Qui si costruisce, qui vedo realizzate le cose, i ragazzi e le loro famiglie mi fermano per strada per dirmi che da quando ci siamo noi hanno cambiato stile alimentare oppure li incontro in spiaggia con le borracce di alluminio senza più plastica. Questa è una cosa meravigliosa, ne valeva la pena...
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Abbiamo intervistato Matteo Cereda, l'ideatore della web community "Orto da coltivare" che conta tantissimi interessati e contatti e che fornisce suggerimenti concreti per chi si accinge a tenere un orto per l'autoproduzione alimentare, fenomeno in nettissima crescita.
Matteo Cereda è ideatore e fondatore della web community "Orto da coltivare", nata nel 2014 e oggi una delle più ampie e attive tra quelle che forniscono consigli alle tantissime persone che anche in città si ritagliano il loro pezzetto di terra, che sia nel giardino di casa o nell'appezzamento assegnato dal Comune o nelle aiuole collettive, per ricavare vegetali da portare in tavola. È anche co-autore, insieme a Sara Petrucci, del libro "Ortaggi insoliti" (Terra Nuova Edizioni).
Lo abbiamo intervistato.
Quanto è aumentato negli anni secondo te il fenomeno dell'orto per l'autoproduzione? È un trend tuttora in crescita? Noti un costante aumento della sensibilità in proposito?
«Posso senz'altro dire che c'è un interesse crescente. Per esempio, la mia community "Orto da coltivare" ha avuto una crescita costante di lettori. E ciò può essere dovuto sia a un aumento di attenzione per questo tipo di scelta, sia alla maggior propensione a cercare informazioni sul web rispetto a questo argomento. Di certo noto un aumento della sensibilità verso metodi di coltivazione sostenibili; per fortuna oggi c’è consapevolezza rispetto ai rischi che comportano i pesticidi e chi coltiva per passione e per autoconsumo è particolarmente attento a non utilizzare veleni. In quest’ultimo periodo con il lockdown è letteralmente esploso l’interesse per la coltivazione, che per molti è stata una boccata d’aria. Penso che chi ha sperimentanto in queste settimane la gioia del lavorare la terra conserverà anche in futuro questa passione».
Come si comincia se si è agli inizi? Come si prepara un'area da coltivare in città e quali requisiti deve avere o quali interventi di base vanno fatti?
«Il discorso è senz'altro lungo e ci possono essere diversi approcci. Consiglio prima di tutto, come insegna la permacultura, di partire dall’osservazione del terreno e in generale dell’area verde, per capire esposizione solare e tipo di suolo e da qui partire a progettare il proprio orto urbano. Il requisito base è avere un appezzamento che riceva luce diretta, se non per tutto il giorno comunque per un buon numero di ore. L’accesso all’acqua invece non è discriminante, si può pensare di raccogliere quella piovana. A livello di interventi, dopo aver pulito il terreno si parte con la preparazione del suolo, che può essere la classica vangatura, anche se ci sono metodi alternativi, come la realizzazione di bancali proposti dall’agricoltura sinergica».
Quali sono i principali consigli per chi vuole ricavare il massimo da piccoli o piccolissimi appezzamenti, senza ricorrere alla chimica tossica, ai fertilizzanti artificiali o una impropria forzatura dello sfruttamento del suolo? Consociazioni, rimedi naturali, pacciamatura, ecc?
«Un orto piccolo si può sfruttare al meglio con una progettazione efficiente, che permetta di coltivarlo tutto l’anno e di avere le piante vicine tra loro senza che si danneggino. Per fare questo occorre scegliere i giusti periodi di semina, avvalersi di un semenzaio e privilegiare il trapianto alla semina diretta in campo. Altri consigli che mi sento di dare sono sfruttare le consociazioni favorevoli e impiegare piccoli tunnel e coperture di tessuto non tessuto per prolungare il periodo utile riparando le piante dal gelo. Ma si potrebbe proseguire all’infinito: l’agricoltura è fatta di moltissimi accorgimenti».
Fino a quanto si può risparmiare per una famiglia, secondo le tue stime, se si coltiva un piccolo orto per l'autoproduzione e l'autoconsumo?
