mentre i nostri rifiuti continuano a macinare 1,2 miliardi di km l’anno – pari a 175mila volte l’intera rete autostradale italiana, senza contare l’export – prima di trovare un impianto dove poter essere gestiti in sicurezza. E a guadagnarci in questo contesto, come messo nero su bianco dalla Direzione investigativa antimafia, è solo l’illegalità.
Se riuscissimo invece ad abbandonare la cultura del sospetto e i pregiudizi contro gli impianti utili all’economia circolare, la gestione rifiuti potrebbe trasformarsi in una formidabile leva di sviluppo sostenibile.
«Il settore – spiega nel merito Brandolini – può fornire un contributo importante alla ripresa economica dopo la pandemia nell’effettuare quegli investimenti funzionali al raggiungimento degli obiettivi dati dal pacchetto dell’economia circolare. La realizzazione degli impianti e l’infrastrutturazione delle filiere necessarie al pieno raggiungimento degli obiettivi del 2035 farebbero fronte al fabbisogno di trattamento della frazione organica per 3,2 milioni di tonnellate e di 2,5 milioni per il recupero energetico, per consentire l’autosufficienza con investimenti stimati in 6,6 miliardi di euro. Questi investimenti, oltre a contribuire alle ripresa economica e a ridurre la dipendenza dall’estero, sono indispensabili per la transizione all’economia circolare e forniscono un contributo per il rispetto degli impegni internazionali per la riduzione delle emissioni climalteranti».
Secondo Utilitalia tra le azioni da mettere in campo per la ripartenza del settore, fondamentali per la transizione all’economia circolare, c’è il «sostegno al mercato delle materie prime seconde, che storicamente va in crisi con il calo della crescita economica e la diminuzione del prezzo delle materie prime». È inoltre necessaria «una revisione sia del Codice appalti sia dei procedimenti autorizzativi, con particolare riguardo alla semplificazione e alla riduzione dei tempi nei procedimenti previsti dalle norme in materia ambientale ai fini di una rapida ripresa degli investimenti».
Va poi creato «un sistema di verifica per le Regioni che, a fronte della stima del fabbisogno impiantistico residuo necessario per raggiungere gli obiettivi delle direttive in tempi brevi, non provvedono alla realizzazione delle infrastrutture indispensabili, con la previsione di eventuali poteri sostitutivi». Anche l’attuale disciplina dell’End of waste va rivista «riducendo i tempi ed eliminando controlli ridondanti per le attività di riciclo che generano incertezza, aggravio di costi e disincentivo agli investimenti». Senza dimenticare l’importanza del ruolo di Arera nel proseguire «l’azione di Autorità di regolazione forte e indipendente, a tutela degli utenti e a garanzia degli operatori del settore, per l’attivazione degli investimenti necessari a traghettare l’Italia verso un’economia circolare e decarbonizzata e a migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi ambientali per cittadini e imprese».
fonte: www.greenreport.it


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Un vero piano verde, ecco cosa serve per la ripresa post Covid-19


















La questione ambientale, come emerge da più parti, è profondamente interconnessa con la pandemia in corso. «Migliorare la salute dell’uomo e degli animali, insieme a quella delle piante e dell’ambiente, è l’unico modo per mantenere e preservare la sostenibilità del Pianeta» ha dichiarato a Greenpeace Ilaria Capua, virologa di fama internazionale.

L’origine delle pandemie è infatti legata alla distruzione dell’ambiente e della biodiversità, del sistema alimentare basato sugli allevamenti intensivi e sappiamo che il riscaldamento globale rischia di riproporre emergenze sanitarie come quella che stiamo vivendo. Questo sia ampliando l’areale di malattie tropicali trasmissibili da zanzare, cosa già in atto con la dengue, chikungunya, e Zika, sia per lo scongelamento dei ghiacci e del permafrost che potrebbero liberare virus e patogeni anche di epoche remote. Una recente ricerca sui ghiacciai tibetani ha evidenziato la presenza di 28 virus sconosciuti e nel 2016 un focolaio di antrace, virus potenzialmente letale, era emerso in Siberia a seguito dello scongelamento del permafrost.

La questione tutta politica è quella della direzione, bisognerà dirigere gli stimoli per la ripresa economica del post-pandemia: se verso i settori tradizionali – come promette Trump per aiutare i suoi grandi elettori petroliferi – o verso nuovi settori per una svolta nel senso del «Green Deal».



Due to the coronavirus (Covid-19) shutdown, public squares, parks, streets and the international airport in Hamburg are almost deserted. People have to keep distance.

I produttori di auto europei hanno già chiesto un allentamento del regime di emissioni di CO2, dunque cercano di spostare l’asse verso la conservazione del passato.

Invece la necessità di una svolta è una affermazione condivisa da molti, dai Fridays For Future, dal movimento ambientalista ai promotori del Manifesto di Assisi e, anche da parte istituzionale, la necessità di un Green Deal è stata ribadita sia dal Presidente del Consiglio Conte che dalla Presidente della Commissione Europea von der Leyen.

La lettera aperta dei ricercatori raggruppati ne «La scienza al voto» ha ricordato che la riconversione dalle fossili alle rinnovabili richiede «uno sforzo limitato, rispetto a quanto stiamo facendo per il coronavirus, quantificabile in pochi punti percentuali di PIL, spalmato su molti anni e, se ben gestito, affrontabile dagli Stati e dalla comunità internazionale senza forti ripercussioni sui cittadini». E, ricordano, che i benefici delle politiche di riduzione delle emissioni di gas serra si estendono anche in termini di inquinamento dell’aria (di altri gas, che non impattano sul clima ma sulla salute). Lo smog, già responsabile di decine di migliaia di morti premature in Italia, potrebbe aver giocato, come avanzato da più parti, un ruolo nel peggiorare l’impatto della pandemia.

