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Maria De Biase: L' esperienza di una Preside del Cilento a cui piace volare alto e sporcarsi le mani


Qui si costruisce, qui vedo realizzate le cose, i ragazzi e le loro famiglie mi fermano per strada per dirmi che da quando ci siamo noi hanno cambiato stile alimentare oppure li incontro in spiaggia con le borracce di alluminio senza più plastica. Questa è una cosa meravigliosa, ne valeva la pena...




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CoscienzaVerde: Verde Pubblico Bene Comune - 11 giugno 2021 - dalle ore 17.30

 
















Coscienza Verde


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Una proposta per la scuola

Dobbiamo imparare dunque a utilizzare gli spazi esterni alle scuole, magari privilegiando materiali di recupero e naturali. Dobbiamo imparare a vivere il tempo scuola in parte all’aperto, accompagnati da passeggiate ed escursioni, in parte in aule diverse, tra cui cinema, teatri, case canoniche, chiese, musei, biblioteche, palestre e altre spazi spesso poco utilizzati. Dovremo imparare anche a coinvolgere gli anziani e gli altri attori delle comunità locali. Questo, dice Maria De Biase, è il tempo per immaginare uno scenario nuovo e dinamico. Questo è il tempo per creare insieme dal basso un’educazione diffusa

























La scuola, dunque, riaprirà a settembre. Non so se è giusto o sbagliato. Se è meglio o peggio. So che devo provare a fidarmi e ad affidarmi a chi ci governa. So che i bambini sono scomparsi dall’agenda politica. So che la didattica a distanza è una modalità utile solo e solamente durante l’emergenza e che si dovrà tornare alla scuola in presenza, unica forma di scuola degna di essere definita tale.
Intanto abbiamo quattro mesi di tempo per individuare tempi, spazi e modalità nuovi per non arrivare impreparati a settembre. Non sarà possibile, questo lo so, tornare nelle nostre aule, con lo stesso schema di prima. Continuo a pensare che, soprattutto nei nostri piccoli centri, abbiamo la possibilità di un cambiamento vero e profondo della scuola, da anni e da tanti auspicato. Dovremo imparare a utilizzare gli spazi esterni di cui quasi tutte le nostre scuole dispongono. Spazi che dovranno essere allestiti e attrezzati per svolgere ore di didattica esterna. Strutture leggere, ecosostenibili, belle, semplici, realizzate senza appesantire, imbruttire, inquinare, cementificare. Penso a materiali di recupero e di riciclo, a materiali naturali e semplici, pietre, paglia, legno, canne, alberi, cespugli, ecc. Penso ai tanti architetti che praticano green building, bioarchitettura o agli esperti di permacultura che abbondano nel nostro Paese e nello stesso Cilento. Penso alle tante risorse e competenze presenti presso il Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni.
Tutti potrebbero dare una mano alle scuole e ai Comuni per indicare strutture, a basso costo, di facile realizzazione. Dalle nostre parti, ad esempio, c’è bel tempo e clima mite fino ad autunno inoltrato e, quindi, gli alunni a turno, ma tutti, piccoli e grandi potrebbero vivere il loro tempo scuola, in parte all’aperto, in spazi attrezzati e sicuri, in parte in aulaBisognerà prevedere passeggiate, escursioni, trekking, pedalate, a turno. Qui, ma anche in tanti altri luoghi italiani, l’ambiente circostante permette una miriade di attività da realizzare fuori, godendo di paesaggi naturali di ineguagliabile bellezza. C’è tutto quello che serve ai nostri ragazzi, dopo mesi di chiusura per recuperare salute, serenità, socialità e bellezza.
Poi, per qualche mese, arriverà l’inverno e le piogge e il freddo, quindi, fuori non si potrà più stare. Ma, come ho già detto, gli spazi interni delle scuole non basteranno a garantire in sicurezza la presenza di tutti gli alunni e di tutti i docenti contemporaneamente. E la proposta di accoglierne una parte mentre gli altri seguono a distanza da casa a me non piace e la vedo difficile da realizzare, oltre che dispersiva. Penso, invece, a tutti quegli edifici, a quelle strutture, quasi sempre chiusi di mattina e, molti anche di pomeriggio, che potrebbero accogliere bambini e ragazzi. Classi intere, non parziali. Cattedrali, chiese, cinema, teatri, case canoniche, musei, biblioteche, palestre, conventi, monasteri, spazi comunali e religiosi, strutture chiuse e inutilizzate da anni. Potrebbero aprire, rendersi disponibili ad accogliere, in maniera strutturata e organizzata, le classi ed i loro docenti. Si potrebbero creare alternanze settimanali tra le classi che lavorano a scuola e quelle che fanno scuola fuori. Si realizzerebbe, finalmente, quella educazione diffusa, innovativa, inclusiva, esperienziale e attiva che tanti pedagogisti auspicano.
Sarebbe davvero una possibilità di cambiamento che le nostre comunità potrebbero cogliere. Insieme, scuola e istituzioni locali, dalla parte dei bambini. Uscire, a turno, dai confini di scuole ed aule e provare a vivere l’extramoenia, fuori dalle mura per vivere il fuori con le sue magie e i suoi stimoli. I nostri piccoli paesi ne sarebbero vivificati e riattivati. Immagino l’impatto positivo che subirebbero i piccoli, sonnolenti, disabitati centri storici con l’invasione di scolaresche allegre e vocianti. E penso a quanto sarebbero felici gli anziani, i vecchi dei nostri paesi se potessero collaborare, stare insieme ai ragazzi per qualche ora al giorno.
Forse da questa brutta storia della pandemia ne potrebbe nascere una davvero bella se saremo abbastanza coraggiosi e visionari da saper immaginare uno scenario nuovo, dinamico, esploso. Sono sicura, renderebbe più motivati e felici i nostri ragazzi e più partecipi e responsabili i cittadini. I nostri alunni sono, è vero, il nostro futuro ma sono soprattutto il nostro presente e loro con la loro vitalità e la loro ingombrante presenza potrebbero rendere migliore la vita di tutti noi e delle nostre comunità.
È solo una piccola, iniziale proposta, si dovrà con l’aiuto di tanti e tante migliorare, arricchire, strutturare. Ci possiamo lavorare insieme, superando i particolarismi, gli individualismi e il pessimismo del “non si può fare”. E infine, bisogna sospendere, per questo tema, le campagne elettorali, stare tutti insieme, dalla stessa parte, per il bene della comunità.