«Un orto può essere impostato perché non costi praticamente nulla: si può fare con attrezzi semplicissimi (vanga, zappa, rastrello), si può autoprodurre compost e recuperare acqua piovana, preservare la semente e propagare le piante in proprio, realizzare macerati vegetali per la difesa dai parassiti. In questo modo il risparmio è pari al valore di tutta la verdura prodotta e qui dipende dalle dimensioni e dalla tecnica, ma è comunque una voce rilevante in un bilancio famigliare. C’è da dire però che se l’approccio non è attento alle spese e quindi si comprano attrezzi motorizzati, prodotti per la cura, piantine in vivaio è facile anche che non ci sia un risparmio apprezzabile rispetto all’acquisto di verdura a poco prezzo dal supermercato. Bisogna però considerare anche la diversa qualità dei frutti di un’agricoltura intensiva e di quelli di un’attenta produzione naturale».
fonte: www.ilcambiamento.it
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Dobbiamo imparare dunque a utilizzare gli spazi esterni alle scuole, magari privilegiando materiali di recupero e naturali. Dobbiamo imparare a vivere il tempo scuola in parte all’aperto, accompagnati da passeggiate ed escursioni, in parte in aule diverse, tra cui cinema, teatri, case canoniche, chiese, musei, biblioteche, palestre e altre spazi spesso poco utilizzati. Dovremo imparare anche a coinvolgere gli anziani e gli altri attori delle comunità locali. Questo, dice Maria De Biase, è il tempo per immaginare uno scenario nuovo e dinamico. Questo è il tempo per creare insieme dal basso un’educazione diffusa
La scuola, dunque, riaprirà a settembre. Non so se è giusto o sbagliato. Se è meglio o peggio. So che devo provare a fidarmi e ad affidarmi a chi ci governa. So che i bambini sono scomparsi dall’agenda politica. So che la didattica a distanza è una modalità utile solo e solamente durante l’emergenza e che si dovrà tornare alla scuola in presenza, unica forma di scuola degna di essere definita tale.
Intanto abbiamo quattro mesi di tempo per individuare tempi, spazi e modalità nuovi per non arrivare impreparati a settembre. Non sarà possibile, questo lo so, tornare nelle nostre aule, con lo stesso schema di prima. Continuo a pensare che, soprattutto nei nostri piccoli centri, abbiamo la possibilità di un cambiamento vero e profondo della scuola, da anni e da tanti auspicato. Dovremo imparare a utilizzare gli spazi esterni di cui quasi tutte le nostre scuole dispongono. Spazi che dovranno essere allestiti e attrezzati per svolgere ore di didattica esterna. Strutture leggere, ecosostenibili, belle, semplici, realizzate senza appesantire, imbruttire, inquinare, cementificare. Penso a materiali di recupero e di riciclo, a materiali naturali e semplici, pietre, paglia, legno, canne, alberi, cespugli, ecc. Penso ai tanti architetti che praticano green building, bioarchitettura o agli esperti di permacultura che abbondano nel nostro Paese e nello stesso Cilento. Penso alle tante risorse e competenze presenti presso il Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni.
Tutti potrebbero dare una mano alle scuole e ai Comuni per indicare strutture, a basso costo, di facile realizzazione. Dalle nostre parti, ad esempio, c’è bel tempo e clima mite fino ad autunno inoltrato e, quindi, gli alunni a turno, ma tutti, piccoli e grandi potrebbero vivere il loro tempo scuola, in parte all’aperto, in spazi attrezzati e sicuri, in parte in aula. Bisognerà prevedere passeggiate, escursioni, trekking, pedalate, a turno. Qui, ma anche in tanti altri luoghi italiani, l’ambiente circostante permette una miriade di attività da realizzare fuori, godendo di paesaggi naturali di ineguagliabile bellezza. C’è tutto quello che serve ai nostri ragazzi, dopo mesi di chiusura per recuperare salute, serenità, socialità e bellezza.