L’analisi dell’Economist sulla pesante crisi petrolifera legata alla pandemia da Covid19 conclude che le aziende petrolifere farebbero bene a prendere questa come un esempio di quello che verrà, dopo che la pandemia sarà finita. E, cioè, che molti nostri comportamenti cambieranno. Nel frattempo, si è verificato il crollo del prezzo del WTI fino a valori negativi, fatto mai registrato nella storia, con previsioni di ripresa dopo la pandemia che gli analisti fissano a 20$ al barile, dunque un prezzo molto basso.

Anche il settore delle rinnovabili ha subito un contraccolpo dalla pandemia ma pare in proporzioni inferiori. Ed, essendo le principali tecnologie rinnovabili (solare, eolico) dedicate alla produzione di elettricità, la competizione tecnologica non è tanto col petrolio quanto col gas. Questo rimane lo spartiacque delle politiche energetiche in Italia: se continuare a frenare le rinnovabili per difendere il mercato del gas, o se accelerare, e di molto, con la transizione energetica. Il piano «verde» dell’Eni è basato su una tecnologia non provata e di dubbia sicurezza ambientale, il Ccs (reiniettare le emissioni di CO2 nel sottosuolo), protezione delle foreste (!) e troppo poche rinnovabili nell’orizzonte decisivo per le politiche climatiche. Eni continuerà a estrarre petrolio (meno) e molto gas, mantenendo dunque comunque il grosso delle emissioni di CO2 legate al core business che, invece, in una politica seria del clima deve radicalmente cambiare. Ma il governo, temiamo, non glielo chiederà dopo la riconferma di Descalzi. Un piano serio dovrebbe puntare pesantemente a far cambiare mestiere all’azienda: rinnovabili, gas di sintesi a partire da rinnovabili, industria dell’efficienza energetica.

Un vero Green Deal dovrebbe includere, tra le altre cose, il vincolo degli aiuti a banche e grandi aziende che abbiano piani coerenti con l’Accordo di Parigi. Per essere chiari, le banche che continuano a finanziare le fonti fossili dovrebbero essere escluse da qualunque aiuto pubblico. Sarà necessario rivedere in profondità il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), anche in vista dell’imminente rivisitazione degli obiettivi 2030 Ue a cui si ispira, limitando in particolare l’uso del gas fossile e lavorando per uno sviluppo più ambizioso delle fonti rinnovabili, specialmente prima del 2025.

Bisogna iniziare a ridurre i sussidi alle fonti fossili e spostarli verso altri settori, dalla mobilità elettrica nelle sue varie forme, agli ecoincentivi per la ristrutturazione profonda degli edifici. L’incentivazione di una mobilità sostenibile, a partire dalla ciclabilità delle città come sta già avvenendo ad esempio a Parigi, è una priorità per il progressivo rientro alla «normalità» e la difficoltà – speriamo momentanea – dell’utilizzo dei mezzi pubblici, mentre ancora il virus non è stato debellato. Un piano di ristrutturazione profonda degli edifici per aumentarne l’efficienza e l’uso di rinnovabili, avrebbe un effetto occupazionale importante in un settore centrale dell’economia italiana.

Il governo deve adesso dimostrare se fa sul serio quando parla di sostenibilità o se intende continuare a proteggere i settori fossili che ci bloccano su schemi di un passato che dobbiamo a tutti i costi superare.


Giuseppe Onufrio

fonte: https://www.greenpeace.org/

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Economia della ciambella: il piano per la fase 2 di Amsterdam è green e rompe gli attuali modelli di consumo


















La città annuncia che adotterà il “modello a ciambella” dell’economista Kate Raworth, che richiede una drastica riduzione dell’uso di risorse e materiali

Il modello a ciambella per salvare l’economia ad Amsterdam post emergenza coronavirus. Economisti e istituzioni pensano già a cosa succederà dopo il Covid-19 che ha bloccato il mondo. Finita l’emergenza sanitaria, si dovrà pensare a come risanare l’economia. Ad Amsterdam, si ipotizza che la strada da intraprendere per la ricostruzione potrebbe seguire il modello di economia ‘a ciambella’, sviluppato da Kate Raworth, economista britannica dell’Istituto di Cambiamento Ambientale dell’Università di Oxford.

Secondo la teoria di Raworth, bisogna allontanarsi dall’attaccamento globale alla crescita economica e alle leggi della domanda e dell’offerta e avvicinarsi al cosiddetto ‘modello a ciambella’ per ritornare ad avere un equilibrio con il Pianeta. Come sappiamo, il libro dell’economista ricostruisce la storia delle teorie che stanno alla base dell’attuale paradigma economico, ne evidenzia i presupposti nascosti e li smonta uno ad uno a partire dalle teorie dell’Ottocento.

Presenta poi la sua economia della ciambella che si nutre di ecologia e scienze del sistema Terra. Per liberarci dalla nostra dipendenza dalla crescita, riprogettare il denaro, la finanza e il mondo degli affari e metterli al servizio delle persone, secondo Kate Raworth esistono sette passaggi che finiscono per creare un’economia circolare capace di rigenerare i sistemi naturali e di redistribuire le risorse, consentendo a tutti di vivere una vita dignitosa in uno spazio sicuro ed equo.