Maria De Biase è dirigente scolastica in Campania, dove insieme a insegnanti, genitori, alunni ha creato una straordinaria “scuola della terra“.
fonte: https://comune-info.net

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La tutela del paesaggio e il consumo di suolo dopo l’epidemia. Che cosa ci aspetta

In una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il Forum Salviamo il Paesaggio invita a una riflessione sulle misure da prendere per evitare che nel post-emergenza “capitali e interessi soggettivi più o meno legittimi” prevalgano sul bene comune




Un rilancio economico che rispecchi i bisogni autentici della collettività. Passata la fase dell’emergenza sanitaria, la sfida sarà attuare una ricostruzione capace di tenere insieme, oltre all’economia e all’occupazione, il benessere sociale e la tutela dell’ambiente. Da qui la necessità di articolare una visione critica capace di mettere in discussione gli attuali sistemi di sviluppo, riflettendo sull’adozione di un modello di crescita giusto. Sono alcuni degli spunti di analisi rivolti al presidente del Consiglio Giuseppe Conte dal Forum Salviamo il Paesaggio, la rete nazionale formata da oltre mille membri tra associazioni, comitati e singoli, promotrice di iniziative per tutelare il paesaggio italiano e di una proposta di legge contro il consumo di suolo, ora ferma al Senato. In una lettera aperta indirizzata a Palazzo Chigi, il Forum chiede di iniziare a pensare al dopo-emergenza, adottando da subito un piano strategico di azioni per evitare che, superata l’epidemia, “capitali e interessi soggettivi più o meno legittimi” prevalgano sul bene comune.

La necessità di superare “le rigidità strutturali che hanno impedito di dispiegare tutto il potenziale del Paese, ad esempio nel settore dell’edilizia e delle opere pubbliche”, cui Conte ha fatto riferimento negli interventi del 25 e del 26 marzo, scrive il Forum, deve tradursi nell’arresto del consumo di suolo e nella spinta “verso il riuso dei suoli urbanizzati” da parte del settore edile. In Italia, come sottolineato dall’Istituto superiore di protezione ambientale (Ispra), nell’ultimo ventennio il consumo di suolo non si è mai arrestato, nonostante abbia subito significativi rallentamenti nel periodo 2008-2013 a causa della crisi economica. Il suolo consumato è passato dal 2,7% degli anni 50 al 7,6% stimato per il 2017. In termini assoluti, il consumo di suolo si stima abbia intaccato ormai oltre 23.000 chilometri quadrati del nostro territorio: una superficie pari all’Emilia-Romagna.