Poi, per qualche mese, arriverà l’inverno e le piogge e il freddo, quindi, fuori non si potrà più stare. Ma, come ho già detto, gli spazi interni delle scuole non basteranno a garantire in sicurezza la presenza di tutti gli alunni e di tutti i docenti contemporaneamente. E la proposta di accoglierne una parte mentre gli altri seguono a distanza da casa a me non piace e la vedo difficile da realizzare, oltre che dispersiva. Penso, invece, a tutti quegli edifici, a quelle strutture, quasi sempre chiusi di mattina e, molti anche di pomeriggio, che potrebbero accogliere bambini e ragazzi. Classi intere, non parziali. Cattedrali, chiese, cinema, teatri, case canoniche, musei, biblioteche, palestre, conventi, monasteri, spazi comunali e religiosi, strutture chiuse e inutilizzate da anni. Potrebbero aprire, rendersi disponibili ad accogliere, in maniera strutturata e organizzata, le classi ed i loro docenti. Si potrebbero creare alternanze settimanali tra le classi che lavorano a scuola e quelle che fanno scuola fuori. Si realizzerebbe, finalmente, quella educazione diffusa, innovativa, inclusiva, esperienziale e attiva che tanti pedagogisti auspicano.
Sarebbe davvero una possibilità di cambiamento che le nostre comunità potrebbero cogliere. Insieme, scuola e istituzioni locali, dalla parte dei bambini. Uscire, a turno, dai confini di scuole ed aule e provare a vivere l’extramoenia, fuori dalle mura per vivere il fuori con le sue magie e i suoi stimoli. I nostri piccoli paesi ne sarebbero vivificati e riattivati. Immagino l’impatto positivo che subirebbero i piccoli, sonnolenti, disabitati centri storici con l’invasione di scolaresche allegre e vocianti. E penso a quanto sarebbero felici gli anziani, i vecchi dei nostri paesi se potessero collaborare, stare insieme ai ragazzi per qualche ora al giorno.
Forse da questa brutta storia della pandemia ne potrebbe nascere una davvero bella se saremo abbastanza coraggiosi e visionari da saper immaginare uno scenario nuovo, dinamico, esploso. Sono sicura, renderebbe più motivati e felici i nostri ragazzi e più partecipi e responsabili i cittadini. I nostri alunni sono, è vero, il nostro futuro ma sono soprattutto il nostro presente e loro con la loro vitalità e la loro ingombrante presenza potrebbero rendere migliore la vita di tutti noi e delle nostre comunità.
È solo una piccola, iniziale proposta, si dovrà con l’aiuto di tanti e tante migliorare, arricchire, strutturare. Ci possiamo lavorare insieme, superando i particolarismi, gli individualismi e il pessimismo del “non si può fare”. E infine, bisogna sospendere, per questo tema, le campagne elettorali, stare tutti insieme, dalla stessa parte, per il bene della comunità.
Maria De Biase è dirigente scolastica in Campania, dove insieme a insegnanti, genitori, alunni ha creato una straordinaria “scuola della terra“.
La conosciamo come food forest, foresta-giardino o foresta commestibile ed è una modalità di progettazione che si sta sempre più diffondendo in Italia, capace di prendere spunto dall’esempio della foresta applicandolo alla coltivazione di un orto o giardino e creando un habitat autosufficiente che produce cibo, energia e salute. Ce ne parla l'agronomo Marco Pianalto, che, il 27 e 28 luglio ad Alto (CN) terrà il corso “La FOOD Forest in Permacultura”, insegnandoci come trasformare il proprio orto o giardino in un'oasi di bellezza e... cibo!
La natura è piena di meraviglie: ci sa dare tutto ciò di cui abbiamo bisogno senza chiedere nulla in cambio, se non rispetto e amore per le sue creature. Negli ultimi decenni abbiamo dimenticato quelle conoscenze che i nostri antenati avevano faticosamente accumulato nei secoli, che univano l'attenzione al funzionamento spontaneo della foresta, capace di autogestirsi e autoalimentarsi, alla capacità di coltivare piante utili e commestibili.
La food forest, negli ultimi anni sempre più praticata, prende proprio esempio da questa stretta relazione. Ce ne parla Marco Pianalto, agronomo, insegnante, progettista e consulente in permacultura, che da anni ha fatto di questa tecnica la sua passione ed il suo lavoro. Dopo varie esperienze per il mondo ha deciso di tornare in Italia impegnandosi nella diffusione dell’Agricoltura Organica Rigenerativa e nella difesa dell’agricoltura familiare. In un’intervista ci svela tutti i segreti legati alla food forest.