Si inizia dall’anello interno che stabilisce il minimo necessario per condurre una buona esistenza, qui ci sono gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: da cibo e acqua pulita a un certo livello di alloggi, servizi igienico-sanitari, energia, istruzione, assistenza sanitaria, uguaglianza di genere, reddito e voce politica. Chi non raggiunge tali standard minimi vive all’interno del buco della ciambella. L’anello esterno rappresenta, invece, l’obiettivo ecologico: i confini al di fuori dei quali l’uomo non dovrebbe andare per non danneggiare il clima, il suolo, gli oceani, lo strato di ozono, l’acqua dolce e l’abbondante biodiversità.

Tra i due anelli c’è la ciambella vera e propria, dove vengono soddisfatte le esigenze di tutti, ma anche quelle del Pianeta. Ad Amsterdam il modello sarà adottato appunto per ricostruire l’economia post emergenza.




“Penso che possa aiutarci a superare gli effetti della crisi. Potrebbe sembrare strano che parliamo già del futuro, ma come governo ne abbiamo il dovere”, ha detto a The Guardian Marieke van Doorninck, vice sindaco di Amsterdam.

L’obiettivo dell’attività economica dovrebbe essere quello di soddisfare le esigenze fondamentali di tutti, con le risorse messe a disposizione dal Pianeta. La “ciambella” è un mezzo per mostrare in pratica cosa significa.


“Non è solo un modo hippy di guardare il mondo“, afferma Van Doorninck, citando la crisi immobiliare. Le esigenze abitative dei residenti sono sempre più insoddisfatte, con quasi il 20% delle persone che non sono in grado di coprire le loro esigenze di base dopo aver pagato l’affitto.






Una soluzione potrebbe essere quella di costruire più case, ma la ciambella di Amsterdam evidenzia che le emissioni di anidride carbonica nell’area sono del 31% superiori ai livelli del 1990. Le importazioni di materiali da costruzione, alimenti e prodotti di consumo al di fuori dei confini della città contribuiscono per il 62% a tali emissioni totali.

Van Doorninck afferma che la città prevede di regolamentare il processo per garantire ai costruttori di utilizzare materiali il più spesso possibile riciclati e a base biologica, come il legno. Ma l’approccio della ciambella incoraggia anche i politici a alzare gli occhi all’orizzonte perché l’economia della ciambella non ci fornisce le risposte ma un modo di trovarle.

“Il mondo sta vivendo una serie di eventi drammatici.Prosperare significa che il nostro benessere è in equilibrio. Questo è il momento in cui collegheremo la nostra salute alla salute del Pianeta”, ha chiosato Raworth.
I Sette strati della ciambella

Ecco un estratto del libro “L’economia della ciambella” di Kate Raworth (Edizioni Ambiente)

Primo, cambiare l’obiettivo. L’economia è rimasta fissa per oltre settant’anni sul Pil, o Prodotto interno lordo, come principale misura del suo progresso. Questa fissazione è stata usata per giustificare estreme diseguaglianze nel reddito e nella ricchezza, accoppiate a un degrado del mondo vivente mai visto prima. Per il XXI secolo è necessario un obiettivo ben più grande: rispettare i diritti umani di ognuno nei limiti del pianeta che ci dà la vita. E questo obiettivo è sintetizzato nell’immagine della Ciambella. La sfida ora consiste nel creare economie – dal livello locale a quello globale – che contribuiscano a portare tutta l’umanità nello spazio sicuro ed equo della Ciambella. Invece di perseguire la crescita infinita del Pil, è ora di scoprire come prosperare in equilibrio.

Secondo, vedere l’immagine complessiva. L’economia mainstream raffigura tutta l’economia in un solo diagramma, il flusso circolare delreddito. Le sue limitazioni, inoltre, sono state usate per rafforzare la narrativa neoliberista sull’efficienza del mercato, l’incompetenza dello stato, la vita domestica familiare, e la tragedia dei beni comuni. Dobbiamo ridisegnare l’economia da capo, integrandola nella società e nella natura, e fare chesia alimentata dal Sole. Una nuova raffigurazione stimola nuove narrative – riguardo al potere del mercato, alla partecipazione dello stato, al ruolo centrale del nucleo famigliare, e alla creatività dei beni comuni.

Terzo, coltivare la natura umana. Al centro dell’economia del XX secolo c’è il ritratto dell’uomo economico razionale: ci ha raccontato chesiamo egoisti, isolati, calcolatori, con dei gusti stabili, e che dominiamo la natura – e il suo ritratto ha modellato quello siamo diventati. Ma la natura umana è molto più ricca di così, come rivelano i primi abbozzi del nostro nuovo autoritratto: siamo sociali, interdipendenti, vicini,fluidi nei valori e dipendenti dal mondo vivente. In più, è effettivamente possibile coltivare la natura umana in modi che ci daranno una possibilità molto più grande di entrare nello spazio sicuro ed equo della Ciambella.

Quarto, acquisire comprensione dei sistemi. L’emblematico andirivieni dei rifornimenti del mercato e delle curve della domanda è il primo diagramma che ogni studente di economia incontra, ma esso è radicato in metafore fuorvianti, risalenti al XIX secolo, sull’equilibrio meccanico. Un punto di partenza molto più intelligente per comprendere la dinamicità dell’economia è il pensiero sistemico, riassunto in un paio di cicli di feedback. Porre questa dinamicità al centro dell’economia apre le porte a molte nuove intuizioni, dai cicli di espansione e contrazione dei mercati finanziari alla natura autorinforzante della diseguaglianza economica e ai punti di non ritorno dei cambiamenti climatici. È ora di smettere di cercare le inafferrabili leve di comando dell’economia e di cominciare a gestirla come un sistema complesso in continua evoluzione.