Report Ispra del 2019 alla mano, la cementificazione è andata avanti senza sosta in aree già compromesse, dove il valore è stato dieci volte maggiore rispetto alle zone meno consumate. A Roma in un solo anno sono stati cancellati 57 ettari di aree verdi della città (su 75 ettari di consumo totale); a Milano il consumo di suolo ha spazzato via 11 ettari di aree verdi (su un totale di 11,5 ettari). Un fenomeno che, ha sottolinea l’Ispra, non segue la crescita demografica. Nel Paese ad ogni abitante corrispondono oltre 380 metri quadrati di superfici occupate da cemento, asfalto o altri materiali artificiali: il valore cresce di quasi 2 metri quadrati ogni anno, mentre la popolazione diminuisce.
Le conseguenze sull’ambiente sono notevoli: dalla perdita di servizi ecosistemici (come l’approvvigionamento di acqua, cibo, materiali o la capacità di resistere a eventi estremi e a variazioni climatiche) all’aumento delle temperature. Secondo Ispra, infatti, il consumo di suolo in città ha un forte legame anche con l’aumento delle temperature in quanto dalla maggiore presenza di superfici artificiali a scapito del verde urbano deriva anche un aumento dell’intensità del fenomeno delle isole di calore.

“Il contrasto al consumo di suolo deve essere considerato una priorità e diventare una delle massime urgenze dell’agenda parlamentare”, afferma il Forum, ricordando come la legge contro il consumo di suolo sia ancora ferma al Senato perché l’iter legislativo, come denunciato, ha subito “ritardi e rallentamenti gravi”. Da qui, alcune proposte di azione indirizzate al presidente del Consiglio. Linee programmatiche da potere attuare che vanno dalla messa in sicurezza e riqualificazione degli edifici degli anni Cinquanta e Sessanta alla bonifica di aree inquinate. Dall’avvio di un piano per il recupero delle migliaia di borghi e centri storici in via di abbandono o già deserti alla riconversione di aree industriali in nuovi quartieri urbanisticamente autonomi da destinare in modo prioritario alle classi sociali più deboli attraverso l’adozione di un grande “piano casa”. Dalla messa in sicurezza di strade, ponti e gallerie all’attuazione di un grande piano di cablaggio dei territori pedemontani e montani e al sostegno all’agricoltura ecocompatibile. Dalla sostituzione delle rete idriche “colabrodo” alla messa in sicurezza delle aree a rischio ideogeologico.

“Crediamo che la grande sfida della pandemia imponga il coraggio di mettere in discussione il nostro modello di sviluppo per attivare, sin d’ora, strumenti di rilancio economico basato sulle opere pubbliche realmente necessarie al nostro Paese”, si legge nella lettera. “Un new deal che rispecchi i veri bisogni della collettività. Dopo questa crisi epocale, non potremo più continuare a seguire dinamiche economiche voraci, spietate, distruttive, ma piuttosto abbracciare una visione etica, l’unica che -suggeriscono grandi economisti come il Premio Nobel Amartya Sen- potrebbe davvero garantirci un futuro dignitoso e pacifico”.

fonte: https://altreconomia.it


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Borgarello: come fermare la costruzione di un centro commerciale e vivere felici

Dopo vent’anni di lotte e cause legali, il piccolo Comune in provincia di Pavia guidato da Nicola Lamberti è riuscito a evitare la realizzazione di un immenso centro commerciale. “Viene prima il bene di tutti”, ha raccontato a novembre il sindaco. Lo ha fatto di fronte ai cittadini di Abbiategrasso (MI), mobilitati contro una maxi operazione immobiliare. L’editoriale del direttore di Altreconomia, Duccio Facchini