Che cosa significa “foresta commestibile”? “La food forest o forest garden rappresenta l'unione tra due elementi quali il giardinaggio, più curato e coltivato, e la foresta, quale spazio più selvaggio e naturale che si autogestisce. Si tratta di due sistemi, uno voluto e realizzato dall'uomo e l’altro dalla natura, i quali si integrano e diventano un habitat unico, ricco e variegato. E’ un ecosistema progettato assimilabile al giardino ma che imita la struttura e le funzioni della foresta e che varia all’interno del contesto geografico e climatico nel quale viene realizzato. All’interno della foresta-giardino la componente estetica si connette alla capacità produttiva: si possono coltivare piante da frutto, erbe medicinali, ortaggi, fiori e di conseguenza è possibile produrre cibo come verdura, frutta o frutta a guscio oppure spezie, medicine o legna per riscaldarsi. Si tratta quindi di un sistema autosufficiente e a bassa manutenzione sviluppato su vari livelli che coinvolgono piante ad alto fusto, arbusti, piante erbacee capace di ottenere il massimo rendimento senza però cadere nella trappola della monocultura”.
Da dove deriva il termine food forest? “Esiste una lunga tradizione nei paesi asiatici, dove le popolazioni native si sono da sempre dedicate a questa tecnica, non coltivando una sola specie o una tipologia di pianta ma prendendo ad esempio il funzionamento spontaneo della foresta. In Europa tale pratica ha origini più recenti ed è stata importata su iniziativa di Robert Hart, pioniere della food forest, che ha realizzato la prima foresta commestibile in Inghilterra, sulla base del modello asiatico. Il metodo è stato poi migliorato e sperimentato nel tempo e gli esperti hanno capito che nei climi europei è possibile arrivare allo stesso grado di complessità sulla base del contesto geografico locale”.
Quanto è importante il rapporto con la natura? “Il contatto con la natura è un concetto centrale e fondamentale. La natura è assolutamente il modello a cui ispirarsi, nonchè un modello dinamico e non statico. E’ importante entrarvi in contatto, saperla ascoltare ed osservare, oltre che valorizzare gli elementi che ne fanno parte. Quelle che molti di noi chiamano “erbacce” ad esempio, rappresentano una vegetazione spontanea molto importante, in quanto ci danno informazioni sullo stato del suolo. E’ inoltre essenziale imparare a rispettare i tempi della natura. Dalla pianta spontanea alla quercia c'è un lavoro di collaborazione reciproca di un ecosistema interconnesso. Sarebbe un errore pensare di poter creare una food forest istantaneamente, poiché una foresta ha i suoi tempi di crescita”.
In quale luogo si può realizzare una foresta commestibile? “La dimensione preferibile sarebbe quella periurbana, ma è possibile realizzarla anche all’interno del proprio giardino. Dalle esperienze con le quali mi sono interfacciato, la sua superficie può variare da pochi metri fino a raggiungere sistemi più complessi dall’estensione di 1 o 2 ettari che necessitano del coinvolgimento di più persone. Quella della foresta giardino è una sfida in cui chiunque sia appassionato di giardinaggio e orticultura può cimentarsi!”
Qual è il ruolo della permacultura? “La permacultura è una disciplina di progettazione dell'abitare in modo sistemico e i suoi metodi e principi si sposano bene all’interno della food forest, consentendo una manutenzione meno assidua. Il ciclo della permacultura privilegia ad esempio la presenza di piante perenni che non richiedono di disturbare continuamente il suolo”.
Quali sono i vantaggi della foresta-giardino? “Se osserviamo una foresta, notiamo che ha tutti gli elementi di cui ha bisogno per vivere: non ha bisogno di essere concimata o coltivata, è un sistema autosufficiente che si autoproduce. Offre inoltre una grande biodiversità, favorendo la presenza di specie animali che si adattano con facilità a vivere in un ambiente di questo tipo. Inoltre, essendo un sistema completamente naturale, supera il concetto di monocultura e del conseguente utilizzo di pesticidi e veleni. Si tratta certamente di una soluzione più complessa ma alla lunga molto più sostenibile e naturale.