Quinto, progettare per distribuire. Nel XX secolo, una semplice curva – la curva di Kuznets – diffonde un potente messaggio sulla diseguaglianza: deve andare peggio prima di poter andare meglio, e la crescita (alla fine) migliorerà la situazione. Ma la diseguaglianza, si scopre, non è una necessità economica: è un errore di progettazione. Gli economisti del XXI secolo riconosceranno che ci sono molti modi di progettare le economie per fare che siano molto più distributive riguardo al valore che generano – un’idea meglio rappresentata come una rete di flussi. Questo significa andare oltre la ridistribuzione del reddito fino alla ridistribuzione della ricchezza, in particolare la ricchezza che giace nel possesso di terreni, imprese, tecnologie e conoscenze e nel potere di creare denaro.

Sesto, creare per rigenerare. La teoria economica ha per lungo tempo considerato un ambiente “pulito” un bene di lusso, che solo i benestanti possono permettersi. Questa visione è stata rafforzata dalla Curva ambientale di Kuznets, che suggeriva ancora una volta che l’inquinamento deve peggiorare prima di migliorare, e che la crescita (alla fine) avrebbe portato un miglioramento. Ma non c’è nessuna legge del genere: il degrado ecologico è semplicemente il risultato di una progettazione industriale degenerativa. Questo secolo ha bisogno di un pensiero economico che scateni la progettazione rigenerativa per creare un’economia circolare – non lineare – per restituire agli esseri umani il ruolo di partecipanti a pieno titolo ai processi ciclici della vita sulla Terra.

Settimo, essere agnostici riguardo alla crescita. C’è un diagramma della teoria economica così pericoloso da non essere mai realmente tracciato: l’andamento a lungo termine della crescita del Pil. L’economia mainstream vede la crescita infinita dell’economia come un obbligo, ma niente in natura cresce per sempre e il tentativo di opporsi a questa tendenza sta sollevando questioni serie nei paesi ad alto reddito ma a bassa crescita. Potrebbe non essere difficile abbandonare la crescita del Pil come obiettivo economico, ma sarà molto più difficile superare la nostra dipendenza da essa. Oggi abbiamo economie che hanno bisogno di crescere, che ci facciano prosperare o meno: quello di cui abbiamo bisogno sono economie che ci facciano prosperare, che crescano o meno. Questo ribaltamento del punto di vista ci spinge a essere agnostici riguardo alla crescita e a capire come le economie che oggi dipendono finanziariamente, politicamente e socialmente dalla crescita possano esistere con o senza di essa.

Fonte: The Guardian


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Naomi Klein: ecco cosa ci aspetterà dopo l’emergenza coronavirus

















“Quando torneremo alla normalità, dobbiamo ricordarci che la normalità era la crisi”. Secondo Naomi Klein giornalista e autrice del saggio Shock Economy, in tempi di coronavirus poche élite stanno traendo vantaggi dall’emergenza che, una volta superata, porterà con sé una ricostruzione che peserà sulle spalle dei cittadini, esattamente com’era stato nel 2008.

Una lunga riflessione, riportata sulla testata El Salto, dove Naomi Klein prova a ipotizzare cosa ci aspetterà post coronavirus. Se adesso giustamente si pensa alla salute dei cittadini, in un futuro non troppo lontano, il problema sarà principalmente economico. Ora, come nel 2008, il governo sta spendendo moltissimi soldi per salvare il sistema finanziario, ma il conto sarà salato e pagato dai cittadini con l’austerity.


“Il problema è che le strutture del sistema, potrebbero usare questa emergenza per creare ulteriori disuguaglianze e ingiustizie”, spiega. Secondo la giornalista, infatti, in situazioni problematiche come pandemie e disastri, a rimetterci sono soprattutto i cittadini perché le èlite approfittano di questi momenti per fare riforme impopolari che vanno ad accentuare le divisioni sia economiche che sociali.

“Questa è una crisi globale che non conosce confini, purtroppo i leader di tutto il mondo sono alla ricerca di modi per trarne vantaggio. Dobbiamo, quindi anche noi, condividere e scambiare strategie”, continua.

Le crisi portano comunque con sé un cambiamento, la cosiddetta ‘dottrina dello shock o capitalismo dei disastri’. Klein punta il dito contro la situazione sanitaria di stallo che c’era prima della pandemia.






“I nostri leader non hanno prestato attenzione ai segnali di allarme e hanno imposto una brutale austerità economica al sistema sanitario pubblico lasciandolo a corto di risorse e incapace di affrontare il tipo di situazione che stava nascendo”, spiega ancora ricordando che l’Europa meridionale è stata “il punto di partenza delle politiche di austerità più sadiche”, dopo la crisi finanziaria del 2008. “C’è poi da meravigliarsi che i loro ospedali, pur avendo un’assistenza sanitaria pubblica, siano così mal equipaggiati per far fronte a questa crisi?”.

Il punto focale, secondo la giornalista, rimane sempre il sistema capitalista che sacrifica ‘la vita su larga scala pur di avere il profitto’ e fa riferimento alla situazione americana in cui il presidente Trump ha chiesto il sostegno di milionari per far tornare al lavoro gli americani e salvare l’economia.

“Questa è la storia del colonialismo, della tratta atlantica degli schiavi, degli interventi americani nel mondo. È un modello economico intriso di sangue”.