Nicola Lamberti è il sindaco di Borgarello, 2.700 abitanti, in provincia di Pavia. A metà novembre di quest’anno è intervenuto dai banchi della Giunta di fronte a una sala consiliare affollata. Non era la “sua” sala, giocava in trasferta: Abbiategrasso, nel Parco del Ticino, dista 30 chilometri da Borgarello, e Lamberti era lì per raccontare a un neonato comitato di cittadini, sorto contro un’operazione immobiliare che cementificherebbe 26 ettari, come si può fermare la quasi certa realizzazione di un centro commerciale e vivere felici (vedi Ae 191). Resistendo a cause di risarcimento, minacce di bancarotta e vincendo nel 2019 una battaglia legale giunta fino alla Corte costituzionale.
Qualche numero. Borgarello è un comune piccolo, dove il terreno costruito non supera complessivamente i 400mila metri quadrati. Vent’anni fa, però, qualcuno immagina di raddoppiare l’esistente e realizzare su terreni liberi, trasformati in edificabili, qualcosa come 230mila metri quadrati di area commerciale, precursori di altri 185mila di asfalto per una “bretella” collegata alla Provinciale 35 dei Giovi che collega Pavia e Milano. Nel 2009, il Comune è tra i primi in Italia ad adottare il Piano di governo del territorio (Pgt), il vecchio Piano regolatore, prevedendo espressamente la realizzazione del centro commerciale. Poco dopo arrivano anche il via libera al piano di lottizzazione e l’autorizzazione commerciale. Sembra finita. Nel 2011 Italia Nostra e Legambiente, insieme ad altre amministrazioni locali, fanno ricorso al Tar e due anni dopo ottengono la revoca dell’autorizzazione commerciale.
È proprio allora che entra in carica l’amministrazione di Nicola Lamberti. Il sindaco ingrana la retromarcia e non si accontenta del classico “Non c’è più niente da fare”. È impermeabile alle seducenti promesse dei proponenti del centro commerciale: 1.200 posti di lavoro, 12 milioni di euro di investimento sul territorio, una villa del Settecento da 2mila metri quadrati nel centro storico in regalo al Comune che non ha nemmeno un’aula consiliare, 3 milioni di euro di oneri di urbanizzazione. Lamberti e la sua squadra pensano però al “bene di tutti”, al naviglio, alla Certosa: idee indigeribili per qualcuno. Così, nel 2014, i promotori dell’operazione immobiliare citano in sede civile l’amministrazione comunale chiedendo 19,2 milioni di euro di danni (tra lucro cessante e danno emergente). Borgarello ha un bilancio che sfiora complessivamente 1 milione di euro, tenere i nervi saldi non è facile. L’amministrazione (un sindaco, due assessori, sei consiglieri comunali in tutto, a proposito di taglio ai costi della politica) resiste all’urto, smonta la favola dei posti di lavoro (a cose fatte se ne sarebbero persi 300 secondo le stime della Camera di Commercio di Pavia), misura gli impatti di nuovo cemento sui suoli (dati ISPRA alla mano), i maggiori costi per la perdita di preziosi servizi ecosistemici, l’esplosione del traffico e nel 2016 approva il nuovo Pgt, classificando di nuovo come agricoli gli appetiti 400mila metri quadrati. Un anno dopo vince pure la causa in sede civile. È finita? No. Contestandogli di aver modificato il Pgt contro il dettato della legge urbanistica lombarda (LR 12/2005), il privato trascina il pubblico dinanzi al Tar pretendendo questa volta 31 milioni di euro di risarcimento. Anche con “29/30” di ragione, dovendo “solo” 1 milione, Borgarello avrebbe dovuto dichiarare default. “Doveva andare tutto perfettamente bene, non bene”, ricorda il sindaco. A causa del conflitto di competenze tra Regione e Comune, il Tar sospende la causa e si rimette alla Corte costituzionale. Nel maggio 2019 arriva la sentenza, pubblicata a luglio: aveva ragione Borgarello, aveva ragione la squadra di Lamberti. I cittadini di Abbiategrasso lo avrebbero ascoltato ancora per ore. Lui invece termina presto, raccoglie l’applauso liberatorio, minimizza -“Non ho fatto nulla di speciale”- e aggiunge: “Ricordate la villa settecentesca che ci avevano promesso in regalo? L’abbiamo comprata e ristrutturata con le nostre forze”. Modello Borgarello.
fonte: https://altreconomia.it