La food forest permette quindi di trasformare un orto o giardino ad alta manutenzione in un sistema perenne ed autofertile. La sua efficienza, in particolare, è legata alla situazione di cambiamento climatico e energetico che stiamo vivendo, in quanto si configura come uno spazio produttivo ma allo stesso tempo resiliente, ovvero capace di sfruttare le trasformazioni del clima ed autoregolarsi in periodi caratterizzati da un’alternanza di siccità e abbondanza di acqua”.
E’ possibile realizzare foreste giardino in contesti urbani? Che benefici apporterebbero nelle nostre città? “In questi contesti la presenza di orti-giardino è possibile: l’ambiente preferibile sarebbe quello suburbano ma il vantaggio che hanno gli ambienti urbani è quello di avere spazi di verde pubblico che possono diventare sia belli che fruibili e nel mio lavoro sto notando sempre più interesse da parte delle amministrazioni nell’intraprendere esperienze di questo tipo. Più aumenta la consapevolezza dell’importanza della policoltura ed il cittadino si spende come coltivatore o giardiniere all’interno dei contesti urbani, più nelle nostre città avverrà il cambiamento”.
Quali esperienze? “Città come Londra o Berlino stanno mettendo in pratica esperienze di food forest nei contesti cittadini, in particolare in zone che sono state lasciate incolte per lungo tempo e che ora stanno acquisendo una nuova connotazione agricola e produttiva. In Italia stanno crescendo le esperienze nelle quali le amministrazioni sono state coinvolte e c’è una diffusione sempre più consistente di questa realtà proprio perchè si tratta di un metodo che lascia aperte le porte alla sperimentazione. C’è poi un aspetto fondamentale: lo spazio verde, più è amato e curato dai cittadini di un quartiere, più dura nel tempo”.
Per scoprire il mondo della food forest, il 27 e 28 luglio avrà luogo il corso teorico e pratico "La FOOD Forest in Permacultura" condotto proprio da Marco Pianalto. L'obiettivo è la creazione di una foresta commestibile in grado di produrre cibo e habitat su sette livelli. Il corso si svolgerà presso il Comune di Alto (CN) in un terreno che farà da sperimentazione e si focalizzerà approfondendo concetti quali la preparazione del terreno, principi della permacultura, pacciamatura, manutenzioni, studio del suolo e del clima, osservando e riproducendo quanto succede in natura.
Per maggiori informazioni consultare il seguente link.
Permacultura, agricoltura
organica, corsi di autoproduzione. Alle porte di Milano, ospitata dalla
Cascina Santa Brera, si trova la Scuola di Pratiche Sostenibili, uno
spazio di sperimentazione aperto a tutti.
Nel cuore del Parco Agricolo Sud alle porte di Milano sorge l’antica Cascina Santa Brera,
un’oasi di bellezza e sostenibilità. Restaurata secondo i principi
della bioarchitettura da Irene di Carpegna – la proprietaria – oltre ad
essere un’azienda agricola biologica e un agriturismo, oggi la struttura
ospita numerose attività formative per adulti, bambini e ragazzi.
Nel 2006 è stata fondata laScuola di Pratiche Sostenibili
iniziando la formazione per adulti con corsi di progettazione in
Permacultura. Diversamente dai percorsi formativi che vengono svolti
solitamente, qui le lezioni si distribuiscono durante tutto l’anno
solare, arrivando anche a 160 ore di lezione. “Lo facciamo sia per
approfondire gli argomenti trattati – spiega Roberta Donati, referente
della scuola – sia per consolidare la rete umana e relazionale, non solo
tra i frequentanti ma anche tra gli alunni e i docenti”.
All’inizio il numero medio di iscritti arrivava anche a trenta persone, oggi le cifre sono diminuite perché l’offerta formativa
in questo ambito è aumentata molto, sia nella zona che in tutta Italia,
e molti degli ex alunni sono diventati docenti avviando corsi in
proprio o passando da alunni a docenti proprio all’interno della Cascina
stessa.