Ma rispetto al colonialismo vero e proprio, adesso c’è più consapevolezza ed è per questo che secondo la giornalista dobbiamo pensare a quale soluzione esigeremo una volta che la crisi sarà finita.

“Ora a causa della crisi ecologica e a causa del cambiamento climatico è la stessa abitabilità del pianeta ad essere sacrificata. Ci vuole una soluzione bastata sui principi di un’economia effettivamente rigenerativa, fondata sulla tutela e sulla riparazione”.

E aggiunge:

“Quando ci si chiede quando le cose torneranno alla normalità, dobbiamo ricordare che la normalità era la crisi. È normale che l’Australia stesse bruciando un paio di mesi fa? È normale che l’Amazzonia bruciasse un paio di mesi prima? È normale che milioni di persone in California si vedessero tagliare l’elettricità all’improvviso, perché il loro fornitore privato pensava che fosse un buon modo per prevenire l’ennesimo incendio boschivo? Normale è mortale. La “normalità” è una crisi gigantesca. Dobbiamo provocare una profonda trasformazione che porti a un’economia salva-vita”.

“Dobbiamo sviluppare nuovi strumenti di disobbedienza civile che ci permettano di agire a distanza. Sono molto fiduciosa sui diversi modi in cui le persone possono collaborare in questo momento ed è ironico, perché è vero che non siamo mai stati così fisicamente distanti, ma forse è proprio per tale lontananza che siamo così determinati ad avvicinarci l’un l’altro”. Senza dimenticare, che dobbiamo tornare a indignarci”. Dobbiamo farci ispirare dai movimenti di massa che hanno rovesciato i governi nelle crisi precedenti”.

Fonte: El Salto


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Calano i gas serra in Italia

Scendono del 17% dal 1990 al 2018. Presentati dall'Ispra i nuovi dati sulle emissioni.



Presentati da Ispra in live streaming su Youtube gli ultimi dati relativi all’andamento dei gas serra e degli inquinanti atmosferici. Gli esperti dell’Istituto hanno illustrato la situazione italiana in collegamento con oltre 2800 persone e con punte di 700 connessioni simultanee. Esperienza positiva per una modalità che accompagnerà le prossime presentazioni dei rapporti di Ispra in questo tempo di emergenza sanitaria.






Il quadro delle emissioni dei gas serra nel nostro Paese vede un trend in decrescita negli ultimi 28 anni. Nel 2018, le emissioni diminuiscono del 17% rispetto al 1990, passando da 516 a 428 milioni di tonnellate di CO2 equivalente e dello 0,9% rispetto all’anno precedente. La diminuzione è dovuta alla crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico) e all’incremento dell’efficienza energetica nei settori industriali.

Calano anche le emissioni del settore agricoltura (-13%), che costituiscono il 7% delle emissioni di gas serra, circa 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. La maggior parte di queste emissioni – quasi l’80% – deriva dagli allevamenti, in particolare dalle categorie di bestiame bovino (quasi il 70%) e suino (più del 10%), mentre il 10% proviene dall’uso dei fertilizzanti sintetici.




Per il PM10 primario è il riscaldamento la principale fonte di emissione nel 2018, contribuendo al totale per il 54%. Non solo. Il settore, con un +41%, è l’unico che aumenta le proprie emissioni a causa della crescita della combustione di legna per il riscaldamento residenziale, mentre calano di oltre il 60% quelle prodotte dal trasporto stradale e rappresentano, nello stesso anno, il 12% del totale.

E’ la descrizione dello stato emissivo nazionale fornita dai due rapporti, il National Inventory Report 2020 e l’Informative Inventory Report 2020, presentati dall’ISPRA in videoconferenza, che presentano il quadro globale e di dettaglio della situazione italiana sull’andamento dei gas serra e degli inquinanti atmosferici dal 1990 al 2018.

ALTRE FONTI DI EMISSIONE


NOx (Ossidi di azoto): la principale fonte di emissioni è il trasporto su strada (circa il 43% nel 2018), che mostra una riduzione del 71% tra il 1990 e il 2018. Tra i settori interessati, l’unico che evidenzia un aumento delle emissioni è rappresentato dal riscaldamento (+36%, pari al 13% del totale).
COVNM (Composti Organici Volatili diversi dal metano): sono, insieme agli NOx, tra i principali precursori dell’ozono (O3) e del materiale particolato (PM). Il trend delle emissioni mostra una riduzione di circa il 54% tra il 1990 e il 2018. L’uso di solventi è la principale fonte di emissioni, contribuendo al totale con il 39% e mostrando una diminuzione di circa il 41% rispetto al 1990.  




Circa la metà delle emissioni nazionali di gas climalteranti derivano dai settori della produzione di energia e dei trasporti, che registrano un +2% rispetto al 1990. L’aumento maggiore è dovuto al trasporto su strada (+3%) a causa dell’incremento della mobilità di merci e passeggeri; le percorrenze complessive (veicoli-km) per il trasporto passeggeri crescono, nel periodo di riferimento, del 21%.

Importante anche la diminuzione delle emissioni provenienti dal settore delle industrie energetiche che, sempre rispetto al 1990, scendono nel 2018 del 30%, a fronte di un aumento della produzione di energia termoelettrica da 178,6 Terawattora (TWh) a 192,7 TWh, e dei consumi di energia elettrica da 218,7 TWh a 295,5 TWh. Nel periodo 1990-2018, le emissioni energetiche dal settore residenziale e servizi sono aumentate del 6% a fronte di un incremento dei consumi energetici pari al 18,3%.

In Italia il consumo di metano nel settore civile era già diffuso nei primi anni ’90 e la crescita delle emissioni, in termini strutturali, è invece correlata all’aumento del numero delle abitazioni e dei relativi impianti di riscaldamento oltre che, in termini congiunturali, ai fattori climatici annuali. L’incremento dei consumi è strettamente collegato al maggior utilizzo di biomasse.

Per quel che riguarda il settore dei processi industriali, nel 2018 le emissioni scendono del 14,2% rispetto al 1990. L’andamento è determinato prevalentemente dalla forte riduzione delle emissioni di protossido di azoto, N2O, (-91%) nel settore chimico, grazie all’adozione di tecnologie di abbattimento delle emissioni nella produzione dell’acido nitrico e acido adipico.

Segnano infine un aumento del 5,6% le emissioni derivanti dalla gestione e dal trattamento dei rifiuti.

Le emissioni del settore sono destinate a ridursi nei prossimi anni, attraverso il miglioramento dell’efficienza di captazione del biogas e la riduzione di materia organica biodegradabile in discarica grazie alla raccolta differenziata.

FOCUS EMISSIONI DA AGRICOLTURA E ALLEVAMENTI

Emissioni di gas serra dal settore agricoltura: calano le emissioni del settore che costituiscono il 7% delle emissioni di gas serra, circa 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. La maggior parte di queste – quasi l’80% – deriva dagli allevamenti, in particolare dalle categorie di bestiame bovino (quasi il 70%) e suino (più del 10%), mentre il 10% proviene dall’uso dei fertilizzanti sintetici. In particolare, per gli allevamenti, la maggior parte delle emissioni deriva dalla fermentazione enterica, a carico in particolare dei ruminanti e dalla gestione delle deiezioni (stoccaggio e spandimento). Dal 1990 le emissioni sono scese del 13% a causa della riduzione del numero dei capi, delle superfici e produzioni agricole, dell’uso dei fertilizzanti sintetici e dei cambiamenti nei metodi di 
gestione delle deiezioni.





Emissioni di ammoniaca dal settore agricoltura: dal 1990 diminuiscono del 23% (pari a 345.000 tonnellate di NH3 nel 2018) e rappresentano più del 90% delle emissioni nazionali di ammoniaca. L’80% di queste emissioni deriva dagli allevamenti e in particolare dalle categorie bovini, suini ed avicoli e riguardano le fasi di gestione delle deiezioni nei ricoveri, negli stoccaggi e durante le fasi di spandimento al suolo. Il contributo dell’uso dei fertilizzanti sintetici alle emissioni totali del settore è del 15% circa. Il calo è dovuto alla riduzione del numero dei capi, delle superfici e produzioni agricole, dell’uso dei fertilizzanti sintetici e alla diffusione delle tecniche di riduzioni delle emissioni.

Sul sito dell’Ispra sono disponibili i rapporti e le presentazioni dei relatori.

fonte: https://www.snpambiente.it


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#Isde: Webinar Emergenza Covid-19 - Venerdi 24 - ore 17
















per aderire: www.isde.it/webinar/


ISDE - Associazione Medici per l'Ambiente 



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Finita questa emergenza, vogliamo un #RitornoAlFuturo!

L’appello dei ragazzi di #FridaysForFuture e degli scienziati del clima sulla rinascita post-Coronavirus. “Le crisi sono due. Ma la soluzione è una sola.”


Cara Italia,


Ascolta questo silenzio.

La nostra normalità è stata stravolta e ci siamo svegliati in un incubo. Ci ritroviamo chiusi nelle nostre case, isolati e angosciati, ad aspettare la fine di questa pandemia. Non sappiamo quando potremo tornare alla nostra vita, dai nostri cari, in aula o al lavoro. Peggio, non sappiamo se ci sarà ancora un lavoro ad attenderci, se le aziende sapranno rialzarsi, schiacciate dalla peggiore crisi economica dal dopoguerra.

Forse avremmo potuto evitare questo disastro?

Molti studi sostengono che questa crisi sia connessa all’emergenza ecologica. La continua distruzione degli spazi naturali costringe infatti molti animali selvatici, portatori di malattie pericolose per l’uomo, a trovarsi a convivere a stretto contatto con noi. Sappiamo con certezza che questa sarà solo la prima di tante altre crisi – sanitarie, economiche o umanitarie – dovute al cambiamento climatico e ai suoi frutti avvelenati. Estati sempre più torride e inverni sempre più caldi, inondazioni e siccità distruggono già da anni i nostri raccolti, causano danni incalcolabili e vittime sempre più numerose. L’inesorabile aumento delle temperature ci porterà malattie infettive tipiche dei climi più caldi o ancora del tutto sconosciute, rischiando di farci ripiombare in una nuova epidemia.

Siamo destinati a questo? E se invece avessimo una via d’uscita? Un’idea in grado di risolvere sia la crisi climatica sia la crisi economica?

Cara Italia, per questo ti scriviamo: la soluzione esiste già.

L’uscita dalla crisi sanitaria dovrà essere il momento per ripartire, e la transizione ecologica sarà il cuore e il cervello di questa rinascita: il punto di partenza per una rivoluzione del nostro intero sistema. La sfida è ambiziosa, lo sappiamo, ma la posta in gioco è troppo alta per tirarsi indietro. Dobbiamo dare il via a un colossale, storico, piano di investimenti pubblici sostenibili che porterà benessere e lavoro per tutte e tutti e che ci restituirà finalmente un Futuro a cui ritornare, dopo il viaggio nell’oscurità di questa pandemia

Un futuro nel quale produrremo tutta la nostra energia da fonti rinnovabili e non avremo più bisogno di comprare petrolio, carbone e metano dall’estero. Nel quale smettendo di bruciare combustibili fossili, riconvertendo le aziende inquinanti e bonificando i nostri territori devastati potremo salvare le oltre 80.000 persone uccise ogni anno dall’inquinamento atmosferico.