Sempre in ambito agricolo, un anno e mezzo fa è partito un corso di agricoltura organica rigenerativa,
una pratica (non solo di coltivazione ma anche di allevamento) molto
diffusa in Sud America – dove è nata – e in via di espansione in Italia
anche grazie a realtà come questa che ne diffondono la conoscenza. Alla
formazione hanno partecipato infatti piccoli agricoltori con aziende
agricole a conduzione familiare ma anche consulenti e periti agrari che
operano in tutto il paese e potranno a loro volta trasmetterne le
tecniche.
Oltre a permacultura e agricoltura organica, sono disponibili tantissimi corsi di autoproduzione,
dal sapone ai formaggi, e dal sito della scuola si dà agli utenti la
possibilità di segnalare esigenze e richieste. Anche per i più piccoli
si organizzano nella cascina tantissime attività,
con le famiglie e le scuole. Ogni estate la struttura ospita campi
estivi dove bambini e ragazzi possono sperimentare la vita in cascina,
prendendosi cura del’orto e degli animali, cucinando secondo la raccolta
di stagione ma anche godendosi lunghe passeggiate nel Parco Agricolo,
immersi in un magnifico paesaggio tra bosco, chiuse e canali.
Transizione, Permacultura, Decrescita e Downshifting con i maggiori esperti italiani.
@ Ecovillaggio Panta Rei, Passignano sul Trasimeno (PG) -
3-4-5 MARZO 2017
Cos'è Progettare il cambiamento
Tre giorni immersi in
rivoluzionarie esperienze di cambiamento individuale e collettivo. Per
la prima volta insieme, alcuni tra i maggiori esperti italiani ti
porteranno a comprendere come i concetti di Transizione, Permacultura,
Decrescita e Downshifting, possono cambiare la tua vita e quella del
pianeta.
A chi è rivolto
Hai sentito parlare di queste
tematiche e non hai mai trovato il tempo per approfondirle? Vorresti
sapere come queste pratiche possono portare un cambiamento concreto
nella tua vita? Hai bisogno di stimoli e connessioni per attivarti in
azioni concrete? Allora sei capitato nel posto giusto!
Ci guideranno in questo viaggio:
cristiano bottone
Transition Italia
Esperto di comunicazione e
innovazione sociale, co-fondatore e referente del Movimento Transition
Town Italia e di Monteveglio Città in Transizione (prima iniziativa
locale di Transizione in Italia).
Maurizio Pallante
Decrescita
Saggista, editorialista, fondatore e
presidente emerito del Movimento per la Decrescita Felice, esperto di
efficienza energetica.
Fabio Pinzi
Permacultura
Agronomo, permacultore, membro del
Consiglio dell’Accademia Italiana di Permacultura, fondatore e direttore
dell’allevamento biologico allo stato brado Podere Bio Amiata.
Daniel Tarozzi
Downshifting
Giornalista, saggista, documentarista, fondatore e responsabile editoriale di Italia che Cambia.
Eco Villaggio Panta Rei
Passignano sul Trasimeno (PG), Umbria
Panta Rei è un villaggio ecologico, una fattoria didattica e
sociale che da anni sperimenta forme di vita comunitaria alla ricerca di
un modello ambientale sostenibile. L’obbiettivo è quello di essere una
comunità educante, accogliente e contaminante verso tutto il mondo in
cui qualsiasi bambino che abbia dagli zero ai cent’anni possa imparare
facendo con le proprie mani.
Problema: preparare il pranzo
per dieci persone. Svolgimento: prima di tutto si va a vedere cosa c’è
nell’orto e in dispensa. Nell’orto c’è la zucca, e durante la riunione
per il menu le proposte fioccano: pasta con sugo di zucca, risotto,
gnocchi, vellutata, tortelli. Il più votato risulta il risotto. Poi
bisogna andare a prendere e pesare la zucca, calcolare quanto riso a
persona e in totale, e infine i bambini si dividono i compiti e si
mettono all’opera: c’è chi taglia a pezzi la zucca e chi
trita la cipolla… L’orto serve a darci cibo, ma anche a imparare ome si
produce dalla terra, che cosa significa mantenerla fertile e quale
delicata rete di connessioni tra i viventi (messa seriamente in crisi
dall’eccessivo consumo di risorse naturali da parte degli umani)
sostiene la vita. Lo stesso vale per la cura degli asini e della cavalla, straordinaria “palestra” di affettima anche di intercultura, riconoscimento dei diritti, delle esigenze e del linguaggio dei viventi non umani. Conoscere vuol dire imparare ad amare (anche il proprio territorio) e quindi a prendersi cura e ad assumersi responsabilità, come persone e come comunità.
S
Nel pomeriggio, poi, si discute di migranti, si guarda un
documentario sui popoli indigeni che difendono le loro terre o si fa il
gioco delle “carte verdi”, per scoprire che scegliere uno snack o un
cellulare non è affatto una cosa neutrale, ma ha una serie di
conseguenze, positive o negative, sull’ambiente e sulle persone, magari
dall’altra parte del mondo.
Conquistare strumenti per costruire un futuro migliore
Siamo a scuola, ma l’aula è un po’ speciale: la Cascina Santa Brera di San Giuliano Milanese.
Qui il venerdì la cooperativa sociale Praticare il futuro organizza dal
2013 la scuola in fattoria: bambini e bambine della materna e delle
elementari e medie, a venerdì alterni, vengono alla scuola in fattoria.
L’orario è quello scolastico, dalle 8 alle 16, ma in
questa scuola la matematica e le scienze vengono praticate in cucina,
la geometria bi e tri dimensionale, la misura e il calcolo nella bottega
del falegname; le scienze nella cura dell’orto e degli animali;
l’italiano, la storia, la geografia nella ricerca sul consumo critico e
la cittadinanza attiva, a livello globale e locale. I
grandi problemi del mondo – le guerre, le migrazioni, il riscaldamento
climatico, la crisi ecologica, le crescenti disuguaglianze – vengono
indagate, analizzate e collegati tra loro attraverso giochi e ricerche,
ma anche ricollegati con le questioni locali e i nostri stili di vita e
di consumo, magari facendo ricostruendo la storia sociale e ambientale
che c’è dietro la Nutella e facendone un cartellone informativo… Si impara quindi a pensare in modo complesso ed eclettico,
assumendo diversi punti di vista e mettendo in discussione alcuni
principi fondanti della cultura occidentale attuale, consumista e
individualista, come richiede un mondo sempre più complesso e
interconnesso.
In questo modo si decostruiscono l’”impotenza appresa” e la
frammentazione sociale spesso trasmesse dalla famiglia, dalla scuola e
dal nostro ambiente sociale in genere (“pensa ai fatti tuoi”, “la realtà
è questa e bisogna adattarsi”, “questo è l’unico mondo possibile”) e si
conquistano gli strumenti per immaginare e costruire, individualmente e collettivamente, modi diversi di vivere, più sobri, giusti e anche più equilibrati e felici.
Imparare facendo, lo dice perfino il ministero dell’Istruzione
Ma come fanno i/le bambini/e a venire in fattoria in orario
scolastico? Le recenti Indicazioni ministeriali per il curricolo
relative agli ambienti di apprendimento sottolineano la valorizzazione
delle esperienze pratiche, utilizzando le risorse del territorio,
in quanto stimolano l’alunno a pensare, provare, realizzare e valutare
le attività stesse vissute in condivisione e partecipazione con gli
altri. L’obiettivo (reso ora obbligatorio) è sviluppare tutte le
competenze – cognitive, pratiche, emotive e civiche – dello studente
attraverso un apprendimento personalizzato.
In Cascina bambine e bambini, ragazzi e ragazze imparano dunque
facendo, pensando, scegliendo insieme, intrecciando relazioni affettuose
con asini e cavalla, ma non solo: lavorando in autonomia e valutando
questo lavoro come individui e come gruppo, riflettono su come la loro
mente apprende, sperimenta, escogita soluzioni originali ai problemi.