Immagina, cara Italia, le tue città saranno verdi e libere dal traffico. Non perché saremo ancora costretti in casa, ma perché ci muoveremo grazie a un trasporto pubblico efficiente e accessibile a tutte e tutti. Con un grande piano nazionale rinnoveremo edifici pubblici e privati, abbattendo emissioni e bollette. Restituiremo dignità alle tue infinite bellezze, ai tuoi parchi e alle tue montagne. Potremo fare affidamento sull’aria, sull’acqua, e sui beni essenziali che i tuoi ecosistemi naturali, sani e integri, ci regalano. Produrremo il cibo per cui siamo famosi in tutto il mondo in maniera sostenibile.

In questo modo creeremo centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro ben retribuiti, in tutti i settori.

Questo Futuro è davvero possibile, cara Italia, ne siamo convinti. Per affrontare questa emergenza sanitaria stiamo finalmente ascoltando la scienza. Ed è proprio la scienza ad indicarci chiaramente la rotta da percorrere per sconfiggere la crisi climatica. Stavolta sappiamo quanto tempo ci rimane per agire: siamo già entrati nel decennio cruciale. Il momento del collasso dell’unico ecosistema in cui possiamo vivere, il superamento di 1,5°C di riscaldamento globale, già si staglia all’orizzonte. La folle curva di emissioni va capovolta già da quest’anno, e per sempre. Solo se ci riusciremo costruiremo un paese e un mondo più giusto, più equo per tutte e tutti, non a spese dei più deboli, ma di quei pochi che sulla crisi climatica hanno costruito i loro profitti.

Cara Italia, sei di fronte ad un bivio della tua storia, e non dovranno esserci miopi vincoli di bilancio o inique politiche di austerity che ti impediscano di realizzare questa svolta.

Cara Italia, tu puoi essere d’esempio. Puoi guidare l’Europa e il mondo sulla strada della riconversione ecologica.

Non a tutte le generazioni viene data la possibilità di cambiare davvero la storia e creare un mondo migliore – l’unico in cui la vita sia possibile.

Questa è la nostra ultima occasione. Non possiamo permetterci di tornare al passato. Dobbiamo guardare avanti e preparare il nostro Ritorno al Futuro!

PS: questo è solo l’inizio. Oggi comincia una grande campagna per la rinascita del nostro paese, che ci porterà fino al lancio di una serie di proposte concrete, in occasione del global #DigitalStrike, il 24 aprile. E non saremo soli.


Fai sentire la tua voce! Firma insieme agli attivisti di #FridaysForFuture e agli scienziati del clima!

Firma qui!


fonte: https://ritornoalfuturo.org

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La tutela del paesaggio e il consumo di suolo dopo l’epidemia. Che cosa ci aspetta

In una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il Forum Salviamo il Paesaggio invita a una riflessione sulle misure da prendere per evitare che nel post-emergenza “capitali e interessi soggettivi più o meno legittimi” prevalgano sul bene comune




Un rilancio economico che rispecchi i bisogni autentici della collettività. Passata la fase dell’emergenza sanitaria, la sfida sarà attuare una ricostruzione capace di tenere insieme, oltre all’economia e all’occupazione, il benessere sociale e la tutela dell’ambiente. Da qui la necessità di articolare una visione critica capace di mettere in discussione gli attuali sistemi di sviluppo, riflettendo sull’adozione di un modello di crescita giusto. Sono alcuni degli spunti di analisi rivolti al presidente del Consiglio Giuseppe Conte dal Forum Salviamo il Paesaggio, la rete nazionale formata da oltre mille membri tra associazioni, comitati e singoli, promotrice di iniziative per tutelare il paesaggio italiano e di una proposta di legge contro il consumo di suolo, ora ferma al Senato. In una lettera aperta indirizzata a Palazzo Chigi, il Forum chiede di iniziare a pensare al dopo-emergenza, adottando da subito un piano strategico di azioni per evitare che, superata l’epidemia, “capitali e interessi soggettivi più o meno legittimi” prevalgano sul bene comune.

La necessità di superare “le rigidità strutturali che hanno impedito di dispiegare tutto il potenziale del Paese, ad esempio nel settore dell’edilizia e delle opere pubbliche”, cui Conte ha fatto riferimento negli interventi del 25 e del 26 marzo, scrive il Forum, deve tradursi nell’arresto del consumo di suolo e nella spinta “verso il riuso dei suoli urbanizzati” da parte del settore edile. In Italia, come sottolineato dall’Istituto superiore di protezione ambientale (Ispra), nell’ultimo ventennio il consumo di suolo non si è mai arrestato, nonostante abbia subito significativi rallentamenti nel periodo 2008-2013 a causa della crisi economica. Il suolo consumato è passato dal 2,7% degli anni 50 al 7,6% stimato per il 2017. In termini assoluti, il consumo di suolo si stima abbia intaccato ormai oltre 23.000 chilometri quadrati del nostro territorio: una superficie pari all’Emilia-Romagna.