Inoltre, attraverso la gestione autonoma delle regole e dei conflitti
e la vita quotidiana in Cascina, improntata al risparmio e riutilizzo
di risorse e al rispetto della terra e degli esseri viventi, ma anche
attraverso giochi, laboratori, ricerche e progetti di tipo giornalistico
(per esempio realizzazione di documentari).
Così vengono aiutati a sviluppare la responsabilità sociale e
ambientale, le capacità di cooperazione, l’attitudine alla cittadinanza
attiva e partecipata, l’autoregolazione e la gestione dei conflitti.
L’ambiente della Cascina Santa Brera, che pratica la produzione di cibo in modo biologico e con l’approcci della permacultura, permette agli alunni/e di immergersi non soltanto in un ambiente rurale, con i suoi innumerevoli stimoli, ma in un luogo che pratica quotidianamente i principi dell’economia solidale,
sobria e sostenibile, a cominciare dalla responsabilizzazione, la
valorizzazione delle diversità, la solidarietà, il “ciclo chiuso”,
lavorando con e non contro la natura, dimostrando nella pratica che
vivere in modo più ecologico, equo ed equilibrato è già possibile ed è
anche fonte di grandi soddisfazioni.
Anche per le scuole e per prevenire l’abbandono scolastico
La possibilità di integrare l’apprendimento in aula con esperienze in
Cascina viene offerta anche a gruppi o classi di scuola materna,
elementare e media, concordando con le/gli insegnanti progetti specifici
sai di tipo tematico (per esempio approfondimenti sul consumo critico,
la sovranità alimentare, la sostenibilità energetica ecc.), sia di tipo
disciplinare (per esempio come utilizzare la matematica, la geometria o
le scienze in cucina, in sartoria, in falegnameria, nell’orto…).
Il coinvolgimento della persona intera e l’apprendimento che parte dall’esperienza,
quindi dalla manualità e dalla necessità di risolvere problemi
“autentici”, quotidiani e materiali, è particolarmente utile per i/le
ragazze/i che fanno fatica ad accettare l’approccio più astratto e tutto
mentale dell’ambiente scolastico classico, quindi a rischio di
espulsione o abbandono scolastico, aiutandoli a interiorizzare e
consolidare il sapere e le competenze. .
Per chi è interessato ad approfondire: https://praticareilfuturo.wordpress.com/scuola/agriscuola/ oppure https://www.facebook.com/cooppraticareilfuturo/?ref=bookmarks (dove trovate anche molti resoconti e foto).
Il documentario realizzato dai bambini sulla scuola in fattoria:
L’estate d’autunno in Puglia, sulle colline tra Ostuni e Martina, da Paola e MarK.
Qualcuno costruisce una culla per l’acqua piovana,
per sentire e richiamare memorie liquide, per toglierci i metalli
pesanti, per renderla pura. Lo fa con leggerezza. Come se non ci fosse
fatica. Naturale, è questo che penso mentre lo osservo. Intorno
ci sono foglie, rami e sterpaglie che s’intrecciano nel biorollo per
catturare la rugiada in terreni aridi. Intorno ci sono persone che s’intessono per sostenere la cura in relazioni senza scarto. La culla dell’acqua è un filtro naturale
fatto di pietre pulite, di ghiaia, di carbonio attivato, di piante
acquatiche come il giacinto d’acqua, le orecchie d’elefante, la
lenticchia, sì c’è pura quella d’acqua, che depurano. Un filtro d’amore,
che si spera potente. C’è un po’ di fiaba in queste installazioni pratiche
e poetiche in cui elementi della natura si accostano e interagiscono
con materiali postmoderni. Quanta grazia semplice nel mettere insieme un
velo verde sulla dimora dell’acqua, per cullarne il sonno e la vita.
Anche quella che cresce nel seno di Paola. Lui è Luciano Furcas, permacultore
di grandi virtù, mi dicono. Uno che osserva, aspetta e conosce. E più
osserva più aspetta e più conosce. Che porta la sua conoscenza senza
denaro. «Mi sento sempre nell’inizio di ogni
cosa» mi dice. E io mi riconosco, so bene che è questo il segreto dello
stupore e della scoperta. Intorno si sentono gli spari dei
cacciatori. Ce la faranno i miei amici a combattere il piombo e
l’entropia del mondo? Io ci conto.