Report Ispra del 2019 alla mano, la cementificazione è andata avanti senza sosta in aree già compromesse, dove il valore è stato dieci volte maggiore rispetto alle zone meno consumate. A Roma in un solo anno sono stati cancellati 57 ettari di aree verdi della città (su 75 ettari di consumo totale); a Milano il consumo di suolo ha spazzato via 11 ettari di aree verdi (su un totale di 11,5 ettari). Un fenomeno che, ha sottolinea l’Ispra, non segue la crescita demografica. Nel Paese ad ogni abitante corrispondono oltre 380 metri quadrati di superfici occupate da cemento, asfalto o altri materiali artificiali: il valore cresce di quasi 2 metri quadrati ogni anno, mentre la popolazione diminuisce.
Le conseguenze sull’ambiente sono notevoli: dalla perdita di servizi ecosistemici (come l’approvvigionamento di acqua, cibo, materiali o la capacità di resistere a eventi estremi e a variazioni climatiche) all’aumento delle temperature. Secondo Ispra, infatti, il consumo di suolo in città ha un forte legame anche con l’aumento delle temperature in quanto dalla maggiore presenza di superfici artificiali a scapito del verde urbano deriva anche un aumento dell’intensità del fenomeno delle isole di calore.

“Il contrasto al consumo di suolo deve essere considerato una priorità e diventare una delle massime urgenze dell’agenda parlamentare”, afferma il Forum, ricordando come la legge contro il consumo di suolo sia ancora ferma al Senato perché l’iter legislativo, come denunciato, ha subito “ritardi e rallentamenti gravi”. Da qui, alcune proposte di azione indirizzate al presidente del Consiglio. Linee programmatiche da potere attuare che vanno dalla messa in sicurezza e riqualificazione degli edifici degli anni Cinquanta e Sessanta alla bonifica di aree inquinate. Dall’avvio di un piano per il recupero delle migliaia di borghi e centri storici in via di abbandono o già deserti alla riconversione di aree industriali in nuovi quartieri urbanisticamente autonomi da destinare in modo prioritario alle classi sociali più deboli attraverso l’adozione di un grande “piano casa”. Dalla messa in sicurezza di strade, ponti e gallerie all’attuazione di un grande piano di cablaggio dei territori pedemontani e montani e al sostegno all’agricoltura ecocompatibile. Dalla sostituzione delle rete idriche “colabrodo” alla messa in sicurezza delle aree a rischio ideogeologico.

“Crediamo che la grande sfida della pandemia imponga il coraggio di mettere in discussione il nostro modello di sviluppo per attivare, sin d’ora, strumenti di rilancio economico basato sulle opere pubbliche realmente necessarie al nostro Paese”, si legge nella lettera. “Un new deal che rispecchi i veri bisogni della collettività. Dopo questa crisi epocale, non potremo più continuare a seguire dinamiche economiche voraci, spietate, distruttive, ma piuttosto abbracciare una visione etica, l’unica che -suggeriscono grandi economisti come il Premio Nobel Amartya Sen- potrebbe davvero garantirci un futuro dignitoso e pacifico”.

fonte: https://altreconomia.it


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Coronavirus e rifiuti. ARERA: 'Dall’emergenza nasca un nuovo approccio sui rifiuti'

L’Autorità invita le Istituzioni a scelte di lungo periodo. Trasparenza, impianti di trattamento e monitoraggio, sono le parole chiave per evitare la diseguaglianza nelle regioni




ARERA, riconoscendo le difficoltà di gestione relative ai rifiuti legati all'emergenza Covid-19, sta prestando la massima attenzione alle necessità dei consumatori - nell'evitare indiscriminati aumenti di prezzo - e alle esigenze dei comuni e delle aziende di raccolta e trattamento dei rifiuti urbani. Un'emergenza che si somma alle difficoltà conclamate del settore che da tempo dividono l'Italia tra zone avanzate, nelle quali i rifiuti sono una risorsa, e altre - in ritardo - nelle quali i cittadini ricevono minori servizi pagando prezzi più alti.

L'Autorità - cui la legge 27 dicembre 2017, n. 205 ha attribuito funzioni di regolazione e controllo del ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani e assimilati - sottolinea come in questo momento sia importante non abbassare la guardia sugli obiettivi di trasparenza e di sviluppo industriale del settore, in quanto è proprio in questa situazione di emergenza che possono prendere il sopravvento gli elementi di opacità e di inefficienza, spesso indotta, che da molto tempo condizionano pesantemente alcune aree del Paese in tema di rifiuti.

Il momento e la gravità della situazione richiedono uno sforzo congiunto di tutti i livelli di governo coinvolti, dei gestori e dell'intera filiera del settore. Uno sforzo per restare il più possibile vicini alla normalità, evitando di frenare un processo di miglioramento ormai avviato.

La regolazione di ARERA sta consentendo di "misurare" il settore, di valutare i singoli elementi gestionali, anche riconoscendo costi straordinari quando ci sono situazioni di difficoltà temporanee, come quelle attuali. La regolazione rende più evidente e tracciabile ogni fase e i relativi costi della raccolta, del trasporto e del trattamento, anche - purtroppo - laddove gli impianti di trattamento non esistono e obbligano a viaggi verso altri Paesi che oggi, in emergenza, non accolgono i nostri rifiuti.

Il settore è in una fase di stress, di fronte alla quale il parere tecnico dell'Autorità è quello di mantenere il timone nella rotta individuata, verso un sistema industriale che chiuda il ciclo dei rifiuti e rispetti i principi di sostenibilità economica e ambientale previsti dall'Unione Europea.

Una visione pragmatica e di lungo periodo è certamente quello di cui il sistema dei rifiuti ha maggiormente bisogno per uscire dal potere di ricatto delle continue trattative a livello regionale, nazionale e spesso internazionale.

fonte: www.ecodallecitta.it